Suprema CORTE DI CASSAZIONE
sezione II
sentenza 18 marzo 2014, n. 12736
Fatto
1. Con ordinanza del 08/10/2013, il Tribunale del Riesame di Brescia annullò la misura cautelare degli arresti domiciliari applicata dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale della medesima città a Z.E. , indagata per i seguenti reati:
1.1. capo sub B) artt. 56-317-629 cod. pen. “perché nelle sue funzioni di Sindaco del Comune di Montichiari, compiva atti diretti in modo non equivoco, a costringere la Gedit S.p.A., proprietaria della discarica Gedit di Montichiari con una capacità complessiva di deposito pari ad 944.000 metri cubi, a sottoscrivere una convenzione per il riconoscimento al Comune di Montichiari del pagamento di una somma periodica quale ristoro ambientale di Euro 9 a tonnellata senza peraltro che fossero indicati i relativi vincoli di destinazione e comunque del tutto sproporzionata rispetto ai parametri della discarica ed ai contributi richiesti alle altre discariche presenti in zona e, comunque ed in alternativa, a distruggere economicamente la Gedit costringendola alla chiusura o alla vendita a soggetti graditi al Comune, così da ottenere a favore del Comune di Montichiari il profitto ingiusto consistente nella somma oggetto della convenzione sopra indicata ed in ogni caso il ritorno di immagine in vista di successivi impegni elettorali considerato il suo ruolo nella vicenda.
In particolare dopo che la Gedit aveva rifiutato di sottoscrivere la convenzione sopra indicata:
– iniziava un’attività di condizionamento della popolazione sulla questione degli odori asseritamente provenienti dalla discarica Gedit anche attraverso l’invio di moduli prestampati e precompilati che addebitavano alla Gedit odori nauseabondi ed effetti sulla salute non sussistenti inducendo in molti casi la popolazione a sottoscriverli;
– condizionava l’attività della Polizia locale di Montichiari in merito ai controlli sulla Gedit che per numero ed oggetto avevano l’unico scopo di ottenere la chiusura della discarica, istigando gli appartenenti alla Polizia locale a redigere annotazioni false quanto all’intensità degli odori percepiti ed alla loro provenienza nonché circa le modalità con cui dovevano essere sentiti a sit le persone che avevano segnalato disagi o sul contenuto delle varie annotazioni redatte;
– emetteva atti palesemente illegittimi quali l’ordinanza contingibile ed urgente n. 1/2012 con la quale ordinava alla Gedit S.p.A. la sospensione dell’attività di gestione e conferimento rifiuti nella sua discarica di (OMISSIS) fino al 17 gennaio 2012, ordinanza che veniva immediatamente sospesa dal TAR e che aveva l’unico scopo di danneggiare l’immagine e l’attività della Gedit. In Montichiari in corso di esecuzione”;
1.2. Capo sub c) “Reato p. e p. dagli art. 323, 479 c.p., perché nelle sue finzioni di Sindaco del Comune di Montichiari con l’ordinanza contingibile ed urgente n.1/2012 con la quale ordinava alla Gedit S.p.A. la sospensione dell’attività di gestione e conferimento rifiuti nella sua discarica di (OMISSIS) fino al 17 gennaio 2011, attestava falsamente che:
– sussistesse la situazione di emergenza sanitaria legittimante il potere del Sindaco, atteso che l’ordinanza si basava su di un unico episodior fornito di positivo riscontro e concernente alcune aziende, peraltro non meglio specificate, in cui il medico competente di dette aziende, in data 9 gennaio 2011, aveva segnalato il malessere riferito dai dipendenti come conseguente agli odori di cui peraltro nulla si diceva quanto all’origine;
– l’origine di tali odori molesti fosse la Gedit S.p.A.;
– la presenza di odori nauseabondi provenienti dalla discarica Gedit avesse causato problemi respiratori con conati di vomito, mal di testa e forte bruciore ad occhi e gola ad alcuni bambini recatisi presso la scuola elementare di (OMISSIS) , dal momento che era stata proprio la Z. a recarsi presso la scuola di (OMISSIS) ed ad indurre i genitori dei bambini e sottoscrivere schede precompilate e distribuite dalla stessa Z. , in cui erano già compilate le parti in cui si dichiarava che l’odore era altissimo pungente ed acre che i sintomi fossero bruciore agli occhi, alla gola nausea e vomito che la sensazione olfattiva fisse disgustoso, fecale nauseabondo, nauseante, putrido, marcio sgradevole e che la direzione del vento fosse dalla Gedit verso la scuola;
ed inoltre ometteva di rappresentare che l’attività istruttoria compiuta dall’Arpa di Brescia in data 9.1.2011 per verificare la presenza di odori presso la discarica Gedit aveva attestato che oltre i 150 metri dalla discarica in direzione del Comune di (OMISSIS) non erano percepibili odori. Quindi con tale ordinanza peraltro palesemente illegittima perché in violazione degli art. 50 comma 5 e 54 del Dlvo 267/00 intenzionalmente cagionava un danno alla Gedit S.p.A. In (OMISSIS) ”.
