bici con seggiolino

Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza  28 marzo 2014, n. 14610

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Milano ha confermato la condanna pronunciata nei confronti di R.C.F. dal Tribunale di Vigevano, che ha riconosciuto il medesimo colpevole dei reati rispettivamente previsti dai commi 6 e 7 dell’articolo 189 Cod. strad., commessi il (…), per essersi dato alla fuga e non aver prestato l’assistenza alle persone ferite dopo che alla guida di un’autovettura aveva urtato da tergo un velocipede condotto da M.D. ed avente a bordo sul seggiolino A.V.E. , le quali in conseguenza della collisione riportavano lesioni.
Risultando pacifica la dinamica dei fatti, la Corte di Appello ha respinto le doglianze difensive incentrate, quanto al primo reato, sulla circostanza che l’imputato si era presentato spontaneamente ai Carabinieri a distanza di circa un’ora dal fatto, così consentendo la sua identificazione. Il giudice di secondo grado ha osservato che l’obbligo di fermarsi è previsto sia in funzione della necessità di individuazione dell’autore del sinistro, identificazione che deve poter avvenire immediatamente, senza posticipazione o temporeggiamenti rimessi a discrezionali iniziative del soggetto obbligato, sia in relazione alla necessità di verificare le conseguenze dell’incidente che abbia coinvolto altre persone.
Quanto al secondo dei reati contestati all’imputato, il giudice distrettuale ha respinto la censura difensiva secondo la quale per l’integrazione del reato è necessario che la prestazione di assistenza sia necessaria, mentre nella specie non lo era in ragione dell’intervento di altri soccorritori, ricordando che per la giurisprudenza di legittimità la necessità di assistenza deve essere valutata nel tempo anteriore all’allontanamento dal luogo dell’incidente dell’investitore sicché il reato è configurabile tutte le volte che questi non si fermi e si dia alla fuga, a nulla rilevando che l’assistenza sia stata prestata da altri se l’investitore ignori la circostanza perché fuggito.
2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l’imputato a mezzo del difensore di fiducia, avv. Giampiero Berti.
Deduce erronea applicazione della legge penale in relazione all’articolo 189, comma 6 Cod. strad.: la Corte di Appello, nel negare rilievo al comportamento successivo tenuto dall’imputato ha offerto della norma un’interpretazione che descrive un reato di pericolo e non di danno, con effetti di eccessivo rigore. Inoltre la Corte territoriale ha valorizzato anche la necessità di verificare le conseguenze dell’incidente, laddove tale finalità risulta posta a base della diversa fattispecie prevista dall’articolo 189, comma 7 Cod. strad..
Con un secondo motivo si deduce la violazione dell’articolo 189, comma 7 Cod. strad.: rimarcata la autonomia strutturale delle due ipotesi in considerazione, l’esponente rileva che si è in presenza di un reato di danno, ad integrare il quale è necessario che vi sia effettivo bisogno di assistenza da parte dell’investito. Nel caso di specie l’assistenza occorrente è stata prontamente prestata da altri nell’immediatezza del fatto e di ciò si era reso conto il R. , come risulta tanto dalle dichiarazioni dell’imputato che da quelle della teste P.V. .

Considerato in diritto

3. Il ricorso è infondato, per le ragioni di seguito precisate.
3.1. Avuto riguardo al primo motivo, mette conto rammentare che il reato di fuga previsto dall’art. 189, comma sesto, del nuovo codice della strada, è un reato omissivo di pericolo, per la cui configurabilità è richiesto il dolo, che deve investire essenzialmente l’inosservanza dell’obbligo di fermarsi in relazione all’evento dell’incidente concretamente idoneo a produrre eventi lesivi alle persone, e non anche l’esistenza di un effettivo danno per le stesse (Sez. 4, n. 34335 del 03/06/2009 – dep. 04/09/2009, Rizzante, Rv. 245354).
Il reato in parola si consuma con l’allontanamento dal luogo del sinistro e risulta pertanto irrilevante, ai fini della integrazione della fattispecie tipica, l’eventuale ritorno di chi si sia inequivocabilmente allontanato o il suo presentarsi presso gli uffici delle forze dell’ordine.
È pertanto priva di fondamento la tesi del ricorrente, secondo la quale si tratterebbe di reato di danno, con ciò implicitamente sostenendo l’insussistenza del reato per l’essersi il R. presentato qualche tempo dopo presso un ufficio dei Carabinieri.
