Sentenza 44/2016 | |
Giudizio | |
Presidente CRISCUOLO – Redattore CORAGGIO | |
Camera di Consiglio del 10/02/2016 Decisione del 10/02/2016 | |
Deposito del 03/03/2016 Pubblicazione in G. U. | |
Norme impugnate: | Art. 4 del decreto legislativo 31/12/1992, n. 546. |
Massime: | |
Atti decisi: | ordd. 169 e 170/2015 |
SENTENZA N. 44 ANNO 2016 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Alessandro CRISCUOLO; Giudici : Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 4 (rectius: art. 4, comma 1) del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promossi dalla Commissione tributaria provinciale di Cremona con due ordinanze del 15 dicembre 2014, iscritte ai nn. 169 e 170 del registro ordinanze 2015 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2015. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 2016 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio. Ritenuto in fatto 1.– La Commissione tributaria provinciale di Cremona, con due ordinanze di identico tenore, emesse in data 10 novembre 2014, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 24 e 97 della Costituzione, dell’art. 4 (rectius: art. 4, comma 1) del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui prevede che le commissioni tributarie provinciali sono competenti per le controversie proposte nei confronti dei concessionari del servizio riscossione che hanno sede nella loro circoscrizione anche nel caso in cui tale sede appartenga ad una circoscrizione diversa da quella degli enti locali concedenti. 1.1.? Il giudice rimettente espone nei seguenti termini le vicende processuali. Nell’ordinanza n. 169 del 2015 riferisce che, in data 1° luglio 2013, su delega del Comune di Casalmaggiore (Cremona), il concessionario ufficio Area riscossioni spa avente sede in Mondovì (Cuneo) notificava alla contribuente C.E. avvisi di accertamento ICI, anni 2008, 2009 e 2010, per il mancato pagamento delle imposte, in relazione ad un terreno di sua proprietà, in quanto la stessa non lo aveva dichiarato come area fabbricabile. Nell’ordinanza n. 170 del 2015 riferisce che, in data 2 luglio 2013, su delega del medesimo Comune di Casalmaggiore, lo stesso concessionario avente sede in Mondovì notificava alla contribuente Z.A. avvisi di accertamento ICI, anni 2008, 2009 e 2010, per il mancato pagamento delle imposte, in relazione ad un terreno di cui ella era usufruttuaria, in quanto la stessa non lo aveva dichiarato come area fabbricabile. Avverso tali atti, le contribuenti C.E. e Z.A. proponevano, ciascuna, ricorso avanti alla Commissione tributaria provinciale (d’ora innanzi «CTP») di Cremona, affermando di individuare la competenza territoriale della Commissione adita, tenuto conto che nella circoscrizione di Cremona erano ubicati gli immobili oggetto dell’accertamento e ritenendo questa «l’interpretazione più logica dell’art. 4 del d.lgs. n. 546/1992». Nel merito, le ricorrenti evidenziavano che i terreni costituivano area pertinenziale tenuta a giardino e classificata a verde privato, come tali inutilizzabili a fini edificatori; che tali situazioni erano note al Comune, sicché non vi era obbligo di informarlo al riguardo; che, inoltre, per quanto riguarda il giudizio relativo alla contribuente C.E., le sanzioni non erano irrogabili in quanto l’omissione di tale comunicazione non aveva impedito l’accertamento e, per quanto riguarda il giudizio relativo alla contribuente Z.A., il terreno era sempre stato coltivato dai titolari con l’aiuto dei familiari, non assumendo, quindi, alcun rilievo, ai fini del carattere agricolo del terreno, l’intervenuto pensionamento della contribuente quale coltivatrice diretta. Per i suddetti motivi, entrambe le ricorrenti instavano per l’annullamento degli impugnati atti, con rifusione delle spese del giudizio. Si costituiva, in entrambi i giudizi, l’ufficio Area riscossioni spa di Mondovì, eccependo l’incompetenza territoriale della Commissione adita sul presupposto, più volte stabilito dalla Corte di cassazione, che l’individuazione del giudice territorialmente competente avrebbe dovuto essere determinata dall’ubicazione dell’ufficio che aveva emanato l’atto. Nel sottolineare come, a norma dell’art. 5 del d.lgs. n. 546 del 1992, tale competenza fosse inderogabile, il concessionario rilevava che, dunque, il ricorso avrebbe dovuto essere presentato innanzi alla CTP di Cuneo, tenuto conto che l’atto impugnato era stato emesso dall’Area riscossioni spa avente sede in Mondovì. Nel merito, il concessionario replicava alla contestazione della ricorrente C.E., evidenziando che una parte del terreno era area libera, nella quale