2. Il Tribunale del Riesame ritenne l’insussistenza dei suddetti reati, adducendo la motivazione di seguito indicata.
2.1. In relazione al capo sub b (tentata estorsione), il Tribunale del Riesame, ha premesso di condividere la decisione del giudice per le indagini preliminari il quale, a fronte di un capo d’incolpazione con il quale il Pubblico Ministero aveva contestato, in via alternativa, alla Z. , per lo stesso fatto, sia il reato di tentata concussione che quello di tentata estorsione, aveva ritenuto che, nella fattispecie, non era configurabile il reato di tentata concussione. Il Tribunale del Riesame, infatti, sul punto, ha osservato che: “secondo un costante orientamento di legittimità se l’induzione o la costrizione valgono ad ottenete dal soggetto passivo una prestazione nell’esclusivo interesse della P.A. ed un’utilità per quest’ultima per il perseguimento dei suoi fini istituzionali non è integrato il delitto di concussione, sia perché in tal caso non vi è lesione dell’oggetto giuridico della fattispecie incriminatrice (buon andamento della p.a.), sia per mancanza di tipicità del fatto, atteso che l’agente non può identificarsi nell’ente pubblico e quest’ultimo non può considerarsi terzo beneficiario dell’utilità per il rapporto di rappresentanza organica che lega l’ente al suo funzionario”: Cass. 45135/2001 Rv. 220386; Cass. 31978/2003 Rv. 226219.
D’altra parte, quanto all’ulteriore requisito materiale dell’utilità, lo stesso giudice per le indagini preliminari, aveva escluso la configurabilità, in capo alla Z. , di un qualsiasi vantaggio personale anche di mera natura politica che la medesima avrebbe potuto ritrarre dal comportamento tenuto.
Alla stregua di tale premessa, il Tribunale del Riesame, ha concluso che, però, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice per le indagini preliminari, una volta esclusa la configurabilità del reato di tentata concussione sotto il profilo materiale, non poteva essere neppure configurabile il reato di tentata estorsione e ciò perché “il delitto di concussione è speciale rispetto al più generico delitto di estorsione, condividendone la struttura della condotta in forma di costrizione della vittima ad un facere per un profitto dell’agente o di un terzo; l’elemento di specialità nel delitto di concussione è, come noto, la qualifica pubblicistica dell’agente e il profilo dell’abuso di questa qualità o dei connessi poteri. Orbene, l’impossibilità di tipizzare nella fattispecie della concussione la condotta del pubblico ufficiale che eserciti la costrizione o anche l’induzione per un vantaggio esclusivo dell’ente pubblico di appartenenza (per tutti i motivi spiegati), necessariamente preclude che quella stessa condotta integri la più generale condotta dell’estorsione, di cui la concussione è una figura speciale. Invero, gli aspetti evidenziati dalla giurisprudenza di legittimità nell’interpretazione dell’art. 317 c.p. nei casi di vantaggio esclusivo della p.a. (cioè: impossibilità di identificare il soggetto agente con l’ente, e impossibilità di qualificare l’ente terzo beneficiario stante il rapporto di rappresentanza organica) valgono anche nell’interpretazione dell’art. 629 c.p. che, come si è detto, condivide con il delitto speciale della concussione la struttura della condotta. In ultima analisi, nel caso di specie difetta, al fine di ritenere astrattamente configurabile il reato di estorsione voluto dal G.I.P., l’elemento costitutivo del profitto personale dell’agente (si è detto che non vi sono elementi per ritenere che Z. abbia perseguito un vantaggio di qualsivoglia natura, compreso quello politico), ovvero del profitto per un terzo, e il Comune di Montichiari, riconosciuto in astratto quale unico beneficiano del vantaggio conseguente alla sottoscrizione della convenzione con la Gedit, non è qualificabile come terzo per le argomentazioni espresse in precedenza. Deve perciò concludersi che sulla base delle condotte descritte dal Pubblico Ministero nell’incolpazione provvisoria e valutate e reputate sussistenti dal G.I.P., deve escludersi la configurabilità sia del delitto di tentata concussione ex art. 317 c.p., che del delitto di tentata estorsione ex art. 629 c.p.”.
2.2. In relazione al capo sub C (falso ideologico), il Tribunale, ha premesso che l’atto amministrativo che si assume falso appartiene alla tipologia delle ordinanze contingibili e urgenti adottabili dal Sindaco a fronte di emergenze sanitarie ai sensi degli artt. 50 e. 5 e 54 del d.lg.vo n. 267 del 2000, i quali non indicano “alcun parametro cui il pubblico ufficiale deve attenersi nella valutazione della sussistenza o meno di una emergenza sanitaria, precisando, soltanto, che quella tipologia di provvedimenti può adottarsi per gli ambiti afferenti la sanità ovvero l’igiene pubblica che abbiano un carattere esclusivamente locale (quest’ultimo presupposto non è qui in discussione atteso che la vicenda riguardava soltanto il territorio del Comune di (OMISSIS) )”.
