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In particolare, sul rilievo – che evidenziano essere stato condiviso anche dal giudice di appello – secondo cui, in giudizi privi dell’udienza di discussione, la “chiusura” della stessa deve identificarsi nella scadenza dei termini per il deposito delle note di replica ex articolo 190 cod. proc. civ., sottolineano come, nella specie, il decesso di (OMISSIS) sia avvenuto prima che la discussione potesse ritenersi chiusa. Ne conseguirebbe, pertanto, l’inapplicabilita’ alla presente fattispecie dell’articolo 286 c.p.c., (rilievo che sottolineano essere stato, anche questo, correttamente fatto proprio dalla Corte etnea), ovvero la norma che – consentendo la notificazione della sentenza “a coloro i quali spetta stare in giudizio”, soltanto allorche’ taluno degli eventi interruttivi ex articolo 303 c.p.c., si verifichi dopo la (e non prima della) chiusura della discussione – permette, nel caso in cui l’evento di cui alla norma appena citata consista nel decesso della parte soccombente, di notificare la sentenza collettivamente e impersonalmente presso l’ultimo domicilio del defunto (e’ citata Cass. Sez. Un., sent. 16 dicembre 2009, n. 26279).
Nondimeno, il giudice di appello, pur muovendo da tale duplice presupposto (del tutto corretto, rimarcano le odierne ricorrenti), non ne ha, pero’, tratto la conseguenza – a loro dire, doverosa – di applicare, al caso di specie, l’articolo 285 c.p.c., a mente del quale la notificazione della sentenza, proprio ai fini della decorrenza dei termini per impugnare, va fatta “a norma dell’articolo 170 c.p.c.” e, dunque, “presso il procuratore costituito” (nei cui confronti, lo si ricorda qui per inciso, la notificazione era stata inutilmente tentata, nel caso di specie, prima di procedere a quella presso gli eredi del defunto).
La Corte di Appello di Catania, per contro, ha fatto applicazione del principio secondo cui, qualora uno degli eventi idonei a determinare l’interruzione del processo (qui costituito dalla morte di una parte) si verifichi nel corso del giudizio di primo grado, anteriormente alla scadenza dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, e tanto non venga dichiarato, ne’ notificato, dal procuratore della parte cui esso si riferisce a norma dell’articolo 300 c.p.c., “il giudizio di impugnazione deve essere comunque instaurato da e contro il soggetto effettivamente legittimato” (qui da identificarsi negli eredi del defunto), “desumendosi dall’articolo 328 c.p.c., la volonta’ del legislatore di adeguare il processo di impugnazione alle variazioni intervenute nelle posizioni delle parti, sia ai fini della notifica della sentenza che dell’impugnazione, con piena parificazione, a tali effetti, tra l’evento verificatosi dopo la sentenza e quello intervenuto durante la fase attiva del giudizio e non dichiarato ne’ notificato” (i giudici etnei richiamano Cass. Sez. 1, sent. 26 luglio 2013, n. 18128, Rv. 62732201).
Tuttavia, secondo i ricorrenti, l’applicazione di tale principio, oltre a contraddire la premessa da cui ha preso le mosse il ragionamento svolto dal giudice di secondo grado (donde la denuncia di contraddittorieta’ della sua decisione), costituirebbe erronea applicazione dell’articolo 328 c.p.c., essendo “evidente che tale disposizione si riferisce a fattispecie diversa”, e cio’ “sotto due diversi profili”.
In primo luogo, tale articolo “permette la “rinnovazione” della notifica della sentenza” (evenienza che permette l’applicazione dell’articolo 325 c.p.c.) nel caso di sopravvenienza – durante la pendenza del termine breve per proporre impugnazione – di taluno “degli eventi previsti dall’articolo 299 c.p.c.”, norma, quest’ultima, che contempla i casi di morte o di perdita della capacita’ della parte “prima della costituzione”, laddove nel caso di specie, per contro, l’evento verificatosi (decesso del (OMISSIS)) ha riguardato una parte gia’ “costituita in giudizio”.
In secondo luogo, l’articolo 328 c.p.c., concerne il caso in cui la morte o la perdita di capacita’ della parte si verifichi durante la pendenza del termine (breve) per impugnare la sentenza, e non puo’ dunque riguardare un evento – decesso della parte prima della chiusura della discussione innanzi al giudice di primo grado verificatosi, per definizione, anteriormente al deposito della sentenza, e dunque al decorso del termine per impugnarla. Di conseguenza, la Corte etnea non avrebbe fatto corretta applicazione dell’articolo 328 cod. proc. civ. (anzi, dell’intero plesso normativo – articoli 285, 286, 299, 300, 303, 325, 326 e 327 c.p.c. – evocato nella rubrica del primo motivo di ricorso), fraintendendo anche la portata della sentenza della Suprema Corte dalla stessa richiamata. Difatti, il principio da essa enunciato riguarderebbe solo il “caso in cui la notifica avvenga pur sempre personalmente ed alla parte (fisicamente intesa), ma non quello – pena, altrimenti, il sacrificio delle garanzie del “giusto processo” – della notifica fatta impersonalmente e collettivamente agli eredi del defunto, atteso che attraverso tale meccanismo gli stessi finirebbero con il “non avere simultanea e concorde ed unitaria contezza sullo stato del processo”.
Trattandosi, infine, di aspetti sui quali l’attenzione della Corte catanese era stata specificamente richiamata da essi ricorrenti nel corso del giudizio di appello, gli stessi ipotizzano anche il vizio del difetto di motivazione.
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