Suprema Corte di Cassazione
sezione IV
sentenza n. 10656 del 7 marzo 2013
Svolgimento del processo
-1- M.P. propone ricorso, per il tramite del difensore, avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Catania, dell’8 novembre 2011, che ha respinto la richiesta, dallo stesso avanzata, di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta, in parte in regime di arresti domiciliari, dal 2 novembre al 31 dicembre 1994, in conseguenza di provvedimento restrittivo emesso a suo carico per i delitti di cui all’art. 416, comma 5, artt. 110, 112, 323 e 321, in relazione all’art. 319 bis cod. pen., nell’ambito di un procedimento penale poi definito con decreto del Gip di archiviazione per infondatezza della notizia di reato.
I giudici della riparazione hanno ritenuto che il M. avesse contribuito, con colpa grave, all’adozione ed al mantenimento del provvedimento restrittivo.
Avverso tale decisione viene proposto, dunque, ricorso, ove si deduce la violazione dell’art. 314 cod. proc. pen. in ordine alla ritenuta sussistenza del presupposto della colpa grave del richiedente, che costituisce elemento ostativo al riconoscimento del diritto all’indennizzo; non era stato poi considerato, aggiunge il ricorrente, che la condotta attribuita al richiedente poteva essere connotata solo da colpa lieve, non ostativa all’accoglimento dell’istanza riparatoria.
-2- Ritualmente costituitasi per il Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’Avvocatura Generale dello Stato chiede dichiararsi inammissibile, ovvero rigettarsi il ricorso.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato.
-1- In tema di riparazione per ingiusta detenzione, con riguardo all’an debeatur, questa Corte ha affermato che il giudice di merito deve verificare se chi l’ha patita vi abbia dato causa, ovvero vi abbia concorso con dolo o colpa grave, attraverso comportamenti concreti, precisamente individuati, che il giudice è tenuto ad apprezzare, in modo autonomo e completo, al fine di stabilire, con valutazione “ex ante”, non se essi abbiano rilevanza penale, bensì solo se si siano posti come fattore condizionante rispetto all’emissione ed al mantenimento del provvedimento di custodia cautelare.
A tal fine egli deve prendere in esame tutti gli elementi probatori disponibili, relativi alla condotta del soggetto, sia precedente che successiva alla perdita della libertà, al fine di stabilire se tale condotta abbia, o meno, determinato, ovvero anche contribuito alla formazione di un quadro indiziario che ha provocato l’adozione o la conferma del provvedimento restrittivo. Di guisa che non ha diritto all’equa riparazione per la custodia cautelare sofferta chi, con il proprio comportamento, anteriore o successivo alla privazione della libertà personale (o, in generale, a quello della legale conoscenza di un procedimento penale a suo carico), abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave. Viceversa, l’indennizzo deve essere accordato a chi, ingiustamente sottoposto a provvedimento restrittivo, non sia stato colto in comportamenti di tal genere.
Ovviamente, nell’un caso e nell’altro, il giudice deve valutare attentamente la condotta del soggetto, indicare i comportamenti esaminati e dare congrua e coerente, sotto il profilo logico, motivazione delle ragioni per le quali egli ha ritenuto che essi debbano, ovvero non debbano, ritenersi come fattori condizionanti e sinergici rispetto all’adozione del provvedimento restrittivo.
-2- Orbene, nel caso di specie la corte distrettuale non si è attenuta a tali principi, nel senso che non ha indicato, o ha indicato in maniera generica, quali concreti comportamenti, caratterizzati da dolo o colpa grave, ostativi all’accoglimento dell’istanza riparatoria, abbia posto in essere il M.; nè ha precisato quale significativo contributo tali comportamenti abbiano dato alla formazione del quadro indiziario che ha determinato l’adozione o anche solo il mantenimento del provvedimento restrittivo.
La stessa corte ha invero genericamente richiamato il contesto indiziario raccolto a carico del richiedente, in particolare, le dichiarazioni rese da un coimputato, F.M., ma non ha indicato quali siano stati i comportamenti gravemente colposi o dolosi del richiedente che si sono posti in rapporto di causa-effetto rispetto al provvedimento restrittivo, nè ha chiarito se le circostanze riferite dal F. erano emerse grazie alle sole dichiarazioni di costui o da altri elementi emersi in sede di indagini, nè se le stesse fossero emerse da condotte censurabili riconducibili all’odierno ricorrente.
Nessun significato assumono, nei termini riferiti nel provvedimento impugnato, le difese del M., che aveva sostenuto di non conoscere il F. (dichiarazioni ritenute dal Gip non in grado di sostenere l’accusa in giudizio); difese che, di per sè sole, non possono costituire indice di comportamento gravemente colposo o doloso, capace di determinare o contribuire a determinare l’adozione del provvedimento custodiale.
-3- L’ordinanza impugnata, dunque, presenta una motivazione illogica e non in linea con i principi di diritto elaborati da questa Corte, di guisa che essa deve essere annullata, con rinvio, per nuovo esame, alla Corte d’Appello di Catania.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Catania, cui demanda anche la regolamentazione delle spese di questo giudizio tra le parti.
Così deciso in Roma, il 12 luglio 2012.
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