La massima
Ai fini della configurabilità del tentativo nel reato di cui all’art. 600 ter comma 1 c.p , occorre l’esistenza di una organizzazione anche embrionale e di una condotta potenzialmente diffusiva. Ne consegue che tale circostanza non può rilevarsi per il semplice fatto della disponibilità, da parte di un soggetto di un PC mediante il quale è possibile la diffusione di immagini verso terzi e/o la condivisione con terze persone.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III
SENTENZA 10 ottobre 2013, n. 41776
Ritenuto in fatto
1.1 Con sentenza del 2 luglio 2012, la Corte di Appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale di detta città del 28 febbraio 2012 emessa nei confronti di V.M. , imputato dei reati di cui agli artt. 56 e 600 ter cod. pen. e 609 bis commi 1 e 2 e ter n. 1 cod. pen. in danno, rispettivamente, delle minori infraquattordicenni VE.El. e T.J. , era stato ritenuto colpevole dei detti reati, previa riqualificazione delle condotte indicate nel capo A) nei diversi reati di cui agli artt. 56 – 600 ter comma 1 e 609 quinquies cod. pen. (per il quale non era stata enunciata alcuna contestazione) e condannato alla pena di anni due e mesi sei di reclusione per il reato sub A) come riqualificato ed anni sette di reclusione per il reato sub B), oltre alle pene accessorie di legge ed al risarcimento del danno causato alle parti civili costituite.
1.2 Per l’annullamento della sentenza propone ricorso l’imputato a mezzo dei suoi difensori di fiducia: dopo aver ricostruito i tratti salienti della vicenda ed indicato i soggetti coinvolti e gli episodi oggetto delle contestazioni, la difesa espone articolati motivi, il primo dei quali concerne la violazione di legge per omessa motivazione e/o sua manifesta illogicità, per avere il giudice dell’appello superficialmente valutato l’elaborato scientifico del consulente di parte prof. B. , omettendo di disporre, ex art. 603 cod. proc. pen. perizia tecnica. Con il secondo motivo la difesa denuncia analogo vizio di motivazione, relativamente al reato di cui al capo B), con riferimento alla ritenuta attendibilità della minore T.J. le cui dichiarazioni sono state valutate dalla Corte territoriale in modo superficiale ed approssimativo, trascurando le numerosissime contraddizioni ed incongruità fattuali e logiche in cui la minore era incorsa nel suo racconto. Il terzo motivo concerne, invece, l’omessa motivazione, e sua manifesta illogicità, in relazione alla omessa valutazione di circostanze e prove favorevoli all’imputato ritenute, invece, del tutto inlnfluenti: da qui la sostanziale pretermissione della funzione giurisdizionale da parte della Corte territoriale, per avere dato rilevanza in modo apodittico alla colpevolezza dell’imputato, così violando gli artt. 192 e 546 cod. proc. pen.. Altro motivo (il quarto) è dedicato alla violazione di legge connessa al diniego immotivato della richiesta di rinnovazione parziale dell’istruzione dibattimentale finalizzata alla escussione di alcuni testi indicati dalla difesa e ritenuti indispensabili nell’economia della complessa vicenda processuale. Con il quinto motivo viene denunciata violazione della legge penale, con riferimento al reato di cui al capo A), per avere ritenuto configurabile il tentativo, giuridicamente insostenibile in relazione alla natura del reato, da intendersi quale reato di pericolo concreto. Con il sesto motivo viene denunciata violazione ed erronea applicazione della legge processuale penale (artt. 521 e 522 cod. proc. pen.) in relazione alla pronunciata condanna anche per il delitto di corruzione di minorenni (art. 609 quinquies cod. pen.) pur in assenza di contestazione. Con il settimo, ed ultimo, motivo, si denuncia altra violazione di legge sotto il profilo della omessa motivazione in punto di valutazione della richiesta di parziale rinnovazione della istruzione dibattimentale onde assumere la testimonianza di tale R.F. in merito alla dislocazione delle stanze e dei relativi arredi della casa al mare in cui, secondo la versione accusatoria desunta dalle dichiarazioni di T.J. , sarebbero avvenuti gli abusi, sottolineando come la versione di I.L. (all’epoca fidanzata del R. ), avallata dal detto giovane fosse in stridente contrasto con le dichiarazioni della stessa I. .
1.3 La difesa ha poi depositato, tempestivamente e ritualmente, motivi nuovi con i quali: a) rimarca – quanto al reato di cui al capo A) – l’inconfigurabilità del tentativo e la manifesta illogicità sul punto della decisione impugnata; quanto al delitto di corruzione di minorenne per il quale è stata pronunciata condanna, la violazione della legge processuale per essere intervenuta una pronuncia di condanna per un reato non solo mai contestato, ma neanche ipotizzato dall’accusa in fatto; sempre con riferimento a quest’ultima figura delittuosa ritenuta in sentenza, l’inconfigurabilità giuridica del reato in quanto non corrispondente alla fattispecie ritenuta nella sentenza; quanto al delitto di cui al capo B), la nullità della sentenza per mancanza e manifesta illogicità della motivazione sottolineando, ancora una volta, i vuoti motivazionali in riferimento alla affermata credibilità delle dichiarazioni di T.J. , analizzando, a tale riguardo, i singoli episodi oggetto del suo racconto e poi trasfusi nella contestazione.
1.4 Ha presentato memoria ex art. 121 cod. proc. pen. la difesa della parte civile T.J. , sottolineando come le censure sollevate con il ricorso, oltre ad essere giuridicamente infondate sia per la parte concernente la contestata attendibilità delle dichiarazioni della giovane, sia per la parte riguardate la qualificazione giuridica delle condotte di cui al capo A), contengono censure in fatto, come tali inammissibili: ha quindi, richiesto la integrale conferma della sentenza impugnata e delle statuizioni civili in essa contenute.
Considerato in diritto
1. La vicenda processuale sottoposta all’esame di questo Collegio, estremamente complessa (oltre che sotto l’aspetto fattuale) anche per le questioni giuridiche poste in risalto dalla difesa del ricorrente, impone, anzitutto, una esposizione sintetica, ma non per questo approssimativa, dei fatti che formano oggetto delle contestazioni: si premette che l’episodio delittuoso contestato al capo A) concerne un tipo di reato (pedopornografia minorile nella forma tentata) che vede, quale persona offesa, una minore infraquattordicenne legata da rapporto di parentela (cugina) con altra minore infraquattordicenne vittima di (presunti) abusi sessuali patiti dallo stesso imputato; invece l’episodio delittuoso costituente l’oggetto specifico della seconda imputazione (capo B) riguarda una fattispecie di violenza sessuale nella forma aggravata.
