Corte di Cassazione, sezione prima civile, ordinanza 19 aprile 2018, n. 9771.
Ai fini della validita’ della procura, e’ sufficiente che l’autore della sottoscrizione della procura alle liti sia identificabile, con nome e cognome, dal contesto dell’atto medesimo, consentendo cosi’ di affermare, anche in presenza di firma illeggibile, la riferibilita’ della procura alla persona, come effetto dell’autenticazione compiuta dal procuratore. Inoltre, l’autenticita’ della sottoscrizione puo’ essere contestata soltanto con la querela di falso.
In tema di risarcimento del danno derivante da paventate violazioni alla L. 10 ottobre 1990, n. 287, articolo 2 e ss., il giudice non puo’ decidere la causa applicando meccanicamente il principio dell’onere della prova, ma e’ chiamato a rendere effettiva la tutela dei privati che agiscono in giudizio, tenuto conto dell’asimmetria informativa esistente tra le parti nell’accesso alla prova, sicche’, fermo restando l’onere dell’attore di indicare in modo sufficientemente plausibile seri indizi dimostrativi della fattispecie denunciata come idonea ad alterare la liberta’ di concorrenza e a ledere il suo diritto di godere del beneficio della competizione commerciale, il giudice e’ tenuto a valorizzare in modo opportuno gli strumenti di indagine e conoscenza che le norme processuali gia’ prevedono, interpretando estensivamente le condizioni stabilite dal codice di procedura civile in tema di esibizione di documenti, richiesta di informazioni e consulenza tecnica d’ufficio, al fine di esercitare, anche officiosamente, quei poteri d’indagine, acquisizione e valutazione di dati e informazioni utili per ricostruire la fattispecie anticoncorrenziale denunciata.
Ordinanza 19 aprile 2018, n. 9771
Data udienza 16 febbraio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25270/2014 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso (gratuito patrocinio);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.r.l., nuova denominazione di (OMISSIS) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
(OMISSIS) S.p.A., quale incorporante per fusione della (OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura in
calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2050/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 04/06/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/02/2018 dal cons. IOFRIDA GIULIA.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 2050/2014 – in giudizio in unico grado promosso, L. n. 287 del 1990, ex articolo 33, comma 2, in riassunzione di pregresso procedimento instaurato dinanzi al Tribunale di Milano (conclusosi con declaratoria di incompetenza), da (OMISSIS) (riconosciuto, a seguito di contenzioso giudiziale, proprietario di un’edicola, ubicata in (OMISSIS)) nei confronti della (OMISSIS) srl e della (OMISSIS) srl per sentire accertare l’abuso di posizione dominante, L. n. 287 del 1990, ex articolo 3, lettera a) e b), posto in essere dalle societa’ convenute, esercenti la loro attivita’, di distribuzione, per conto terzi, nella provincia di Milano, alle edicole, di quotidiani e riviste, in modo “sostanzialmente monopolistico”, in quanto le stesse, vantando un credito nei confronti del precedente proprietario dell’edicola, non soddisfatto dal ricorrente cessionario dell’attivita’ di rivendita, si erano rifiutate illegittimamente di “riattivare la consegna dei giornali e delle riviste”, nonche’ per sentirle condannare a fornire, all’attore, il materiale editoriale di loro competenza, ed a risarcire i danni -, ha respinto tutte le domande attrici. In particolare, la Corte d’appello ha affermato che l’attore non aveva fornito prova delle circostanze allegate (in ordine al concretizzarsi di una posizione dominante in capo alle due convenute, esercitata in modo abusivo e distorsivo della concorrenza).
Avverso la suddetta sentenza, (OMISSIS) propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti di (OMISSIS) spa (incorporante per fusione la (OMISSIS) srl) e di (OMISSIS) srl (nuova denominazione assunta da (OMISSIS) srl), che resistono con distinti controricorsi. Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, del combinato disposto della L. n. 287 del 1990, articolo 3, sulla tutela e concorrenza del mercato, e 2597 c.c., sull’obbligo di contrarre da parte di chi esercita in condizioni di monopolio legale, non avendo la Corte effettuato una valutazione del “mercato rilevante”, prodromica rispetto alla definizione di posizione dominante, secondo il criterio della sostituibilita’ dal lato della offerta, e non avendo la stessa Corte tenuto conto del fatto che, delle quattro societa’ che provvedono, nella provincia di Milano, alla vendita di quotidiani e riviste, solo (OMISSIS) ed (OMISSIS) hanno la maggiore varieta’ di giornali e riviste solitamente presenti sul mercato (” (OMISSIS), etc…”); con il secondo motivo, il ricorrente lamenta poi, ex articolo 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, rappresentato sempre dalla posizione dominante occupata dalle convenute.
