Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 8 ottobre 2014, n. 21206
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Avv. (OMISSIS), in qualita’ di curatore speciale delle minori (OMISSIS) e (OMISSIS), da se’ medesima rappresentata e difesa, ed elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) e (OMISSIS);
– intimati –
e
ASSESSORE AI SERVIZI SOCIALI DEL COMUNE DI CAPOTERRA, in qualita’ di tutore di (OMISSIS) e (OMISSIS);
– intimato –
e
PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DAPPELLO DI CAGLIARI;
– intimato –
avverso la sentenza della Corte di Appello di Cagliari n. 129/13, pubblicata il 25 febbraio 2013;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28 marzo 2014 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
A fondamento della decisione, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ha rigettato l’eccezione d’inutilizzabilita’ delle relazioni trasmesse dai servizi sociali e dagli operatori delle comunita’ presso cui erano state inserite le minori, osservando che le stesse, oltre a non essere annoverabili tra gli atti istruttori, per i quali e’ richiesta la partecipazione delle parti, erano state poste a disposizione di queste ultime mediante l’acquisizione al fascicolo; ha invece dichiarato la nullita’ dell’attivita’ istruttoria svolta all’udienza del 29 aprile 2011, fissata per l’audizione dell’assistente sociale e della psicologa del servizio sociale in ordine alla volonta’, manifestata da (OMISSIS), di avere una nuova famiglia, rilevando che i difensori delle parti non vi avevano assistito, in quanto non avvisati.
Nel merito, la Corte ha confermato la sussistenza dello stato di abbandono delle minori, dando atto del perdurare della situazione di degrado in cui le stesse erano vissute: pur rilevando che la (OMISSIS) era stata essa stessa vittima dei maltrattamenti perpetrati dal (OMISSIS) nell’ambito familiare, ha ritenuto che l’atteggiamento da lei tenuto giustificasse la valutazione negativa in ordine alla sua capacita’ geni-toriale, osservando che l’appellante dapprima non aveva dato credito alle accuse di abusi sessuali rivolte al convivente dall’altra figlia (OMISSIS), ed in seguito aveva tenuto un comportamento contraddittorio, denunciando il (OMISSIS) ma continuando a riceverlo in casa in presenza delle figlie, nonostante ne fosse stato disposto l’allontanamento dal nucleo familiare. Ha richiamato la relazione del c.t.u., dalla quale risultava che la (OMISSIS), pur nutrendo affetto ed interesse nei confronti delle minori, non era in grado di rendersi conto dei loro bisogni e di anteporne la soddisfazione a quella delle proprie esigenze; ha precisato che l’appellante, proveniente da un contesto socioculturale povero, non era in grado di entrare in contatto emotivo con le figlie, d’immaginarne il futuro e di gestire le situazioni di conflitto, aggiungendo che le minori erano state seguite e curate ed avevano regolarmente frequentato la scuola soltanto nel periodo in cui la (OMISSIS) si era occupata di sua madre, grazie all’intervento della stessa, mentre nel periodo successivo erano apparse trascurate persino nella persona. La Corte ha escluso che lo stato di abbandono fosse temporaneo o dipendente da forza maggiore, evidenziando l’eta’ della minore ed il tempo trascorso dai primi interventi dei servizi sociali, i quali, avendo avuto natura essenzialmente economica e di aiuto alla gestione domestica, non avevano inciso sull’incapacita’ genitoriale dell’appellante; talvolta, anzi, essi avevano avuto ripercussioni negative sul rapporto tra la madre e le figlie, come nel caso di un incontro chiarificatore organizzato con Paola quando ella non era ancora in grado di sostenere l’impatto emotivo conseguente alla conoscenza delle vicende della propria famiglia, e della successiva sospensione dei rapporti tra la (OMISSIS) e le minori. Rilevato inoltre che l’appellante non era neppure in grado di contare su una rete parentale o amicale di sostegno, ne ha riconosciuto le potenzialita’ di cambiamento, osservando tuttavia che la complessita’ e la durata di un intervento di supporto alla genitorialita’, dall’esito oltretutto limitato alla ripresa dei rapporti, confermava il carattere non temporaneo dello stato di abbandono.