Alla stregua di tale premessa, il Tribunale ha concluso rilevando che “in questo contesto normativo è apprezzabile una discrezionalità assoluta del Sindaco, nel senso che era rimesso alla valutazione del pubblico ufficiale l’adozione o meno di quel tipo di provvedimento anche in presenza di un solo caso a lui prospettato (secondo la stessa contestazione del Pubblico Ministero), o comunque in presenza di segnalazioni di parte dei cittadini. In altre parole, vi era discrezionalità del pubblico ufficiale, insindacabile dal giudice penale sotto la forma dell’art. 479 c.p., nella valutazione della situazione sulla cui base è stato adottato l’atto amministrativo che si assume falso, perché nessun vincolo normativo indica i presupposti sulla base dei quali valutare la sussistenza o meno della situazione di emergenza che legittima l’esercizio del potere. La situazione legittimante il provvedimento è oggetto di una discrezionalità assoluta del Sindaco che valuta in piena autonomia le condizioni a lui rappresentate (nel caso di specie erano quelle prospettate dai dipendenti della ditta Prelco e dal medico operante all’interno di questa ditta), salva, naturalmente, l’esperibilità dei rimedi amministrativi contro gli atti della p.a., come puntualmente avvenuto con il conseguimento, da parte della società Gedit, del decreto di sospensione dell’ordinanza del sindaco emesso in data 13.1.2012 dal Presidente del T.A.R. per la Lombardia – sezione di Brescia. Ma quest’ultima vicenda amministrativa è irrilevante ai fini della prospettazione del delitto di falso ideologico, perché i profili di legittimità amministrativa del provvedimento sindacale ovviamente non hanno una ricaduta automatica sulle fattispecie penali di falso, nel senso che l’illegittimità di un atto della p.a. non implica consequenzialmente la falsità ideologica dell’atto medesimo, occorrendo operare quelle distinzioni indicate dalla giurisprudenza della Suprema Corte quanto al tipo di discrezionalità riconosciuta dal legislatore al pubblico ufficiale”.
Infine, il Tribunale, quanto a reato di abuso di ufficio contestato in relazione alla ipotesi di falso, non è entrato nel merito, limitandosi a rilevare che si trattava di un reato per il quale non era consentita l’applicazione di alcuna misura di natura detentiva essendo la pena edittale (anni tre di reclusione) inferiore ai limiti previsti dall’art. 280 cod. proc. pen..
3. Avverso la suddetta ordinanza, il Pubblico Ministero ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:
3.1. violazione degli artt. 56 – 629 COD. pen.: il ricorrente, non contesta la qualificazione giuridica del fatto data sia dal giudice per le indagini preliminari che dal Tribunale del Riesame e cioè che, nella specie, non è configurabile il reato di tentata concussione.
Il ricorrente, però, sostiene, in uno a quanto ritenuto dal giudice per le indagini preliminari, che il fatto contestato all’indagata sia qualificabile come tentata estorsione perché “laddove, come nel caso di specie, un privato viene costretto a pagare una somma di denaro non dovuta all’ente pubblico oltretutto in misura sproporzionata ed esorbitante rispetto alla chiesta e corrisposta da altri privati esercenti la medesima attività della vittima e senza che venisse indicato alcun vincolo di destinazione di detta somma, ebbene allora l’ente pubblico cui appartiene l’autore del reato non può che qualificarsi come destinatario di un ingiusto profitto. L’ente pubblico rientra, quindi, tra “gli altri” indicati dall’art. 629 cod. pen. […] neanche un ente pubblico quindi può giovarsi di denaro od altra utilità non dovute frutto di condotte cosi gravi quali quelle che sono state contestate all’indagata e ricostruite dal giudice per le indagini preliminari nella sua ordinanza”.
3.2. violazione degli artt. 479 cod. pen.: in relazione al capo d’incolpazione di cui al capo sub c), il ricorrente sostiene che il tribunale aveva deciso sulla base di una valutazione astratta, avendo omesso “ogni analisi sulle altre condotte contestate e quindi in particolare la falsità dei malori dei bambini e l’omissione di indicazione circa i rapporti negativi, per le finalità dell’indagata, redatti dall’Arpa proprio il 9 gennaio 2013”.
