Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 21 gennaio 2014, n. 1120
Ritenuto in fatto
1. – A seguito di appello proposto dal Comune di Campobasso avverso la sentenza del Tribunale della stessa città del luglio 2000, la Corte di appello di Campobasso, con sentenza resa pubblica l’11 ottobre 2007, in parziale riforma della predetta decisione, dichiarava – per quanto ancora interessa in questa sede – “la sopravvenuta nullità/inefficacia dell’opposto pignoramento rispetto” a C.C. , P.R. , D.R.A. , Banca di credito cooperativo di Gambatesa s.c.a.r.l., Curatela del fallimento Tecnitalia s.r.l., con condanna di “costoro a restituire al Comune le somme incamerate per effetto dell’intervenute assegnazione”, nonché al pagamento delle spese processuali del doppio grado.
La Corte territoriale – dato atto che il Comune aveva prodotto, in corso di giudizio, la sentenza n. 143 del 2003, passata in giudicato, con la quale la medesima Corte di appello di Campobasso aveva revocato i decreti ingiuntivi, provvisoriamente esecutivi, già emessi in favore dei predetti creditori e sulla cui base era stato effettuato il pignoramento presso terzi, avverso il quale il Comune aveva proposto opposizione – riteneva essersi verificata la sopravvenuta inefficacia di detto pignoramento, rilevabile in ogni stato e grado del giudizio.
Il giudice di appello escludeva, altresì, che le somme incamerate dalla Banca di credito cooperativo e dalla Curatela fallimentare potessero essere richieste dal Comune solo nei confronti dei loro debitori sostituiti, giacché la Banca e la Curatela avevano materialmente incamerato le somme in forza dell’intervento ai sensi dell’art. 511 cod. proc. civ. nella procedura esecutiva originata dal pignoramento poi divenuto inefficace e, dunque, sui medesimi soggetti gravava il relativo obbligo restitutorio, non potendo il Comune farsi di rapporti interni di credito/debito ai quali era estraneo.
Quanto alla condanna alle spese processuali del doppio grado di giudizio, la Corte territoriale riteneva che l’avere i creditori agito sulla base di un titolo giudiziale provvisoriamente esecutivo non li esonerava dal rischio del venir meno del titolo stesso, sicché su di essi dovevano gravare le spese del giudizio di opposizione risoltosi nella declaratoria di sopravvenuta inefficacia del pignoramento.
2. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre D.R.A. , affidando le sorti dell’impugnazione a quattro motivi.
Resiste con controricorso il Comune di Campobasso, nonché la Banca di Credito Cooperativo di Gambatesa s.c.a.r.l., la quale ha proposto, inoltre, ricorso incidentale sulla base di quattro motivi, facendo proprio anche il terzo motivo del ricorso principale.
Non hanno svolto attività difensiva gli intimati C.C. , P.R. , quale erede di T.C. e procuratrice speciale di T.E. , T.A. e T.P. , quali eredi di T.C. , la Curatela del fallimento di Tecnitalia s.r.l., G.B. , G.S. , G.D. , G.G. e I.S.L. , quali eredi di G.A. .
Considerato in diritto
1. – I ricorsi, giacché proposti avverso la medesima sentenza, vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ..
2. – Con il primo mezzo del ricorso principale proposto da D.R.A. , assistito da quesiti ex art. 366-bis cod. proc. civ., è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ..
Si sostiene che, avendo il Comune di Campobasso, con l’opposizione ex art. 615 cod. proc. civ., sempre ed unicamente addotto motivi concernenti la pignorabilità o meno dei credito oggetto dell’esecuzione forzata presso terzi, sarebbe domanda nuova, proposta per la prima volta in appello (segnatamente, a seguito del deposito della sentenza del 2003 di revoca dei decreti ingiuntivi azionati, passata in giudicato), e come tale inammissibile, quella concernente la sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo.
2.1. – Il motivo è manifestamente infondato.
La censura che esso propone svapora, infatti, al solo misurarsi con la solidità di un diritto da tempo “vivente”, che si compendia nel principio cosi massimato: “ai fini della legittimità dell’esecuzione forzata, non è sufficiente che il titolo esecutivo sussista quando l’azione esecutiva è minacciata o iniziata, ma è necessario che la sua validità ed efficacia permangano durante tutto il corso della fase esecutiva; pertanto, se il provvedimento giudiziale costituente il titolo alla base dell’esecuzione forzata è annullato, l’esecuzione deve arrestarsi e non può più proseguire, e tale sopravvenuta caducazione è deducibile in ogni stato e grado del giudizio di opposizione” (tra le tante, Cass., 9 gennaio 2002, n. 210).