2. Dal punto di vista fattuale, per come la vicenda risulta ricostruita nella sentenza impugnata, i fatti si sarebbero svolti nel seguente modo.
2.a In data (OMISSIS) la signora T.G. (sorella di TO.Ge. , a sua volta cognato dell’odierno imputato in quanto marito della sorella della moglie di V.M. ), madre della minore VE.El. (all’epoca dei fatti undicenne), entrata casualmente in contatto con l’imputato tramite il computer personale di casa in occasione di una ricerca volta a verificare quali fossero le amicizie della piccola El. , si accorgeva di alcuni messaggi inviati alla bambina da un soggetto che si era attribuito il nome convenzionale ‘M. ‘: incuriositasi, la T. scopriva che il ‘M. ‘ in realtà era V.M. e, sempre casualmente, scopriva che questi mandava messaggini notturni alla bambina che destavano il suo sospetto e stupore. Si appurava, quindi, che il ‘M. ‘ aveva compito atti di autoerotismo, debitamente ripresi attraverso le immagini e che alla minore aveva richiesto di mostrarsi nuda, cercando di fare apparire normale tale richiesta con la giustificazione che ‘anche altre (minori) lo fanno’ (pag. 13 della sentenza impugnata).
2.b Fin qui i fatti, confermati nella loro successione storica dalla minore in sede di incidente probatorio.
3. Ora, al di là della questione inerente alla attendibilità delle dichiarazioni della minore, il punto che questa Corte è chiamata a risolvere è se la richiesta del V. , rivolta alla bambina, affinché la stessa si mostrasse nuda al computer, possa integrare, o meno, l’ipotesi del tentativo di realizzazione di esibizioni pedopornografiche o produzione di materiale pedopornografico di cui all’art. 600 ter comma 1 cod. pen..
4. La norma in questione testualmente recita: ‘Chiunque, utilizzando minori degli anni diciotto, realizza esibizioni pornografiche o produce materiale pornografico ovvero induce minori di anni diciotto a partecipare ad esibizioni pornografiche, è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da Euro 25.822 a Euro 258.228’. Si tratta di una previsione normativa contemplata dal comma 1 lett. a) della L. 6.2.2006 n. 38 che ha sostituito il precedente testo, a tenore del quale ‘Chiunque sfrutta minori degli anni diciotto al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico, è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da Euro 25.822 a Euro 258.228’. Per mera completezza, ma con la precisazione della inapplicabilità ratione temporis alla fattispecie in esame, va aggiunto che tale norma ha subito un ulteriore rimaneggiamento per effetto della L. 171/12 con la quale, il primo comma dell’art. 600 ter cod. pen. è stato modificato secondo il testo che segue: ‘È punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da Euro 24.000 a Euro 240.000 chiunque: 1. utilizzando minori di anni diciotto, realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero produce materiale pornografico; 2. recluta o induce minori di anni diciotto a partecipare a esibizioni o spettacoli pornografici ovvero dai suddetti spettacoli trae altrimenti profitto’.
5. Seguendo il testo in vigore al momento del fatto, la questione centrale riguarda, per un verso, il significato del concetto di ‘utilizzazione’ (termine che ha sostituito l’originaria espressione di ‘sfruttamento’) e, per altro verso, la natura del reato (se, cioè, di pericolo astratto ovvero concreto).
5.1 Per quanto riguarda il primo punto, la condotta penalmente rilevante postula la realizzazione di esibizioni pornografiche o la produzione di materiale pornografico con utilizzazione di minori degli anni diciotto o, in alternativa, l’induzione dei minori a partecipare ad esibizioni pornografiche. Quanto al significato del termine ‘utilizzazione’, esso va inteso ai fini della configurabilità della fattispecie incriminatrice, come vera e propria ‘degradazione del minore ad oggetto di manipolazioni, non assumendo valore esimente il relativo consenso’. Le espressioni ‘produzione’ ed ‘esibizione’ richiedono l’inserimento della condotta in un contesto organizzativo ‘almeno embrionale e di destinazione, anche potenziale, del materiale pornografico alla successiva fruizione da parte di terzi’ (così Sez. 3^, 5.6.2007, n. 27252, Aquili, Rv. 237204). In ultima analisi la condotta vietata deve essere inserita in un contesto di organizzazione almeno embrionale nonché in un contesto di destinazione, anche potenziale, del materiale pornografico alla successiva fruizione da parte di terzi.
5.2 Scorrendo il testo di legge conseguente alla riforma del 2006 e comparandolo con il testo codicistico vigente per effetto della L. 269 del 3.8.1998, si può agevolmente affermare, senza tema di smentite, che la sostituzione del verbo ‘sfruttare’ con il verbo ‘utilizzare’ costituisce la inequivoca manifestazione di volontà da parte del legislatore di ampliare la sfera della tutela penale.
5.3 Infatti, mentre il previgente testo era connotato dalla lotta allo ‘sfruttamento’ dei minori per finalità di pornografia, la novella del 2006 ha inteso ampliare la sfera di tutela, non limitandosi alla mera sostituzione del termine ‘sfrutta’ con la parola ‘utilizza’, ma anche modificando i commi successivi, con l’aggiunta, nel comma 2, dell’espressione ‘diffonde’; con la modifica del comma 4 e con l’aggiunta del comma 5, e u.c.: ne è, così, derivata una norma di ampio respiro che, superando le passate incertezze interpretative legate ad una formulazione sostanzialmente rigida, appare indirizzata a punire non solo le attività commerciali o comunque a sfondo economico che si relazionano a condotte pornografiche coinvolgenti minori (concetto che evocherebbe lo sfruttamento inteso in senso economico), ma anche le condotte che, comunque, danno origine a materiale pornografico in cui vengono utilizzati soggetti minorenni.
5.3 La condotta attiva del reato consiste, quindi, nel fare uso di una persona minore che, per ragioni legate all’età, si trova o è posta nelle condizioni di non dare un proprio apporto volontario, sì da diventare per l’agente un mero strumento (privo di personalità autonoma) per il raggiungimento delle finalità che l’agente stesso, suo tramite intende soddisfare.
5.4 Che il termine sfruttamento dovesse intendersi in senso ampio, non circoscritto ad un significato di tipo economico, se ne era resa interprete la stessa giurisprudenza di legittimità che, esaminando la fattispecie sottoposta alla sua valutazione con riferimento alla normativa all’epoca vigente (art. 600 ter comma 1 cod. pen. nel testo introdotto dalla L. 269/98), aveva precisato che il concetto di ‘sfruttamento’ non andava limitato a condotte aventi finalità imprenditoriale o commerciale, dovendo, invece, abbracciare tutte quelle ipotesi in cui si ‘trae frutto o utile’ (così SS.UU. 31.5. 2000, n. 13, P.M. in proc. Bove, Rv. 216337).
