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La palese infondatezza delle censure, riproposte anche in questo grado di legittimita’, emerge dalla stessa ricostruzione fattuale, esposta nella sentenza, oggetto di impugnazione. In particolare, la responsabilita’ dell’odierno ricorrente, nel contesto complessivo della sentenza, si evince dallo stesso svolgimento dei fatti di causa, connotati dal ritrovamento del cellulare nel servizio igienico dell’istituto, dall’incontro con il collega, proprietario del cellulare, e dalla risposta negativa, resa dall’odierna ricorrente, alla domanda, circa l’eventuale rinvenimento dell’oggetto. Completa il quadro accusatorio, descritto dai giudici di merito, il giudizio di inverosimiglianza, ritenuta dai giudici di merito, circa la versione difensiva, resa dall’imputato, in relazione al successivo riscontro del cellulare in possesso di (OMISSIS), padre del ricorrente. Ed invero, la suddetta prospettazione dei fatti, non smentita dalla difesa del ricorrente, costituisce riprova, per un verso, della correttezza della qualificazione del fatto, nell’alveo dello schema del furto, in relazione ad una sottrazione consapevole, ancorche’ connotata, in ipotesi, da una successiva identificazione del legittimo proprietario del cellulare, e, sotto altro profilo, dell’esattezza della ritenuta sussistenza dell’aggravante, e articolo 61 c.p., n. 11, incentrata sull’abuso di relazioni d’ufficio, rese evidenti dalla stretta connessione con il luogo, in cui e’ avvenuto l’illecito, perpetrato, tra l’altro, nell’ambito delle relazioni, intercorrenti tra il personale dipendente dell’istituto scolastico.
2. Parimenti, manifestamente infondate sono le ulteriori censure.
E’ sufficiente richiamare le motivazioni della corte territoriale, circa l’esclusione della causa di non punibilita’, ex articolo 131 bis c.p., con riferimento ai disagi, in cui e’ incorsa la parte lesa, ed all’intensita’ del dolo, manifestato dal ricorrente, anche nel corso del procedimento, a seguito di un’ostinata negazione, a nulla valendo la restituzione successiva del cellulare, in un certo senso resa “necessitata ” dalla successiva evoluzione della vicenda.
La disposizione dell’articolo 131 bis c.p., va interpretata, infatti, non con riferimento al valore pecuniario obiettivo dei beni, oggetto di apprensione da parte dell’autore dell’illecito, bensi’ in relazione al contesto complessivo di natura fattuale, inclusi le conseguenze pregiudizievoli di natura morale ed il disvalore dell’azione, innegabile, nel caso di specie, connotato da una violazione dell’affidamento, secondo criteri di buona fede, che di norma insorge, nei contesti delle relazioni abituali interpersonali, nei luoghi preposti all’esercizio dell’attivita’ lavorativa quotidiana.
3. Per quanto poi attiene ai vizi dedotti dal ricorrente, in relazione al trattamento sanzionatorio, si osserva che risulta logicamente ineccepibile la motivazione, stesa in merito dai giudici di merito, sulla scorta della considerazione del precedente penale, riportato in epoca successiva, per simulazione di reato e del comportamento processuale dell’imputato, sopra gia’ menzionato, elementi indicativi, secondo la corte, di una prognosi sfavorevole per il futuro.
4. In conclusione, per le motivazioni esposte, si deve dichiarare l’inammissibilita’ del ricorso, procedendosi alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, oltre che di una somma, che si reputa equo stimare in Euro 2.000,00, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.
Motivazione Semplificata.
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