3. – Con il secondo mezzo del ricorso principale, assistito da quesito ex art. 366-bis cod. proc. civ., è prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. e dei principi in materia di rilevanza del giudicato esterno, nonché vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ..
La Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere deducibile d’ufficio il giudicato esterno formatosi sulla revoca dei decreti ingiuntivi posti a base dell’esecuzione forzata presso terzi, giacché l’esecuzione stessa si era orami esaurita “attraverso l’erogazione ai creditori, da parte del terzo pignorato, delle somme pignorate ed assegnate in virtù dell’ordinanza pretorile di assegnazione”. Sicché, non vi era più alcuna procedura esecutiva da arrestare, dovendo semmai il Comune agire per la ripetizione dell’indebito.
3.1. – Il motivo è infondato.
Il principio di diritto che priva di consistenza le censure proposte con il primo mezzo spiega incidenza anche in riferimento alle doglianze mosse con il mezzo in esame, posto che la validità del titolo si palesa come presupposto dell’intera procedura esecutiva (tra le altre, Cass., sez. un., 28 novembre 2012, n. 21110), dovendosi ulteriormente rilevare, nella specie, che l’opposizione all’esecuzione era stata proposta prima della distribuzione del ricavato e, dunque, non poteva non avere effetti sulla stessa procedura esecutiva. Peraltro, stante il carattere “chiuso” di tale procedura, proprio l’eventuale mancanza del giudizio di opposizione non avrebbe più consentito al Comune di avvalersi dell’azione di ripetizione di indebito (in tale prospettiva, Cass., 8 maggio 2003, n. 7036).
4. – Con il terzo mezzo del ricorso principale, assistito da quesiti ex art. 366-bis cod. proc. civ., è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 277 cod. proc. civ., nonché dell’art. III Cost..
La Corte territoriale, nell’accogliere “la domanda nuova dell’appellante”, ha “implicitamente ritenuto assorbita, nei soli confronti dei creditori interessati alla revoca dei titoli esecutivi …, la domanda relativa all’impignorabilità delle somme”, che ha invece ha esaminato nei confronti di altri creditori, con ciò omettendo di pronunciarsi sulla anzidetta domanda, che lo stesso Comune non aveva rinunciato.
4.1. – Il motivo è infondato.
Non è addebitabile alla Corte territoriale alcuna omissione di pronuncia secondo quanto postulato dalla censura, posto che il rilievo d’ufficio sulla sopravvenuta inefficacia del pignoramento, con conseguente assunzione di una decisione coerente al rilievo officioso (dunque, di declaratoria della inefficacia del pignoramento stesso), è statuizione assorbente di ogni altro profilo del thema decidendum, che in essa si risolva anche implicitamente (in tal senso, tra le altre, Cass., 16 maggio 2012, n. 7663), come, nella specie, è da ritenersi la domanda relativa all’impignorabilità delle somme oggetto di decreti ingiuntivi revocati con sentenza passata in giudicato.
5. – Con il quarto mezzo del ricorso principale, assistito da quesito ex art. 366-bis cod. proc. civ., è denunciata violazione o falsa applicazione dell’art. 92 cod. proc. civ., nonché omessa motivazione su un punto decisivo in materia di condanna alle spese di lite.
La Corte territoriale avrebbe dovuto, in ragione della reciproca soccombenza, alla luce della infondatezza della domanda originariamente proposta dal Comune in ordine alla impignorabilità delle somme colpite dall’esecuzione forzata (domanda rigettata dalla Corte territoriale nei confronti “degli appellati G. “), compensare, totalmente o quanto meno per la metà, le spese del secondo grado e compensare integralmente quelle di primo grado, invece di condannare il ricorrente al pagamento delle spese del doppio grado “senza tener conto della sia pur parziale soccombenza dell’appellante e senza nulla motivare al riguardo”.
5.1. — Il motivo è infondato.
È principio consolidato quello per cui il criterio della soccombenza, al fine di attribuire l’onere delle spese processuali, non si fraziona a seconda dell’esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un esito ad essa favorevole (di recente, Cass., 13 marzo 2013, n. 6369).