5.5 La scelta legislativa costituita dalla sostituzione terminologica nei termini dianzi esposti rappresenta, quindi, il portato giurisprudenziale di una linea interpretativa costante.
6. Queste premesse, per così dire, storico-evolutive sulla norma codicistica in questione servono per inquadrare correttamente la natura del reato in esame.
7. Ed anche questa volta deve constatarsi che le SS.UU., pur nella vigenza del precedente testo che parlava di ‘sfruttamento’ e non di ‘utilizzazione’, precorrendo i tempi, aveva definito la fattispecie come reato di pericolo concreto (e non astratto) sia ricorrendo al criterio semantico che al criterio logico-sistematico, concludendo che la fattispecie potesse dirsi integrata ‘quando la condotta dell’agente che sfrutta il minore per fini pornografici abbia una consistenza tale da implicare concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto’, ricordando che non era possibile ‘realizzare esibizioni pornografiche, cioè spettacoli pornografici, se non offrendo il minore alla visione perversa di una cerchia indeterminata di pedofili’ e che la produzione di materiale pornografico si riferiva a materiale destinato ad essere immesso nel mercato della pedofilia (SS. UU. 13/2000 cit).
7.1 In tale filone interpretativo si inseriscono le numerose pronunce di questa Corte che ribadiscono il concetto di reato di pericolo concreto per quel che attiene alla fattispecie di cui al comma 1 dell’art. 600 ter cod. pen. fino anche ad affermare che si tratta, sostanzialmente, di una forma anticipata di tutela penale (in termini, Sez. 3^ 5.6.2007 n. 27252, Aquili, Rv. 237204; Sez. 3^ 20.11.2007 n. 1814, Marchionni, Rv. 238566; idem 9.6.2009 n. 28524, Ratschiller e altro, Rv. 244595; idem 1.12.2009 n. 9606, P.M. in proc,. M.M. e altro, Rv. 245749).
8. Alla luce di tali brevi considerazioni può quindi dirsi confermata la natura di reato di pericolo concreto della attuale fattispecie delineata dal comma 1 dell’art. 600 ter cod. pen. con la quale si è inteso affermare il principio che la condotta è integrata quando essa risulti idonea a rendere concretamente possibile la diffusione del materiale attesa la possibilità di accesso ad esso da parte di un numero indeterminato di persone.
9. Il successivo passaggio – come esposto dalla difesa del ricorrente – è costituito dalla configurabilità, o meno, del tentativo nei reati di pericolo: ipotesi del tutto esclusa dal ricorrente che ha evocato, a riprova di tale tesi, il concetto di reato di pericolo concreto come ostativo alla sussistenza del tentativo, in contrapposizione alla figura del reato di pericolo astratto. E, ad ulteriore esplicitazione del motivo, il ricorrente ha fatto leva anche sulla figura del reato a consumazione anticipata quale fattispecie generale preclusiva della figura del tentativo intrinsecamente impossibile.
10. In proposito rileva il Collegio, mutuando ciò dalla dottrina penalistica formatasi intorno ai rapporti tra il tentativo e i reati di pericolo o a consumazione anticipata, che, quanto a questi ultimi (per i quali occorre distinguere tra quelli strutturati nella forma del tentativo e quelli che prevedono anche meno del tentativo, cioè la direzione degli atti ma non la loro idoneità ed univocità) è assolutamente dominante l’opinione della inconciliabilità del tentativo. Essa trae spunto da due principali argomenti: a) nei delitti in questione opera una strutturale anticipazione della soglia di tutela, in base alla quale il reato è già perfetto in presenza di semplici atti preparatori; b) sul piano astratto, vi è una incompatibilità tra l’art. 56 c.p. e le fattispecie incriminatrici del c.d. ‘delitto di attentato’ in cui si concreta la figura del reato a consumazione anticipata. Va, peraltro, ricordato che una tesi assolutamente minoritaria ammette la configurabilità del tentativo, ma solo nella forma del c.d. ‘tentativo incompiuto’ (giacché – in tesi – il tentativo compiuto coinciderebbe con il reato perfetto).
11. Quanto, poi, alla figura dei reati di pericolo, secondo una tesi prevalente in dottrina, il tentativo non è ammissibile in quanto – prospettandosi il delitto tentato quale autonomo reato di pericolo – si finirebbe per punire il pericolo di un pericolo, con inaccettabile arretramento della soglia di tutela e violazione del canone di offensività della condotta. Di contro, viene ritenuto possibile il tentativo sulla scorta della ritenuta graduabilità del pericolo, sicché il tentativo sarà configurabile solo quando il pericolo capace di costituire la consumazione sia più intenso di quello capace di costituire il tentativo, sia nel caso dei reati di pericolo di evento, sia nel caso di reati di pericolo di azione. Quale esempio del primo caso si è citato il caso della intercettazione di una lettera minatoria (concretante il tentativo di minaccia); quale esempio del secondo caso si è fatto richiamo alle condotte preparatorie finalizzate alla messa in pericolo della sicurezza dei trasporti ex art. 432 cod. pen. Secondo altra impostazione della dottrina giuspenalistica, vanno distinti i reati di pericolo concreto (in cui il tentativo non sarebbe mai configurabile, in quanto il pericolo costituisce per definizione elemento tipico espresso del reato) dai reati di pericolo presunto o astratto (in cui il tentativo sarebbe possibile, in quanto il pericolo costituisce ratio puniendi e non elemento costitutivo tipico). Una terza opzione interpretativa distingue secondo che la fattispecie incriminatrice di parte speciale, concretante un reato di pericolo, richieda, o meno, una attività determinata, capace di frazionamento e determinante un preciso effetto esteriore: nel primo caso, il tentativo sarebbe configurabile (per attività dirette a ledere il bene protetto diverse da quelle tipizzate ovvero tali da realizzare solo parzialmente la condotta tipica o effetti solo parzialmente coincidenti), nel secondo no.
