Consiglio di Stato
sezione IV
sentenza 19 giugno 2014, n. 3115
LOTTIZZAZIONE ABUSIVA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE QUARTA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3733 del 2010, proposto da:
Du.Co. S.r.l., in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Ma.Le., Fr.Ma., con domicilio eletto presso Ma.Le. in Roma;
contro
Comune di Castelnuovo di Porto, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall’avv. Ro.Ri., con domicilio eletto presso Ro.Ri. in Roma;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. del LAZIO -Sede di ROMA- SEZIONE I QUATER n. 09860/2009, resa tra le parti, concernente sospensione lavori di lottizzazione abusiva.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Castelnuovo di Porto;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 maggio 2014 il Consigliere Fabio Taormina e udito per parte appellante l’Avvocato Pe., per delega dell’Avv. Le.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza in epigrafe appellata, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio – Sede di Roma si è pronunciato in ordine ad un complesso ricorso -corredato da due ricorsi per motivi aggiunti- proposto dalla odierna parte appellante dichiarando l’atto introduttivo del giudizio inammissibile, respingendo i primi motivi aggiunti e dichiarando improcedibili i secondi motivi aggiunti.
In punto di fatto era accaduto che, con il ricorso introduttivo del giudizio l’appellante aveva chiesto l’annullamento delle ordinanze di sospensione dei lavori nn. 14, 15, 16 e 17 (prot. n. 4355-6-7-8), emesse in data 3 aprile 2006 dal Responsabile del Servizio Edilizia Privata del Comune di Castelnuovo di Porto (RM) e notificate tutte il 21 aprile 2006.
Con i primi motivi aggiunti aveva gravato le ordinanze di sospensione della lottizzazione abusiva nn. 6, 7, 8 e 9 (prot. nn. 4484, 4489, 4492 e 4493), emesse in data 3 aprile 2007 dal Responsabile del Servizio Edilizia Privata per il Comune di Castelnuovo di Porto (RM) e notificate tutte il 12 aprile 2007, nonché di tutti gli atti presupposti, connessi e/o consequenziali, mentre con i secondi aggiunti, notificati a mezzo del servizio postale in data 8 giugno 2007 e depositati il successivo 9 luglio 2007, aveva chiesto l’annullamento, delle ordinanze di sospensione e rimozione lavori nn. 14, 15, 16 e 17 (prot. n. 5005-6-8-9), emesse in data 3 aprile 2007 dal Responsabile del Servizio Edilizia Privata per il Comune di Castelnuovo di Porto (RM) e notificate tutte il 12 aprile 2007.
L’appellante aveva prospettato numerose censure di violazione di legge ed eccesso di potere che sono state partitamente scrutinate dal Tar.
In particolare, il primo giudice – partitamente ricostruita, anche sotto il profilo cronologico la complessa fase infraprocedimentale e dato atto delle contrapposte argomentazioni delle parti processuali – ha preso in esame prioritariamente il ricorso introduttivo del giudizio.
Di quest’ultimo -proposto avverso le ordinanze di sospensione dei lavori nn. 14, 15, 16 e 17 del 3 aprile 2006- ha dichiarato la inammissibilità per carenza di interesse.
Alla data di proposizione del ricorso (ossia al 20 giugno 2006), infatti, le determinazioni in parola non possedevano più alcuna attitudine lesiva della sfera giuridica della ricorrente a causa dell’intervenuta maturazione del termine di efficacia di 45 giorni (prescritto dall’art. 27, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001) il che rendeva inutile un’eventuale pronuncia di annullamento.
Ha poi preso in esame le doglianze contenute nel primo ricorso per motivi aggiunti facendo presente che esse costituivano il nodo centrale della causa.
Ivi la odierna appellante censurava la qualificazione di “lottizzazione materiale” abusiva impressa dall’amministrazione comunale odierna appellata all’attività dalla stessa intrapresa. In particolare, la originaria ricorrente aveva sostenuto che per la modestia delle modifiche apportate alla destinazione d’uso, riguardanti esclusivamente gli “annessi agricoli”, era da escludersi che….. si potesse in alcun modo configurare una lottizzazione materiale sull’area” e che nessun accertamento era stato compiuto sul reale stato dei lavori, essendosi limitata l’Amministrazione a porre a fondamento della propria motivazione gli elementi contenuti nelle domande di condono” presentate e poi ritirate, mentre il riferimento alla tipologia di frazionamento doveva ritenersi sibillino e poco chiarificatore.
Di tali doglianze il Tar ha affermato la infondatezza: muovendo dalla accurata analisi del disposto di cui all’art. 30 del dPR n. 380/2001 siccome interpretato dalla giurisprudenza amministrativa e penale, è pervenuto al convincimento per cui poteva ricorrere “un illegittimo mutamento della destinazione all’uso del territorio autoritativamente impressa anche nei casi in cui le variazioni apportate incidano esclusivamente sulla destinazione d’uso dei manufatti realizzati”.
Ne doveva discendere, quindi, che il concetto di lottizzazione materiale coincideva con il concetto di “trasformazione urbanistica ed edilizia” e non con quello di “opera comportante trasformazione urbanistica ed edilizia”.
Affermata detta premessa, il primo giudice ha affermato il convincimento per cui si imponeva la verifica della conformità della trasformazione realizzata con la destinazione urbanistica impressa alla zona interessata e non – invece – dell’eventuale difformità alle norme vigenti delle singole opere (la quale era sanzionata dagli artt. 31 e ss..del TU).
La detta conformità – come poteva mancare nei casi in cui per le singole opere facenti parte della lottizzazione fosse stato rilasciato il permesso di costruire – poteva non sussistere nelle ipotesi in cui fossero state apportate variazioni rivelatrici di un intento che non potrebbe essere realizzato perché, per le sue connotazioni obiettive, si poneva in contrasto con previsioni dello strumento urbanistico generale.
Ciò in quanto il mutamento della destinazione d’uso di immobili assentiti poteva rendere la destinazione urbanistica delle zona non più corrispondente a quella prevista dallo strumento generale.
Il Tar ha quindi richiamato conforme giurisprudenza penale, chiarendo che dalla stessa risultava confermata la tesi per cui in generale lo stravolgimento del titolo abilitativo rilasciato mediante la realizzazione di edifici che per le loro caratteristiche non siano più riferibili a quelli approvati costituisce fatto idoneo ad integrare la fattispecie della lottizzazione senza la prescritta autorizzazione.
Ed a tali fini, doveva rilevare anche la modificazione della destinazione d’uso di volumi non destinati ad abitazione, in quanto idonea a conferire di per sé all’area un diverso assetto territoriale: il mero mutamento della destinazione d’uso di immobili oggetto di titolo edilizio poteva ben configurare un’ipotesi di lottizzazione abusiva.