A tale principio si è conformata la Corte territoriale nell’applicare il criterio della soccombenza, di cui all’art. 91 cod. proc. civ., nei confronti del D.R. , rimasto, per l’appunto, totalmente soccombente all’esito della lite, là dove la evocata soccombenza del Comune ha riguardato la posizione di altre parti processuali.
6. – Con il primo mezzo del ricorso incidentale della Banca di Credito Cooperativo di Gambatesa, assistito da quesito ex art. 366-bis cod. proc. civ., è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione dell’art. 301 cod. proc. civ. e “nullità della sentenza pronunciata dopo il decesso del procuratore costituito”.
La sentenza della Corte di appello di Campobasso, resa pubblica l’11 ottobre 2007, sarebbe nulla in quanto pronunciata dopo la morte, in data 3 settembre 2007, dell’avv. Pizzuti, procuratore costituito nel grado di appello di essa Banca attuale ricorrente incidentale, con ciò essendo stato violando l’art. 301 cod. proc. civ..
7. – Con il secondo mezzo del ricorso incidentale, assistito da quesito ex art. 366-bis cod. proc. civ., è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ..
Il Comune avrebbe sempre ed esclusivamente proposto, in sede di giudizio di opposizione, una domanda relativa all’impignorabilità delle somme assoggettate ad esecuzione, sicché sarebbe nuova ed ulteriore, e come tale inammissibile, la domanda, avanzata solo in sede di precisazione delle conclusioni in grado di appello, relativa alla nullità del pignoramento per sopravvenuta inefficacia del titolo azionato dai creditori procedenti.
8. – Con il terzo mezzo del ricorso incidentale assistito da quesito ex art. 366-bis cod. proc. civ., è prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. III e 511 cod. proc. civ., nonché, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., vizio di motivazione.
La Corte territoriale avrebbe errato nel condannare la Banca alla restituzione delle somme incamerate per non aver considerato che essa agiva “nella procedura esecutiva non nella qualità di creditrice del Comune bensì quale creditrice del procedente D.R.A. , in forza di un titolo autonomo ed irrevocabile (contratto di mutuo ipotecario), diverso e del tutto avulso da quello azionato dal professionista ed annullato con la sentenza prodotta dal Comune in grado di appello”. In tal senso, la Banca aveva agito in base all’art. 511 cod. proc. civ., che non concerne un’ipotesi di successione nel diritto controverso, così da percepire dal terzo esecutato parte delle somme spettanti al D.R. “e ad integrale tacitazione delle proprie ragioni nei confronti di costui”. L’operato della Banca sarebbe, dunque, equiparabile “ad un autonomo pignoramento” effettuato in danno del D.R. e “sulle somme da costui riscosse da un proprio (seppur provvisoriamente) debitore”, senza che possa ritenersi esistente alcuna “commistione tra il rapporto intercorrente tra il Comune ed il D.R. e quello tra quest’ultimo e la Banca, che non era parte del giudizio che ha portato alla revoca del titolo azionato dal professionista”, ai cui relativi effetti “resta totalmente insensibile”.
9. — Con il quarto mezzo del ricorso incidentale, assistito da quesiti ex art. 366-bis cod. proc. civ., è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 92 cod. proc. civ., nonché, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., vizio di motivazione.
Con esso vengono proposte le stesse censure avanzate nel quarto mezzo del ricorso principale del D.R. , deducendosi che la Corte territoriale avrebbe errato a condannare essa Banca al pagamento delle spese del doppio grado “senza tener conto della sia pur parziale soccombenza dell’appellante e senza alcuna motivazione al riguardo”.
10. – Il ricorso incidentale della Banca di Credito Cooperativo di Gambatesa s.c.a.r.l. è inammissibile perché tardivo.
10.1. – Occorre premettere che la sentenza impugnata è stata notificata il 27 dicembre 2007 alla Banca personalmente e non già tramite il procuratore costituito in secondo grado, poi deceduto.
Tale notificazione è rituale.