Si può convenire con l’esponente che la ratio sottesa alla fattispecie descritta dall’art. 189, co. 6 Cod. str. è quella di permettere l’immediata identificazione di colui che abbia causato l’incidente, alla vittima come ad eventuali soccorritori e alle forze dell’ordine; non anche quella di rapportarsi con il pregiudicato stato di salute della vittima, essendo tale finalità perseguita con la previsione di cui al comma 7 dell’art. 189 Cod. str. Ma l’ampliamento della ratio legis operato dal decidente non ha prodotto, nella fattispecie, errore alcuno nella qualificazione del fatto, risultando incontestato che il R. , dopo aver causato l’incidente che si è descritto, omise di fermarsi.
3.2. In merito alle doglianze che si indirizzano all’applicazione fatta dell’art. 189, co. 7 Cod. str., è opportuno prendere le mosse dall’evocazione di quell’orientamento per il quale nel reato di omissione di soccorso a seguito di incidente stradale il danno alle persone costituisce una condizione obiettiva di punibilità; come tale non è incluso nell’oggetto del dolo (Sez. 4, n. 327 del 31/10/1997 – dep. 13/01/1998, Martino, Rv. 209677). La tesi va rammentata per segnalare che è stata superata dalla più recente giurisprudenza di legittimità, per la quale il dolo deve investire non solo l’evento dell’incidente, ma anche il danno alle persone e la necessità del soccorso. Peraltro, l’orientamento prevalente aggiunge che la consapevolezza che la persona coinvolta nell’incidente ha bisogno di soccorso può assumere la forma del dolo eventuale, “che si configura normalmente in relazione all’elemento volitivo, ma che può attenere anche all’elemento intellettivo, quando l’agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso l’esistenza (ex multis, Sez. 4, n. 34134 del 13/07/2007 – dep. 06/09/2007, Agostinone, Rv. 237239).
Va quindi ribadito che la necessità del soccorso è elemento essenziale della fattispecie tipica delineata dall’art. 189, co. 7 Cod. strad.
Mentre nel reato di “fuga” previsto dall’art. 189, co. 6 cod. strad., è sufficiente che si verifichi un incidente riconducibile al proprio comportamento che sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, senza che debba riscontrarsi l’esistenza di un effettivo danno alle persone (Sez. 4, n. 34335 del 03/06/2009 – dep. 04/09/2009, Rizzante, Rv. 245354; Sez. 4, n. 17220 del 06/03/2012 – dep. 09/05/2012, Turcan, Rv. 252374), per il reato di omissione di assistenza, di cui al comma 7 dello stesso articolo, si richiede che sia effettivo il bisogno dell’investito. Effettività che si reputa insussistente nel caso di assenza di lesioni o di morte o allorché altri abbia già provveduto e non risulti più necessario, né utile o efficace, l’ulteriore intervento dell’obbligato.
A tale ultima affermazione la giurisprudenza di questa Corte apporta però un’importante precisazione: l’assenza di lesioni o morte o la presenza di un soccorso prestato da altri non possono essere conosciute “ex post” dall’investitore, dovendo questi essersene reso conto in base ad obiettiva constatazione prima dell’allontanamento (Sez. 4, n. 5416 del 25/11/1999 – dep. 09/05/2000, Sitia A e altri, Rv. 216465; Sez. 4, n. 4380 del 02/12/1994 – dep. 24/04/1995, Prestigiacomo, Rv. 201501).
Ad avviso di questa Corte tal ultimo assunto merita di essere riconsiderato.
3.3. Prendendo in esame la struttura della fattispecie tipica del reato in considerazione ci si avvede che il requisito della “necessità di assistenza alle persone ferite” concorre a definire i lineamenti della c.d. situazione tipica, ovvero del compendio di presupposti che attualizza l’obbligo di tacere e ne impone l’immediato adempimento. Appare quindi contraddittoria una interpretazione che pretenda di riconoscerne la rilevanza sul piano oggettivo a seconda che l’investitore ne abbia avuto consapevolezza o meno. Ne consegue che l’interrogativo intorno alla relazione psicologica dell’omittente con il dato “necessità di soccorso” dovrà trovare collocazione e risposta nell’ambito dell’accertamento del dolo.
Pertanto, ove il bisogno di assistenza manchi, non riveste alcun rilievo che l’investitore ne abbia avuto contezza o meno, o l’abbia avuta prima o dopo il suo allontanamento. Per contro, ove quel bisogno sussista, prima di concludere per la responsabilità dell’omittente occorre ancora verificare che egli abbia avuto cognizione (anche solo “eventuale”) di esso e si sia quindi consapevolmente sottratto all’obbligo impostogli dalla norma.