La situazione concreta prospettata, poi, ad avviso del Tar, integrava proprio la fattispecie delineata.
In relazione al terreno di proprietà della originaria ricorrente, erano state rilasciate nel 2001 le concessioni edilizie nn. 6, 7, 8 e 9, le quali consentivano rispettivamente la realizzazione di un “edificio rurale e accessorio agricolo”, di un “accessorio agricolo da destinarsi ad uso magazzino”, di un “fabbricato rurale da destinarsi a civile abitazione” e di un “fabbricato rurale e di un accessorio agricolo”.
Nei provvedimenti impugnati erano state contestate opere difformi da dette concessioni, che – nel complesso – si venivano “a configurare quale parte di un complessivo intervento edificatorio di tipo esclusivamente residenziale, realizzato in zona agricola attraverso l’abusivo frazionamento in lotti dell’originaria consistenza terriera come pure risultante dal Tipo di Frazionamento n. 668583 del 29/09/2005”.
L’amministrazione comunale, in particolare, aveva riscontrato le seguenti difformità:
– diversa dislocazione plano altimetrica dei fabbricati;
– diversa distribuzione degli spazi interni anche negli accessori agricoli;
– difformità nell’impianto fognante, con predisposizione all’immissione in futuro “nella fognatura comunale”;
– rotazione fabbricati;
– cambio di destinazione d’uso dei locali “magazzino” in abitazione;
– abusivo frazionamento in lotti dell’originaria consistenza terriera.
In relazione alla concessione edilizia n. 6, risultava contestato, tra l’altro, il cambio di destinazione d’uso da locale sottotetto in abitazione.
L’esame della relazione e dei documenti depositati consentiva di affermare che le difformità contestate erano effettivamente esistenti, ad eccezione dell’abuso concernente locali sottotetto.
La opere compiute riposavano in modifiche idonee ad incidere, oltre che sulla sagoma e sui prospetti dei fabbricati assentiti (i quali risultano ridotti di numero), sulle caratteristiche costruttive della porzione di fabbricato residenziale e di quella ad uso accessorio agricolo (uniformi in relazione a: porte blindate di accesso, pavimenti in ceramica, intonaci, impianto elettrico, infissi interni ed esterni, tetto con tegole e gronde in rame, presenza di chiusure che “lasciano presupporre un occultamento di impianti idrico sanitari e di riscaldamento”), sull’impianto fognante nonché sulle sistemazioni esterne (recinzione di lotti, indipendenti sia per la porzione residenziale che per la porzione agricola).
Tali modifiche abusive integravano, ad avviso del primo giudice, interventi radicali di adattamento all’uso abitativo di strutture che a tanto non risultavano assentite, mediante creazione di vani abitabili, dunque con effetto di realizzazione di nuove costruzioni e conseguenti cubature del tipo “civile abitazione” sicuramente incidenti sul piano urbanistico, in quanto ne aumentavano il carico.
Il mutamento di destinazione d’uso era stato effettivamente realizzato e, per effetto di tale mutamento, vi è stata la realizzazione di un maggior numero di unità abitative, peraltro di portata rilevante rispetto a quello assentito, connotato da una non indifferente consistenza della cubatura residenziale ottenuta.
Ciò era incompatibile con le norme urbanistiche vigenti e con la destinazione urbanistica impressa alla zona interessata (“E” agricola).
Dette unità abitative – anche poste in relazione alle dimensioni del lotto genericamente indicata in “oltre 10.000 mq.”) – conducevano a riscontrare una trasformazione del terreno a scopo edificatorio, in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, che – valutata nel suo complesso – incideva sull’assetto urbanistico della zona.
Peraltro in nessun modo era data prova dell’asservimento dei manufatti realizzati a finalità agricole, ossia dell’effettiva strumentalità degli immobili ad un’attività di tal genere.
In sintesi, – le difformità riscontrate rivelavano una destinazione d’uso differente da quella assentita, essendo indice di una destinazione residenziale (del resto, il cambio di destinazione d’uso degli annessi agricoli risultava ammesso dalla stessa originaria ricorrente).
Il mutamento della destinazione, accompagnato, tra l’altro, dalla creazione – in seguito all’attribuzione delle particelle al N.C.E.U. – dei subalterni 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 8, integrava un’ipotesi di lottizzazione abusiva, in quanto – nell’ambito di una valutazione complessiva dello stato dei luoghi – rivelava una trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni in contrasto con le previsioni dello strumento urbanistico.
Sotto altro profilo, l’Amministrazione aveva operato sulla base di una compiuta istruttoria (in data 13 marzo 2006 era stato eseguito un accurato sopralluogo, supportato anche da copiosa documentazione fotografica), per cui era platealmente infondata l’asserzione secondo la quale l’Amministrazione si sarebbe limitata a porre a fondamento della propria motivazione gli elementi contenuti nella domanda di condono poi ritirata.
Né poteva fondatamente ritenersi -come invece a torto sostenutosi nel mezzo di primo grado- che il riferimento alla tipologia di frazionamento fosse “sibillino” e “poco chiarificatore”, atteso l’esplicito richiamo – nell’ambito dei provvedimenti impugnati – al “Tipo di Frazionamento n. 668583 del 29/09/2005 (protocollo n. RM0668583)”.
Tale tipo di frazionamento doveva ritenersi, infatti, ben idoneo a rivelare la realizzazione di tre soli fabbricati, con attribuzione delle particelle al N.C.E.U. in maniera diversa ai singoli immobili, “determinando i subalterni 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 8”, i quali – come osservato dall’Amministrazione nella nota prot. n. 14806 dell’8 ottobre 2007 – “non giustificano l’attribuzione di corte separatamente sia per le unità abitative che per gli annessi agricoli, trattandosi di fabbricati che in realtà dovrebbero essere destinati alla conduzione dell’azienda agricola…”.
Il Tar poi, preso atto della circostanza che l’ Amministrazione aveva fornito prova che, con note prot. nn. 1329, 1330, 1331 e 1332 del 29 gennaio 2007, regolarmente notificate in data 1 febbraio 2007, si era provveduto a comunicare alla società Du.Co. l’avvio del procedimento “finalizzato all’emanazione eventuale dei provvedimenti di cui ai commi 7 e 8 dello stesso art. 30 D.P.R. 380/2001” (tanto che la società era stata nella condizione di produrre in data 15 febbraio 2007 memorie “ex art. 10 L. n. 241/90”), ha escluso la fondatezza della dedotta violazione sub art. 7 della legge n. 241/1990.