La Corte ha peraltro ritenuto che tale situazione non fosse sufficiente a giustificare la dichiarazione dello stato di adottabilita’, la quale sarebbe risultata gravemente pregiudizievole per gl’interessi di (OMISSIS): ella, infatti, pur avendo acconsentito all’inserimento in comunita’, aveva sempre manifestato la volonta’ di mantenere i rapporti con la madre e le sorelle, mutando atteggiamento soltanto a seguito dell’interruzione disposta dagli operatori sociali e dimostrando scarsa consapevolezza degli effetti dell’adozione, sicche’ la volonta’ di essere adottata non poteva ritenersi maturata autonomamente, ma per effetto di un senso di lealta’ sviluppato verso la comunita’ e sotto l’influenza dell’opposizione critica da questa manifestata nei confronti dell’affidamento eterofamiliare.
La Corte ha pertanto concluso che la cessazione dei rapporti con la madre sarebbe si sarebbe rivelata un evento traumatico, e per tale ragione ha revocato l’interruzione dei rapporti tra la (OMISSIS) ed entrambe le figlie, rilevando, in ordine alla situazione di (OMISSIS), che quest’ultima, nonostante gli effetti negativi dell’incontro chiarificatore organizzato dagli operatori sociali, aveva continuato ad avere contatti telefonici con la madre ed era apparsa contenta d’incontrarla in occasione degli accertamenti peritali, si’ da potersi escludere la definitiva compromissione della possibilita’ di riprendere i rapporti.
3. – Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’avv. (OMISSIS), in qualita’ di curatrice speciale delle minori, per tre motivi, illustrati anche con memoria. Gl’intimati non hanno svolto attivita’ difensiva.
1.1. – Il motivo e’ infondato.
Questa Corte ha infatti chiarito che la Legge n. 184 del 1983, articolo 10, comma 2, nell’individuare la tipologia degli accertamenti ai quali, nell’ambito del procedimento volto alla dichiarazione dello stato di adottabilita’, e’ estesa la partecipazione dei genitori (o, in mancanza, dei parenti entro il quarto grado che abbiano rapporti significativi con il minore), li accomuna significativamente con l’aggettivo “tutti”, in tal modo inducendo a ritenere che con l’espressione in esame il legislatore non abbia inteso riferirsi soltanto ai tradizionali mezzi dell’istruzione probatoria, disciplinati dalla Sezione III del Capo II del Titolo I del Libro II del codice di rito, ma a qualsiasi atto d’indagine che il giudice ritenga di eseguire per iniziativa propria o su richiesta delle parti, al fine di verificare la sussistenza dello stato di abbandono: in tale espressione vanno pertanto comprese anche le indagini e le relazioni affidate ad istituti o ad altri operatori specializzati, restando invece escluse quelle che periodicamente questi ultimi sono tenuti ad inviare all’autorita’ giudiziaria per renderla edotta delle condizioni fisiche e psichiche del minore, anche in seguito ai provvedimenti assunti ai sensi dell’articolo 10 cit., commi 3 e 4, (cfr. Cass., Sez. I, 26 gennaio 2011, n. 1838; 26 marzo 2010, n. 7282).
Soltanto per queste ultime relazioni, pertanto, il contraddittorio puo’ realizzarsi a posteriori, mediante l’attribuzione a tutte le parti della facolta’ di esaminarle, estrarne copia, svolgere deduzioni o presentare richieste di approfondimenti o accertamenti ulteriori, mentre per gli altri atti, ivi compresi quelli indicati dalla ricorrente, la partecipazione dei genitori postula che agli stessi sia data preventiva comunicazione dell’indagine disposta dal giudice, ai fini dell’esercizio della facolta’ d’intervenirvi personalmente o a mezzo dei propri consulenti tecnici e difensori (cfr. Cass., Sez. 1 , 6 febbraio 2013, n. 2780).
2. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione della Legge n. 184 del 1983, articoli 2, 8 e ss., come modificati dalla Legge n. 149 del 2001, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui, pur avendo ritenuto provata l’incapacita’ genitoriale della (OMISSIS), e quindi sussistente lo stato di abbandono delle minori, ha revocato la dichiarazione dello stato di adottabilita’, rimettendo al Tribunale per i minorenni la valutazione in ordine all’affidamento eterofamiliare. Afferma infatti che tale provvedimento costituisce una misura di carattere meramente temporaneo, prevista per far fronte ad una situazione transitoria e volta a favorire il recupero del rapporto tra il minore e la famiglia d’origine, con la conseguenza che la relativa durata non puo’ risultare superiore a ventiquattro mesi, prorogabili soltanto qualora la sospensione dell’affidamento pregiudichi l’interesse del minore. Pertanto, una volta accertato che (OMISSIS) era priva dell’assistenza morale e materiale dei genitori, per motivi non dipendenti da causa di forza maggiore e non aventi carattere transitorio, la Corte di merito non aveva altra scelta che dichiarare la minore in stato di adottabilita’.
3. – Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione della Legge n. 184 del 1983, articoli 2, 8, 27 e 28, come modificati dalla Legge n. 149 del 2001, e degli articoli 115 e 116 c.p.c., osservando che, nel revocare la dichiarazione dello stato di adottabilita’, la sentenza impugnata non ha adeguatamente valutato le relazioni degli operatori sociali e del c.t.u., dalle quali emergeva incontrovertibilmente che la (OMISSIS) era complessivamente inidonea a garantire per il futuro un sano sviluppo psicofisico delle minori.
Nell’attribuire rilevanza decisiva all’effetto traumatico dell’interruzione dei rapporti tra l’appellante e le figlie, la Corte di merito non ha considerato che la cessazione dei rapporti tra l’adottato e la famiglia di origine, prevista dall’articolo 27 cit., risponde essenzialmente alla finalita’ di tutelare la crescita serena ed equilibrata del minore, ponendolo al riparo da eventuali pretese dei genitori biologici in ordine alla sua educazione, istruzione e mantenimento. In presenza di un acclarato stato di abbandono, l’esigenza di salvaguardare i rapporti affettivi con la famiglia di origine o con alcuni suoi componenti non puo’ quindi impedire la dichiarazione dello stato di adottabilita’; in tal senso depone anche la Legge n. 184 cit., articolo 28, il quale, riconoscendo all’adottato il diritto alle proprie origini, ammette la persistenza del rapporto con la famiglia di origine, destinato a cessare anche di fatto unicamente quando cio’ risulta possibile nell’interesse esclusivo del minore.
La sentenza impugnata ha recepito acriticamente le risultanze della c.t.u., omettendo di sottoporle ad un vaglio logico, ed ha trascurato l’inefficacia dei ripetuti interventi educativi e di sostegno alla genitorialita’ posti in atto dai servizi sociali, dei quali ha sottolineato l’inadeguatezza sulla sola base delle dichiarazioni contenute nell’atto di appello, prive di valido riscontro. Nel ritenere che il benessere psicofisico di (OMISSIS) sarebbe stato maggiormente tutelato dal mantenimento dei rapporti con la madre, essa non ha tenuto conto della volonta’ della minore, ed ha quindi privilegiato la soluzione dell’affidamento eterofamiliare, in contrasto con il bisogno, dalla stessa manifestato, di una famiglia che le garantisca una sicurezza anche giuridica del suo status.
4. – I predetti motivi devono essere trattati congiuntamente, avendo entrambi ad oggetto la possibilita’ di disporre l’affidamento eterofamiliare, in presenza di un accertato stato di abbandono.
In proposito, va richiamato il principio, piu’ volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimita’, secondo cui la situazione che giustifica l’affidamento eterofamiliare, ai sensi della Legge n. 184 del 1983, articolo 2 e ss. come sostituiti dalla Legge n. 149 del 2001, si differenzia radicalmente da quella che legittima la pronuncia della dichiarazione di adottabilita’, in quanto la mancanza di un ambiente familiare idoneo, che costituisce il presupposto di entrambi i provvedimenti, deve risultare nel primo caso meramente temporanea e superabile con il predetto affidamento, mentre nel secondo caso deve apparire insuperabile e tale da non poter essere ovviata se non attraverso l’interruzione del rapporto tra il minore e la sua famiglia di origine (cfr. Cass., Sez. I, 4 maggio 2010, n. 10706; 9 giugno 2005, n. 12168).