Può quindi essere formulato il seguente principio di diritto: “Il reato di cui all’art. 189, comma settimo, cod. strada contempla tra gli elementi costitutivi della fattispecie obiettiva la necessità di assistenza alle persone ferite sicché, ove insussistente, non rileva che l’autore del fatto ne abbia avuto contezza o meno; peraltro, trattasi di reato punibile esclusivamente a titolo di dolo, quantomeno eventuale, nel cui oggetto deve rientrare dunque anche il bisogno di assistenza delle persone ferite”.
3.4. Ciò precisato, occorre ancora puntualizzare che i contenuti dell’obbligo di prestare assistenza non possono essere ricostruiti alla luce di una interpretazione che ne comporti, in definitiva, la riduzione all’obbligo di prestare soccorso sanitario. La giurisprudenza di legittimità non ha fornito sinora indicazioni sufficienti al riguardo, limitandosi ad affermare che “l’obbligo di prestare assistenza alla persona investita riguarda non già un’assistenza qualunque, ma la migliore e la più efficace consentita all’investitore” (Sez. 4, n. 932 del 29/05/1967 – dep. 29/11/1967, Vastola, Rv. 106159).
Ebbene, non può ignorarsi che l’attività di circolazione stradale costituisce un’attività rischiosa consentita a determinate condizioni perché socialmente utile; i doveri di solidarietà che gravano sull’utente della strada impongono di considerare la locuzione “prestare l’assistenza occorrente alle persone ferite” come alludente ad ogni possibile forma di assistenza, anche residuale (appare ancora utile rammentare il principio giurisprudenziale per il quale “la presenza di altre persone sul luogo di un incidente stradale non esime l’investitore dal dovere dell’assistenza nei confronti dell’investito ogni volta che il suo intervento possa apparire utile. Ne deriva che l’investitore resta dispensato da detto dovere solo quando si sia accertato che l’aiuto sia stato fornito da terzi in maniera effettivamente adeguata“: Sez. 4, n. 711 del 12/03/1969, Roma, Rv. 111841). In occasione di un sinistro stradale che abbia comportato lesioni personali, la pretesa di limitare l’obbligo di assistenza alle necessità di cura delle ferite è irricevibile. Dal punto di vista della vittima, trascura l’ampiezza della condizione di bisogno determinata dall’investimento; bisogno che riflette le pregiudicate condizioni psichiche, fisiche, relazionali in cui improvvisamente viene a trovarsi la vittima. Dal punto di vista dell’autore del fatto, lo pone nella difficile condizione di dover compiere valutazioni che non sono nel patrimonio del quivis de populo: come si è già ricordato, può ritenersi rispettosa della previsione normativa solo un’assistenza “adeguata”. Pertanto, l’interpretazione della norma conduce a ritenere che l’assistenza alle persone ferite non è rappresentata dal solo soccorso sanitario bensì da ogni forma di aiuto di ordine morale e/o materiale richiesta dalle circostanze del caso.
Tanto determina la necessità che colui che invochi l’efficace soccorso da altri prestato, quale ragione di insussistenza del fatto illecito, dia compiuta dimostrazione della adeguatezza dell’assistenza, nell’ampio senso dianzi indicato.
4. Calando siffatte premesse nel caso che occupa, va ritenuto che la Corte di Appello abbia operato in linea con i principi di diritto sopra rammentati.
Correttamente, infatti, il Collegio distrettuale ha negato rilievo al comportamento successivo tenuto dall’imputato, posto che questo si consuma con la fuga, ovvero l’allontanamento da luogo del fatto, senza che assuma rilievo, sotto il profilo in esame, la condotta successiva. Il richiamo operato dalla Corte territoriale alla necessità di verificare le conseguenze dell’incidente non ha la funzione di descrivere un ulteriore elemento della fattispecie tipica, bensì quello di illustrare la ratio della previsione incriminatrice.
Quanto al giudizio concernente il reato di cui all’articolo 189, comma 7 Cod. strad., che il soccorso prestato da altri abbia esaurito ogni necessità di assistenza delle vittime determinatasi a seguito dell’incidente è affermazione che opera il ricorrente ma che non trova riscontro nella motivazione impugnata, specie se si considera la latitudine del concetto di assistenza, come sopra delineato. Sotto tale profilo il ricorso è quanto meno non conforme al principio di autosufficienza: l’esponente avrebbe dovuto provvedere alla trascrizione in ricorso dell’integrale contenuto degli atti dai quali emergeva la prova dell’integrale soddisfacimento del bisogno di assistenza delle persone ferite.
Il ricorso va quindi rigettato.
5. Segue al rigetto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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