Del pari è stata disattesa l’ultima doglianza incentrata nel primo mezzo per motivi aggiunti, laddove si era sostenuto che l’Amministrazione aveva erroneamente ritenuto le difformità denunciate soggette a permesso di costruire, “anziché a semplice d.i.a.”.
Il primo giudice ha all’uopo fatto presente che l’esposta censura faceva riferimento agli artt. 22 e 32 del D.P.R. n. 380/01, con ciò intendendosi sostanzialmente dimostrare la possibilità di sanare gli interventi in contestazione in forza di d.i.a.: senonché trattava di motivi estranei all’ipotesi in esame e, dunque, non pertinenti in quanto il provvedimento impugnato non era interessato da problematiche di tal genere, risultando adottato esclusivamente in applicazione della diversa previsione di cui all’art. 30 del medesimo D.P.R..
Disatteso il primo mezzo per motivi aggiunti, il Tar ha dichiarato improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse i secondi motivi aggiunti, proposti per l’annullamento delle ordinanze di sospensione e rimozione lavori nn. 14, 15, 16 e 17 del 3 aprile 2007.
L’acquisizione di diritto delle aree abusivamente lottizzate – intervenuta in seguito alla maturazione del termine di 90 giorni prescritto dall’art. 30, comma 8, del D.P.R. n. 380/01, richiamato nelle ordinanze nn. 6, 7, 8 e 9, oggetto di impugnativa con i primi motivi aggiunti, ritenuti infondati – non poteva che aver “assorbito ex se l’ordine di demolizione”.
L’area lottizzata e, unitamente ad essa, ovviamente anche i manufatti sulla stessa insistenti non rientravano più nel patrimonio della originaria ricorrente in quanto acquisiti dall’Amministrazione, alla quale, tra l’altro, competeva, ai sensi di legge, il compito di provvedere “d’ufficio, e con spese a carico dei responsabili, alla demolizione delle opere”.
Ricorrevano pertanto le condizioni per affermare che gli ordini imposti con le ordinanze di immediata sospensione dei lavori e rimozione delle opere nn. 14, 15, 16 e 17 in questione erano venuti meno, né in capo alla originaria ricorrente, non più proprietaria, poteva essere riscontrato alcun interesse all’annullamento degli stessi.
Conseguentemente, l’intero ricorso di primo grado è stato disatteso.
L’ odierna appellante, già ricorrente rimasta soccombente nel giudizio di prime cure, ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe, chiedendo la riforma dell’appellata decisione.
L’appellante ha in primo luogo riepilogato le vicissitudini che avevano indotto il Comune appellato ad emettere gli atti gravati, ed ha poi (prima censura) contestato l’allargamento del concetto di lottizzazione abusiva di cui all’art. 30 del TU reso dal Tar.
Il primo giudice aveva obliato che l’edificazione dei quattro edifici era stata assentita dal Comune (la concessione risaliva al 2001, nel 2003 venne concessa una proroga) e nel 2005 non era stato effettuato alcun controllo per verificare l’eventuale decadenza, e soltanto nel 2006 erano state contestate talune modeste difformità.
Non v’era stato alcun innalzamento dei locali né, quindi, aumento di volumetria, mentre la diversa distribuzione degli spazi interni era sanabile anche attraverso Dia e, la rotazione del fabbricato appariva priva di rilievo (come del resto le ulteriori, marginali, difformità riscontrate).
Per altro verso, (pagg. 13 e segg. dell’appello) non poteva ipotizzarsi la fattispecie in oggetto, posto che non v’era stato alcun asservimento di nuova maglia urbana, posto che l’area risultava del tutto urbanizzata.
Neppure l’avvenuto frazionamento catastale poteva assumere rilievo ai fini di una ipotesi di lottizzazione cartolare (la dimensione dei lotti era superiore a quella minima).
Il controinteressato appellato ha depositato una articolata memoria laddove ha riepilogato l’andamento -anche infraprocedimentale- del contenzioso, avviato dal Comune su propria segnalazione, ed ha chiesto la reiezione dell’appello perché infondato.
Alla pubblica udienza del 20 maggio 2014 la causa è stata posta in decisione dal Collegio
DIRITTO
1. L’appello è nel merito infondato e va disatteso.
1.1. Va premesso (sebbene il punto non abbia formato oggetto di specifica censura), che anche la declaratoria di improcedibilità parziale resa dal Tar appare corretta.
Il disposto di cui all’art. 27 del dPR n. 380/2001 così prevede (si veda sopratttutto il comma III) “. Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale esercita, anche secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell’ente, la vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi. Il dirigente o il responsabile, quando accerti l’inizio o l’esecuzione di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi. Qualora si tratti di aree assoggettate alla tutela di cui al regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267, o appartenenti ai beni disciplinati dalla legge 16 giugno 1927, n. 1766, nonché delle aree di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, il dirigente provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi, previa comunicazione alle amministrazioni competenti le quali possono eventualmente intervenire, ai fini della demolizione, anche di propria iniziativa. Per le opere abusivamente realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale con provvedimenti aventi forza di legge o dichiarati di interesse particolarmente importante ai sensi degli articoli 6 e 7 del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, o su beni di interesse archeologico, nonché per le opere abusivamente realizzate su immobili soggetti a vincolo o di inedificabilità assoluta in applicazione delle disposizioni del titolo II del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, il Soprintendente, su richiesta della regione, del comune o delle altre autorità preposte alla tutela, ovvero decorso il termine di 180 giorni dall’accertamento dell’illecito, procede alla demolizione, anche avvalendosi delle modalità operative di cui ai commi 55 e 56 dell’articolo 2 della legge 23 dicembre 1996, n. 662. Ferma rimanendo l’ipotesi prevista dal precedente comma 2, qualora sia constatata, dai competenti uffici comunali d’ufficio o su denuncia dei cittadini, l’inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità di cui al comma 1, il dirigente o il responsabile dell’ufficio, ordina l’immediata sospensione dei lavori, che ha effetto fino all’adozione dei provvedimenti definitivi di cui ai successivi articoli, da adottare e notificare entro quarantacinque giorni dall’ordine di sospensione dei lavori. Entro i successivi quindici giorni dalla notifica il dirigente o il responsabile dell’ufficio, su ordinanza del sindaco, può procedere al sequestro del cantiere. Gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, ove nei luoghi in cui vengono realizzate le opere non sia esibito il permesso di costruire, ovvero non sia apposto il prescritto cartello, ovvero in tutti gli altri casi di presunta violazione urbanistico – edilizia, ne danno immediata comunicazione all’autorità giudiziaria, al competente organo regionale e al dirigente del competente ufficio comunale, il quale verifica entro trenta giorni la regolarità delle opere e dispone gli atti conseguenti.”.