Il ricorrente, quindi, osserva che le ordinanze contingibili ed urgenti “oltre ad esporre un giudizio necessariamente, stante l’obbligo di motivazione degli atti amministrativi, espongono una situazione di fatto sulla cui base è formulato il giudizio. Si tratta quindi di atti per i quali è possibile una valutazione in termini di falso ideologico. Il fatto che essi non siano destinati a provare la verità di un fatto è circostanza del tutto irrilevante dal momento che la falsità degli atti fidefacenti integra l’aggravante di cui all’art. 476 comma 2 c.p. e non è un elemento costitutivo del reato. In secondo luogo bisogna osservare che il concetto di discrezionalità assoluta del sindaco nel valutare i presupposti legittimanti l’adozione dell’ordinanza contingibile ed urgente è errato. La discrezionalità amministrativa in un ordinamento democratico non è mai assoluta altrimenti sfocerebbe nell’arbitrio. Inoltre se i presupposti del giudizio sono stati falsamente precostituiti sembra che anche il giudizio possa essere (e nel caso di specie sia) falso. In ogni caso si è contestata non solo la falsità del giudizio ma anche la falsità di attestazioni relative ai presupposti del giudizio. Tali presupposti, su cui il Tribunale del riesame nulla ha detto, sono stati in parte precostituiti falsamente od omessi. Non è ammissibile che il giudizio del Tribunale del riesame sia stato così formalistico da limitarsi alla parte di contestazione relativa ai malori dei dipendenti di una ditta e non abbia dedicato invece la dovuta attenzione alle attestazioni relative ai malori dei bambini anch’essi fondanti l’ordinanza ed urgente ed anch’essi lungamente trattati nell’ordinanza cautelare. In questa parte dell’ordinanza sindacale il sindaco non ha formulato nessun giudizio ma ha dato atto di un fatto (i malori dei bambini). Anche questa attestazione di un fatto mai avvenuto e da lei precostituito, le ha consentito di emettere l’ordinanza contingibile ed urgente n. 1/2012. Inoltre, come si è visto, l’indagata ha omesso di dare atto dei rapporti negativi dell’ARPA. Se quindi i presupposti del giudizio sono stati falsamente precostituiti, emendati da dati conosciuti e contrari alla propria volontà, ambigui con riferimento ai malori dei dipendenti di più ditte non meglio specificate (mentre si trattava di malori dei dipendenti di una sola ditta) e se la volontà del sindaco di Montichiari come ricostruito dal Gip e non contraddetto dal Tribunale del riesame, era quella di chiudere la Gedit ad ogni costo, anche il giudizio in realtà può essere suscettibile di essere falso”.
4. L’indagata, in data 20/02/2014, a mezzo del proprio difensore, ha fatto pervenire una memoria con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Diritto
1. tentata estorsione: i fatti, non confutati neppure dal Tribunale, devono ritenersi quelli analiticamente indicati nel capo d’incolpazione riportato integralmente supra, nella presente parte narrativa, al p.1.
1.1. Come si è detto, il tribunale, pur non negando i fatti, ha rilevato l’insussistenza del reato di tentata estorsione, avendo ritenuto che, nella fattispecie, mancasse l’elemento costitutivo del profitto personale dell’agente, ovvero del profitto per un terzo in quanto il Comune di Montichiari, riconosciuto in astratto quale unico beneficiano del vantaggio conseguente alla sottoscrizione della convenzione con la Gedit, non era qualificabile come terzo.
Il Tribunale è pervenuto alla suddetta conclusione, andando in contrario avviso a quanto ritenuto dal giudice per le indagini preliminari stante “l’impossibilità di tipizzare nella fattispecie della concussione la condotta del pubblico ufficiale che eserciti la costrizione o anche l’induzione per un vantaggio esclusivo dell’ente pubblico di appartenenza (per tutti i motivi spiegati), necessariamente preclude che quella stessa condotta integri la più generale condotta dell’estorsione, di cui la concussione è una figura speciale”.
Tuttavia, né il giudice per le indagini preliminari né il Tribunale, si sono peritati di spiegare le ragioni per le quali, nella fattispecie in esame, fosse configurabile, in astratto, in reato di tentata estorsione aggravata dall’art. 61 n. 9 cod. pen. e non piuttosto la concussione.
Sennonché, com’è intuibile, la suddetta questione è preliminare sul piano logico giuridico perché, solo ove si accerti a che titolo la Z. agì, può, poi passarsi alla disamina delle ulteriori questioni evidenziate prima dal giudice per le indagini preliminari e, poi, dal tribunale e risolte, come si è detto, in modo completamente antitetico.
Di conseguenza, in punto di diritto, le questioni che solleva la presente vicenda processuale, possono essere così enunciate:
a) se il comportamento tenuto dall’indagata sia sussumibile nel paradigma normativo di cui all’art. 317 cod. pen. (costrizione o induzione), ovvero in quello dell’art. 629 cod. pen. (violenza o minaccia) aggravato dall’art. 61 n. 9 cod. pen.;
b) se l’ente pubblico (nella specie, il Comune di Montichiari), nell’una o nell’altra ipotesi di reato, possa essere considerato “terzo” (art. 317 cod. pen.) o “altri” (art. 629 cod. pen.);
c) se sia configurabile, nell’una o nell’altra ipotesi di reato, un vantaggio (“utilità” ex art. 317 cod. pen. o “ingiusto profitto”, ex art. 629 cod. pen.) a favore di un ente pubblico.
