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2. Per l’annullamento delle impugnate ordinanze il pubblico ministero ricorrente articola quattro motivi di impugnazione, qui enunciati, ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo, dopo aver ampiamente riportato i risultati dell’attivita’ investigativa, il ricorrente deduce la violazione della legge penale in relazione all’articolo 321 c.p.p. e articolo 192 c.p.p., comma 2, e L. n. 146 del 2006, articolo 11 (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), sul rilievo che il Tribunale, nel ritenere che sarebbero stati provati soltanto sei episodi di traffico illecito di gasolio nei quali si sarebbe obiettivamente materializzata la divergenza tra realta’ fattuale e realta’ dichiarata, avrebbe addossato agli inquirenti un onus probandi eccessivo e sproporzionato per la fase cautelare, pervenendo alla conclusione di ritenere che nulla fosse emerso in ordine ad un ricorso sistematico e senza eccezioni al meccanismo fiscale fraudolento, nonostante avesse considerato che dai dati provenienti dalle intercettazioni telefoniche, dalle sommarie informazioni e dalla documentazione rinvenuta e sequestrata sarebbe senz’altro emerso un profilo indiziario in ordine alla sussistenza dell’illecito, tale da comportare sicuramente la configurazione di seri indizi di reato, affermando tuttavia che, siccome la ricostruzione del quantum oggetto della frode all’accisa sarebbe frutto di una ricostruzione presuntiva, non sarebbero emersi elementi tali da evidenziare la presenza del reato contestato in ogni singola operazione documentata in fattura od oggetto di comunicazioni telefoniche o dialoghi telefonici. Secondo il Tribunale il fatto che si parli di gasolio non sarebbe di per se’ prova che tutte le operazioni ad esso relative fossero illecite, essendo indispensabile avere la prova che, in relazione a tutte quelle operazioni, i documenti di trasporto e le fatture avessero indicato un altro prodotto sottratto agli oneri fiscali previsti per il gasolio o avessero simulato una destinazione estera per opporre agli ipotetici controllori che si trattava di mero transito non sottoposto ad alcun onere.
Obietta il ricorrente che, in tal modo, il Collegio cautelare avrebbe adottato una regola di giudizio non consona alla fase cautelare, essendo in detta fase sufficiente la sola integrazione del fumus criminis, con la conseguenza che, per disporre la misura cautelare, non sarebbe necessario il rigoroso accertamento dei profitti conseguiti con l’attivita’ criminosa perche’, anche in ordine al quantum, sarebbe possibile un giudizio di approssimazione, in cui far convergere la valenza di tutti gli elementi indiziari gravi, precisi e concordanti raccolti nel corso delle indagini.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’erronea interpretazione della legge penale (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione al Decreto Legislativo n. 504 del 1995, articoli 5, 6, 8 e 9.
Osserva che il Tribunale – laddove ha ritenuto, nonostante le numerosissime telefonate intercettate nelle quali gli interlocutori dialogano di gasolio o nafta, che, in esse, si parli di gasolio non sarebbe di per se’ prova che tutte le operazioni ad esso relative fossero illecite, anche perche’ sarebbe difficile che societa’ esistenti, operative e che corrispondono le imposte fossero dedite al 100% ad attivita’ illegale – non ha considerato che, se cosi’ fosse, gli interlocutori avrebbero dovuto riferirsi ad operazioni commerciali del tutto lecite e, quindi, ad operazioni che, accompagnate dalla documentazione e dalle autorizzazioni richieste dalla normativa di settore, avrebbero dovuto comprovare, almeno in astratto, la regolarita’ delle operazioni di cui vi sarebbe traccia nelle acquisizioni investigative, come richiesto dalla normativa che il pubblico ministro ricorrente sommariamente delinea nel motivo di ricorso.
Tuttavia nessuno degli interlocutori delle telefonate in cui si parla di gasolio/nafta, ma in generale nessuno dei soggetti economici emersi dal contesto investigativo sarebbe soggetto fiscalmente conosciuto ne’ tantomeno autorizzato (perche’ privo dei requisiti, delle qualifiche, della licenza fiscale) dalle Amministrazioni fiscali nazionali ad immettere in consumo il prodotto idrocarburico.
Percio’, laddove essi parlano di gasolio sarebbe giocoforza ritenere che il prodotto dovesse essere illegalmente introdotto sul territorio nazionale “cartolarmente vestito” come olio (scortabile con semplice CMR ed assoggettato a disciplina di controllo meno stringente).
Inoltre nessun documento attestante importazioni di gasolio sarebbe stato mai trovato (ne’ poteva essere trovato) nel corso delle perquisizioni effettuate nel settembre 2014 presso i domicili e le sedi delle aziende facenti capo agli indagati.