sarebbe stato possibile edificare; inoltre, la sanzione doveva applicarsi avendo l’omissione arrecato pregiudizio all’esercizio di controllo, ancorché non avesse impedito l’accertamento. Nel giudizio relativo al terreno di cui era usufruttuaria la contribuente Z.A., il concessionario segnalava che una parte del terreno era edificabile e quindi, in quanto tale, soggetto ad imposta, atteso che, per gli anni di imposizione, la ricorrente non risultava avere versato i contributi di coltivatore diretto. Il concessionario, in entrambi i giudizi, chiedeva, preliminarmente, che fosse dichiarata l’incompetenza territoriale della Commissione adita, competente essendo la CTP di Cuneo e, in subordine, che fosse respinta la domanda della ricorrente, con rifusione delle spese del giudizio. 1.2.– La CTP di Cremona, in ciascuna delle ordinanze di rimessione – affermata la rilevanza della questione rispetto alla definizione dei giudizi in corso, atteso che l’applicazione della norma denunciata avrebbe determinato, per entrambi, la declinatoria della propria competenza territoriale in favore della CTP di Cuneo – solleva dubbi di costituzionalità del citato art. 4, comma 1, per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione. A parere del giudice rimettente, l’individuazione della competenza in ragione della sede del concessionario potrebbe comportare, così come accaduto nelle fattispecie in esame, effetti processuali distonici rispetto alla ratio che dovrebbe ispirare la norma, ovverosia quella di rapportare la competenza in prossimità del luogo in cui gli interessi della pubblica amministrazione e del contribuente risultano concretamente coinvolti. Dalla diretta applicazione della norma deriverebbe, infatti, che, nel caso, nient’affatto eccezionale, in cui l’ente locale affidi il servizio di accertamento e riscossione dell’imposta ICI ad un concessionario avente sede significativamente distante da quella del suddetto ente (che, conseguentemente, sarebbe pure distante da quello della circoscrizione in cui si trova l’immobile, siccome censito dal medesimo ente), la competenza dovrebbe trasferirsi presso quella lontana circoscrizione, così stravolgendosi «il corretto rapporto istituzionale che deve intercorrere tra cittadino e pubblica amministrazione». Da qui la non manifesta fondatezza della questione con riferimento ai parametri costituzionali di cui agli artt. 24 e 97 Cost. Risulterebbe, infatti, compromesso il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente, posto che quest’ultimo sarebbe costretto ad un gravoso spostamento verso il luogo ove instaurare la propria azione giudiziaria: «[u]no spostamento che, in ultima analisi, potrebbe, finanche indurre il contribuente a rinunciare, suo malgrado, ad impugnare l’atto, onde evitare di sottoporsi ad ulteriori oneri». Infrangere il rapporto territoriale tra originario ente pubblico e contribuente nel momento in cui quest’ultimo intenda esercitare il proprio diritto alla tutela giudiziaria, non determinerebbe soltanto un vulnus al diritto di difesa del cittadino, ma finirebbe «per compromettere una corretta relazione intercorrente tra la pubblica amministrazione e la base sociale», strettamente collegata al principio predicato dall’art. 97 Cost. Prevedendo che a giudicare la controversia tra un ente pubblico e un contribuente sia la commissione tributaria avente sede nella circoscrizione del concessionario «scelto» dal suddetto ente, si finirebbe sostanzialmente «per attribuire alla pubblica amministrazione il potere di gestire il proprio rapporto con gli amministrati in maniera iniqua ed arbitraria», e ciò in aperto contrasto con il principio di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione. Né apparirebbe ravvisabile nella norma in esame una razionale giustificazione, sottesa alla salvaguardia di un qualche interesse della pubblica amministrazione, in quanto «l’interesse all’efficienza e tempestività dell’accertamento sulla pretesa impositiva non potrebbe certo derivare dall’affidare tale accertamento ad un concessionario ben distante dal bene immobile cui detto accertamento sarebbe strettamente connesso». 2.– In entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo, sulla base delle medesime argomentazioni, che la questione sia dichiarata inammissibile o non fondata. 2.1.