2. Le controricorrenti hanno eccepito, preliminarmente, l’inammissibilita’ del ricorso, per difetto di valida procura speciale (recando la procura apposta, in calce al ricorso, al di sotto del nome e cognome del ricorrente, unicamente il nominativo “SAAD”, scritto a mano, in stampatello), nonche’ per difetto di autosufficienza.
L’eccezione, concernente la mancanza di valida procura speciale, e’ infondata, in quanto, ai fini della validita’ della procura, e’ sufficiente che l’autore della sottoscrizione della procura alle liti sia identificabile, con nome e cognome, dal contesto dell’atto medesimo, consentendo cosi’ di affermare, anche in presenza di firma illeggibile, la riferibilita’ della procura alla persona, come effetto dell’autenticazione compiuta dal procuratore (Cass. 6464/2007; Cass.27548/2014). Inoltre, l’autenticita’ della sottoscrizione puo’ essere contestata soltanto con la querela di falso (cfr., tra le molte, Cass. 24938/2017; Cass. 17473/2015; Cass.10240/2009; Cass. 6047/2003).
3. Le censure, da trattare congiuntamente in quanto connesse, sono inammissibili.
La Corte d’appello ha preliminarmente rilevato di essere stata investita, in unico grado, L. n. 287 del 1990, ex articolo 33, esclusivamente per l’accertamento (in difetto di previo provvedimento sanzionatorio da parte dell’Autority Antitrust) dell’illecito distorsivo della concorrenza, ai sensi della specifica normativa antitrust, L.287/1990, posto in essere dalle imprese convenute, distributrici di pubblicazioni (riviste, periodici, etc…) nella Provincia di Milano, ritenute in posizione dominante, attraverso la contestata condotta, ex articolo 3, lettera b, in particolare, di rifiuto di somministrare il materiale editoriale all’impresa gestita dall’attore, e per le conseguenze risarcitorie.
Esulava pertanto dalla competenza della Corte d’appello, investita in unico grado, L. n. 287 del 1990, ex articolo 33, ogni valutazione sull’illecito asseritamente posto in essere dal monopolista legale, in violazione dell’obbligo a contrarre, ex articolo 2957 c.c., ovvero in ordine all’insussistenza di un obbligo solidale, rispetto ai debiti inerenti all’azienda ceduta, del cessionario dell’azienda, ove non risultante dalle scritture contabili. Risultano pertanto inammissibili in questa sede le censure che ripropongono tali profili.
Ora, in ordine al presupposto della normativa anticompetitiva invocata, la sussistenza di una posizione di dominanza da parte delle imprese convenute in un dato mercato (due delle quattro societa’ incaricate, all’epoca, per la provincia di Milano, dalle imprese editoriali, della distribuzione alle edicole dei loro prodotti), la Corte d’appello ha escluso che ne fosse stata dimostrata dall’attore la esistenza, non essendo stato offerto alcun elemento (quali “la percentuale delle vendite totali interessata dal comportamento pretesamente abusivo, la marginalizzazione delle quote dei concorrenti”).
Questa Corte (Cass. 11564/2015) ha chiarito che “in tema di risarcimento del danno derivante da paventate violazioni alla L. 10 ottobre 1990, n. 287, articolo 2 e ss., il giudice non puo’ decidere la causa applicando meccanicamente il principio dell’onere della prova, ma e’ chiamato a rendere effettiva la tutela dei privati che agiscono in giudizio, tenuto conto dell’asimmetria informativa esistente tra le parti nell’accesso alla prova, sicche’, fermo restando l’onere dell’attore di indicare in modo sufficientemente plausibile seri indizi dimostrativi della fattispecie denunciata come idonea ad alterare la liberta’ di concorrenza e a ledere il suo diritto di godere del beneficio della competizione commerciale, il giudice e’ tenuto a valorizzare in modo opportuno gli strumenti di indagine e conoscenza che le norme processuali gia’ prevedono, interpretando estensivamente le condizioni stabilite dal codice di procedura civile in tema di esibizione di documenti, richiesta di informazioni e consulenza tecnica d’ufficio, al fine di esercitare, anche officiosamente, quei poteri d’indagine, acquisizione e valutazione di dati e informazioni utili per ricostruire la fattispecie anticoncorrenziale denunciata” (cfr., in tema, anche Cass. 9325/2016, con riguardo all’individuazione del mercato rilevante, escluso, nel giudizio di merito, in ragione delle sole dimensioni geografiche, limitate, dell’area interessata).
