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Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza 2 aprile 2014, n. 15149

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Palermo confermava la sentenza in data 24 maggio 2011 del Tribunale di Palermo, sezione distaccata di Bagheria, appellata da S.F., condannato, con le attenuanti generiche, alla pena di due mesi di reclusione, condizionalmente sospesa, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile, in quanto responsabile del reato di cui all’art. 571 cod. pen., per avere abusato dei mezzi di correzione o di disciplina in danno dell’alunno G.C. della terza classe della scuola elementare G. Cirrincione, consistititi nel costringerlo a girare carponi in aula alla presenza degli altri alunni e ad emettere suoni simili a grugniti (in Bagheria, il 6 novembre 2006).
Rilevavano i giudici di merito essere stato accertato attraverso le testimonianze della persona offesa G.C., di sette anni, di altri compagni di classe, di una insegnante, e dei genitori degli alunni cui il fatto venne riferito, che l’insegnante supplente S.F., al quale il piccolo alunno aveva indirizzato un suono di dileggio con la bocca, aveva imposto a quest’ultimo la condotta sopra descritta, la quale, ad avviso dei medesimi giudici, integrava sotto ogni profilo il delitto contestato.
2. Ricorre per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore avv. L.L.M., che denuncia la violazione dell’art. 571 cod. pen. e il vizio di motivazione in punto di affermazione della responsabilità penale osservando che, considerato anche il contesto culturale-ambientale in cui era collocato l’istituto scolastico, la lezione di forte contenuto simbolico imposta all’alunno, che aveva gravemente compromesso la credibilità dell’insegnante davanti alla scolaresca, era perfettamente adeguata alle esigenze dei caso, a pena di minare i percorsi educativi che dovevano informare il rapporto tra insegnante e alunni.
Il ricorrente ha poi depositato motivi aggiunti, con i quali si sviluppano le considerazioni svolte nel ricorso anche sulla base dello “Statuto delle Studentesse e degli Studenti” approvato con d.P.R. 24 giugno 1998, n. 249.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Il ricorrente deduce che l’imposizione fatta al piccolo alunno di girare a carponi per l’aula emettendo grugniti aveva esclusive finalità educative tendendo a evidenziare di fronte alla scolaresca e allo stesso alunno la natura dell’offesa arrecata alla funzione docente, nel contempo evitando punizioni più severe e meno rappresentative della ragione della reazione, quali l’espulsione del bambino dall’aula o la sua sospensione dalle lezioni.
3. Osserva la Corte che la questione devoluta non concerne la finalità educativa che ha mosso l’imputato a dare “una lezione” al bambino che, con la condotta di dileggio descritta, aveva certamente messo in crisi la sua credibilità di docente, ma la continenza della reazione e la sua pertinenza alle finalità educative.
Al riguardo, in tema di abuso di mezzi di correzione e di disciplina, di cui all’art. 571 cod. pen., va ripetuto che mentre non possono ritenersi preclusi quegli atti di pressione morale che risultino adeguati alla finalità di rafforzare la proibizione di comportamenti di indisciplina gratuita o insolente idonei a minare la credibilità e l’effettività della funzione educativa, o anche quelli di coercizione fisica meramente impeditivi di condotte violente da parte del discente, integra la fattispecie criminosa in questione l’uso di un mezzo, vuoi di natura fisica, psicologica o morale, che abbia come effetto l’umiliazione del soggetto passivo, posto che l’intento educativo va esercitato in coerenza con una evoluzione non traumatica della personalità del soggetto cui è rivolto (v., da ultimo, Sez. 6, n. 34492 del 14/06/2012, V., Rv. 253654); con la precisazione che con riguardo ai bambini il termine “correzione”, presente nella dizione normativa, va inteso come sinonimo di educazione, con riferimento ai connotati intrinsecamente conformativi di ogni processo educativo (v. Sez. 6, n. 4904 del 18/03/1996, Cambria, Rv. 205033).
Non è dubitabile che nella specie l’imposizione di una condotta fisica di per sé gravemente umiliante, quale quella sopra descritta, al di là degli intenti educativi che, stando al ricorrente, l’avrebbero ispirata, corrispondeva oggettivamente alla riproduzione di un dileggio che il bambino, dopo averlo indirizzato al docente, era stato costretto a rivolgere a se stesso al cospetto dei suoi compagni di classe, con ben più accentuata ripercussione, per le modalità imposte, sul piano psicologico e sulla sua sfera di onorabilità, che è patrimonio anche dei minori, rispetto alla impertinente “offesa” recata al prestigio del maestro.
Appare del tutto fuori centro il riferimento fatto dal ricorrente al contesto “bullistico”, alimentato dall’area territoriale “mafiosa”, in cui a suo avviso andava inquadrata la condotta incriminata; osservazione, questa, non solo palesemente avventata, avuto riguardo anche alla tenera età della persona offesa, ma comunque espressione della distorta idea che di fronte a simili contesti “bullistici” possa reagirsi con metodi che finiscono per rafforzare il convincimento che i rapporti relazionali (scolastici o in genere sociali) debbano essere risolti sulla base di rapporti di forza o di potere (v., per simili considerazioni, Sez. 6, n. 34492 del 2012, cit.).
Dall’accertata condotta prevaricatrice dell’imputato è derivato, come esattamente osservato dai giudici di merito, un evidente pericolo per la salute del bambino, dimostrato dai turbamenti di cui hanno riferito gli allarmati genitori, risultando dunque pienamente integrata la fattispecie contestata.
4. Va pertanto dichiarata la inammissibilità del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in considerazione delle questioni dedotte, si stima di determinare in euro mille.
Il ricorrente va inoltre condannato alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile I.V.C., nella qualità di esercente la potestà genitoriale sul minore G.M.C., che, in ragione della documentazione depositata, si liquidano in euro 3.500,00 oltre spese generali, IVA e CPA.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’imputato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa della ammende.
Condanna altresì il ricorrente a rimborsare alla parte civile le spese di questo grado che si liquidano in complessivi euro 3.500, oltre spese generali, IVA e CPA.

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