1.2. I comportamenti tenuti dall’indagata – e descritti nel capo d’incolpazione – sono, in astratto, qualificabili come minatori, sicché, sotto il profilo della mera materialità del fatto, la suindicata condotta, può essere sussumibile sia nella concussione per costrizione che nell’estorsione per minaccia.
È, infatti, pacifico in giurisprudenza e nella stessa dottrina che la costrizione di cui parla l’art. 317 cod. pen., è la c.d. costrizione psichica relativa (coactus tamen voluit) che si ha in tutti i casi in cui il pubblico ufficiale adoperi qualsiasi forma di coazione fisica relativa (non, quindi, assoluta, perché, altrimenti, sarebbe configurabile la rapina: in terminis Cass. 7495/2012 riv 254020) o psichica in modo tale da determinare una grave alterazione (non, quindi, l’annullamento) del procedimento volitivo nel soggetto passivo che, di conseguenza, si determina alla dazione o alla promessa esclusivamente per evitare il danno minacciato: ex plurimis Cass. 3093/2012 Rv. 253947; Cass. 7495/2012 Rv. 254020; Cass. 28431/2013 riv 255614.
La nozione di “costrizione” di cui all’art. 317 cod. pen. coincide, pertanto, con quello della minaccia di cui all’art. 629 cod. pen. in relazione alla quale, infatti, è costante l’affermazione secondo la quale “La minaccia, quale elemento costitutivo del delitto di estorsione, può estrinsecarsi nelle forme più diverse, anche in maniera larvata, indiretta e indeterminata, purché il comportamento e l’atteggiamento dell’agente siano comunque idonei ad esercitare una pressione psicologica e ad incidere sulla sfera della libertà del soggetto passivo, onde costringerlo a fare od omettere qualcosa”: ex plurimis Cass. 10712/1982 Rv. 156085; Cass. 8731/1984 Rv. 166166; Cass. 6524/1990 Rv. 187622.
Nell’ipotesi in cui, però, un comportamento minatorio sia posto in essere da un pubblico ufficiale (come nel caso di specie), resta da capire quali siano i criteri che consentano di sussumere la fattispecie nel paradigma normativo dell’art. 317 cod. pen. piuttosto che in quello di cui all’art. 629 aggravato dall’art. 61 n. 9 cod. pen..
Ora, dall’art. 317 cod. pen. si desume che gli elementi oggettivi che caratterizzano il delitto di concussione per costrizione sono, tre: a) l’abuso dei propri poteri o della propria qualità da parte del pubblico ufficiale; b) la costrizione del privato ad effettuare, a favore dello stesso pubblico ufficiale o di un terzo, una prestazione indebitamente remunerativa; c) l’iniziativa del pubblico ufficiale che la lettera della norma esprime per implicito e la cui configurazione non è esclusa però da un’apparente iniziativa del privato, che trovi la sua ragione e causa in implicite richieste del pubblico ufficiale.
Pertanto, la costrizione che caratterizza l’ipotesi di concussione è una costrizione qualificata, ossia attuata dal pubblico ufficiale con l’abuso della sua qualità o dei suoi poteri, sicché la pretesa promessa o dazione indebita deve in astratto porsi come effetto di siffatta costrizione o induzione e cioè come conseguenza della coazione psicologica esercitata dal pubblico ufficiale sul soggetto passivo mediante l’abuso della sua qualità o dei suoi poteri, sicché fra la condotta del pubblico ufficiale e la promessa o dado del privato deve sussistere un sinallagma causale: ex plurimis Cass. 33751/2005 Rv. 232046; Cass. 3093/2012 Rv. 253947; Cass. 13047/2013 Rv. 254466.
Si, può, quindi, affermare che vi è concussione in tutti i casi in cui la costrizione sia attuata dal pubblico ufficiale mediante l’abuso delle sue qualità o delle sue funzioni e cioè quando, avvalendosi di un atto o comportamento formalmente validi del proprio ufficio, di fatto, pone la vittima di fronte alla seguente alternativa: o tenere la condotta da lui richiesta o il subire le conseguenze, anche semplicemente prevedibili, derivanti dall’atto o comportamento minacciati.
Sennonché, anche l’aggravante di cui all’art. 61 n. 9 cod. pen. prevede “l’aver commesso il fatto con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione”: da qui, la necessità di individuare un criterio distintivo con l’art. 317 cod. pen..
Sul piano testuale, va osservato che:
a) l’art. 61 n. 9 cod. pen. prevede, come l’art. 317 cod. pen., l’abuso dei poteri, ma non l’abuso della qualità di pubblico ufficiale;
b) l’art. 61 n. 9 cod. pen. prevede, a differenza dell’art. 317 cod. pen., la violazione dei doveri.