– Ad avviso della difesa dello Stato, la denunciata violazione dell’art. 24 Cost. sarebbe presentata dal giudice rimettente «in via del tutto eventuale». La prospettata questione di costituzionalità apparirebbe pertanto inammissibile in quanto rivolta non già a censurare la norma nella sua formulazione astratta bensì solo gli eventuali effetti negativi che potrebbero conseguire ad una «possibile (ma non generalizzata) applicazione pratica» della stessa, subordinata ad alcune circostanze: la circostanza che l’ente locale affidi il servizio di accertamento e riscossione ad un concessionario avente sede distante dalla propria e l’ulteriore circostanza che effettivamente il contribuente decida di rinunciare a presentare ricorso per gli oneri derivanti dalla lontananza della CTP competente. Profili di inammissibilità marchierebbero anche la censura relativa all’art. 97 Cost., in quanto essa, per come prospettata dal rimettente, avrebbe ad oggetto non già il criterio di competenza territoriale delineato dalla norma censurata, ma la possibilità, riconosciuta dal legislatore a Province e Comuni, di affidare a terzi l’accertamento e la riscossione dei propri tributi, con la conseguenza che tale scelta potrebbe ricadere su un concessionario avente sede distante dal bene immobile oggetto del tributo. Le lamentate implicazioni in punto di competenza territoriale delle commissioni tributarie provinciali sarebbero, quindi, solo una conseguenza indiretta e derivata di tale possibilità. La censura di costituzionalità atterrebbe cioè non «[…] alla competenza “processuale” ma a quella “amministrativa”». 2.2.– Quanto alla non fondatezza, viene rimarcato che la garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale non escluderebbe che possano essere posti a carico della parte istante alcuni oneri purché gli stessi siano giustificati da esigenze di ordine generale o da superiori finalità di giustizia. In ordine al principio di cui all’art. 97 Cost., invocato dal giudice rimettente perché la norma censurata consentirebbe di attribuire alla pubblica amministrazione il potere di gestire il proprio rapporto con gli amministratori in maniera iniqua ed arbitraria, si rileva come tale scelta non sarebbe affatto «arbitraria», posto che, a norma dell’art. 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), essa dovrebbe avvenire «nel rispetto della normativa europea e delle procedure vigenti in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali». Del resto, il sistema così delineato dal legislatore potrebbe, sì, comportare per il contribuente interessato oneri che non sussistono nel caso in cui la sede del concessionario coincida con quella dell’ente impositore, ma ciò potrebbe al massimo configurare una violazione dell’art. 3 Cost., parametro non invocato dal giudice rimettente; violazione peraltro esclusa dalla ragionevolezza della scelta di un univoco criterio di collegamento territoriale – incentrato sulla sede del soggetto che ha emesso l’atto impugnato, anche nel caso di mancata coincidenza del luogo in cui essa è ubicata rispetto a quello della sede dell’ente concedente – ispirato a logiche di semplificazione del sistema di regole e norme che disciplinano il processo tributario. In chiusura, la difesa dello Stato segnala, da un lato, che i recenti provvedimenti sul processo tributario telematico avrebbero comunque di fatto reso meno onerosa la difesa a distanza e, dall’altro lato, che, comunque, i maggiori oneri per la difesa potrebbero trovare ristoro con la liquidazione delle spese di lite. Considerato in diritto 1.– Con due ordinanze di identico contenuto la Commissione tributaria provinciale di Cremona ha sollevato, per violazione degli artt. 24 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 (rectius: art. 4, comma 1) del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui prevede che le commissioni tributarie provinciali sono competenti per le controversie proposte nei confronti dei concessionari del servizio di riscossione che hanno sede nella loro circoscrizione anche nel caso in cui tale sede ricada in una circoscrizione diversa da quella in cui ricade la sede dell’ente locale concedente. 1.1.– Il citato art. 4, al comma 1, disciplina la competenza delle commissioni tributarie provinciali, radicandola in base alla sede dell’ufficio delle entrate o del territorio del Ministero delle finanze ovvero dell’ente locale ovvero del concessionario del servizio di riscossione nei cui confronti viene proposta la controversia. A parere del giudice rimettente la norma censurata violerebbe l’art. 24 Cost., in quanto, nell’ipotesi in cui il concessionario abbia sede in un luogo significativamente distante da quello in cui ha sede l’ente impositore, il contribuente si vedrebbe costretto a instaurare un giudizio in un luogo lontano da quello ove è ubicato l’immobile censito dall’ente impositore. Siffatto onere sarebbe di entità