Corte di Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 5 aprile 2018, n. 15272.
In presenza della diffusione di una notizia non corrispondente a verita’, si puo’ invocare l’esimente putativa, a condizione che si dimostri che la diffusione della notizia non vera sia dovuta a un errore involontario, che si riflette sul dolo, negandolo. Come in ogni causa di giustificazione l’errore puo’ produrre questo effetto quando si dia prova.
Sentenza 5 aprile 2018, n. 15272
Data udienza 9 febbraio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SABEONE Gerardo – Presidente
Dott. MAZZITELLI Caterina – Consigliere
Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere
Dott. MOROSINI E. Maria – rel. Consigliere
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 16/02/2016 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa MOROSINI Elisabetta Maria;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa PICARDI Antonietta, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.
udito il difensore, avv. (OMISSIS) per la parte civile (OMISSIS), che ha concluso associandosi alle richieste del Procuratore generale.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Reggio Calabria, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, ha prosciolto (OMISSIS) e (OMISSIS) dalle imputazioni di diffamazione a mezzo stampa, commesse ai danni di (OMISSIS), dichiarando l’estinzione dei reati per prescrizione, mentre ha deciso sulle statuizioni civili, ai sensi dell’articolo 578 cod. proc. pen., confermando la condanna risarcitoria in favore del (OMISSIS).
Il fatto-reato consisteva nella pubblicazione, sul quotidiano “(OMISSIS)”, di due articoli, in data (OMISSIS), con i quali, anche nel riportare per stralcio il dialogo di una conversazione intercettata tra il magistrato messinese (OMISSIS) e l’imprenditore (OMISSIS), si offendeva la reputazione del predetto magistrato, additandolo come soggetto in possesso di conoscenze su particolari, ignoti alle forze dell’ordine, relativi all’omicidio del professor (OMISSIS), compreso il nome del mandante.
(OMISSIS) era l’autrice degli articoli, (OMISSIS) il direttore responsabile del quotidiano.
2. Avverso il provvedimento ricorre l’imputato (OMISSIS), per il tramite del proprio difensore, articolando tre motivi con i quali deduce violazione di legge processuale e sostanziale, nonche’ vizi motivazionali in ordine al mancato adempimento dell’onere previsto dall’articolo 578 cod. proc. pen. per avere la sentenza aderito acriticamente e per relationem alla decisione del Tribunale, senza mai rispondere in maniera adeguata agli argomenti proposti con i motivi di appello.
2.1 In particolare con il primo motivo viene censurata l’omessa motivazione sul profilo della responsabilita’ attribuita al direttore della testata giornalistica ai sensi dell’articolo 57 cod. pen.. La responsabilita’ del ricorrente sarebbe trattata unitariamente a quella della articolista, senza tenere conto della diversita’ delle rispettive posizioni.
2.2 Con il secondo motivo ci si duole del difetto di motivazione sotto il profilo del travisamento della prova in ordine al requisito della verita’ (quantomeno putativa) della notizia, che sarebbe stato erroneamente escluso dai giudici di merito.
Nel ricorso si riporta il passo della conversazione ambientale intercettata tra il giudice (OMISSIS) e l’imprenditore (OMISSIS), dalla quale emergerebbero, come dati incontestabili, il riferimento a un fatto di sangue, alle modalita’ esecutive dello stesso, ai soggetti coinvolti e alla famiglia (OMISSIS).
2.3 Con il terzo motivo si reitera la censura sul difetto di motivazione in ordine alla conferma delle statuizioni civili, in difetto di un esaustivo apprezzamento della responsabilita’ dell’imputato per le ragioni coltivate con i precedenti motivi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ fondato nei limiti di seguito esposti.
1. Va premesso che gli effetti penali della condanna dell’imputato, pronunciata in primo grado, sono stati caducati in secondo grado dalla intervenuta prescrizione del reato.
Rimangono in discussione le statuizioni civili.