12. Rispetto a tali posizioni teoriche e con precipuo riferimento – per quanto qui può rilevare – alla figura del reato di pericolo concreto in cui si sostanzia la fattispecie delineata dal comma 1 dell’art. 600 ter cod. pen. – la giurisprudenza (che in linea generale ha assunto atteggiamenti oscillanti, talvolta ammettendo il tentativo e talvolta no) ha, per esempio, escluso la ipotizzabilità del tentativo nel reato di subornazione di cui all’art. 377 cod. pen. (in termini SS.UU. 30.10.2002 n. 37503, P.G. in proc. Vanone, Rv. 222348) ammettendolo, invece, per il reato di induzione a non rendere dichiarazioni ovvero a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria (art.377 bis cod. pen.) (in termini Sez. 6^ 12.7.2006 n. 32633, Lucchetta, Rv. 234876; più di recente Sez. 6^ 25.11.2010 n. 45625, Z. e altro, Rv. 249321). Ancora, è stata esclusa la ricorribilità del tentativo nella ipotesi di incendio di cosa propria (art. 423 cod. pen. comma 1 seconda parte), per il rilievo che, ragionando diversamente si anticiperebbe in modo irragionevole la soglia di punibilità, reprimendo il pericolo di un pericolo (Sez. 1A 13.11.1997 n. 6392, Denaro, Rv. 209832). Analoga soluzione è stata adottata nel caso di istigazione a delinquere, in quanto inquadrata nel novero dei reati di pericolo (in termini Sez. 1^ 29.5.2012 n. 24050, Diliberto e altro, Rv. 253727).
13. Va però dato atto di un minoritario orientamento, che questo Collegio ritiene di non poter condividere alla stregua delle considerazioni sin qui espresse, secondo il quale anche nei reati di pericolo sia possibile il tentativo (così, in tema di falsità ideologica in atti pubblici quale condotta di attestazione in bianco firmata da un pubblico ufficiale si è espressa Sez. 6^ 13.2.1995 n. 4169, Ciccarone e altro, Rv. 201260; ovvero nel caso del favoreggiamento personale qualificato come reato di pericolo a forma libera si è espressa per la soluzione positiva Sez. 6^ 23.1.2003 n. 22523, Picone, Rv. 225971).
14. Riassumendo, data per scontata l’affermazione che nel caso in esame ci si trova in presenza di un reato di pericolo concreto, in coerenza con i principi affermati dalla prevalente giurisprudenza di questa Corte, l’ipotesi contemplata dall’art. 600 ter comma 1 cod. pen. non consente la configurabilità del tentativo.
14.1 Infatti non si ritiene di poter condividere l’argomentazione, per la verità piuttosto semplicistica, del giudice distrettuale secondo la quale nel caso in esame il pericolo concreto sarebbe costituito dalla possibilità – una volta ottenuta l’immagine pornografica desiderata -per l’agente, di diffondere agevolmente tale immagine a terzi mediante utilizzo della web cam attraverso il computer personale.
14.2 Premesso, infatti, che ai fini della configurabilità del tentativo in eventualità del tipo di quella in contestazione, occorre l’esistenza di una organizzazione anche embrionale e di una condotta potenzialmente diffusiva, tale circostanza non può rilevarsi per il semplice fatto della disponibilità, da parte dell’imputato di un PC mediante il quale è possibile la diffusione di immagini verso terzi e/o la condivisione con terze persone, dovendo una simile motivazione qualificarsi come meramente apparente: ciò in quanto si tratta di un apparecchio (il personal computer) assolutamente comune ed in possesso di chiunque, sicché manca quel quid pluris del contesto organizzativo richiesto dalla norma incriminatrice e dalla giurisprudenza di questa Corte, sul quale nessun dato risulta essere stato elaborato da parte del giudice territoriale al di là della sterile affermazione della esistenza di un computer e di una web cam in grado di trasmettere immagini e dunque di valenza sostanzialmente neutra.
15. Ne consegue sul punto, l’annullamento della sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
16. Ancora più agevole la soluzione da adottare con riferimento alla seconda questione prospettata dal ricorrente relativa alla nullità della sentenza per quanto riguarda l’affermazione di responsabilità (anche) per il delitto di corruzione di minorenni.
16.1 Fermo restando che dalle dichiarazioni rese dalla minore – ma anche dalla di lei madre e dalla sorella – effettivamente si verserebbe nella ipotesi tipica del reato di cui all’art. 609 quinquies cod. pen. (ipotesi delittuosa che, sia detto per incidens, è stata rivisitata con la recente legge 1.10.2012 n. 172, non applicabile al caso in esame, ratione temporis in relazione all’epoca di commissione dei fatti), va osservato che tale fattispecie richiede, per la sua configurabilità, la condotta tipica del compimento di atti sessuali in presenza di soggetto minore infraquattordicenne allo scopo di farlo assistere ed è caratterizzata dal dolo specifico, (v. Sez. 3^ 28.4.1997 n. 4761, Panizza, Rv. 208279; Sez. 3^ 12.3.2008 n. 15633, M., Rv. 240035).
16.2 Muovendo, quindi, da una nozione ampia di atto sessuale, il legislatore ha inteso sanzionare anche condotte di mero intenzionale esibizionismo sessuale, altrimenti destinate all’impunità, una volta abrogato l’art. 530 c.p. previgente. L’invito rivolto ad un minore di anni quattordici per assistere a proiezioni pornografiche accompagnate da episodi di esibizionismo sessuale e/o di auto – erotismo configura indubbiamente l’atto sessuale richiesto dalla norma.
16.3 Tuttavia va rilevato che nel caso in esame tale condotta non risulta contestata né attraverso la menzione della norma di legge violata, né in fatto.
16.4 E vero che – secondo l’indirizzo pacifico della giurisprudenza di questa Corte – il giudice può dare al fatto una diversa qualificazione giuridica, senza con ciò incorrere nella violazione dell’obbligo della correlazione tra sentenza e accusa contestata, a condizione, però, che il fatto storico addebitato rimanga identico con riferimento al triplice elemento della condotta, dell’evento e dell’elemento psicologico dell’autore (tra le tante, Sez. 3^ 27.2.2008 n. 15655, Fontanesi, Rv. 239866; più di recente, Sez. 6^ 22.1.2013 n. 5890, Lucera e altri, Rv. 254419 con specifico riguardo alla nozione di identità del fatto).
16.5 Tale principio risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto rispetto al quale non sia stato posto nelle condizioni di difendersi adeguatamente (in termini, tra le tante, Sez. 3^ 18.3.2008 n. 19118, D.S. Rv. 239873; Sez. 4^ 25.10.2005 n. 41663, Cannizzo e altro, Rv. 232423).
16.6 È evidente quindi che quando non sia possibile comparare il reato ritenuto in sentenza con la contestazione originaria, né sia possibile procedere ad una riqualificazione giuridica del fatto storico, si verificherà irrimediabilmente un vulnus del diritto di difesa che rende nulla la sentenza per la violazione del richiamato principio di cui all’art. 521 cod. proc. pen..