tale da rappresentare un significativo ostacolo all’esercizio del proprio diritto di difesa e potrebbe persino indurre a rinunciare ad impugnare l’atto. La frattura del rapporto territoriale tra ente pubblico e contribuente produrrebbe, altresì, la violazione dell’art. 97 Cost. in quanto, consentendo che a giudicare la controversia tra i due soggetti sia la commissione tributaria nella cui circoscrizione ha sede il concessionario «scelto» dall’ente medesimo, attribuirebbe alla pubblica amministrazione il potere di gestire il proprio rapporto con gli amministrati in maniera iniqua ed arbitraria, così stravolgendo il corretto rapporto istituzionale che deve intercorrere tra cittadino e pubblica amministrazione. 2.– Ad avviso della difesa dello Stato, le questioni sollevate sarebbero inammissibili e infondate. 2.1.– Sotto il primo profilo, la denunciata violazione dell’art. 24 Cost. sarebbe presentata «in via del tutto eventuale […] ipotizzata solo come “un caso” possibile, e al limite “non eccezionale”», mentre la censura relativa all’art. 97 Cost., per come prospettata dal rimettente, avrebbe ad oggetto non già il criterio di competenza territoriale delineato dalla norma censurata, ma la possibilità, riconosciuta dal legislatore a Province e Comuni, di affidare a terzi l’accertamento e la riscossione dei propri tributi: atterrebbe cioè non «[…] alla competenza “processuale” ma a quella “amministrativa”». 2.2.– Quanto al secondo profilo, i dubbi di costituzionalità sollevati dalla Commissione tributaria provinciale di Cremona in ordine all’art. 24 Cost. sarebbero infondati in quanto la garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale non escluderebbe che possano essere posti a carico della parte istante determinati oneri purché gli stessi siano giustificati da esigenze di ordine generale o da superiori finalità di giustizia. La violazione dell’art. 97 Cost., poi, sarebbe esclusa in quanto la scelta del concessionario del servizio non sarebbe affatto «arbitraria», posto che, a norma dell’art. 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), essa dovrebbe avvenire «nel rispetto della normativa europea e delle procedure vigenti in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali». Viene, peraltro, asserito che, se pure il sistema così delineato dal legislatore potrebbe effettivamente comportare per il contribuente interessato possibili oneri che non sussistono nel caso in cui la sede del concessionario coincida con quella dell’ente impositore, ciò potrebbe al massimo risolversi in una violazione dell’art. 3 Cost., parametro non evocato dal giudice rimettente. Tale violazione sarebbe peraltro esclusa dalla ragionevolezza della scelta di un univoco criterio di collegamento territoriale – incentrato sulla sede del soggetto che ha emesso l’atto impugnato, anche nel caso di mancata coincidenza del luogo in cui essa è ubicata rispetto a quello della sede dell’ente concedente – ispirato a logiche di semplificazione del processo tributario. 3.– Deve essere disposta la riunione dei giudizi, attesa la coincidenza dei parametri e dell’oggetto degli atti di rimessione. 4.– Va, innanzitutto, segnalato che, dopo l’emissione delle due ordinanze di rimessione, è intervenuto un parziale mutamento della disposizione censurata. Il comma 1 dell’art. 4, nella versione vigente al momento della rimessione delle questioni di costituzionalità da parte della Commissione tributaria provinciale di Cremona, così recita: «Le commissioni tributarie provinciali sono competenti per le controversie proposte nei confronti degli uffici delle entrate o del territorio del Ministero delle finanze ovvero degli enti locali ovvero dei concessionari del servizio di riscossione, che hanno sede nella loro circoscrizione […]». La versione derivante dalla sostituzione del censurato comma 1 operata dall’art. 9, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156 (Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a e b, della legge 11 marzo 2014, n. 23), vigente a decorrere dal 1o gennaio 2016, fa, invece, riferimento alle controversie proposte nei confronti «degli enti impositori, degli agenti della riscossione e dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446». La norma sopravvenuta non trova applicazione nei giudizi a quibus perché, ai sensi dell’art. 5 del codice di procedura civile, la competenza si incardina al momento della domanda. Oggetto del giudizio di costituzionalità rimane, quindi, la norma originariamente censurata. 5.– In via preliminare, vanno rigettate le eccezioni di inammissibilità formulate dall’Avvocatura generale dello Stato. 