Tuttavia, le suddette differenze appaiono poco rilevanti al fine di risolvere la suddetta quaestio iuris in quanto è problematico individuare una rigida linea di demarcazione fra l’abuso delle qualità e dei poteri di cui all’art. 317 cod. pen. e l’abuso dei poteri e la violazione dei doveri di cui all’art. 61 n. 9 cod. pen., trattandosi di ipotesi che, in parte, si sovrappongono e, in parte, tendono ad assimilarsi concettualmente.
Non resta, quindi, che verificare quale sia l’interpretazione che la giurisprudenza ha dato dell’aggravante in esame.
I principi che sono stati affermati in proposito (Cass. 4062/1999 Rv. 214143; Cass. 20870/2009 Rv. 244738; Cass. 24894/2009 Rv. 243805) sono i seguenti:
– innanzitutto, l’aggravante di aver commesso il fatto con abuso di poteri o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio (art. 61, n. 9, c.p.) si applica in tutti i casi in cui il reato sia commesso in relazione al compimento di atti rientranti nella sfera di competenza del pubblico ufficiale;
– in secondo luogo, l’aggravante si applica anche alle ipotesi in cui la qualità dell’agente, in relazione alla tipicità della sua posizione, può facilitare la condotta del reato non essendo necessaria l’esistenza di un nesso funzionale con l’esercizio di quei poteri o dalla violazione di quei doveri e, quindi, in tutti i casi in cui il pubblico ufficiale abbia agito fuori dell’ambito delle sue funzioni;
– infine, la suddetta aggravante diventa incompatibile con i reati propri in quanto in questi la qualità di pubblico ufficiale funge da elemento costitutivo della fattispecie criminosa.
Riassumendo:
– nella concussione, il comportamento costrittivo (rectius: il comportamento minatorio) è di natura qualificata perché non ogni comportamento minatorio tenuto dal pubblico ufficiale può essere sussunto nel paradigma dell’art. 317 cod. pen. ma solo quello sinallagmaticamente riconducibile ad un atto o comportamento formalmente validi dell’ufficio pubblico in cui l’agente esercita la sua funzione;
– nell’estorsione, invece, ogni comportamento minatorio è idoneo ad integrare la fattispecie normativa;
– nella concussione, la qualità di pubblico ufficiale costituisce un requisito essenziale della fattispecie e vi dev’essere un rapporto oggettivo di causalità (rectius: nesso di strumentante) fra la suddetta qualifica e il comportamento abusivo;
– l’aggravante di cui all’art. 61 n. 9 cod. pen., invece, contempla anche l’ipotesi di un mero nesso di occasionalità fra la funzione di pubblico ufficiale e il comportamento abusivo.
Quanto appena detto consente, quindi, di affermare che:
– fra l’estorsione e la concussione vi è un rapporto di species a genus, nel senso che la concussione prevede una particolare ipotesi di “costrizione” qualificata;
– fra la concussione e l’aggravante di cui all’art. 61 n. 9 cod. pen., relativamente alla qualifica di pubblico ufficiale, vi è anche un rapporto di species a genus nel senso che, mentre per la concussione è necessario un rapporto oggettivo di causalità (rectius: nesso di strumentante) fra la suddetta qualifica e il comportamento abusivo, al contrario, per l’art. 61 n. 9 cod. pen. è sufficiente anche un rapporto di mera occasionalità. Pertanto, alla stregua di quanto appena illustrato, e, tenendo presente che l’applicazione della fattispecie speciale (concussione) prevale su quella generale (estorsione), si può affermare che:
– vi è concussione in tutte le ipotesi in cui la costrizione (ossia la minaccia) del pubblico ufficiale si concretizzi con il compimento di un atto o di un comportamento del proprio ufficio che, quindi, viene ad essere strumentalizzato per perseguire illegittimi fini personali;
– vi è estorsione aggravata dall’art. 61 n. 9 cod, pen. in tutte le ipotesi in cui l’agente ponga in essere, nei confronti di un privato, minacce diverse da quelle consistenti nel compimento di un atto o di un comportamento del proprio ufficio, sicché la qualifica di pubblico ufficiale si pone in un rapporto di pura occasionalità avente la funzione di rafforzare la condotta intimidatoria nei confronti del soggetto passivo.
La suddetta conclusione, trova un sia pur implicito riscontro nell’esame della casistica giurisprudenziale: infatti, in tutte le fattispecie in cui il pubblico ufficiale assume atteggiamenti minatori facendo leva su atti o comportamenti del proprio ufficio, si è sempre ritenuto che quelle ipotesi fossero sussumibili nella fattispecie di cui all’art. 317 cod. pen..
Al contrario, si è ritenuta la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 9 cod. pen. nelle ipotesi in cui la qualifica di pubblico ufficiale costituisca l’occasione avendo avuto la sola funzione di agevolare il delitto.
1.2. Alla stregua delle conclusioni alle quali si è pervenuti, nessun dubbio può, quindi, sussistere sulla astratta qualificazione dei fatti addebitati all’indagata, dovendosi ritenere che il comportamento della Z. , attuato avvalendosi della sua qualità di Sindaco, sia sussumibile nel delitto di concussione e non nel delitto di estorsione aggravato dall’art. 61 n. 9 cod. pen..