16.7 Orbene, nel caso in esame la Corte di appello, senza alcun riferimento alla contestazione – contenente esclusivamente la descrizione di una condotta di utilizzazione di minore per la realizzazione di immagini pedopornografiche – ha individuato una ulteriore condotta, mai contestata, di corruzione di minorenne (astrattamente configurabile solo per effetto delle dichiarazioni della minore) e, senza alcuna richiesta di contestazione da parte del P.M., ha pronunciato la condanna anche per tale fattispecie, senza peraltro, procedere ad alcuna motivazione specifica, essendosi limitata a richiamare i tratti essenziali della norma incriminatrice e le dichiarazioni della persona offesa (vds. pag. 14 della sentenza impugnata).
16.8 Anche su questo punto, quindi, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto per il quale è intervenuta la condanna non risulta contestato.
17. Residua la parte della sentenza riguardante il delitto di violenza sessuale – nella forma consumata – descritto al capo b) in ordine alla quale si osserva quanto segue.
18. Il motivo di ricorso principale, riguardante il difetto di motivazione per contraddittorietà ed illogicità manifesta, è fondato.
19. È noto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, sia l’illogicità manifesta (che si concretizza nella palese incoerenza del ragionamento percepibile ictu oculi) sia la contraddittorietà (che si traduce in una affermazione o un ragionamento uguale e contrario rispetto ad altro vertente sul medesimo punto), deve comunque afferire a vizi che debbono risultare dal testo del provvedimento impugnato. Si parla di manifesta illogicità quando l’incoerenza sia di livello tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità, al riguardo, essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza e dovendosi considerare disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi di diritto (cfr. Cass. Sez. Un. 21.9.2003 n. 47289, Petrella, Rv. 226074; Sez. 3^ 12.10.2007 n. 40542, Marrazzo e altro, Rv. 238016).
20. Quanto al concetto di contraddittorietà introdotto come vizio autonomo dalla L. 46/06, essa si manifesta come una incongruenza interna tra svolgimento del processo e decisione e si atteggia, quindi, come una sorta di contraddittorietà ‘processuale’ in contrapposizione alla contraddittorietà ‘logica’ che è intrinseca al testo del provvedimento. A tale genus appartiene, per effetto della ricordata riforma del 2006, anche il vizio di travisamento della prova qualificabile come un tipico esempio di contraddittorietà processuale (in termini Sez. 6^ 18.11.2010 n. 8342, P.G. in porc. Greco, Rv. 249583). Più in generale si parla di contraddittorieta della motivazione quando essa non sia adeguata in quanto non permette un agevole riscontro delle scansioni e degli sviluppi critici che connotano la decisione in relazione a ciò che è stato oggetto di prova (così Sez. 6^ 14.1.2010 n. 7651 P.G. in proc. Mannino, Rv. 246172). In ultima analisi il vizio in questione di sostanzia ‘nell’incompatibilità tra l’informazione posta alla base del provvedimento impugnato e l’informazione sul medesimo punto esistente in atti (si afferma ciò che si nega e si nega ciò che è affermato)’ (in termini Sez. 3^ 21.11.2010 n. 12110, Campanella e altro, Rv. 243247).
21. Fatte tali premesse, in più punti la motivazione con la quale il giudice distrettuale ha valorizzato – giudicandola particolarmente attendibile – la testimonianza di T.J. presenta gravi carenze strutturali sotto il profilo logico. E considerazioni non dissimili valgono anche per la valutazione di altre testimonianze che la Corte ha qualificato riscontri della testimonianza della p.o. e che, invece, non solo non appaiono tali, ma, a loro volta, si profilano tra loro intrinsecamente contrapposte.
21.1 Per meglio comprendere il senso di tali affermazioni, occorre ricordare, in punto di fatto, che la vicenda riguardante la minore T.J. si riferisce ad alcuni episodi temporalmente collocati tra il XXXX e l'(OMISSIS) , avvenuti in parte a XXXXXX, nella abitazione dell’imputato ed, in parte, nella abitazione estiva di pertinenza della famiglia del V. sita in località (OMISSIS) .
21.2 A dire della minore J. , la stessa sarebbe stata fatta oggetto da parte dell’imputato, di attenzioni sessuali e toccamenti nelle sue parti intime (in particolare il seno) oltre che di approcci alle parti intime dell’imputato (i genitali), attuati attraverso la apprensione della mano della minore e il suo accostamento agli organi sessuali dell’imputato (così a pag. 20 della sentenza impugnata): tali approcci – ripetutisi per alcune volte in successione – sarebbero avvenuti nella stanza della figlia dell’imputato V.C. , cugina più grande della piccola J. che, a quell’epoca aveva circa 10 anni.
21.2 In modo davvero sintetico e ben poco rispettoso della necessità di un approfondimento, anche alla luce delle testimonianze rese da soggetti adulti (S..S. madre di J. e sorella della moglie dell’imputato), ritenute dalla stessa Corte territoriale inattendibili, il giudice distrettuale giudica credibile il racconto della minore J. , formulando, però, su alcuni degli accadimenti avvenuti nella abitazione milanese, ipotesi probabilistiche (‘non è possibile escludere che in qualche momento J. fosse entrata nella cameretta’ [della cugina C..V. ] ovvero adoperando, quale riscontro, il fatto che sia la cugina C..V. o la moglie dell’imputato (F..S. ) hanno ammesso che il V.M. era sporadicamente presente nella casa in concomitanza con la presenza della nipote J. , per trarne la conseguenza che la sporadicità dei toccamenti riferita dalla minore coincideva con la sporadicità della presenza del V. nella casa (così pag. 20 della sentenza impugnata).
21.3 Anche l’episodio del toccamento del seno in coincidenza con la presenza della piccola J. nella casa dell’imputato in occasione della veglia funebre per la morte di un congiunto (pag. 21 della sentenza impugnata) viene descritto dalla Corte territoriale in termini probabilistici sulla base di un vero e proprio atto di fede verso (le dichiarazioni del)la minore che aveva parlato di un toccamento del seno mentre il V. le rimboccava le coperte del letto in cui la bambina si apprestava a dormire.
21.4 È, infatti, la Corte a ricordare che era stata la cugina V.C. a riferire che, dietro sua sollecitazione, J. , suo fratello più piccolo ed il fratellino della stessa V.C. si erano recati a dormire nella casa dell’imputato e che la moglie ed il suocero dell’imputato avevano confermato la circostanza.