2. La questione posta dal ricorrente concerne, in sostanza, la verifica dell’adempimento o meno da parte della Corte di appello dell’onere motivazionale stabilito dall’articolo 578 cod. proc. pen., a mente del quale il giudice di secondo grado, nel dichiarare una causa estintiva del reato per il quale in primo grado e’ intervenuta condanna, in presenza della parte civile, e’ comunque tenuto a compiutamente esaminare i motivi di gravame proposti dall’imputato sul capo o punto della sentenza relativo all’affermazione di responsabilita’, al fine di decidere sull’impugnazione agli effetti civili (tra le ultime Sez. 2, Sentenza n. 29499 del 23/05/2017, Ambrois, Rv. 270322).
Il ricorrente individua i seguenti elementi in relazione ai quali lamenta il difetto di motivazione:
– la responsabilita’ del direttore del giornale ai sensi dell’articolo 57 cod. pen.;
– la sussistenza dell’esimente, quantomeno putativa, dell’esercizio del diritto di cronaca giudiziaria.
3.1 Il primo profilo e’ inammissibile, poiche’, come si evince dall’atto di appello, la doglianza non risulta essere stata previamente dedotta come motivo di appello in violazione di quanto e’ prescritto dall’articolo 606 c.p.p., comma 3.
3.2 E’ invece fondata la seconda censura.
E’ noto che, in presenza della diffusione di una notizia non corrispondente a verita’, si puo’ invocare l’esimente putativa, a condizione che si dimostri che la diffusione della notizia non vera sia dovuta a un errore involontario, che si riflette sul dolo, negandolo. Come in ogni causa di giustificazione l’errore puo’ produrre questo effetto quando si dia prova (cfr. tra le tante Sez. 5, n. 23695 del 05/03/2010, Brancato):
dei fatti e delle circostanze che rendono attendibile e giustificano il proprio errore;
dei fatti e delle circostanze che giustificano la cura riposta nella verifica della verita’ dei fatti narrati.
In tale prospettiva, il ricorrente aveva sottoposto ai giudici di appello uno specifico motivo, con il quale chiedeva di considerare non solo il testo della conversazione riportata nella ordinanza cautelare, ma ulteriori circostanze dimostrative della cura riposta nella verifica della verita’ dei fatti narrati.
In particolare si chiedeva di valutare le dichiarazioni degli organi inquirenti, riferite in dibattimento dal teste (OMISSIS) (il cui verbale e’ allegato al ricorso) e, soprattutto, il contenuto dello scambio di missive tra il Procuratore di Messina e quello di Reggio Calabria (missive allegate all’atto di appello e trascritte nel ricorso per cassazione):
con nota n. 1922/05 ris. datata 11 maggio 2005, il Procuratore della Repubblica di Messina, sezione distrettuale antimafia, scrive al Procuratore generale della Corte di appello di Reggio Calabria chiedendo che gli siano “trasmessi, con corte urgenza, gli atti e gli eventuali supporti informativi relativi ala intercettazione ambientale avente ad oggetto l’omicidio del prof. (OMISSIS)”;
con nota del 12 maggio 2005, avente ad oggetto “procedimento penale n. 2/2003 Reg. Avoc. carico di (OMISSIS) + altri – trasmissione atti di indagine – intercettazione ambientale del 23.07.2001”, il sostituto Procuratore generale trasmette copia integrale dell’intercettazione in oggetto “perche’ alcuni dialoghi sono inerenti all’omicidio del Prof.re (OMISSIS)”.
Il che avrebbe giustificato l’affidamento incolpevole, in quanto corrispondente alle iniziative dei competenti organi giudiziari, sulla verita’ (putativa) del collegamento tra intercettazione e omicidio (OMISSIS).
Su tale questione la Corte di appello non fornisce alcuna risposta.
La decisione impugnata si limita a riportare testualmente alcuni passi della sentenza n. 21866 del 26 febbraio 2014 resa da questa sezione della Corte di cassazione, afferente fatti analoghi, da cui trae principi astratti, certamente condivisibili, che pero’ non vengono calati nel caso concreto, caratterizzato da un apparato probatorio diverso da quello esaminato nell’altro procedimento, che avrebbe richiesto una specifica disamina, invece omessa.
4. Da quanto fin qui esposto discende, in definitiva, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al Giudice civile competente per valore in grado di appello.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al Giudice civile competente per valore in grado di appello.
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