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Nel complesso, dunque, essi assumono di avere ritualmente proposto il gravame nel termine lungo ex articolo 327 c.p.c., ribadendo che la sola notifica della sentenza di primo grado utile a far decorrere il termine breve per l’impugnazione avrebbe dovuto compiersi presso il difensore del (OMISSIS), Avv. Previti, nel nuovo domicilio di via (OMISSIS) (risultante da quanto dichiarato in primo grado, all’udienza del 19 febbraio 2008), essendo, pertanto, inidonea – sempre ai fini ed agli effetti di cui all’articolo 326 cod. proc. civ. – quella inutilmente tentata, in data 8 ottobre 2012, presso il suo originario studio di via (OMISSIS), giacche’ da ritenersi giuridicamente inesistente (questione, peraltro, sulla quale la Corte di Appello etnea ha ritenuto di non doversi pronunciare, essendo la notificazione ivi compiuta “non andata a buon fine per “irreperibilita’ del destinatario”).
3.2. Con il secondo motivo, le ricorrenti deducono “nullita’ ex articolo 360 c.p.c., nn. 3) e 5), per violazione e/o falsa applicazione e falsa interpretazione degli articoli 325, 326 e 327 c.p.c., e relativa motivazione”, nonche’, “nullita’ della sentenza per carenza, difetto di motivazione e contraddittorieta’ della stessa”, oltre che per “impossibilita’ di controllo sul procedimento logico utilizzato dal giudice per la risoluzione di questioni di diritto e di interpretazione”.
In particolare, evidenziano “l’assoluta inidoneita’ della notifica della sentenza mediante una copia in forma esecutiva ai fini del decorso del termine breve per l’impugnazione”, richiamando sul punto Cass. Sez. Un., sent. 13 giugno 2011, n. 12898, secondo cui “la notificazione della sentenza in forma esecutiva, eseguita alla controparte personalmente, anziche’ al procuratore costituito ai sensi dell’articolo 170 c.p.c., comma 1, e articolo 285 c.p.c., non e’ idonea a far decorrere il termine breve di impugnazione ne’ per il notificante, ne’ per il notificato”. Difatti, la notificazione ex articolo 479 c.p.c., esse assumono – “ha il fine esclusivo di indicare alla controparte la volonta’ di procedere in executivis nei suoi confronti”, e cio’ “per consentirle di valutare l’eventualita’ di un adempimento spontaneo”, rimando ad essa estraneo lo scopo “di accelerazione dell’iter processuale”.
Cio’ premesso, le odierne ricorrenti sottolineano come tale tema fosse stato portato all’esame della Corte di Appello, dolendosi dell’assenza di qualsiasi pronuncia sul punto.
3.3. Il terzo motivo viene rubricato come “nullita’ ex articolo 360 c.p.c., nn. 3) e 5), per violazione e/o falsa applicazione e falsa interpretazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 634 del 1972, articolo 64, e Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 66, e relativo vizio di motivazione”, nonche’, “nullita’ ex articolo 360 c.p.c., nn. 3) e 5), per violazione e/o falsa applicazione e falsa interpretazione del disposto della sentenza n. 522 della Corte costituzionale del 6.12.2002 e relativo vizio di motivazione”, nonche’ come “nullita’ della sentenza per carenza, difetto di motivazione e contraddittorieta’ della stessa”, oltre che per “impossibilita’ di controllo sul procedimento logico utilizzato dal giudice per la risoluzione di questioni di diritto e di interpretazione”.
Si deduce che, non avendo l’Avv. (OMISSIS) provveduto al pagamento della tassa registro”, la cancelleria del Tribunale di Catania “non poteva rilasciare copia conforme della sentenza n. 34/2012”, di talche’ la notificazione della stessa – avvenuta in spregio delle norme dianzi menzionate, peraltro sopravvissute al vaglio di legittimita’ operato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 522 del 2002 – sarebbe affetta da “inesistenza”, essendo, dunque, inidonea a far decorrere il termine di impugnazione ex articolo 325 c.p.c..