5.1.– Contrariamente a quanto sostenuto da quest’ultima, la prospettazione della commissione tributaria provinciale non è correlata ad un mero «caso» ipotizzato come possibile, posto che le problematiche lamentate sono una fisiologica ricaduta della norma, ovvero «un effetto collegato alla struttura della norma censurata» (ordinanza n. 66 del 2014). Oggetto della censura, quindi, non è «un inconveniente di fatto legato alle particolari modalità di svolgimento del giudizio a quo» (ordinanza n. 66 del 2014) o comunque alle «asserite difficoltà non discendenti in via diretta ed immediata dalla norma censurata» (sentenza n. 216 del 2013). 5.2.– Analogamente infondati sono i profili di inammissibilità eccepiti dall’Avvocatura generale dello Stato con riferimento alla censura relativa all’art. 97 Cost. Il giudice rimettente, infatti, non critica la mancanza in sé di vincoli spaziali e geografici nell’individuazione del terzo cui affidare l’attività di accertamento e riscossione, ma si duole unicamente della circostanza che la competenza territoriale delle commissioni tributarie provinciali venga determinata in base alla sede di tale soggetto. 6.– Nel merito, la censura di cui all’art. 97 Cost. non è fondata per inconferenza del parametro evocato. Per costante orientamento di questa Corte, infatti, «il principio del buon andamento è riferibile all’amministrazione della giustizia soltanto per quanto attiene all’organizzazione e al funzionamento degli uffici giudiziari, e non anche in rapporto all’esercizio della funzione giurisdizionale (ex plurimis, sentenza n. 10 del 2013; ordinanze n. 66 del 2014, n. 243 del 2013 e n. 84 del 2011)», alla quale, per converso, evidentemente si riferisce la norma processuale censurata. 7.– Fondata, invece, è la censura relativa all’art. 24 Cost. 7.1.– La giurisprudenza costituzionale riconosce un’ampia discrezionalità del legislatore nella conformazione degli istituti processuali (tra le ultime, sentenze n. 23 del 2015, n. 243 e n. 157 del 2014), anche in materia di competenza (ex plurimis, sentenze n. 159 del 2014 e n. 50 del 2010). Resta naturalmente fermo il limite della manifesta irragionevolezza della disciplina, che si ravvisa, con riferimento specifico al parametro evocato, ogniqualvolta emerga un’ingiustificabile compressione del diritto di agire (sentenza n. 335 del 2004). In generale, questa Corte ha chiarito, con riferimento all’art. 24 Cost., che «tale precetto costituzionale “non impone che il cittadino possa conseguire la tutela giurisdizionale sempre nello stesso modo e con i medesimi effetti […] purché non vengano imposti oneri tali o non vengano prescritte modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’attività processuale” (sentenza n. 63 del 1977; analogamente, cfr. sentenza n. 427 del 1999 e ordinanza n. 99 del 2000)» (ordinanza n. 386 del 2004). 7.2.– Alla luce di questi principi, deve ritenersi che nella disciplina in esame il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, abbia individuato un criterio attributivo della competenza che concretizza «quella condizione di “sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione garantito dall’art. 24 della Costituzione” suscettibile “di integrare la violazione del citato parametro costituzionale” (così, nuovamente, la sentenza n. 237 del 2007)» (ordinanza n. 417 del 2007). Difatti, poiché l’ente locale non incontra alcuna limitazione di carattere geografico-spaziale nell’individuazione del terzo cui affidare il servizio di accertamento e riscossione dei propri tributi, lo «spostamento» richiesto al contribuente che voglia esercitare il proprio diritto di azione, garantito dal parametro evocato, è potenzialmente idoneo a costituire una condizione di «sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione» (sentenze n. 117 del 2012, n. 30 del 2011, n. 237 del 2007 e n. 266 del 2006) o comunque a «rendere “oltremodo difficoltosa” la tutela giurisdizionale» (sentenza n. 237 del 2007; ordinanze n. 382 e n. 213 del 2005). 7.3.– A questo proposito, lo stesso legislatore, all’art. 52, comma 5, lettera c), del d.lgs. n. 446 del 1997, ha precisato che l’individuazione, da parte dell’ente locale, del concessionario del servizio di accertamento e riscossione dei tributi e delle altre entrate (determinante ai fini del radicamento della competenza) «non deve comportare oneri aggiuntivi per il contribuente». Ebbene, il fatto che il contribuente debba farsi carico di uno «spostamento» geografico anche significativo per esercitare il proprio diritto di difesa integra un considerevole onere a suo carico. Questo onere, già di per sé ingiustificato, diviene tanto più rilevante in relazione ai valori fiscali normalmente in gioco, che potrebbero essere – come in concreto sono nella specie – di modesta entità, e quindi tali da rendere non conveniente un’azione da esercitarsi in una sede lontana. 