Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 29 ottobre 2013, n. 24361
Fatto e diritto
Con atto di citazione del 15.2.2007 N..A. , deducendo di essere figlio di N..D. , chiedeva al Tribunale di Ascoli di accertarne la paternità naturale.
D. , costituitosi, si opponeva all’accoglimento della domanda, che viceversa il tribunale accoglieva all’esito della espletata istruttoria.
La sentenza, impugnata dal convenuto, veniva confermata dalla Corte di appello di Ancona con decisione contrastata dallo stesso D. con ricorso per cassazione affidato a due motivi, poi ulteriormente illustrati da memoria, in relazione ai quali l’intimato non svolgeva attività difensiva.
Con i due motivi di impugnazione D. ha rispettivamente denunciato: 1) violazione dell’art. 269, secondo comma, c.p.c. in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché vizio di motivazione, per il fatto che l’accertamento della paternità naturale si sarebbe fondato esclusivamente su un semplice indizio, consistente nel rifiuto di esso ricorrente di sottoporsi ad esame ematologico; 2) vizio di motivazione in ordine all’affermata sussistenza di rapporti sessuali che sarebbero intercorsi tra la madre dell’attore ed il preteso padre all’epoca del concepimento, rapporti che a torto il giudice aveva ritenuto che fossero stati riconosciuti. Tale conclusione sarebbe stata infatti frutto di una lettura errata delle risultanze processuali non essendo stata resa alcuna ammissione al riguardo, ma essendo stato più semplicemente sostenuto “che nel periodo del concepimento fossero altri, ed in particolare tale F..P. , a frequentare assiduamente la madre di A. “.
Le censure sono infondate.
Come infatti puntualmente rilevato dalla Corte di appello, che sul punto ha richiamato la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell’accertamento della paternità naturale può essere utilizzato ogni mezzo di prova (art. 269, secondo comma, c.c.), circostanza da cui correlativamente discende che il giudice del merito può correttamente basare il proprio giudizio in ordine alla fondatezza della richiesta avente ad oggetto l’effettiva esistenza di un rapporto di filiazione, anche su risultanze di valore probatorio soltanto indiziario.
Nella specie la Corte di appello ha dapprima ritenuto ingiustificato il rifiuto del D. di sottoporsi all’esame del D.N.A., e quindi che tale elemento indiziario fosse ulteriormente confortato dall’ammissione che l’appellante avrebbe reso in ordine all’esistenza di rapporti sessuali con la madre dell’appellato, oltre che dall’ininfluenza della prova testimoniale di cui era stata chiesta l’ammissione. Si tratta dunque di valutazione di merito correttamente formulata e sostenuta da sufficiente motivazione, che in quanto tale non risulta sindacabile in questa sede. Il D. per vero ne ha sostenuto l’erroneità, non solo sotto il profilo della non condivisione dell’approdo cui sono pervenuti il primo ed il secondo giudice, ma anche per altro verso.
In particolare la Corte territoriale avrebbe a torto stimato ingiustificato il suo rifiuto di sottoporsi alle indagini ematologiche, perché questo sarebbe stato determinato soltanto dal mancato accoglimento della richiesta di dare corso preliminarmente all’istruttoria orale, prospettazione che risulta tuttavia priva di pregio, non essendo configurabile alcuna gerarchia tra i mezzi di prova destinati alla dimostrazione della paternità naturale (C. 12/971, C. 07/14976, C. 06/6694).
Analogamente privo di pregio è il rilievo incentrato sull’equivoco in cui sarebbe incorsa la Corte di appello nel richiamare l’ammissione dell’appellante circa “l’esistenza di rapporti sessuali con la madre dell’appellato”.
Il dato valorizzato nella contestata sentenza è infatti comunque individuabile nella stretta relazione intercorrente fra il ricorrente e la madre dell’intimato, dato che risulta incontestabilmente dalle stesse puntualizzazioni del D. che, pur negando in questo giudizio di aver avuto rapporti sessuali con la madre di A. , ha tuttavia riconosciuto di non aver contestato l’avvenuta “frequentazione amorosa”, essendosi limitato a sostenere al riguardo “che nel periodo del concepimento fossero altri.. a frequentare assiduamente la madre dell’A. “.
Quest’ultimo dato, come esattamente rilevato dal giudice di appello, è di per sé ininfluente rispetto all’oggetto del decidere, poiché detto oggetto è individuabile nell’accertamento dell’effettività del rapporto di filiazione intercorso tra D. e A. , e tale rapporto all’evidenza non potrebbe comunque essere escluso da un’eventuale conferma della circostanza che la madre di quest’ultimo fosse solita frequentare assiduamente altre persone di sesso maschile.
Inoltre non sembra inutile rilevare come proprio la detta ininfluenza legittima pure, sotto il profilo della coerenza logica, il giudizio secondo il quale il rifiuto del D. di sottoporsi alle indagini ematologiche sarebbe ingiustificato, venendo così ad assumere, per tale ragione, la rilevanza probatoria ad esso attribuita.
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, mentre nulla va disposto in ordine alle spese processuali poiché l’intimato non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso
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