Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza del 29 ottobre 2012, n. 18553
Svolgimento del processo
La Corte di appello di Roma, confermando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda di G.M. , proposta nei confronti della società T. , avente ad oggetto la declaratoria della sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato sin dall’assunzione, avvenuta nel marzo del 2000, con contratto di formazione lavoro e tanto per difetto di formazione con conseguente condanna del datore di lavoro al pagamento delle relative differenze retributive. La predetta Corte, inoltre, rigettava la domanda riconvenzionale, avanzata dalla società, volta ad ottenere la declaratoria dell’obbligo del G. ad osservare un orario di lavoro di 39 ore settimanali in luogo delle 37 ore prestate con condanna del lavoratore restituire quanto indebitamente percepito a titolo di lavoro straordinario.
La Corte del merito poneva a base del decisum, innanzitutto, il rilievo secondo il quale la formazione era mancata del tutto e, quindi, in applicazione dell’orientamento di questa Corte, ex sentenza n. 2247 del 2006, dichiarava la trasformazione, fin dall’inizio, del rapporto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Riteneva, poi, la Corte di appello, che spettava la corresponsione dell’ERS, di cui all’accordo del 2000, in quanto, per effetto della rilevata trasformazione del rapporto con effetto ex tunc, il G. rientrava tra il personale a tempo indeterminato all’epoca della stipula del detto accordo. Né, secondo la Corte del merito, poteva darsi rilievo al successivo accordo del 2005 avendo questo natura innovativa.
Respingeva, infine, la Corte territoriale, la domanda riconvenzionale di restituzione delle somme corrisposte in più per effetto della nullità del contratto aziendale sull’orario di lavoro (37 anziché 38) trovando piena applicazione il principio dell’irrepetibilità di cui all’art. 2126 cc.. Né, per la Corte distrettuale, le conclusioni di primo grado erano riferibili anche alla prestazione futura essendo funzionale l’accertamento richiesto alla domanda riconvenzionale.
Avverso questa sentenza la SPA A., quale incorporante della T. SPA, ricorre in cassazione sulla base di tre censure, illustrate da memoria
Resiste con controricorso la parte intimata.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la società, deducendo violazione dell’art. 12 disp. gen. in relazione all’art. 3 del DL n. 726 del 1984 convertito nella Legge n. 863 del 1984, critica la sentenza impugnata per non aver tenuto conto della ratio legis in base alla quale il contratto di formazione lavoro, non mira tanto a fornire ai giovani una formazione, quanto a favorire la costituzione di rapporti di lavoro, come dimostrato anche dal D.lgs. n. 276 del 2003dove è stato previsto, appunto, il contratto d’inserimento.
Di qui, secondo la società ricorrente, la non essenzialità della formazione e, quindi, la non correttezza giuridica della sentenza impugnata.
L’assunto è, alla stregua della giurisprudenza conforme di questa Corte, condivisa pienamente dal Collegio, infondato.
La Cassazione ha, infatti, ripetutamente affermato che in tema di contratto di formazione e lavoro, l’inadempimento degli obblighi di formazione determina la trasformazione, fin dall’inizio, del rapporto in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, qualora l’inadempimento abbia un’obiettiva rilevanza, concretizzandosi nella totale mancanza di formazione, teorica e pratica, ovvero in una attività formativa carente o inadeguata rispetto agli obiettivi indicati nel progetto di formazione e quindi trasfusi nel contratto. In questa seconda ipotesi il giudice deve valutare in base ai principi generali la gravità dell’inadempimento, giungendo alla declaratoria di trasformazione del rapporto (V. per tutte Cass. 1 febbraio 2006 n.2247, Cass. 7 agosto 2004 n. 15308; Cass. 4 ottobre 2004 n. 19846).
La sentenza impugnata che, sul rilevo della totale mancanza di formazione, ha ritenuto la gravità dell’inadempimento e conseguentemente ha dichiarato la trasformazione del rapporto di lavoro è, pertanto, corretta in diritto.
Né può indurre a diverse conclusioni il richiamo al contratto d’inserimento – di cui alla legge D.Lgs n. 276 del 2003 – riguardando la presente fattispecie un contratto del tutto diverso al quale il richiamato D.Lgs ha assegnato ratione temporis una differente funzione economico-sociale.
Con la seconda censura la società ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1321, 1362 e segg. cc in relazione all’accordo aziendale 11 luglio 2000 ed al verbale di accordo 24 marzo 2005, prospetta che la Corte del merito ha erroneamente ritenuto, quanto alla spettanza dell’ERS – elemento di riordino del sistema retributivo -, che l’accordo d’interpretazione autentica del 24 marzo 2005 – in base al quale veniva esclusa la corresponsione di detto ERS a coloro i quali, come il G. , al momento della stipula del precedente accordo del 2000 non erano lavoratori subordinati a tempo indeterminato- aveva natura innovativa.
La censura non è condivisibile.
Il decisum sul punto della sentenza impugnata si fonda essenzialmente sulla considerazione che, in conseguenza della trasformazione del rapporto a tempo indeterminato con efficacia ex tunc, il G. era all’epoca dell’accordo a tutti gli effetti giuridici ed economici dipendente a tempo indeterminato e come tale rientrante nel “personale in forza a tempo indeterminato alla data della stipula dell’accordo” al quale, secondo detto accordo, spettava la corresponsione del c.d. ERS.