8.– Quanto alla individuazione del criterio alternativo di competenza, essa non comporta un’operazione manipolativa esorbitante dai poteri di questa Corte, in quanto non deve essere operata una scelta tra più soluzioni, tutte praticabili perché non costituzionalmente obbligate (sentenza n. 87 del 2013; ordinanze n. 176, n. 156 del 2013 e n. 248 del 2012). Difatti, il rapporto esistente tra l’ente locale e il soggetto cui è affidato il servizio di accertamento e riscossione comporta che, ferma la plurisoggettività del rapporto, il secondo costituisca una longa manus del primo, con la conseguente imputazione dell’atto di accertamento e riscossione a quest’ultimo. Ne consegue che, ritenuto irragionevole ai fini del radicamento della competenza territoriale, per le ragioni evidenziate, il riferimento alla sede del soggetto cui è affidato il servizio, non può che emergere il rapporto sostanziale tra il contribuente e l’ente impositore. Alla sede di quest’ultimo ai fini della determinazione della competenza non vi è quindi alternativa. 9.– Va, pertanto, dichiarata – in accoglimento della sollevata questione ? l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, con riferimento all’art. 24 Cost., nella parte in cui prevede che per le controversie proposte nei confronti dei concessionari del servizio di riscossione è competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i concessionari stessi hanno sede, anziché quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale concedente. 10.? Deve essere, infine, preso in considerazione l’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo vigente a seguito della sostituzione operata dall’art. 9, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 156 del 2015. Infatti, «“l’apprezzamento di questa Corte, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, non presuppone la rilevanza delle norme ai fini della decisione propria del processo principale, ma cade invece sul rapporto con cui esse si concatenano nell’ordinamento, con riguardo agli effetti prodotti dalle sentenze dichiarative di illegittimità costituzionali” (sentenza n. 214 del 2010)» (sentenza n. 37 del 2015). In applicazione del citato art. 27, quindi, trattandosi di disposizione sostitutiva contenente disposizioni analoghe in contrasto coi principi affermati nella odierna decisione (sentenze n. 82 del 2013, n. 70 del 1996 e n. 422 del 1995), deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo vigente a seguito della sostituzione operata dall’art. 9, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 156 del 2015, nella parte in cui prevede che per le controversie proposte nei confronti dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53 del d.lgs. n. 446 del 1997 è competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i medesimi soggetti hanno sede, anziché quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale impositore. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, 1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nel testo vigente anteriormente alla sua sostituzione ad opera dell’art. 9, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156 (Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a e b, della legge 11 marzo 2014, n. 23), nella parte in cui prevede che per le controversie proposte nei confronti dei concessionari del servizio di riscossione è competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i concessionari stessi hanno sede, anziché quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale concedente; 2) dichiara, in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo vigente a seguito della sostituzione operata dall’art. 9, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 156 del 2015, nella parte in cui prevede che per le controversie proposte nei confronti dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali) è competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i medesimi soggetti hanno sede, anziché quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale impositore. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 2016. F.to: Alessandro CRISCUOLO, Presidente Giancarlo CORAGGIO, Redattore Roberto MILANA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 3 marzo 2016. Il Cancelliere F.to: Roberto MILANA |
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