Nella fattispecie, la Corte d’appello ha ritenuto che gli elementi offerti dall’attore (vale a dire il fatto che la (OMISSIS) e la (OMISSIS) fornissero quotidiani nazionali e riviste, la prima delle due “le maggiori testate”, ed il fatto che l’offerta delle altre due imprese del settore, la (OMISSIS) e (OMISSIS), non fosse in grado “di pareggiare la varieta’ di quotidiani e riviste” fornite dalle imprese convenute in giudizio, con conseguente difficile sostituibilita’ dei prodotti e servizi, dal lato della domanda) non rappresentassero neppure il minimo di elementi indiziari seri dimostrativi della situazione di dominanza delle imprese sul mercato, presupposto per l’operativita’ stessa della tutela invocata.
Il primo motivo del ricorso, con il quale si lamenta la mancata definizione, da parte del giudice adito, del mercato rilevante, non e’ dunque idoneo ad intaccare la ratio decidendi contenuta nella sentenza impugnata.
Anche la seconda censura, con la quale si’ lamenta il mancato esame di documenti e la mancata ammissione di prova testimoniale, con il teste Cippo (in assenza di trascrizione, in ricorso, vuoi del contenuto dei documenti vuoi dei capitoli di prova orale, prova orale che risulta, peraltro, dalle conclusioni delle parti, anche istruttorie, ritrascritte nella sentenza, sub A, e che non e’ stata ammessa dal giudice di merito, in quanto “riproduttiva di una circostanza pacifica in causa”, pag. 9 della sentenza impugnata), risulta inammissibile.
In seguito alla riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, applicabile nella specie, non sono piu’ ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorieta’ e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimita’ sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’articolo 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullita’ della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorieta’” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione puo’ essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia. (Cass. n. 23940/2017).
Ora, volendo ricondurre tale censura al vizio relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, decisivo per il giudizio e che sia stato oggetto di discussione tra le parti, le Sezioni Unite di questa Corte, hanno affermato che “l’articolo 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’articolo 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussion.e tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”, cosicche’ “il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extra testuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisivita’, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (SSUU n. 8053/2014).
Nella specie, il ricorrente non specifica quale sia il fatto storico, distinto dalla questione di diritto, il cui esame sarebbe astato omesso dalla Corte d’appello e denuncia, invece, una insufficiente motivazione, in particolare riguardo alle istanze istruttorie respinte. Quanto, poi, al documento indicato a pag. 13 del ricorso (escluso che “le sentenze e provvedimenti delle autorita’ garanti”, in casi vari, possano integrare fatti storici decisivi), il cui esame sarebbe stato omesso (un documento “attestante il fatto che (OMISSIS) opera nel mercato della distribuzione locale di stampa quotidiana e periodica tramite le sue controllate… (OMISSIS) srl ((OMISSIS))”), il motivo non e’ in ogni caso autosufficiente, non consentendo neppure di valutare la decisivita’ del documento, asseritamente non vagliato dai giudici della Corte d’appello.
4. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile.
In considerazione di tutte le peculiarita’ della vicenda processuale, ricorrono giusti motivi per disporre una compensazione integrale delle spese del presente giudizio di legittimita’
Risultando il ricorrente ammesso al gratuito patrocinio, lo stesso non deve essere onerato delle conseguenze amministrative previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, (Cass. 2 settembre 2014, n. 18523; Cass. 20351/2016; Cass. 26094/2016; Cass. 7369/2017).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso ed integralmente compensate tra le parti le spese processuali del presente giudizio di legittimita’.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto, in conseguenza dell’ammissione al gratuito patrocinio, della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
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