La Banca non adduce alcunché sul fatto che il decesso (in data 3 settembre 2007) del suo unico procuratore (avv. Pizzuti) sia avvenuto prima o dopo l’udienza di discussione (rectìus: allo scadenza del termine per lo scambio di comparse/memorie, ex art. 190 cod. proc. civ., richiamato dall’art. 352 cod. proc. civ.: cfr. Cass., 7 gennaio 2011, n. 259, sulla equiparazione della discussione al regime di cui al citato art. 190), assumendo soltanto che esso si è verificato “prima della pronuncia della sentenza”. Tuttavia, tale decesso deve ritenersi successivo all’anzidetto momento processuale, posto che la stessa sentenza impugnata indica la data della precisazione delle conclusioni nel 9 maggio 2007, sicché il termine per lo scambio di comparse/memorie scadeva il 29 luglio 2007.
La conseguenza è che, nel caso di specie, correttamente la sentenza è stata notificata alla parte personalmente in applicazione dell’art. 286, secondo comma, cod. proc. civ., il quale opera a maggior ragione nell’ipotesi in cui la morte dell’unico procuratore non dia luogo (secondo un orientamento stabile di questa Corte) all’interruzione del processo proprio per essere intervenuta dopo l’udienza di discussione o lo scambio di atti ex art. 190 cod. proc. civ. (in tale prospettiva, Cass., 30 aprile 2009, n. 10112 e Cass. 17 dicembre 2010, n. 25641).
10.2. – Ciò premesso, rileva nel caso di specie il consolidato principio cosi massimato: “in materia di procedimento civile, sia ai sensi dell’art. 334 cod. proc. civ. che in base al combinato disposto di cui agli artt. 370 e 371 cod. proc. civ., le regole sull’impugnazione tardiva operano esclusivamente in tema d’impugnazione incidentale in senso stretto, e cioè proveniente dalla parte contro la quale è stata proposta l’impugnazione principale, solo alla quale è consentito presentare ricorso nelle forme e nei termini del ricorso incidentale, e solo la quale può avere interesse a contraddire e a presentare, contestualmente con il controricorso, l’eventuale ricorso incidentale anche tardivo. Quando invece il ricorso di una parte abbia contenuto adesivo al ricorso principale, i termini e le forme dell’impugnazione incidentale sono inapplicabili ed il ricorso stesso deve essere presentato in quelli propri del ricorso autonomo di cui agli artt. 325 cod. proc. civ.; a maggior ragione è soggetto ai detti termini ordinari qualsiasi ricorso proposto successivamente al primo, che ha comunque valenza d’impugnazione incidentale qualora investa un capo della sentenza non impugnato con il ricorso principale o lo investa per motivi diversi da quelli fatti valere con il ricorso principale” (Cass., 18 aprile 2002, n. 5635; cfr. anche, tra le altre, Cass., 21 marzo 2007, n. 6807).
L’impugnazione della Banca, come reso evidente dall’esposizione dei relativi motivi, non può essere qualificata come incidentale “in senso stretto”, posto che essa reca censure in parte analoghe a quelle avanzate dal ricorrente principale e in parte diverse, ma pur sempre dirette immediatamente contro la sentenza della Corte territoriale e non già scaturite per effetto dell’impugnazione dello stesso D.R. .
Sicché, essendo stata la sentenza della Corte di appello di Campobasso — come detto – notificata alla parte personalmente in data il 27 dicembre 2007, l’impugnazione della stessa Banca, in quanto notificata il 12 aprile 2008, è stata proposta ben oltre il termine, perentorio (art. 326 cod. proc. civ.), di sessanta giorni previsto dall’art. 325 cod. proc. civ. ed è, quindi, inammissibile.
11. – Va, dunque, rigettato il ricorso principale del D.R. e dichiarato inammissibile quello della Banca di credito cooperativo di Gambatesa s.c.a.r.l., con compensazione integrale delle spese del presente giudizio di legittimità tra le stesse parti, entrambe soccombenti.
Il D.R. va, poi, condannato al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, in favore del Comune di Campobasso, controricorrente in riferimento alla sola impugnazione iscritta al R.G. n. 7591/2008, promossa, per l’appunto, dal D.R. .
Nulla è da disporsi in punto di regolamentazione delle spese processuali nei confronti degli intimati che non hanno svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi;
rigetta il ricorso principale di D.R.A. e dichiara inammissibile il ricorso della Banca di credito cooperativo di Gambatesa s.c.a.r.l.;
compensa integralmente le spese del presente giudizio di legittimità tra il D.R. e la suindicata Banca;
condanna il D.R. al pagamento di dette spese in favore del Comune di Campobasso, che liquida in complessivi Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
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