Orbene, l’affermazione della Corte di appello secondo cui sarebbe “irrilevante ai fini del passaggio in giudicato della decisione impugnata la circostanza che la parte notificante abbia ottenuto copia della stessa senza pagare la tassa di registro”, oltre che essere in contrasto con le disposizioni suddette, sarebbe del tutto apodittica, donde la denunciata carenza di motivazione.
3.4. Infine, con il quarto motivo, e’ dedotta nullita’ della sentenza ex articolo 360 c.p.c., nn. 3) e 5), “per violazione di legge degli articoli 91 e 92 c.p.c., per insufficiente/omessa e contraddittoria motivazione riguardo la compensazione delle spese”, e cio’ sul rilievo che le stesse dovessero essere addossate all’Avv. (OMISSIS), quale conseguenza dell’accoglimento dell’appello proposto da essi ricorrenti.
4. Ha proposto controricorso il (OMISSIS), resistendo all’avversaria impugnazione, della quale assume l’infondatezza, proponendo ricorso incidentale “per il riconoscimento delle spese legali sostenute nel giudizio avanti la Corte di Appello”.
5. E’ intervenuto il Procuratore Generale della Repubblica presso questa Corte, chiedendo l’accoglimento del ricorso sulla base del primo motivo (assorbiti i restanti tre), sulla scorta dei principi affermati da Cass. Sez. Un., sent. 4 luglio 2014, n. 15295.
RAGIONI DELLA DECISIONE
6. Il ricorso principale e’ fondato, relativamente ai motivi primo e secondo (con assorbimento, invece, del terzo e del quarto).
7. Quanto, in particolare, al primo motivo, occorre muovere dalla constatazione che l’indirizzo giurisprudenziale al quale ha inteso aderire la sentenza impugnata deve essere riconsiderato – come osserva anche la Procura Generale nel proprio atto di intervento – alla luce del sopravvenuto arresto costituito da Cass. Sez. Un., sent. 4 luglio 2014, n. 15295.
7.1. Difatti, la decisione della Corte etnea si inserisce nel solco di quell’indirizzo che prende le mosse da un’ormai superata pronuncia del Supremo Collegio, secondo cui, qualora uno degli eventi idonei a determinare l’interruzione del processo si verifichi nel corso del giudizio di primo grado, prima della chiusura della discussione (ovvero prima della scadenza dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ai sensi del nuovo testo dell’articolo 190 c.p.c.), e tale evento non venga dichiarato ne’ notificato dal procuratore della parte cui esso si riferisce a norma dell’articolo 300 c.p.c., “il giudizio di impugnazione deve essere comunque instaurato da e contro i soggetti effettivamente legittimati: e cio’ alla luce dell’articolo 328 c.p.c., dal quale si desume la volonta’ del legislatore di adeguare il processo di impugnazione alle variazioni intervenute nelle posizioni delle parti, sia ai fini della notifica della sentenza che dell’impugnazione, con piena parificazione, a tali effetti, tra l’evento verificatosi dopo la sentenza e quello intervenuto durante la fase attiva del giudizio e non dichiarato ne’ notificato” (Cass. Sez. Un., sent. 28 luglio 2005, n. 15783, Rv. 582984-01).
Si tratta di un indirizzo, questo, ribadito da numerose pronunce successive della Suprema Corte, tra le quali – oltre alla gia’ ricordata Cass. Sez. 1, sent. 26 luglio 2013, n. 18128, Rv. 627322-01, nonche’, anteriormente, Cass. Sez. 3, sent. 4 aprile 2013, n. 8193 e Cass. Sez. 3, sent. 29 agosto 2011, n. 17692, Rv. 619438-01) – merita, specificamente, di essere segnalata quella pronuncia che, con riferimento proprio al caso del decesso della parte verificatosi “prima della scadenza dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica” (e per l’ipotesi che “tale evento non venga dichiarato ne’ notificato dal procuratore della parte cui esso si riferisce”), ha ribadito che “il giudizio di impugnazione deve essere comunque instaurato da e contro i soggetti effettivamente legittimati”, traendone la conseguenza che, “ove la controparte abbia avuto formale comunicazione, anche se stragiudiziale, del decesso, l’atto di appello deve essere notificato agli eredi, non potendosi ritenere valida la notifica compiuta all’originario difensore della parte defunta” (Cass. Sez. 3, sent. 7 gennaio 2011, n. 259, Rv. 61589201).