La costante giurisprudenza amministrativa di merito ha sempre interpretato in termini categorici detta disposizione, pervenendo al convincimento per cui (ex aliis, cfr. T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, 27-07-2012, n. 840) “il potere di sospensione dei lavori edili in corso, attribuito all’Autorità comunale dall’art. 27 comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001 -T.U. Edilizia-, è di tipo cautelare, in quanto destinato ad evitare che la prosecuzione dei lavori determini un aggravarsi del danno urbanistico, e alla descritta natura interinale del potere segue che il provvedimento emanato nel suo esercizio ha la caratteristica della provvisorietà, fino all’adozione dei provvedimenti definitivi. Ne discende che, a seguito dello spirare del termine di 45 giorni , ove l’Amministrazione non abbia emanato alcun provvedimento sanzionatorio definitivo, l’ordine in questione perde ogni efficacia, mentre, nell’ipotesi di emanazione del provvedimento sanzionatorio, è in virtù di quest’ultimo che viene a determinarsi la lesione della sfera giuridica del destinatario con conseguente assorbimento dell’ordine di sospensione dei lavori.”.
Il Tar ha fatto buongoverno del detto principio, e del relativo corollario secondo cui deve essere dichiarato improcedibile il mezzo proposto allorché, anche per sopravvenute circostanza di fatto o di diritto (tra le quali rientra, ovviamente, il decorso del tempo che priva di efficacia, e quindi di portata lesiva un provvedimento di natura interinale o cautelare), l’impugnante non possa ricavare alcun vantaggio dall’accoglimento dell’impugnazione.
2. Nel merito, ritiene il Collegio opportuno far precedere lo specifico scrutinio della controversia da alcune considerazioni di insieme in ordine alla fattispecie per cui è causa.
2.1. Si rammenta a tal proposito che l’art. 30 del D.P.R. 6-6-2001 n. 380, recante “Lottizzazione abusiva” così dispone, in sostanziale continuità con l’antevigente previsione di cui all’art. 18 della legge 28 febbraio 1985 n. 47: “Si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio.
2. Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica sia in forma privata, aventi ad oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni sono nulli e non possono essere stipulati né trascritti nei pubblici registri immobiliari ove agli atti stessi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti l’area interessata. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano quando i terreni costituiscano pertinenze di edifici censiti nel nuovo catasto edilizio urbano, purché la superficie complessiva dell’area di pertinenza medesima sia inferiore a 5.000 metri quadrati.
3. Il certificato di destinazione urbanistica deve essere rilasciato dal dirigente o responsabile del competente ufficio comunale entro il termine perentorio di trenta giorni dalla presentazione della relativa domanda. Esso conserva validità per un anno dalla data di rilascio se, per dichiarazione dell’alienante o di uno dei condividenti, non siano intervenute modificazioni degli strumenti urbanistici.
4. In caso di mancato rilascio del suddetto certificato nel termine previsto, esso può essere sostituito da una dichiarazione dell’alienante o di uno dei condividenti attestante l’avvenuta presentazione della domanda, nonché la destinazione urbanistica dei terreni secondo gli strumenti urbanistici vigenti o adottati, ovvero l’inesistenza di questi ovvero la prescrizione, da parte dello strumento urbanistico generale approvato, di strumenti attuativi.
4-bis. Gli atti di cui al comma 2, ai quali non siano stati allegati certificati di destinazione urbanistica, o che non contengano la dichiarazione di cui al comma 3, possono essere confermati o integrati anche da una sola delle parti o dai suoi aventi causa, mediante atto pubblico o autenticato, al quale sia allegato un certificato contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti le aree interessate al giorno in cui è stato stipulato l’atto da confermare o contenente la dichiarazione omessa.
5. I frazionamenti catastali dei terreni non possono essere approvati dall’agenzia del territorio se non è allegata copia del tipo dal quale risulti, per attestazione degli uffici comunali, che il tipo medesimo è stato depositato presso il comune.
(6.)
7. Nel caso in cui il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale accerti l’effettuazione di lottizzazione di terreni a scopo edificatorio senza la prescritta autorizzazione, con ordinanza da notificare ai proprietari delle aree ed agli altri soggetti indicati nel comma 1 dell’articolo 29, ne dispone la sospensione. Il provvedimento comporta l’immediata interruzione delle opere in corso ed il divieto di disporre dei suoli e delle opere stesse con atti tra vivi, e deve essere trascritto a tal fine nei registri immobiliari.
8. Trascorsi novanta giorni, ove non intervenga la revoca del provvedimento di cui al comma 7, le aree lottizzate sono acquisite di diritto al patrimonio disponibile del comune il cui dirigente o responsabile del competente ufficio deve provvedere alla demolizione delle opere. In caso di inerzia si applicano le disposizioni concernenti i poteri sostitutivi di cui all’articolo 31, comma 8.
9. Gli atti aventi per oggetto lotti di terreno, per i quali sia stato emesso il provvedimento previsto dal comma 7, sono nulli e non possono essere stipulati, né in forma pubblica né in forma privata, dopo la trascrizione di cui allo stesso comma e prima della sua eventuale cancellazione o della sopravvenuta inefficacia del provvedimento del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale.
10. Le disposizioni di cui sopra si applicano agli atti stipulati ed ai frazionamenti presentati ai competenti uffici del catasto dopo il 17 marzo 1985, e non si applicano comunque alle divisioni ereditarie, alle donazioni fra coniugi e fra parenti in linea retta ed ai testamenti, nonché agli atti costitutivi, modificativi od estintivi di diritti reali di garanzia e di servitù.”.
V’è concordia in dottrina nel ritenere che la fattispecie descritta dalla detta disposizione integri il più grave attentato alle potestà di Governo del territorio previste ed espressamente normate dall’art. 117 della Costituzione, incidendo sulla potestà programmatoria urbanistica e, insieme, sull’assetto del territorio.
La giurisprudenza penale ha costantemente interpretato la detta fattispecie in termini ampi, e costruendola qual reato di pericolo: si è detto pertanto che (Cass. pen. Sez. III, 16-07-2013, n. 37383) “il reato di lottizzazione abusiva è integrato non solo dalla trasformazione effettiva del territorio, ma da qualsiasi attività che oggettivamente comporti anche solo il pericolo di una urbanizzazione non prevista o diversa da quella programmata.-fattispecie di lavori interni di redistribuzione degli spazi, finalizzati alla trasformazione in appartamenti di un complesso immobiliare con precedente destinazione d’uso alberghiera-“.