Tale principio e’ stato sostanzialmente disapplicato dalla Corte di merito, la quale, dopo aver affermato a chiare lettere che la minore versava in stato di abbandono, e nonostante la specifica sottolineatura dell’irreversibilita’ di tale situazione, ha ritenuto insussistenti i presupposti per la dichiarazione di adottabilita’, ritenendo maggiormente conforme all’interesse della minore un provvedimento di affidamento eterofamiliare. Le conclusioni cui e’ pervenuta la sentenza impugnata si pongono in stridente contrasto con l’accertamento che ne costituisce la premessa, e segnatamente con l’ampia illustrazione dello stato di degrado in cui versa l’intero nucleo familiare, a causa dell’allontanamento del padre e dell’incapacita’ della madre di rendersi finanche conto dei bisogni delle figlie e di anteporli alla soddisfazione delle proprie esigenze, nonche’ con la constatazione, avente carattere risolutivo, dell’irreversibilita’ di tale situazione, in considerazione dell’inefficacia delle iniziative intraprese dai servizi sociali e dell’esito incerto e limitato di ulteriori interventi di supporto alla genitorialita’, la cui prevedibile complessita’ e durata hanno fatto apparire evanescenti eventuali prospettive di cambiamento.
L’estrema difficolta’ del recupero di un corretto rapporto con la famiglia di origine, testimoniata anche dalla descrizione delle tormentate relazioni tra la minore e la madre, e l’accertata indisponibilita’ di un contesto parentale e sociale idoneo a fornire un sostegno alla crescita ed all’educazione della minore, rendono sostanzialmente inspiegabile l’affermazione della Corte di merito, secondo cui la dichiarazione di adottabilita’ risulterebbe gravemente pregiudizievole per gl’interessi della minore. Il carattere indubbiamente traumatico del provvedimento, destinato ad intervenire ad un’eta’ in cui la personalita’ della minore ha gia’ raggiunto un avanzato grado di sviluppo, non puo’ considerarsi di per se’ sufficiente a giustificarne l’esclusione, a fronte di una situazione che, per la sua gravita’ e durevolezza, puo’ essere ritenuta idonea ad arrecare all’interessata un pregiudizio di portata tutt’altro che inferiore a quello prospettato.
In linea piu’ generale, non puo’ condividersi l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui la straordinarieta’ delle esigenze di tutela connesse alle caratteristiche peculiari della fattispecie consentirebbe di sovvertire il principio secondo cui, in presenza di uno stato di abbandono, l’adozione risponde automaticamente all’interesse del minore. Se e’ vero, infatti, che l’interesse del minore, in relazione al quale dev’essere valutato il pregiudizio derivante dal perdurante inserimento nel nucleo familiare di origine, e’ quello correlato ad un armonico sviluppo psico-fisico considerato non gia’ in astratto, ma in concreto, e cioe’ in relazione al vissuto del minore, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, alla sua eta’, al suo grado di sviluppo ed alle sue potenzialita’ (cfr. Cass., Sez. 1 , 24 febbraio 2010, n. 4545), e’ anche vero, pero’, che, ove risulti accertata la gravita’ e l’irreversibilita’ di tale pregiudizio, non sono individuabili valide alternative alla dichiarazione dello stato di adottabilita’, la quale costituisce l’extrema ratio cui l’acclarato stato di abbandono impone di fare ricorso. La praticabilita’ di tale soluzione e’ stata d’altronde esclusa, nella specie, contro la stessa volonta’ manifestata dall’interessata, in virtu’ di un generico riferimento alla presunta influenza degli operatori sociali e ad un affermato senso di lealta’ verso la comunita’ in cui la minore e’ stata inserita, che ha condotto la Corte di merito a sostituire un proprio personale convincimento alle risultanze dell’audizione ed all’esito delle indagini compiute dal c.t.u. e dagli operatori sociali, in contrasto con la natura oggettiva degli elementi di cui la legge impone la considerazione ai fini della valutazione dell’interesse del minore.
5. – La sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dall’accoglimento del secondo e del terzo motivo d’impugnazione, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’Appello di Cagliari, che provvedera’, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimita’.
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