Assume, invece, la società che al G. non spetterebbe il richiamato ERS poiché con successivo accordo del 2005 le parti, interpretando in via autentica, la precedente intesa del 2000, hanno escluso dalla corresponsione dell’ERS coloro i quali non erano formalmente dipendenti a tempo indeterminato all’epoca della stipula dell’accordo del 2000. Tanto, secondo la società, proprio a seguito delle “contestazioni ingiustamente formulate in giudizio da taluni dipendenti” ed al fine di escludere dal campo di applicazione dell’accordo del 2000 coloro i quali – gli assunti con contratto di formazione lavoro – si erano visti di riconoscere ex post la qualificazione giuridica del proprio rapporto di lavoro come a tempo indeterminato (pag. 21 del ricorso).
Orbene ritiene il Collegio che la stessa prospettazione della società conferma l’esattezza dell’affermazione della Corte di Appello secondo la quale l’accordo del 2005 non ha natura interpretativa, bensì innovativa.
Invero affinché un negozio giuridico successivo possa ritenersi interpretativo di un precedente negozio giuridico è necessario, al di là delle espressioni qualificatorie utilizzate dalle parti, che la volontà esplicitata nell’ultimo negozio sia desumibile anche dal precedente, viceversa la nuova intesa è innovativa e non interpretativa.
Avuto riguardo al caso di specie non ritiene il Collegio che la volontà di limitare la corresponsione dell’ERS solo ai lavoratori che al marzo del 2000 fossero formalmente dipendenti a tempo indeterminato con esclusione di coloro i quali fossero tali per effetto di successivo riconoscimento giudiziale, sia desumibile dall’accordo del 2000 non essendovi alcuna clausola contrattuale che legittima una siffatta ricostruzione della volontà delle parti. Né la società ricorrente la indica, limitandosi a tal fine a prospettare le ragioni storiche che indussero le parti alla previsione dell’ERS. Tanto, tuttavia, non è sufficiente atteso che la volontà esplicitata nell’intesa del 2005 non trova alcun riscontro né nella specifica previsione, nell’accordo del 2000, dell’ambito di applicazione del contratto -dove si fa riferimento al “personale in forza a tempo indeterminato alla data di stipula del presente accordo” – né in altre clausole collettive.
La ratio posta a base dell’accordo del 2005, come prospettata dalla stessa società ricorrente è, all’evidenza, del tutto estranea all’accordo del 2000 ed è funzionale all’esigenza di far fronte ad una situazione venutasi a creare dopo l’accordo del 2000.
Tutte le ulteriori questioni di cui alla memoria difensiva non sono esaminabili perché riguardano accertamento di fatti che sono sottratti come tali al sindacato di questa Corte e riguardano profili, comunque, non censurati con il ricorso.
Con la terza critica la società, allegando violazione del CCNL 23 luglio 1976, dell’accordo collettivo 12 luglio del 1985 e dell’art. 2126, secondo comma, cc, assume che stante la nullità, ex sentenza n. 12661 del 2004 di questa Corte, della contrattazione aziendale (accordo 18 luglio 1983) – la quale aveva previsto una riduzione dell’orario di lavoro da 39 ore settimanali a 37 ore – erroneamente la Corte del merito, ha ritenuto, facendo applicazione dell’art. 2126 cc, e l’irripetibilità, di quanto corrisposto al G. per lavoro straordinario per le ore lavorate tra la 37^ e la 39^, e l’infondatezza della declaratoria dell’obbligo di prestare per il futuro attività lavorativa per 39 ore.
La critica è infondata.
Non è condivisibile, innanzitutto, che l’art. 2126 cc è riferibile alla sola retribuzione ordinaria e non anche quella corrisposta per lavoro straordinario.
La norma in parola, infatti, mira a salvaguardare tutti gli effetti economici della prestazione lavorativa già eseguita e non solo, quindi, quella afferente il lavoro prestato durante l’orario ordinario.
In secondo luogo a fronte di una interpretazione della domanda riconvenzionale da parte del giudice del merito – secondo il quale le conclusioni di primo grado non erano riferibili anche alla prestazione futura “essendo funzionale l’accertamento richiesto alla domanda di restituzione” – la società ricorrente, per correttamente investire questa Corte dell’assunta erroneità dell’interpretazione della stessa, avrebbe dovuto dedurre sul punto un difetto di motivazione della sentenza impugnata.
Infatti, per conforme giurisprudenza della Cassazione deve ritenersi che l’interpretazione della domanda e l’apprezzamento della sua ampiezza, oltre che del suo contenuto, costituiscono, anche nel giudizio di appello, ai fini della individuazione del devolutimi, un tipico apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, e, pertanto, insindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo dell’esistenza, sufficienza e logicità della motivazione (Cfr. Cass. 6 ottobre 2005 n. 19475 e Cass. 6 febbraio 2006 n. 2467, nonché in particolare Cass. 12 ottobre 1998 n.10101 – seguita da Cass. 25 settembre 2002 n.13945 – la quale ha precisato che il sindacato su tale operazione interpretativa, in quanto non riferibile ad un vizio in procedendo, è consentito alla Corte di cassazione nei limiti istituzionali del giudizio di legittimità).
Sulla base delle esposte considerazioni, pertanto, il ricorso va respinto.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 40,00 per esborsi ed Euro 4000,00 per compensi oltre accessori di legge.
Depositata in Cancelleria il 29.10.2012
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