La condotta materiale sottesa alla integrazione della fattispecie illecita riposa nella erezione di opere (c.d. lottizzazione materiale) ovvero nella intrapresa di iniziative giuridiche (c.d. lottizzazione negoziale) che comportano una trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni in violazione delle prescrizioni urbanistiche.
2.1. Nell’ipotesi di lottizzazione c.d. “materiale”, si è a più riprese evidenziato che la fattispecie integra qualcosa di diverso, seppur collegato, rispetto alle singole opere realizzate, costituendo un quid pluris (anche, ovviamente, in termini di maggiore gravità).
Si rammenta infatti che, la fattispecie di lottizzazione abusiva disciplinata in passato dall’art.. 18 l.n. 47 cit., si riferisce alla mancanza dell’autorizzazione specifica alla lottizzazione, prevista dall’art. 28 della legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150.
Si è posto in luce pertanto che alcun rilievo sanante sull’abuso in questione può rivestire il rilascio di una eventuale concessione edilizia, sia ex ante, in presenza di concessioni edilizie già rilasciate, sia successivamente, in presenza di concessioni rilasciate in via di sanatoria. Ciò in quanto, ove manchi la specifica autorizzazione a lottizzare, la lottizzazione abusiva sussiste e deve essere sanzionata anche se, per le singole opere facenti parte di tale lottizzazione, sia stata rilasciata una concessione edilizia (cfr C.d.S. sez. V 26.03.1996 n. 301). In tal senso si è pronunciata altresì la Corte Costituzionale nella sentenza n. 148/1994, con cui è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale delle norme che escludono la condonabilità, ai fini penalistici, del reato di lottizzazione abusiva, nel caso in cui la stessa risulti conforme alle prescrizioni di legge ed alla strumentazione urbanistica. Sul punto la Corte ha chiarito al riguardo che: “il rilascio della concessione in sanatoria opera nell’ambito di uno schema procedimentale, delineato nell’art. 13 della stessa legge 26 febbraio 1985, n. 47, con previsione di interventi, adempimenti e termini, che appaiono specificamente modellati sulla fattispecie della costruzione priva di concessione. Di qui l’impossibilità di una mera trasposizione di un siffatto schema procedimentale all’ipotesi della lottizzazione abusiva, per la quale occorrerebbero, pertanto, soluzioni normative che mai potrebbero essere apprestate in questa sede, implicando, fermo quanto dedotto in ordine alla non comparabilità delle situazioni, scelte di modi, condizioni e termini che non spetta alla Corte stabilire”.
Pertanto, la constatata autonomia dei procedimenti sanzionatori in questione induce ad escludere l’applicabilità della sospensione invocata ex art. 44 della legge n. 47/1985, posto che la sospensione dei procedimenti ivi prevista non può che riferirsi alle misure sanzionatorie relative agli abusi suscettibili di sanatoria e/o di condono, ove, nel caso di presentazione della relativa istanza entro i termini, la sospensione del procedimento è strumentale a preservare l’interesse dell’istante a veder definito il procedimento instaurato e di evitare che la messa in esecuzione di un provvedimento di ripristino vanifichi del tutto il suo interesse legittimo a vedere definita la domanda di sanatoria (cfr in tal senso vd anche Cass. Pen. Sez. III, 18.11.1997 n. 3900).
2.2. Ciò precisato, si rammenta che in seno ad una recente decisione (la n. 3381/2012) la Sezione ha avuto modo di rivisitare la fattispecie, pervenendo ad alcune conclusioni che è opportuno riportare per esteso, che appaiono traslabili alla fattispecie, ed alle quali il Collegio si atterrà, non ravvisando alcun elemento per mutare divisamento.
Ivi infatti, è stato affermato che (si riporta un breve stralcio motivazionale della sentenza) “al fine di valutare un’ipotesi di lottizzazione abusiva c.d. materiale, appare necessaria una visione d’insieme dei lavori, ossia una verifica nel suo complesso dell’attività edilizia realizzata, atteso che potrebbero anche ricorrere modifiche rispetto all’attività assentita idonee a conferire un diverso assetto al territorio comunale oggetto di trasformazione.
Proprio in quanto sussiste lottizzazione abusiva in tutti i casi in cui si realizza un’abusiva interferenza con la programmazione del territorio, deve rilevarsi, ad avviso del Collegio, che la verifica dell’attività edilizia realizzata nel suo complesso può condurre a riscontrare un illegittimo mutamento della destinazione all’uso del territorio autoritativamente impressa anche nei casi in cui le variazioni apportate incidano esclusivamente sulla destinazione d’uso dei manufatti realizzati.
Ciò perché è proprio la formulazione dell’art. 30 del D.P.R. n. 380/01 che impone di affermare che integra un’ipotesi di lottizzazione abusiva qualsiasi tipo di opere in concreto idonee a stravolgere l’assetto del territorio preesistente, a realizzare un nuovo insediamento abitativo e, quindi, in ultima analisi, a determinare sia un concreto ostacolo alla futura attività di programmazione (che viene posta di fronte al fatto compiuto), sia un carico urbanistico che necessita adeguamento degli standards. Come già affermato dalla giurisprudenza di merito il concetto di “opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia” dei terreni deve essere, dunque, interpretato in maniera “funzionale” alla ratio della norma, il cui bene giuridico tutelato è costituito dalla necessità di preservare la potestà programmatoria attribuita all’Amministrazione nonché l’effettivo controllo del territorio da parte del soggetto titolare della stessa funzione di pianificazione (cioè il Comune), al fine di garantire una ordinata pianificazione urbanistica, un corretto uso del territorio ed uno sviluppo degli insediamenti abitativi e dei correlativi standards compatibile con le esigenze di finanza pubblica.
Ciò che rileva è il concetto di “trasformazione urbanistica ed edilizia” e non quello di “opera comportante trasformazione urbanistica ed edilizia”.
Ne discende, ad avviso del Collegio, che il mutamento di destinazione d’uso di edifici già esistenti può influire sull’assetto urbanistico dei terreni sui quali essi insistono e può altresì comportare nuovi interventi di urbanizzazione.
Il concetto di “opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia” dei terreni, lo si ribadisce, deve quindi essere interpretato in maniera “funzionale” alla ratio della norma (il cui bene giuridico tutelato è costituito, come si diceva in precedenza, dalla necessità di preservare la potestà pianificatoria attribuita all’amministrazione nonché l’effettivo controllo del territorio da parte del Comune), che tende, lo si diceva, appunto, a garantire una ordinata pianificazione urbanistica, un corretto uso del territorio ed uno sviluppo degli insediamenti abitativi e dei correlativi standards compatibili con le esigenze di finanza pubblica.
