Suprema Corte di Cassazione
sezione IV
sentenza 1 settembre 2014, n. 36495
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZECCA Gaetanino – Presidente
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco – Consigliere
Dott. CIAMPI F. M. – rel. Consigliere
Dott. SERRAO Eugenia – Consigliere
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1. (OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
2. (OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
3. (OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la ordinanza del TRIBUNALE DEL RIESAME DI FIRENZE in data 4 dicembre 2013;
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI;
udite le conclusioni del PG in persona del dott. Geraci Vincenzo che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 4 dicembre 2013 il Tribunale della liberta’ di Firenze rigettava la richiesta di riesame proposta dagli odierni ricorrenti nei confronti del provvedimento del GIP presso il Tribunale di Lucca del 2 novembre 2013 che disponeva la custodia cautelare in carcere dei prevenuti indagati per il reato previsto e punito dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 110, 73 e 80 perche’ in concorso fra loro detenevano ingenti quantitativi di hashish e cocaina idonei a soddisfare ingenti richieste nel territorio versiliese da parte di centinaia di clienti rifornendo sino a mezzo chilo di cocaina ogni giorno numerosi spacciatori che cedevano poi al dettaglio a non meno di 400 clienti in maniera continuativa, quotidiana e prolungata nel tempo.
2. Avverso tale provvedimento ricorrono personalmente i tre indagati deducendo con un ricorso congiunto l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale.
2. Avverso tale provvedimento ricorrono personalmente i tre indagati deducendo con un ricorso congiunto l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Sostengono i ricorrenti che le chiamate in correita’ formulate nei loro confronti e poste a base della adottata misura cautelare sarebbero assolutamente insufficienti ad integrare i gravi indizi di colpevolezza a loro carico, in quanto prive dei requisiti minimi dettati dall’articolo 192 c.p.p., comma 3, mancando qualsivoglia elemento di riscontro esterno, oggettivo ed individualizzante rispetto alle dichiarazioni eteroaccusatorie dei correi.
La giurisprudenza di questa Corte e’ costante nel precisare che, in tema di valutazione della chiamata in reita’ o correita’ in sede cautelare, le dichiarazioni accusatorie rese dal coindagato o coimputato nel medesimo reato o da persona indagata o imputata in un procedimento connesso o collegato, integrano i gravi indizi di colpevolezza di cui all’articolo 273 c.p.p., comma 1, – in virtu’ dell’estensione applicativa dell’articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, ad opera dell’articolo 273 c.p.p., comma 1 bis, introdotto dalla Legge n. 63 del 2001, articolo 11 – soltanto se esse, oltre ad essere intrinsecamente attendibili, risultino corroborate da riscontri estrinseci individualizzanti, tali cioe’ da assumere idoneita’ dimostrativa in ordine all’attribuzione del fatto-reato al soggetto destinatario di esse, ferma restando la diversita’ dell’oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilita’ di colpevolezza del chiamato, rispetto a quella di merito, orientata invece all’acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell’imputato (Cass., Sez. Un., 30 maggio 2006, P.G. in proc. Spennato, Rv. 234598).
Tanto premesso, i ricorsi sono comunque da ritenersi infondati in quanto nella specie la struttura e lo sviluppo argomentativo dell’ordinanza non presentano vizi logici e apprezzabili deviazioni dai canoni valutativi stabiliti dall’articolo 192 c.p.p., comma 3, tanto da riflettersi sulla correttezza dell’accertamento del requisito della gravita’ indiziaria ex articolo 273 c.p.p..
Il tribunale, infatti, ha assegnato decisiva rilevanza non solo alle dichiarazioni convergenti e reciprocamente riscontrantesi di ben cinque chiamanti in correita’, ma altresi’ all’esito delle disposte intercettazioni telefoniche da cui emergeva – oltre al frequentissimo scambio delle schede fra gli indagati – l’uso di linguaggio criptico ed in codice e l’effettuazione di telefonate brevissime di sola definizione degli incontri, tutte tipiche condotte indicative dell’attivita’ di spaccio, elementi oggettivi ed individualizzanti delle plurime gia’ evidenziate chiamate in correita’.
4. I ricorsi vanno pertanto rigettati. Ne consegue ex articolo 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
La giurisprudenza di questa Corte e’ costante nel precisare che, in tema di valutazione della chiamata in reita’ o correita’ in sede cautelare, le dichiarazioni accusatorie rese dal coindagato o coimputato nel medesimo reato o da persona indagata o imputata in un procedimento connesso o collegato, integrano i gravi indizi di colpevolezza di cui all’articolo 273 c.p.p., comma 1, – in virtu’ dell’estensione applicativa dell’articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, ad opera dell’articolo 273 c.p.p., comma 1 bis, introdotto dalla Legge n. 63 del 2001, articolo 11 – soltanto se esse, oltre ad essere intrinsecamente attendibili, risultino corroborate da riscontri estrinseci individualizzanti, tali cioe’ da assumere idoneita’ dimostrativa in ordine all’attribuzione del fatto-reato al soggetto destinatario di esse, ferma restando la diversita’ dell’oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilita’ di colpevolezza del chiamato, rispetto a quella di merito, orientata invece all’acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell’imputato (Cass., Sez. Un., 30 maggio 2006, P.G. in proc. Spennato, Rv. 234598).
Tanto premesso, i ricorsi sono comunque da ritenersi infondati in quanto nella specie la struttura e lo sviluppo argomentativo dell’ordinanza non presentano vizi logici e apprezzabili deviazioni dai canoni valutativi stabiliti dall’articolo 192 c.p.p., comma 3, tanto da riflettersi sulla correttezza dell’accertamento del requisito della gravita’ indiziaria ex articolo 273 c.p.p..
Il tribunale, infatti, ha assegnato decisiva rilevanza non solo alle dichiarazioni convergenti e reciprocamente riscontrantesi di ben cinque chiamanti in correita’, ma altresi’ all’esito delle disposte intercettazioni telefoniche da cui emergeva – oltre al frequentissimo scambio delle schede fra gli indagati – l’uso di linguaggio criptico ed in codice e l’effettuazione di telefonate brevissime di sola definizione degli incontri, tutte tipiche condotte indicative dell’attivita’ di spaccio, elementi oggettivi ed individualizzanti delle plurime gia’ evidenziate chiamate in correita’.
4. I ricorsi vanno pertanto rigettati. Ne consegue ex articolo 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
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