Tanto risulta del tutto evidente se solo si considera che, secondo il capo d’incolpazione, la Z. , avvalendosi della sua qualità di pubblico ufficiale (nella specie Sindaco), pose in essere nei confronti dei proprietari della Gedit spa, al fine di ottenere una indebita corresponsione di denaro, il seguente comportamento:
– l’invio di moduli prestampati e precompilati che addebitavano alla Gedit odori nauseabondi ed effetti sulla salute non sussistenti inducendo in molti casi la popolazione a sottoscriverli;
– istigazione degli appartenenti alla Polizia locale a redigere annotazioni false quanto all’intensità degli odori percepiti ed alla loro provenienza nonché circa le modalità con cui dovevano essere sentiti a sit le persone che avevano segnalato disagi o sul contenuto delle varie annotazioni redatte;
– emissione di atti palesemente illegittimi quali l’ordinanza contingibile ed urgente n. 1/2012.
Si tratta, come si può notare di atti tipici della funzione (Sindaco) che la Z. rivestiva, cioè di atti che l’indagata poteva compiere solo ed esclusivamente perché rivestiva il ruolo di Sindaco, tant’è che lo stesso Pubblico Ministero, relativamente all’ordinanza contingibile ed urgente, ha contestato anche il reato di abuso di ufficio ex art. 323 cod. pen..
Non è, quindi, ipotizzabile – contrariamente a quanto ritenuto sia dal giudice per le indagini preliminari che dal Tribunale del Riesame – che quella condotta, costituita da comportamenti materiali ed atti tipici dell’ufficio pubblico che la Z. rivestiva, possa essere qualificata come comportamento minatorio di cui all’art. 629 cod. pen. aggravato dall’art. 61 n. 9 cod. pen..
1.3. Stabilito che il reato in astratto configurabile, sotto il profilo oggettivo, è la concussione, non resta che verificare se siano sussistenti gli ulteriori elementi materiali richiesti dall’art. 317 cod. pen. e cioè: a) se l’ente pubblico (nella specie, il Comune di Montichiari), possa essere considerato “terzo”; b) se sia configurabile, un vantaggio (“utilità” ex art. 317 cod. pen.) a favore del suddetto ente pubblico.
In punto di fatto, va rammentato che, pacificamente, risulta dall’ordinanza impugnata che: a) in capo alla Z. , non è stato ipotizzato alcun vantaggio personale, neppure di mera natura politica; b) le somme richieste, erano destinate alla casse Comunali.
Entrambe le questioni, come si è detto, sono state risolte in senso negativo sia dal giudice per le indagini preliminari che dal Tribunale del Riesame.
La suddetta conclusione deve ritenersi corretta essendosi entrambi i giudici di merito adeguati alla costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità che, anche in questa sede, va nuovamente ribadita.
In merito, infatti, è stato ritenuto che “Il delitto di concussione non è configurabile tutte le volte che le somme vanno a profitto dell’ente di cui il pubblico ufficiale fa parte, perche elemento costitutivo del reato è la consegna o la promessa di danaro allo stesso pubblico ufficiale o ad un terzo, e terzo non può essere considerato lo stesso ente per il quale la persona o le persone fisiche, suoi organi, agiscono ed operano e neppure enti o istituzioni che da quello possono, per previsione di legge, essere beneficati”: Cass. 65/1966 Rv. 103787; Cass. 412/1967 Rv. 104423; Cass. 31978/2003 Rv. 226219; Cass. 10792/2011 Rv. 249589; Cass. 45135/2001 Rv. 220386 ha, in particolare, ribadito che “deve escludersi la configurabilitò del delitto di concussione ove la prestazione sia promessa o data in favore della Pubblica Amministrazione. In tal caso, infatti, non viene leso l’oggetto giuridico del reato, cioè il buon andamento della P.A.: il privato, invero, viene costretto o indotto a fare qualcosa in favore della P.A., che viene così a perseguire, sia pure in maniera scorretta, il suo fine istituzionale (la tutela degli eventuali interessi lesi deve essere affidata ai rimedi previsti dalla legislazione amministrativa). Va, tra l’altro, rilevato che il rapporto di rappresentanza organica che lega il pubblico ufficiale all’Ente, destinatario della dazione o della promessa, impedisce che quest’ultimo possa essere considerato come terzo o possa identificarsi col funzionario operante, agendo su piani distinti e separati l’interesse personale e privato del funzionario e quello riferibile alla P.A.”.
2. falso ideologico: il Tribunale ha ritenuto l’insussistenza del falso ideologico per le ragioni addotte nella motivazione supra riportata al p.3.2. della presente parte narrativa.