Ne consegue che la verifica circa la conformità della trasformazione realizzata e la sua rispondenza o meno alle previsioni delle norme urbanistiche vigenti deve essere effettuata con riferimento non già alle singole opere in cui si è compendiata la lottizzazione, eventualmente anche regolarmente assentite (giacché tale difformità è specificamente sanzionata dagli artt. 31 e ss. D.P.R. n. 380/2001), bensì alla complessiva trasformazione edilizia che di quelle opere costituisce il frutto, sicché essa conformità ben può mancare anche nei casi in cui per le singole opere facenti parte della lottizzazione sia stato rilasciato il permesso di costruire
Tenuto conto della natura del provvedimento impugnato in primo grado (ordinanza di sospensione per lottizzazione abusiva) cadono quindi tutte le censure fondate sulla mancata definizione delle domande di condono dei singoli – e reiterati- abusi realizzati, in quanto non incidenti sulla riscontrabilità di una condotta lottizzatoria materiale abusiva.
Deve per ulteriore conseguenza affermarsi che può integrare un’ipotesi di lottizzazione abusiva qualsiasi tipo di opere in concreto idonee a stravolgere l’assetto del territorio preesistente, a realizzare un nuovo insediamento abitativo e, quindi, in ultima analisi, a determinare sia un concreto ostacolo alla futura attività di programmazione (che viene posta di fronte al fatto compiuto), ma anche soltanto un carico urbanistico che necessita di adeguamento degli standards e rimarcare che, avuto riguardo alla tipologia dei reiterati abusivi intereventi realizzati, ove unitariamente considerati, questa è l’evenienza realizzatasi nel caso di specie.”.
Nella detta pronuncia, si è altresì fatto presente che “La giurisprudenza della Corte di cassazione penale è ormai stabilmente orientata all’affermazione di detto principio.
Si rammenta in proposito (la fattispecie è speculare a quella in esame) quanto ripetutamente sostenuto da questa giurisprudenza, cioè che: “In materia edilizia, il reato di lottizzazione abusiva mediante modifica della destinazione d’uso da alberghiera a residenziale è configurabile, nell’ipotesi in cui lo strumento urbanistico generale consenta l’utilizzo della zona ai fini residenziali, in due casi: a) quando il complesso alberghiero sia stato edificato alla stregua di previsioni derogatorie non estensibili ad immobili residenziali; b) quando la destinazione d’uso residenziale comporti un incremento degli “standards” richiesti per l’edificazione alberghiera e tali “standars” aggiuntivi non risultino reperibili ovvero reperiti in concreto.” (Cassazione penale , sez. III, 07 marzo 2008 , n. 24096).
In detta pronuncia, in particolare, si è condivisibilmente affermato che il problema della configurabilità del reato di lottizzazione abusiva – allorquando il bene suddiviso consista non in un terreno inedificato, bensì in un immobile già regolarmente edificato – deve essere affrontato anche alla stregua della legislazione urbanistica regionale in materia di classificazione delle categorie funzionali della destinazione d’uso e correlato precipuamente alle previsioni della pianificazione comunale, alle quali deve essere raffrontata, in termini di “compatibilità”, la effettuata trasformazione del territorio.
Ad avviso della Corte di Cassazione, in particolare, “può integrare il reato di lottizzazione abusiva, il mutamento della destinazione d’uso di un immobile che alteri il complessivo assetto del territorio messo a punto attraverso gli strumenti urbanistici, dovendosi considerare, quanto alla individuazione di siffatta “alterazione”, che l’organizzazione del territorio comunale si attua con il coordinamento delle varie destinazioni d’uso, in tutte le loro possibili relazioni, e con l’assegnazione ad ogni singola destinazione d’uso di determinate qualità e quantità di servizi.
L’assetto territoriale, pertanto, può essere alterato anche allorché significativamente si incida sulle dotazioni degli standards di zona.”.
Ciò appare peraltro coerente con quanto sin da epoca risalente affermato dalla giurisprudenza amministrativa.
Il Consiglio di Stato (sez. 5^, 3.1.1998, n. 24) ha rimarcato, al riguardo, che “la richiesta di cambio della destinazione d’uso di un fabbricato, qualora non inerisca all’ambito delle modificazioni astrattamente possibili in una determinata zona urbanistica, ma sia volta a realizzare un uso del tutto difforme da quelli ammessi, si pone in insanabile contrasto con lo strumento urbanistico, posto che, in tal caso, si tratta non di una mera modificazione formale destinata a muoversi tra i possibili usi del territorio consentiti dal piano, bensì in un’alternazione idonea ad incidere significativamente sulla destinazione funzionale ammessa dal piano regolatore e tale, quindi, da alterare gli equilibri prefigurati in quella sede” (nella specie è stato affermato che legittimamente un Comune aveva respinto l’istanza per il cambio di destinazione d’uso di un complesso immobiliare, relativamente ad uso esclusivamente residenziale, del tutto incompatibile con la destinazione di zona).
Quanto al mutamento di destinazione di uso di un immobile attuato attraverso la realizzazione di opere edilizie, deve ricordarsi che, qualora esso venga realizzato dopo l’ultimazione del fabbricato e durante la sua esistenza (ipotesi ricorrente nella vicenda in esame), si configura in ogni caso un’ipotesi di ristrutturazione edilizia secondo la definizione fornita dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. d), del in quanto l’esecuzione dei lavori, anche se di entità modesta, porta pur sempre alla creazione di “un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”.
La dedotta circostanza che, a particolari condizioni, possa conseguirsi la sanatoria degli immobili abusivamente edificati – (principio costantemente affermato dalla Corte di Cassazione:
“In tema di reati edilizi, l’inapplicabilità della disciplina sul condono edilizio prevista dall’art. 39 L. 23 dicembre 1994, n. 724 al reato di lottizzazione abusiva (art. 18 L. 28 febbraio 1985 n. 47), non esclude l’applicabilità di tale disciplina ai singoli manufatti abusivamente eseguiti, i quali sono suscettibili di condono previa valutazione globale dell’attività lottizzatoria secondo il meccanismo previsto dal combinato disposto degli articoli 29 e 35, comma tredicesimo, L. 28 febbraio 1985, n. 47.”- Cassazione penale , sez. III, 21 novembre 2007 , n. 9982; e confermato pure dalla giurisprudenza amministrativa di merito: si veda T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 27 agosto 2010 , n. 17263) – non inficia la legittimità dell’ordinanza di sospensione gravata, posto che lo stesso principio non può precludere all’amministrazione comunale la ravvisabilità di una fattispecie di lottizzazione materiale abusiva, né l’adozione dei provvedimenti ad essa consequenziali.”.