Rileva, a tal proposito, il ricorrente che, nel caso ipotetico in cui avessero commercializzato gasolio, avrebbero quantomeno dovuto conservare la “stampa” dell’E-AD, documento che mai e’ stato rinvenuto dalla Guardia di Finanza.
Da cio’ la conseguenza che, laddove il Tribunale del riesame afferma che “ci sono fatture, comunicazioni telematiche ed intercettazioni in cui si parla di commercio di gasolio, ma non ci sono elementi che consentano di dire che ognuna di queste singole operazioni sia stata riportata in maniera impropria sui documenti di trasporto”, incorre in una violazione di legge per disapplicazione delle disposizioni di cui al Decreto Legislativo n. 504 del 1995, articoli 5, 6, 8 e 9.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia la violazione della L. n. 146 del 2006, articolo 3 con particolare riferimento all’ordinanza pronunciata sul riesame di (OMISSIS).
Sostiene il ricorrente che il Tribunale del riesame, nel prendere in esame i capi di imputazione D) ed E), avrebbe interpretato la L. n. 146 del 2006, articolo 3 per giungere ad escluderne l’applicabilita’ nel caso concreto atteso che, tra gli indagati, si configura un mero pactum sceleris che consentirebbe di qualificare i fatti in termini di mero concorso ai sensi dell’articolo 110 c.p. e non come partecipazione ad una associazione per delinquere che richiederebbe una stabile organizzazione, requisito, quest’ultimo, che, secondo il ricorrente, sarebbe escluso dalla giurisprudenza di legittimita’ secondo la quale sarebbe sufficiente, ai fini dell’applicazione della L. n. 146 del 2006, articolo 3, un’organizzazione anche minimale finalizzata anche alla commissione di un solo reato, che il G.I.P. aveva individuato nelle societa’ e depositi esteri che avevano operato in collaborazione con gli indagati e con altri soggetti economici, italiani ed esteri.
Aggiunge il ricorrente che, per provare il carattere transnazionale del reato, sarebbe arduo pretendere – sia nella fase cautelare che in quella processuale – la dimostrazione dell’esistenza di un “gruppo criminale organizzato” con tutte le caratteristiche dell’associazione a delinquere di cui all’articolo 416 c.p., sicche’ dovrebbe ritenersi sufficiente – a maggior ragione in fase cautelare – la dimostrazione dell’esistenza di un sodalizio criminale, ancorche’ operante all’estero e costituito da individui non ben identificati implicato nell’attivita’ delinquenziale realizzata sul territorio nazionale.
Non sarebbe invece richiesto che di tale gruppo facciano parte anche le persone nei cui confronti si svolgono le indagini.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente si duole della violazione dell’articolo 324 c.p.p., comma 7 e articolo 309 c.p.p., comma 9, nonche’ dell’articolo 111 Cost., comma 6, con riferimento all’ordinanza pronunciata sul riesame di (OMISSIS).
Argomenta in proposito che il Tribunale del Riesame non avrebbe rispettato l’obbligo di motivare e decidere “anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell’udienza”, avendo omesso di prendere in considerazione alcuni elementi di prova addotti dal pubblico ministero all’udienza sul riesame proposto da (OMISSIS) (di cui al verbale udienza del 02.02.2017).
Ed invero, sul conto della (OMISSIS) Ltd ed a proposito del ruolo ricoperto dallo (OMISSIS) in seno alla societa’ cipriota ed al complesso sistema di frode alle accise, era stata portata all’attenzione del Collegio cautelare l’esito di una rogatoria indirizzata dal pubblico ministero alla Procura di Amburgo. Nella nota in data 14.10.2016, la Procura tedesca comunicava l’esistenza di un procedimento a carico, tra gli altri, di (OMISSIS) per lo stesso genere di frode al regime delle accise (per circa 16 milioni di Euro), il ruolo di (OMISSIS) come socio fondatore della (OMISSIS) GmbH (responsabile degli acquisti di carburante, amministrata da (OMISSIS), detenuto in custodia cautelare) e in altre societa’ come la (OMISSIS) Ltd e la (OMISSIS) Ltd, dolendosi pertanto che tali circostanze, decisive per la compiuta definizione del quadro cautelare, siano state del tutto pretermesse dal Tribunale del riesame che sarebbe pertanto incorso nel vizio di violazione dei legge denunciato.
3. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno presentato memorie con le quali deducono l’inamrnissibilita’ del ricorso presentato dal pubblico ministero sul presupposto che l’impugnazione svolge censure di merito nei confronti della motivazione, censure non consentite nel giudizio di legittimita’ in ordine alle impugnazioni cautelari reali, posto che non si denuncia, con il gravame, l’assenza o l’apparenza della motivazione bensi’ esclusivamente la sua pretesa contraddittorieta’ ed illogicita’.