7.2. Senonche’, tale indirizzo va riconsiderato alla luce della gia’ citata decisione del Supremo Collegio n. 15295 del 2014, e cio’ quantunque essa abbia riguardato un problema diverso da quello qui in esame (anzi, “speculare” ad esso), ovvero la eventuale ultrattivita’ del mandato, conferito dalla parte colpita da taluno degli eventi ex articolo 300 cod. proc. civ. al proprio difensore, nonche’ la possibilita’ della sanatoria della notificazione dell’impugnazione eseguita presso quest’ultimo.
La citata sentenza, infatti, ha ritenuto di dover prendere in esame anche l’ipotesi della “notificazione della sentenza al procuratore della parte defunta o divenuta incapace, ai fini del decorso del termine breve per impugnare”, rilevando che “il legislatore non ha previsto una specifica disciplina” neppure per tale ipotesi, giacche’ esso “non dice (…) se alla parte deceduta possa essere validamente notificata la sentenza presso il suo difensore, al fine di far decorre il termine breve per impugnare”. Nel silenzio della legge, pertanto, si sono delineati in giurisprudenza – rammenta sempre la citata sentenza – due indirizzi, uno che “tende a salvare (…) gli atti indirizzati dalla controparte al procuratore della stessa parte deceduta; un altro, che tende a privilegiare gli interessi degli eredi, li considera ormai giusta parte e ritiene valido solo l’atto processuale che sia a loro diretto o sia da loro stessi voluto ed indirizzato alla controparte”. Espressione del primo indirizzo sono, in particolare, Cass. Sez. Un., sent. 21 febbraio 1984, nn. 1228, 1229 e 1230, le quali “trovandosi ad esaminare un caso in cui la morte della parte era avvenuta prima della discussione della causa (ed, ovviamente, non era stata dichiarata, ne’ comunicata) affermarono il principio che puo’ dirsi (sicuramente in maniera approssimativa e riduttiva) di ultrattivita’ del mandato, in forza del quale: e’ valida la notificazione della sentenza fatta al procuratore della parte deceduta a norma dell’articolo 285 c.p.c.”; indirizzo che si fonda sul rilievo per cui, “omessa dal procuratore (unico legittimato) la dichiarazione in udienza o la notificazione alle altre parti (fino alla chiusura della discussione) dell’avvenuta morte o della perdita di capacita’ della parte da lui rappresentata, la posizione giuridica di questa resta stabilizzata, rispetto alle altri parti ed al giudice, quale persona ancora esistente ed ancora capace, nella fase attiva in corso del rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza, dopo la pubblicazione della sentenza, e di riattivazione, a seguito e per effetto della proposizione dell’impugnazione”. Per contro, quale espressione del secondo indirizzo viene individuata proprio Cass. Sez. Un., sent. 28 luglio 2005, n. 15783, secondo cui “qualora uno di quegli eventi idonei a determinare l’interruzione del processo si verifichi nel corso del giudizio di primo grado, prima della chiusura della discussione (ovvero prima della scadenza dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ai sensi del nuovo testo dell’articolo 190 c.p.c.), e tale evento non venga dichiarato ne’ notificato dal procuratore della parte cui esso si riferisce a norma dell’articolo 300 c.p.c., il giudizio di impugnazione deve essere comunque instaurato da e contro soggetti effettivamente legittimati”; il fondamento di tale indirizzo viene, in questo caso, individuato nel “portato dell’articolo 328 c.p.c., dal quale viene desunta la volonta’ del legislatore di adeguare il processo di impugnazione alle variazioni intervenute nelle posizioni delle parti, sia ai fini della notifica della sentenza che dell’impugnazione, con piena parificazione, a tali effetti, tra l’evento verificatosi dopo la sentenza e quello intervenuto durante la fase attiva del giudizio e non dichiarato ne’ notificato”.