21.5 Ma è evidente come una circostanza del genere, confermata de relato, ma priva del requisito della individualizzazione, si profila come una circostanza generica inadeguata a costituire riscontro, necessario, invece, attesa la genericità del racconto della minore J. . La stessa presenza continua del V. nella casa in quella circostanza luttuosa viene messa in discussione dalla Corte di Appello laddove si afferma che è pure possibile ipotizzare che in qualche momento il V. si fosse allontanato – come da lui ammesso nell’interrogatorio – dalla abitazione (il che contribuisce a rendere la testimonianza de relato non sicura).
21.6 Anche i riferimenti temporali appaiono generici e la Corte, su tale punto, si limita soltanto ad affermare che si tratta, pur nella genericità dei riferimenti, di incertezze mnemoniche compatibili con il tempo trascorso.
21.7 Viene trattato sin troppo genericamente il tema della genesi delle rivelazioni di J. che la Corte ancora al periodo in cui la stessa ha appreso degli approcci fatti via computer dal V. verso VE.El. , decidendosi a parlare solo dopo che queste rivelazioni erano state fatte dalla madre di El. : è noto come uno dei requisiti della attendibilità intrinseca del narrato di un minore vittima di abusi sessuali sia costituito dalla genuinità del racconto che, nel caso in esame, viene ricollegata alla normalità della reazione di J. , una volta saputo degli approcci del V. verso la piccola El. , senza alcun approfondimento sul punto (vds. pag. 21 della sentenza).
22. Carenze motivazionali, incongruità logiche e manifeste contraddittorietà si rinvengono in modo ancor più marcato con riferimento agli accadimenti dell'(OMISSIS) avvenuti nella abitazione estiva di (OMISSIS) .
22.1 Certamente degni di nota e meritevoli di una approfondita riflessione che la Corte territoriale non ha certamente operato, prestando fede incondizionata al racconto di J. per i fatti accaduti quando la stessa aveva già raggiunto i 14 anni di età (e dunque i suoi ricordi sarebbero dovuti essere particolarmente nitidi), i rilievi difensivi afferenti agli episodi dell'(OMISSIS) .
22.2 Anche in questo caso occorre rievocare, per sintesi, quanto asseritamente avvenuto nell’abitazione estiva di (OMISSIS) .
22.3 In occasione delle vacanze estive del 2006 le famiglie T. (composta dai coniugi TO.Ge. – S.S. e dai figli J. e D. ) e V. (composta dai coniugi V.M. – S.F. e dai figli C. e A. ) si erano incontrate nella abitazione estiva della famiglia V. sita a (OMISSIS) : si trattava di una abitazione costituita da un piccolo salone con angolo cottura, due camere da letto (una con letto matrimoniale e due letti a castello; l’altra con due letti singoli) oltre i servizi.
22.4 Secondo quanto riferito da J..T. , a causa dell’arrivo a notte inoltrata in quella località, lei e il fratellino Danny si sarebbero accomodati nella casa del V. per dormire, mentre i genitori sarebbero rimasti in auto. In particolare – sempre secondo il racconto della ragazza – nel letto matrimoniale si sarebbero coricati lei e il fratello D. , mentre V.M. rimaneva al centro tra i due minori e il piccolo V.A. si posizionava in uno dei due letti a castello; nella seconda stanza si posizionava soltanto S.F. , moglie del V. , in quanto la figlia C. era assente.
22.5 A dire di J. gli abusi sessuali sarebbero avvenuti la stessa notte dell’arrivo della famiglia T. , ad opera del V. che approfittava del fatto che la nipote J. giaceva coricata accanto a lui nel letto matrimoniale.
23. Secondo una diversa ricostruzione della dislocazione degli occupanti la casa, operata dalla difesa, nel letto matrimoniale si trovavano i coniugi V. (M. e la moglie F. ), mentre il piccolo A. si posizionava nel letto a castello sito nella stessa stanza dei genitori; nella seconda stanza si posizionava C..V. coricandosi su uno dei due letti singoli, in attesa dell’arrivo della cugina J. che, in effetti, arrivava con la sua famiglia intorno alle ore 3-4 del mattino: in quella circostanza, mentre J. si posizionava nel secondo letto singolo accanto a quello della cugina C. , il fratellino di J. , D. , si posizionava nel secondo letto a castello sito nella stanza da letto dei coniugi V. , mentre i genitori di J. e D. rimanevano in macchina fuori dalla casa. Un’ora dopo l’arrivo della famiglia T. , giungevano I.I. (altra figlia di primo letto di T.G. , sorella di TO.Ge. e moglie di VE.An. , padre di El. (l’altra minore oggetto delle richieste pedopornografiche ad opera del V. ) e il fidanzato dell’epoca R.F. . Questi ultimi due si posizionavano nei due letti singoli in cui riposavano le minori C..V. e J..T. dopo aver accostato i due letti.
24. Si tratta – come è agevole notare – di due versioni diametralmente opposte e rilevanti ai fini del decidere, in quanto è evidente che se fosse stata vera la seconda versione, ben difficilmente sarebbero potuti avvenire gli abusi notturni descritti da J..T. .
25. Le considerazioni svolte dalla Corte territoriale al riguardo appaiono frutto di valutazioni apodittiche, posto che si basano sulla implausibilità logica delle spiegazioni fornite da S.F. (moglie del V. ) che avrebbe cercato di chiarire le ragioni della assenza dei piccoli D. e A. in occasione della ‘foto di gruppo’ ritraente i giovani J. , C. , I. e F. sui due letti singoli accostati tra loro: la Corte ha, infatti, definito illogica la spiegazione fornita da S.F. secondo la quale i due bambini, dopo appena due ore di sonno, si sarebbero appartati fuori dalla casa per giocare tra loro, mentre i cuginetti più grandi erano rimasti sui due letti della seconda stanza. La implausibilità della spiegazione deriverebbe dalle pochissime ore di sonno dei bambini, giudicata ostativa alla possibilità che i due giocassero già nelle prime ore del mattino.
26. Quanto alle testimonianza resa da S.L. (suocero del V. ), la Corte territoriale ha ritenuto fondamentale, per escludere che la fotografia di gruppo fosse stata scattata in prossimità dell’arrivo di J. nella casa di (OMISSIS) la versione fornita dal S. , a dire del quale egli avrebbe soggiornato nella casa estiva dal (OMISSIS) quando già J..T. con la sua famiglia era lì da alcuni giorni (per come gli era stato riferito da altri): dunque ben prima del (OMISSIS), giorno in cui sarebbero avvenuti i fatti e sarebbe stata scattata la fotografia di cui sopra.
27. Medesima sorte ha riservato la Corte alla testimonianza della stessa I.I. secondo la quale al momento del suo arrivo a (OMISSIS) con il fidanzato dell’epoca (R.F. ) già la famiglia di J. si trovava lì da qualche giorno.
