Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 16 settembre 2014, n. 37862
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SQUASSONI Claudia – Presidente
Dott. FRANCO Amedeo – Consigliere
Dott. DI NICOLA Vito – rel. Consigliere
Dott. RAMACCI Luca – Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze;
nei confronti di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato in (OMISSIS);
avverso la ordinanza del 07/02/2014 del Tribunale della liberta’ di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. DELEHAYE Enrico che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio.
Agli indagati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sono stati provvisoriamente contestati il reato previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 44, lettera b) perche’, il (OMISSIS) quale proprietario e committente, il (OMISSIS) quale direttore dei lavori, il (OMISSIS) quale esecutore dei lavori, in assenza di permesso di costruire, eseguivano lavori di ristrutturazione di un immobile comportanti, nel complesso e funzionalmente, la realizzazione di nuovi volumi ed ampliamento della superficie utile e quindi un’evidente trasformazione urbanistica ed edilizia dei luoghi con aggravamento del carico urbanistico, con mutamento di destinazione d’uso da laboratorio artigianale e magazzino ad abitativo e ufficio.
Ai soli (OMISSIS) e (OMISSIS) e’ stato provvisoriamente contestato il reato previsto dagli articoli 110, 481 e 483 cod. pen. e Legge 7 agosto 1990, n. 241, articolo 19, comma 6, perche’, in concorso tra loro, nella variante finale alla Scia presentata il 9 dicembre 2013 falsamente attestavano che l’appartamento C) era destinato ad ufficio, che i piani sottotetti degli appartamenti A) e B) erano destinati a soffitta e che il piano sottotetto dell’appartamento C) era destinato ad archivio e ripostiglio e la (OMISSIS), nella dichiarazione di fine lavori, attestava la conformita’ dei lavori agli strumenti urbanistici.
Nel pervenire a tale conclusione il Tribunale distrettuale, ritenendo non configurabile il fumus dei reati provvisoriamente contestati, ha osservato che la mera predisposizione di impianti di condizionamento e di riscaldamento nei locali sottotetto non e’ di per se’ sintomatico di un cambio di destinazione d’uso ben potendo rispondere a mere esigenze di climatizzazione dei locali stessi che proprio in quanto maggiormente esposti necessitano di un’adeguata temperatura. Quanto poi alle lievissime discrasie rilevate nei servizi igienici (mq 2,42 anziche’ mq 2,52 e mq 2,22 anziche’ mq 2,52) si tratterebbe di trascurabili divergenze non integranti rilevanti difformita’.
2. Per l’annullamento dell’impugnata ordinanza, il Procuratore della Repubblica di Firenze ha proposto ricorso per cassazione affidando il gravame ad un unico motivo con il quale deduce violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c) per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, erronea applicazione di norme processuali e mancanza della motivazione.
Sostiene il ricorrente che il Tribunale ha omesso di valutare che l’intervento edilizio e’ stato realizzato in assenza di titolo abilitativo in quanto, trattandosi di un intervento di ristrutturazione edilizia con aumento di volume, avrebbe richiesto il previo rilascio del permesso di costruire.
L’intervento, invece, e’ stato realizzato in totale difformita’ rispetto al progetto presentato con la Scia tant’e’ che l’autorita’ comunale, in sede di verifica, aveva ritenuto l’intervento ammissibile a condizione che il piano sottotetto fosse destinato a locale accessorio.
In contrasto con il progetto, sono state invece realizzate tre unita’ immobiliari tutte destinate ad abitazione (mentre uno degli appartamenti era destinato ad ufficio) e tutte le unita’ erano composte di zona giorno al piano terreno e zona notte al piano sottotetto.
Tutto cio’, secondo il ricorrente, emergerebbe in modo assolutamente chiaro dagli accertamenti della Polizia municipale senza che, sul punto, il Tribunale abbia motivato.
Aggiunge il ricorrente che il Collegio cautelare, non solo ha omesso di motivare circa la realizzazione, al piano sottotetto, di servizi igienici non previsti ma, valutando lievi le discrasie rilevate quanto ad essi, sembra addirittura aver ritenuto che questi fossero stati autorizzati, in assenza invece alcun titolo abilitativo.