Sin qui la sentenza n. 3381/2012 richiamata.
2.2.1. Muovendo da tali punti di partenza, appare necessario verificare se i principi ivi esposti possano – o meno- attagliarsi alla fattispecie per cui è causa e, in ipotesi positiva, quali conseguenze ne discendano.
In punto di fatto, risulta incontestato che in relazione al terreno di proprietà della odierna appellante furono in passato rilasciate, nel 2001 le concessioni edilizie nn. 6, 7, 8 e 9, le quali consentivano rispettivamente la realizzazione di un “edificio rurale e accessorio agricolo”, di un “accessorio agricolo da destinarsi ad uso magazzino”, di un “fabbricato rurale da destinarsi a civile abitazione” e di un “fabbricato rurale e di un accessorio agricolo”.
L’Amministrazione, nei provvedimenti impugnati, ha contestato l’esecuzione di opere difformi da dette concessioni, che – nel complesso – a suo avviso si vengono “a configurare quale parte di un complessivo intervento edificatorio di tipo esclusivamente residenziale, realizzato in zona agricola attraverso l’abusivo frazionamento in lotti dell’originaria consistenza terriera come pure risultante dal Tipo di Frazionamento n. 668583 del 29/09/2005”.
In definitiva, l’Amministrazione contesta che “dai fatti e dagli atti suddetti consegue in modo non equivoco la volontà di destinare abusivamente le aree anzidetti a scopi edificatori contrastanti con la vigente disciplina urbanistica, con conseguente configurabilità di una lottizzazione abusiva interessante i… terreni…”.
In dettaglio, come rammentato dal Tar, le difformità rilevate in sede di formulazione dei provvedimenti sanzionatori consistono essenzialmente in:
– diversa dislocazione plano altimetrica dei fabbricati;
– diversa distribuzione degli spazi interni anche negli accessori agricoli;
– difformità nell’impianto fognante, con predisposizione all’immissione in futuro “nella fognatura comunale”;
– rotazione fabbricati;
– cambio di destinazione d’uso dei locali “magazzino” in abitazione;
– abusivo frazionamento in lotti dell’originaria consistenza terriera.
In relazione alla concessione edilizia n. 6, risultava contestato, tra l’altro, il cambio di destinazione d’uso da locale sottotetto in abitazione ma la sussistenza di tale emergenza processuale in ultimo citata è stata esclusa dal Tar
2.2.2. In relazione a tali “contestazioni” l’appellante sostiene che (pag. 11 dell’appello) l’edificazione dei quattro edifici era stata assentita dal Comune (la concessione risaliva al 2001, nel 2003 venne concessa una proroga) e nel 2005 non era stato effettuato alcun controllo per verificare l’eventuale decadenza, e soltanto nel 2006 erano state contestate talune modeste difformità.
2.2.3. Tali asserzioni, come è evidente, in nulla incidono sulla controversia, posto che non è contestato che il comune avesse rilasciato atti concessori. Il proprium della causa riposa invece nel significato da attribuire alle difformità realizzate rispetto ai progetti.
Se il senso delle affermazioni dell’appellante è quello per cui la vigilanza non venne effettuata tempestivamente, esso nulla prova; se invece è quello per cui il rilascio delle concessioni precluda la contestazione di lottizzazione abusiva esso, come si è prima chiarito, è del tutto infondato, posto che anche il semplice mutamento di destinazione d’uso può integrare la fattispecie de qua (importando un maggior carico urbanistico, etc).
2.3.A pag .12 dell’appello l’appellante si dedica alla confutazione delle opere difformi eseguite, ed introduce un ulteriore argomento distonico dalla contestazione (relativo alla sanabilità degli abusi a mezzo di “semplice ” Dia).
2.3.1. Come prima rilevato, non viene in discussione un semplice abuso per difformità, ma la proiezione di quest’ultimo sull’intera attività costruttiva ed al conseguente asservimento di un area a destinazione incompatibile con quella impressavi dall’Amministrazione.
2.3.2. In tale ottica, la teorica sanabilità del singolo abuso è irrilevante, mentre ci si deve interrogare in ordine a due connesse problematiche.
2.4. I quesiti cui rispondere sono sostanzialmente i seguenti :
il contestato mutamento di destinazione d’uso è stato effettivamente realizzato?
Tenuto conto delle modifiche apportate, può comunque raffigurarsi nel caso di specie un asservimento dei manufatti realizzati a finalità agricole (id est: l’effettiva strumentalità degli immobili ad un’attività agricola)?
2.4.1. La risposta al secondo quesito è certamente negativa. Contrariamente alla lettura “svalutativa” resa dall’appellante, appare al Collegio evidente che i mutamenti riscontrati (- diversa dislocazione plano altimetrica dei fabbricati;
– diversa distribuzione degli spazi interni anche negli accessori agricoli;
– difformità nell’impianto fognante, con predisposizione all’immissione in futuro “nella fognatura comunale”;
– rotazione fabbricati;
– cambio di destinazione d’uso dei locali “magazzino” in abitazione;
– abusivo frazionamento in lotti dell’originaria consistenza terriera) dimostrano pienamente ove valutati sia singolarmente che complessivamente, l’intero complesso edificato era finalizzato ad un uso residenziale, e che nessuna delle opere appare destinata ad attività agricola.
L’appellante insiste nel prendere in considerazione in modo parcellizzato le dette “difformità”, ritenendole, tutte, isolatamente sanabili, e fornendo per ciascuna di essa giustificazioni “ipotetiche”: giunge però, a tacer d’altro, a spiegazioni certamente non condivisibili, allorché sostiene che (ad esempio quanto ai locali accessori) per aversi mutamento della destinazione d’uso occorrerebbe la prova dell’effettivo utilizzo diverso.
Non è poi chiaro a cosa l’appellante alluda dove prospetta l’ esigenza che (“tale uso vi sia stato”) : è certo però che, se tali espressioni (come pare al Collegio) esprimono la asserita necessità che si provi che taluno in passato abbia utilizzato a fini residenziali il manufatto, la tesi è del tutto destituita di fondamento ipotizzando che non si possa intervenire in prevenzione dell’illecito commissivo, dovendosi invece attendere il concreto utilizzo distonico.
Esse sono quindi inaccoglibili, essendo invece necessario (ma anche sufficiente) che la vocazione di un immobile si desuma dalle caratteristiche dello stesso, dai materiali costruttivi utilizzati, grado di rifiniture, impianti esistenti, etc.