28. E la Corte territoriale, in quest’opera demolitiva della ricostruzione alternativa proposta dalla difesa (poggiante sulle testimonianze di TO.Ge. e S.S. e sulle riferite incongruenze di T.J. ) prosegue evidenziando le incertezze mnemoniche di V.C. in merito alla data ed orario di arrivo a (OMISSIS) della coppia di fidanzati I. – R. , affermando trattarsi più di una ricostruzione a posteriori sulla base della ricordata ‘foto di gruppo’ che di un ‘ricordo reale’ (pag. 17 della sentenza impugnata).
29. È la Corte a bollare come assolutamente inattendibile la testimonianza di S.S. (madre di J. ) solo perché sarebbe entrata in conflitto con J. (da lei ritenuta poco credibile) associandosi alla sorella nella difesa a spada tratta dell’imputato (così pag. 18 della sentenza).
30. È sempre la Corte a dequalificare la testimonianza di TO.Ge. (padre di J. ), secondo il quale, al momento del suo arrivo unitamente alla propria famiglia, nella casa di (OMISSIS) (arrivo temporalmente collocato tra le 4,30 e le 5 del mattino del (OMISSIS)), l’intera famiglia V. si trovava in casa, C. compresa, qualificando tale affermazione come una supposizione, sol perché egli con la moglie S.S. erano rimasti fuori nella loro auto a dormire, non essendovi posto nella casa. Si osserva, al riguardo, che appare ben più logico che TO.Ge. o la moglie S.S. (o tutti e due) abbiano accompagnato i loro figli dentro la casa per sincerarsi della loro sistemazione e dunque avendo la possibilità di verificare la presenza di V.C. nella casa.
31. Le incongruenze ravvisate dalla difesa dell’imputato nel racconto di J..T. vengono superate dalla Corte di Appello con ragionamenti apodittici, se non proprio illogici, come quando si afferma (pag. 18 della sentenza) che non può ritenersi anomala la collocazione dei letti come descritta da J..T. , ritenendo plausibile il fatto che la ragazzina dormisse nel letto matrimoniale accanto a V.M. , sia pure insieme al fratellino Danny (posizionato dal lato opposto) in quanto il V. avrebbe assunto nella circostanza una funzione, non meglio spiegata, di ‘vigilanza’. Non risponde ad alcun criterio logico che dovesse essere proprio il V. a svolgere la funzione di vigilanza e non S.F. , moglie dell’imputato che si era posizionata nella seconda stanza in uno dei due letti singoli, tanto più che secondo la versione privilegiata dalla Corte territoriale, la figlia C. non era in casa e dunque il secondo letto era libero ed avrebbe ben potuto ospitare la giovane J. .
32. Che tale sistemazione fosse assai più logica si ricava proprio da quanto riferito da T.G. (zia di J. e moglie di VE.An. ), a dire della quale era stata proprio J. ad insistere per poter dormire nella stanza in cui si trovava la zia S.F. (la moglie del V. ) e non nel letto matrimoniale insieme all’imputato (pagg. 18-19 della sentenza).
33. Così come risponde ad un ordinario criterio logico che, essendo in casa il V. e la moglie, fosse costei a dormire nel letto matrimoniale accanto al marito, magari con un ospite provvisorio rappresentato dal piccolo D. (bambino di circa sei anni) e a dirottare la nipote J. nella seconda stanza in uno dei due letti in cui si trovava la cugina C. o (ammesso che la stessa non fosse in casa) in attesa del suo arrivo.
34. Non appare per nulla persuasiva, ed anzi, frutto di marcata illogicità, l’affermazione tranchant della Corte secondo la quale J. non avrebbe avuto alcuna ragione per escludere la presenza della cugina C. nella casa al momento del suo arrivo, sottolineando come fosse assai più logico che madre (S.F. ) e figlia (C. ) dormissero nella seconda stanza con i letti singoli, mentre il V. ospitasse nel letto matrimoniale J. e D. per evitare che i due fratelli restassero separati (pag. 15 della sentenza).
35. Non convincente l’affermazione della Corte secondo la quale J. non avrebbe avuto alcuna ragione di escludere il successivo arrivo nella casa estiva di I.I. perché ‘si tratterebbe di un accadimento successivo alla sistemazione nei letti’, laddove si pensi alla decisività del particolare, ove vero, che avallerebbe la versione secondo la quale J. in realtà dormiva nella seconda stanza e non letto matrimoniale.
36. Anche le diffuse spiegazioni fornite dalla Corte distrettuale per smentire l’autenticità (quanto alla data) della fotografia di gruppo, oltre che ridondanti, appaiono frutto di supposizioni e non di un meditato ragionamento traente origine da dati processuali.
37. Decisamente marcate alcune incongruenze o deficienze mnemoniche (come il particolare delle perdite ematiche riferite dalla minore J. in sede di incidente probatorio ma mai accennate nelle sommarie informazioni; o, ancora, la mancata presenza della coppia I. – R. ; o l’abbigliamento indossato da J. all’atto del suo arrivo nella casa estiva di (OMISSIS) che, secondo i ricordi della ragazzina, era costituito da un paio di pantaloncini, mentre, secondo una opposta versione, era costituito da jeans lunghi che avrebbero reso più problematico, vista la presenza del piccolo D. nel letto matrimoniale, il tentativo di congiungimento carnale da parte del V. così come narrato da J. ).
38. Senza alcuna pretesa di esaustività con riguardo alla indicata presenza di tracce ematiche, non appare tanto irragionevole la dimenticanza della ragazza, quanto la spiegazione che la Corte ha dato per giustificarla: ovverossia che la ragazza, non sollecitata da una domanda specifica rivoltale nella fase sommaria, ha parlato soltanto di toccamenti sotto le mutandine, mentre, invitata successivamente a riferire sulla presenza di tracce di sangue, ne ha parlato aggiungendo che se non sollecitata al particolare ‘io, se posso non dico niente’ ed avallando tale spiegazione con il conforto della psicologa che aveva seguito la minore (vds. pag. 20 della sentenza). Si tratta di una spiegazione non solo illogica, ma nient’affatto rispettosa di quello che costituisce la regola prima della attendibilità intrinseca del minore abusato: quella di raccontare la verità e i particolari, senza sollecitazioni specifiche, che invece possono negativamente incidere sulla genuinità delle dichiarazioni.