2. Va preliminarmente precisato che erroneamente il dispositivo di annullamento dell’ordinanza impugnata si dirige verso il “decreto di convalida” del sequestro, che e’ un provvedimento non impugnabile e trovando giustificazione la scelta del legislatore di sottrarre tale atto (fa eccezione l’ordinanza di convalida dell’arresto o del fermo per la quale e’ sempre ammesso, ai sensi dell’articolo 111 Cost., il ricorso per cassazione trattandosi di provvedimenti che incidono sulla liberta’ personale) ai mezzi dell’impugnazione cautelare in quanto la convalida funge da provvedimento diretto esclusivamente a legittimare l’intervento d’urgenza del pubblico ministero (o della polizia giudiziaria), in sostituzione del giudice, ma non comporta il consolidamento della precautela sicche’ il giudice, se richiesto dal pubblico ministero in ossequio al principio della domanda, sarebbe comunque tenuto, pur nel caso di rigetto della richiesta di convalida del sequestro, ad emettere, sussistendo le condizioni, un proprio decreto di sequestro preventivo che costituisce l’unico titolo legittimante il vincolo reale esistente sul bene sequestrato.
In altri termini, il meccanismo della convalida nel processo penale e’ previsto nei casi in cui un organo “incompetente” sia autorizzato, sussistendo determinate condizioni, a sostituirsi a un organo “competente” e quindi ad emettere a titolo provvisorio un atto rientrante, di regola, nelle attribuzioni dell’autorita’ legittimata, in via ordinaria, all’intervento diretto ad intaccare la sfera di liberta’ reale o personale del singolo.
Ne consegue che la convalida, quando interviene, non incide sugli effetti dell’atto provvisorio convalidato e, quindi, non comporta il consolidamento di quegli effetti, risolvendosi solo in un controllo diretto a stabilire se l’intervento dell’organo “incompetente” sia stato bene o male operato.
Come e’ stato efficacemente sottolineato, puo’ dirsi che la convalida guarda al passato e, quindi, per il futuro, occorre, affinche’ perduri una limitazione della liberta’ personale o reale, un autonomo provvedimento idoneo a costituire titolo autosufficiente per fondare una limitazione del diritto di liberta’ cosicche’, nelle cautele reali, e’ nei confronti di detto titolo, il quale assume carattere di stabilita’, che l’ordinamento prevede i rimedi diretti a controllare la legittimita’ della sua introduzione e della sua perdurante vigenza.
Nel caso di specie e’ stato impugnato innanzi al Tribunale del riesame il decreto di sequestro preventivo e il dispositivo di annullamento deve ritenersi emesso nei confronti di tale atto e non dell’ordinanza di convalida.
3. Tanto precisato, questa Corte ha affermato che, in materia di impugnazioni cautelari reali, il ricorso per cassazione e’ consentito solo per violazione di legge contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, con la conseguenza che, in ordine a tali “regiudicande cautelari”, la motivazione del provvedimento impugnato e’ sindacabile in sede di legittimita’ esclusivamente nei casi in cui essa sia del tutto assente o meramente apparente, perche’ sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda processuale e l’itinerario logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato.
Affinche’ sia pertanto predicabile la “violazione di legge”, e’ necessario cioe’ che siano riscontrabili, nel provvedimento impugnato ai sensi dell’articolo 325 cod. proc. pen., vizi in iudicando o in procedendo ovvero vizi della motivazione cosi’ radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692).
Nel caso di specie, la motivazione del tribunale distrettuale non si sottrae alla censura consentita col mezzo di impugnazione azionato (articolo 325 cod. proc. pen.) ed il ricorrente fondatamente lamenta la mancanza assoluta di motivazione, e dunque la violazione di legge, in presenza di una ratio decidendi che ha eluso i punti decisivi sulla cui base il Gip aveva ritenuto di configurare il fumus commissi delicti.
Nessuna motivazione infatti sul mutamento della destinazione d’uso in relazione agli aspetti fattuali della vicenda enunciati nell’imputazione cautelare e tutti sintomatici di un cambiamento della destinazione d’uso dei locali attinti dall’intervento (per aumento di volume, di superficie, di realizzazione di opere interne non consentite e propedeutiche alla variazione dell’uso).
Si deve allora ricordare che questa Sezione ha chiarito che, in tema di reati edilizi, la modifica di destinazione d’uso e’ integrata anche dalla realizzazione di sole opere interne come nel caso di mutamento in abitazione del sottotetto mediante la predisposizione di impianti tecnologici (Sez. 3, n. 27713 del 20/05/2010, P.M. in proc. Olivieri ed altri, Rv. 247919).
4. L’ordinanza impugnata va dunque annullata con rinvio per nuovo esame, dovendo il Giudice del rinvio accertare, con congrua motivazione, se siano state eseguite o meno opere di aumento della superficie e dei volumi o comunque di realizzazione di impianti tecnologici comportanti una modifica della destinazione d’uso e quindi se i ricorrenti abbiano eseguito interventi necessitanti o meno del permesso di costruire, verificando, se del caso, anche l’ulteriore sussistenza o meno delle esigenze cautelari il cui esame e’ stato in precedenza pretermesso, per assorbimento, essendo stato ritenuto mancante il fumus delicti.
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