Sostengono che giustamente il Tribunale del riesame ha rilevato l’impossibilita’ di provvedere al sequestro preventivo per equivalente, dato che non era possibile separare le operazioni illecite da quelle lecite compiute dai vari indagati e, quindi, conseguentemente determinare l’entita’ del profitto percepito, la cui entita’ sarebbe stata calcolata presuntivamente senza alcun riscontro obiettivo ovvero indiziario inidoneo a sorreggere la determinazione del profitto stesso.
(OMISSIS), in particolare, deduce come non vi fosse alcun atto di indagine che accertasse la sua responsabilita’, essendogli state sequestrate somme:
(1) senza che vi fossero certi riscontri probatori;
(2) senza che vi fosse la prova circa la sussistenza del vincolo associativo, posto che il ricorrente non conosceva la maggior parte degli indagati;
(3) senza che vi fossero idonei accertamenti circa la qualita’ degli oli trasportati, ne’ i presupposti per l’applicabilita’ dell’aggravante di cui alla L. n. 146 del 2006, articolo 4, il tutto oltre all’incompetenza del tribunale di Udine per le ipotesi delittuose configurate a suo carico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso del pubblico ministero e’ fondato nei limiti di cui alle considerazioni che seguono.
2. I primi due motivi, essendo tra loro strettamente collegati, possono essere congiuntamente esaminati.
2.1. Il Collegio cautelare ha premesso come il nucleo comune a tutte le contestazioni riguardasse l’evasione delle accise su prodotti energetici e, in particolare, sul gasolio da autotrazione. Anche i reati associativi contestati ai capi A), B) e C) erano stati, infatti, configurati come finalizzati alla realizzazione di un flusso continuo illegale di prodotti energetici sottoposti ad accisa caratterizzato dall’indicazione, sui documenti di trasporto, di una sostanza diversa del prodotto di fatto trasportato (olio lubrificante invece di gasolio da autotrazione) oppure dall’indicazione di un destinatario diverso da quello reale, indicandosi mero olio lubrificante (non sottoposto ad alcun onere fiscale), che in realta’ era gasolio o comunque sostanza idonea alla autotrazione (sottoposta invece all’accisa), oppure facendosi cartolarmente risultare la destinazione all’estero per la quale, in territorio italiano (territorio di mero transito), non era dovuta alcuna accisa.
Il tribunale del riesame ha precisato come le indagini si fossero sviluppate a seguito di alcuni interventi su strada che avevano portato ad un fermo amministrativo ed a cinque sequestri del veicolo trasportatore e del liquido trasportato.
In siffatti contesti, era emerso che il prodotto trasportato consisteva in miscele non autorizzate di gasolio, oli basici ed oli vegetali, che venivano composte in diverse aree di deposito site in diversi Paesi dell’Unione Europea e che venivano indicate sui documenti di trasporto come oli lubrificanti o protettivi.
2.2. Tanto premesso, il tribunale cautelare fonda il proprio convincimento partendo dal presupposto che, ai fini dell’integrazione del fumus criminis, necessiti la prova che tutte le operazioni relative all’importazione dei prodotti energetici fossero illecite.
Peraltro; dal testo dei provvedimenti impugnati, emerge come il Tribunale avesse richiesto, affinche’ fosse comprovata la illiceita’ delle operazioni, che, in relazione ad ognuna di esse, i documenti di trasporto e le fatture avessero “indicato un altro prodotto sottratto agli oneri fiscali previsti per il gasolio” o avessero “simulato una destinazione estera per opporre agli ipotetici controllori che si trattava di mero transito non sottoposto ad alcun onere”.
Tuttavia, il Tribunale – sebbene avesse, contraddittoriamente alle premesse, affermato che ci fosse “la prova dell’an ma non quella del quantum” – ha, dunque, adottato, come il ricorrente fondatamente lamenta, una regola di giudizio non consona alla fase cautelare perche’, richiedendo la prova (evidentemente anche al fine di calcolare l’imposta evasa rispetto alla quale commisurare il profitto del reato) che tutte le operazioni relative all’importazione dei prodotti energetici fossero illecite, non ha tenuto conto che, ai fini dell’emissione del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente del profitto del reato, non occorre un compendio indiziario che si configuri come grave ai sensi dell’articolo 273 c.p.p., ma e’ soltanto necessario che il giudice valuti la sussistenza del “fumus delicti” in concreto, verificando in modo puntuale e coerente gli elementi in base ai quali desumere l’esistenza del reato astrattamente configurato, in quanto la “serieta’ degli indizi” costituisce presupposto per l’applicazione delle misure cautelari reali (per tutte, Sez. 3, n. 37851 del 04/06/2014, Parrelli, Rv. 260945).
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