7.3. Orbene, chiamata a scegliere tra i due indirizzi, la citata sentenza n. 15295 del 2014 delle Sezioni Uniti, ha optato per il primo, confutando l’argomento su cui si basava il secondo (o meglio, “falsificandolo”, verrebbe da dire con terminologia propria del ragionamento epistemologico); argomento secondo cui, verificatosi la morte (o la perdita della capacita’) di una parte “tra un grado e l’altro del processo”, sarebbe necessario affermare, sempre e comunque, “l’imprescindibilita’ della nuova realta’ soggettiva venutasi a determinare, con la conseguenza che il nuovo grado di giudizio andrebbe instaurato da e contro i soggetti reali”, ovvero le “parti sostanziali interessate attualmente dalla controversia ed al processo”.
Il citato arresto delle Sezioni Unite, infatti, ha espresso “un forte ripensamento circa il fatto che quell’idea dottrinaria del processo possa essere trasferita nella materia in questione”, e cio’ sul rilievo che la nozione di “giusta parte” dovrebbe essere intesa pur sempre in senso processuale (e non sostanziale), identificandosi con “quella che ha instaurato”, ovvero, con “quella contro cui e’ stato instaurato il giudizio”. Ne e’ derivata, dunque, l’enunciazione del principio secondo cui la “incidenza sul processo degli eventi previsti dall’articolo 299 c.p.c. (morte o perdita di capacita’ della parte) e’ disciplinata, in ipotesi di costituzione in giudizio a mezzo di difensore, dalla regola dell’ultrattivita’ del mandato alla lite, in ragione della quale, nel caso in cui l’evento non sia dichiarato o notificato nei modi e nei tempi di cui all’articolo 300 c.p.c., il difensore continua a rappresentare la parte come se l’evento non si sia verificato, risultando cosi’ stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto a seguito della proposizione dell’impugnazione”.
7.4. Facendo, dunque, applicazione di tale principio al caso di specie, si deve ritenere che la suddetta “stabilizzazione” della posizione del defunto (OMISSIS), essendo il suo decesso avvenuto prima della chiusura della discussione, escluda che la notificazione della sentenza che lo vedeva soccombente potesse farsi, in applicazione dell’articolo 286 c.p.c., e dunque (anche) ai suoi eredi, dovendo invece avvenire unicamente presso il suo difensore, perche’ potessero prodursi gli effetti di cui all’articolo 325 c.p.c..
Il primo motivo di ricorso e’, pertanto, fondato.
8. Fondato e’ anche il secondo motivo.
Appare, infatti, superabile l’errore commesso dalle ricorrenti, atteso che esse – dolendosi di un’omessa pronuncia in merito alla eccepita inidoneita’ della notifica della sentenza in forma esecutiva a far decorrere il termine ex articolo 325 c.p.c. – avrebbero dovuto veicolare in altro modo la censura.
Trova, infatti, applicazione il principio secondo cui, qualora “il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non e’ indispensabile che faccia esplicita menzione della fattispecie di cui al n. 4) del primo comma dell’articolo 360 c.p.c., con riguardo all’articolo 112 c.p.c., purche’ il motivo rechi” – come, appunto, nel caso di specie – “univoco riferimento alla nullita’ della decisione derivante dalla relativa omissione” (cfr. cfr. Cass. Sez. Un., sent. 24 luglio 2013, n. 17931, Rv. 627268-01).
Quanto, poi, al merito della censura, appare sufficiente ribadire che “la notificazione della sentenza in forma esecutiva, eseguita alla controparte personalmente, anziche’ al procuratore costituito ai sensi dell’articolo 170 c.p.c., comma 1, e articolo 285 c.p.c., non e’ idonea a far decorrere il termine breve di impugnazione ne’ per il notificante, ne’ per il notificato”. (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 13 giugno 2011, n. 12898, Rv. 617683-01; in senso conforme Cass. Sez. 3, sent. 19 settembre 2011, n. 19070, Rv. 619254-01; Cass. Sez. 6-1, sent. 21 febbraio 2013, n. 4384, Rv. 625441-01).
9. All’accoglimento del ricorso principale e alla cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Catania, segue l’assorbimento del ricorso incidentale, atteso che il giudice del rinvio dovra’ provvedere ad una rinnovata regolamentazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso principale, dichiarando assorbiti il terzo ed il quarto, nonche’ il ricorso incidentale, rinviando alla Corte di Appello di Catania in diversa composizione affinche’ decida anche sulle spese di lite.
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