La suddetta motivazione, con tutta evidenza, si fonda sulla pacifica giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo la quale “In tema di falso ideologico in atto pubblico, nel caso in cui il pubblico ufficiale, chiamato ad esprimere un giudizio, sia libero anche nella scelta dei criteri di valutazione, la sua attività è assolutamente discrezionale e, come tale, il documento che contiene il giudizio non è destinato a provare la verità di alcun fatto. Diversamente, se l’atto da compiere fa riferimento anche implicito a previsioni normative che dettano criteri di valutazione si è in presenza di un esercizio di discrezionalità tecnica, che vincola la valutazione ad una verifica di conformità della situazione fattuale a parametri predeterminati, sicché l’atto potrà risultare falso se detto giudizio di conformità non sarà rispondente ai parametri cui esso è implicitamente vincolato”: ex plurimis Cass. 1417/2012 Rv. 254305.
Il Pubblico Ministero ricorrente, però, ha contestato la conclusione alla quale è pervenuto il Tribunale sostenendo che la Z. , nell’emettere il provvedimento contingibile ed urgente omesso “ogni analisi sulle altre condotte contestate e quindi in particolare la falsità dei malori dei bambini e l’omissione di indicazione circa i rapporti negativi, per le finalità dell’indagata, redatti dall’Arpa proprio il 9 gennaio 2013”.
In punto di diritto, va rammentato che, il pacifico principio di diritto al quale il Tribunale ha dichiarato di adeguarsi, in realtà, va temperato con l’altro principio di diritto, pure assolutamente pacifico, secondo il quale “anche nell’atto dispositivo – che consiste in una manifestazione di volontà e non nella rappresentazione o descrizione di un fatto – è configurabile la falsità ideologica in relazione alla parte descrittiva in esso contenuta e, più precisamente, in relazione all’attestazione, non conforme a verità, dell’esistenza di una data situazione di fatto costituente il presupposto indispensabile per il compimento dell’atto, a nulla rilevando che tale attestazione non risulti esplicitamente dal suo tenore formale, poiché, quando una determinata attività del pubblico ufficiale, non menzionata nell’atto, costituisce indefettibile presupposto di fatto o condizione normativa dell’attestazione, deve logicamente farsi riferimento al contenuto o tenore implicito necessario dell’atto stesso, con la conseguente irrilevanza dell’omessa menzione (talora scaltramente preordinata) ai fini della sussistenza della falsità ideologica”: SSUU 1827/1999 riv 200117; Cass. 49017/2004 Rv. 231272; Cass. 42009/2007 Rv. 238213.
Di conseguenza, pur essendo pacifico che l’ordinanza contingibile ed urgente è un provvedimento di natura discrezionale, occorre verificare se i presupposti di fatto, sulla base dei quali fu emanata, fossero o no falsi.
Sul punto, il ricorso del Pubblico Ministero è fondato.
Il ricorrente, infatti (cfr nota 3 a pag. 13 e pag. 14 del ricorso), ha evidenziato che:
a) la circostanza che, nella giornata del 09/01/2012, gli abitanti di (OMISSIS) lamentarono la presenza di odori nauseabondi tanto che causarono problemi respiratori con conati di vomito, mal di testa e forte bruciore a occhi e gola ad alcuni bambini e genitori recatisi presso la scuola elementare, era falsa perché era stata la stessa Z. ad ammetterlo in un colloquio intercettato;
b) era stato palesemente ed artatamente travisato il contenuto della segnalazione effettuata dalla Dott.ssa G. , medico del lavoro di aziende operanti nelle vicinanze delle discariche di (OMISSIS) , che, in data 09/01/2012 aveva semplicemente riferito il perdurare di una situazione già riscontrata in passato e dichiarato di non essere mai stata in possesso di elementi per poter redigere un referto medico indicante le cause dei problemi che affliggevano i lavoratori delle aziende da lei seguite;
c) l’indagata, poi, aveva omesso di dare atto dei rapporti negativi dell’ARPA dai quali, sostanzialmente, era emerso che non era possibile stabilire con certezza la provenienza degli odori nauseabondi attesa la presenza, in quella zona, di numerose discariche. Peraltro regolarmente autorizzate.
Dalla lettura dell’ordinanza impugnata, in effetti, l’esame e la valutazione dei suddetti elementi fattuali, ritenuti probanti dal giudice per le indagini preliminari, non risultano essere stati presi in esame in quanto il Tribunale si è limitato a trarre dal principio di diritto di cui si è detto, un automatico giudizio di insussistenza del reato, senza, quindi, alcuna compiuta valutazione di tutti gli elementi fattuali.
3. In conclusione, fermo restando l’insussistenza del reato di concussione – così riqualificato il fatto contestato all’indagata – l’ordinanza impugnata dev’essere annullata limitatamente al capo d’incolpazione sub c) in relazione al quale, il tribunale si atterrà al principio di diritto già enunciato dalle cit. SSUU 1827/1999
P.Q.M.
ANNULLA l’ordinanza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 479 cod. pen. contestato al capo d’incolpazione sub c) e rinvia al Tribunale di Brescia per nuovo esame.
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