39. Ben poco persuasiva la spiegazione circa la genesi del racconto di J. laddove la Corte ricorda che degli abusi la ragazza avrebbe parlato, prima della denuncia, con due sue amichette (SC. e SA. ) e solo dopo, con la madre, riservando a tale accadimento pochissime righe di motivazione (pag. 14 della sentenza).
40. Frutto di manifesta illogicità e contraddittorietà l’affermazione della Corte circa la precisione e particolarità del racconto della minore abusata laddove il suo narrato è pieno di incertezze ed incongruenze che la Corte di affretta a depotenziare ritenendole irrilevanti o marginali, ma senza alcun approfondimento ed anzi, con considerazioni di troppo a loro volta illogiche.
41. Frutto, sempre, di manifesta illogicità e soprattutto contraddittorietà in senso ‘processuale’, sotto il profilo del travisamento della prova, la categorica affermazione della Corte in merito alle ragioni e tempi della presenza di I.I. (definita dal giudice distrettuale frutto di una mera casualità) nella casa estiva di (OMISSIS) : secondo la ricostruzione offerta dal giudice del gravame non è vero che la I. sarebbe arrivata nelle prime ore del mattino del (OMISSIS) , ma in altro giorno e che sarebbe entrata in casa, sì da vederla nella sua disposizione interna (che riusciva a descrivere), a causa di un improvviso acquazzone pomeridiano che la avrebbe costretta a rifugiarvisi, proseguendo con il dire che le dichiarazioni della ragazza trovavano riscontro nelle dichiarazioni del suo fidanzato R.F. .
42. In realtà – per come evidenziato dalla difesa dell’imputato – per un verso si coglie una aperta contraddizione in punto di descrizione dell’interno della casa, in quanto la ragazza si limita a descrivere la camera da letto matrimoniale senza fare il minimo cenno della stanzetta con i letti singoli dove la giovane è certamente entrata, in quanto ivi ritratta dalla fotografia (e ciò indipendentemente dal giorno in cui la ragazza sarebbe stata in quella casa).
42.1 Per altro verso – e con riferimento alla riferita causalità della presenza della I. nella casa a causa di un improvviso temporale, si coglie a piene mani il contrasto tra quanto detto dalla ragazza e quanto riferito dal R. che ha parlato, invece, di un invito a cena per quella sera fatto dalla famiglia V. , che lo aveva indotto a recarsi fuori per acquistare un dolce: nessun accenno a tali disarmonie, che pure apparivano evidenti e necessitavano di un approfondimento specifico.
43. Per concludere, le incertezze, incongruenze e contraddittorietà delle quali è costellata la motivazione e lo stesso percorso ricostruttivo di una vicenda particolarmente complessa che vede co-protagonisti ben tre nuclei familiari tra loro strettamente imparentati, sono tali da viziare irrimediabilmente il costrutto motivazionale della intera decisione per quanto riguarda il reato di cui al capo b) nella intera globalità (si pensi all’ampio arco temporale in cui sarebbero stati commessi gli abusi). Senza dire di un vero e proprio refuso del quale è traccia alla pag. 5 della sentenza, laddove, menzionando la sentenza di primo grado si parla – quanto al reato sub b) – di fatti ‘precedenti al 9.5.1996’ ‘aggravati anche ai sensi dell’art. 609 ter cod. pen.’, quando pacificamente – a stare alla contestazione – gli episodi di asserita violenza sessuale sarebbero avvenuti tra il XXXX e l'(OMISSIS) . Anche su tale punto la Corte, quanto meno, avrebbe avuto il dovere di fare chiarezza eliminando tale laconica espressione palesemente contrastante con la realtà processuale.
44. L’approssimazione e superficialità motivazionale caratterizzano la sorprendente – per la sua manifesta illogicità – risposta offerta dalla Corte alla richiesta di parziale rinnovazione dibattimentale (disattesa per carenza dei presupposti di cui all’art. 603 cod. proc. pen. – così a pag. 17 della sentenza impugnata), laddove, a giustificazione del diniego, si cita il riscontro alle dichiarazioni di I.I. rappresentato dalle dichiarazioni del R. che certamente tale non era o, quanto meno, che necessitava di uno specifico chiarimento soprattutto sul particolare della casualità della presenza di quella coppia nella casa di (OMISSIS) .
45. Per completezza osserva il Collegio – con riferimento al generale tema della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello e delle censure deducibili in sede di legittimità in caso di diniego della richiesta o suo mancato accoglimento – che, stante l’eccezionalità dell’istituto processuale contemplato nell’art. 603 cod. proc. pen., il mancato accoglimento della richiesta volta ad ottenere detta rinnovazione può essere censurato in sede di legittimità quando risulti dimostrata, indipendentemente dall’esistenza o meno di una specifica motivazione sul punto nella decisione impugnata, la oggettiva necessità dell’adempimento in questione e, quindi, l’erroneità di quanto esplicitamente o implicitamente ritenuto dal giudice di merito circa la possibilità di ‘decidere allo stato degli atti’, come previsto dall’art. 603, comma 1, c.p.p. In altri termini va dimostrata l’esistenza, nel tessuto motivazionale che sorregge la decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità ricavabili dal testo del medesimo provvedimento (come previsto dall’art. 606, comma 1, lett. a), c.p.p.) e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate qualora fosse stato provveduto, come richiesto, all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in sede di appello. (Cass. Sez., 1^ 28.6.1999 n. 9151, Capitani, Rv. 213923).
45.1 Ed è proprio quello che è avvenuto nel caso in esame in cui la Corte territoriale, anziché farsi carico di un approfondimento di circostanze decisive proprio sulla base di numerosi dati processuali tra loro contrastanti e soprattutto dei ricordi riferiti da I.I. e R.F. su un punto specifico che certamente presentava dei particolari non chiari, ha, in modo quanto mai superficiale, negato ingresso alla richiesta facendo leva su una circostanza, ritenuta pacifica e che, invece, costituiva il nodo centrale da risolvere.
46. Alla stregua di tali considerazioni la sentenza impugnata va annullata in parte qua (con riferimento al reato di cui al capo b) con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano che avrà cura di risolvere tutte le incertezze evidenziate da questa Corte e soprattutto i punti di contrasto tra le varie dichiarazioni, oltre che tutte quelle contraddizioni intrinseche ravvisabili nella dichiarazioni di T.J. , facendo applicazione delle regole interpretative enunciate da questo Collegio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente al reato di cui agli artt. 81 cpv., 56 e 600 ter cod. pen. come specificato al capo A), perché il fatto non sussiste e relativamente al reato di cui all’art. 609 quinquies cod. pen., come ritenuto in sentenza, perché il fatto non è stato contestato. Annulla la sentenza con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano per i reati di cui al capo B).
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