Il principio è ben chiaramente desumibile dalla condivisibile giurisprudenza del Giudice di legittimità penale (ex aliis Cass. pen. Sez. III, 04-04-2012, n. 526: ” può senz’altro configurarsi il reato di lottizzazione abusiva attraverso la modifica di destinazione d’ uso di immobili oggetto di un piano di lottizzazione mediante il frazionamento di un complesso immobiliare in modo che le singole unità perdano la originaria destinazione d’ uso per assumere quella residenziale: modificazione che si pone in contrasto con lo strumento urbanistico costituito dal piano di lottizzazione.”) laddove questi ha affermato che “in presenza di specifici elementi rivelatori della volontà di procedere al mutamento di destinazione delle unità immobiliari, non vale, neppure richiamare l’astratto dato normativo che, comunque, non legittima alcuna forma di arbitraria immutazione” (significativamente, ivi è stato confermato un sequestro preventivo, incidente su manufatti in itinere).
I suddetti “specifici elementi rivelatori della volontà di procedere al mutamento di destinazione delle unità immobiliari” sono addirittura cristallini e trasparenti nel caso di specie, per cui tutte le censure di cui alle pagg. 12 e 13 del gravame sono manifestamente infondate.
3.Quanto alle ulteriori censure secondo cui lottizzazione urbanistica potrebbe esservi soltanto allorché “si crei una nuova maglia di tessuto urbano” (ultimo cpv della pag. 13 dell’appello e pag 14 del mezzo), oltre alle considerazioni richiamate in premessa in punto di aumento del carico urbanistico, etc (considerazioni che, ad avviso del Collegio, sarebbero già sufficienti alla reiezione della doglianza), si deve richiamare l’opposto convincimento della giurisprudenza.
La tesi dell’appellante avrebbe la conseguenza di produrre, ove accolta, una interpretatio abrogans della norma che reprime la lottizzazione, “riservandone” l’applicabilità a fattispecie macroscopiche difficilmente riscontrabili: in contrario senso da quanto sostenutosi, è appena il caso di richiamare che la condivisibile giurisprudenza di legittimità penale perviene a conclusioni del tutto diverse, spingendosi invece ad affermare che (Cass. pen. Sez. III, Sent., 13-06-2011, n. 23646) “il reato di lottizzazione abusiva, a condotta libera, si realizza con varie modalità mediante operazioni con cui il suolo è abusivamente utilizzato per la realizzazione di una pluralità d’insediamenti residenziali e, in particolare:- in presenza di un intervento sul territorio tale da comportare una nuova definizione dell’assetto preesistente in zona non urbanizzata e non sufficientemente urbanizzata, per cui esiste la necessità di attuare le previsioni dello strumento urbanistico generale attraverso la redazione e la stipula di una convenzione lottizzatoria adeguata alle caratteristiche dell’intervento di nuova realizzazione;
– ma anche allorquando detto intervento non potrebbe in nessun caso essere realizzato poiché, per le sue connotazioni oggettive, si pone in contrasto con previsioni di zonizzazione e/o di localizzazione dello strumento generale di pianificazione che non possono essere modificate da piani urbanistici attuativi (Cfr. Cassazione SU 28.11.2001, Salvini; Sezione 3, 11.05.2005, Stiffi; Sezione 3, 29.01.2001, Matarrese; Sezione 3, 30.12.1996 n. 11249, Urtis).”
E, può aggiungersi, il Giudice di legittimità ha addirittura ritenuto che alla luce di tali indirizzi interpretativi persino “il rilascio di concessioni edilizie (destinate a creare nuovi insediamenti abitativi in una zona per la quale PRG subordina l’attività edificatoria all’adozione di piani di lottizzazione convenzionati) in assenza dei prescritti strumenti attuativi, richieda, ai fini della legittimità dell’intervento, la prova rigorosa della preesistenza e sufficienza delle opere di urbanizzazione primaria, tali da rendere del tutto superfluo lo strumento attuativo.” (Cass. pen. Sez. III, Sent., 13-06-2011, n. 23646 cit.).
4. Quanto infine all’ultima parte dell’appello (che comunque, anche in ipotesi di accoglimento non avrebbe potuto implicare l’annullamento degli atti gravati), la tesi di parte appellante collide con il dato storico relativo alla pluralità di frazionamenti intervenuti: ciò giustifica pienamente l’applicazione alla fattispecie del consolidato approdo della Sezione, secondo il quale (Cons. Stato Sez. IV, 22-08-2013, n. 4254) “la fattispecie della lottizzazione cartolare o negoziale prescinde dalla prova di qualsiasi intento di lottizzare abusivamente, rilevando obiettivamente i soli fatti del frazionamento e della vendita in lotti di un’area, quando essi per dimensioni, per natura del terreno e per numero evidenzino la loro destinazione a scopo edificatorio. In tal senso, l’intento edificatorio perseguito dagli ex comunisti, da attuarsi mediante il frazionamento dell’originario cespite avente destinazione agricola, può legittimamente desumersi dal complesso degli atti di frazionamento e di disposizione dei lotti risultanti dalla divisione in favore di società esercente attività edilizia, stipulati sul dichiarato presupposto della destinazione edilizia delle aree”).
4.1. La condotta posta in essere ex post concorre nell’inquadrare la fattispecie realizzate anche sub species lottizzazione cartolare e, pertanto, anche tale articolazione del mezzo va respinta (si veda, ancora di recente, la condivisibile ricostruzione di cui alla decisione della Quinta Sezione di questo Consiglio di Stato n 2711 del 27 maggio 2014 ove ben si illustra la particolare gravità di tutte le fattispecie di lottizzazione e si ribadisce che trattasi di fattispecie insuscettibile di condono) .
4.2. Posto che i motivi di appello null’altro deducono, che nessuna violazione infraprocedimentale venne perpetrata dall’Amministrazione (ed in ogni caso l’appellante venne resa sempre in condizione di contraddire alle iniziative intraprese dall’amministrazione) e che nessuna ulteriore alternativa spiegazione plausibile è stata fornita delle riscontrate difformità in sede esecutiva, l’appello va disatteso.
5. Conclusivamente l’appello, è infondato e va pertanto integralmente disatteso, mentre tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
6.Le spese seguono la soccombenza e pertanto l’appellante deve essere condannata al pagamento delle medesime in favore dell’appellata amministrazione comunale, nella misura che appare congruo determinare in Euro 5000,00 cinquemila (cinquemila/00) oltre oneri accessori, se dovuti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali in favore dell’appellata amministrazione comunale, nella misura di Euro 5000, 00 (cinquemila /00)oltre oneri accessori, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 maggio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Numerico – Presidente
Nicola Russo – Consigliere
Michele Corradino – Consigliere
Fabio Taormina – Consigliere, Estensore
Raffaele Potenza – Consigliere
Depositata in Segreteria il 19 giugno 2014.
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