Sentenza 171/2015 |
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Giudizio | |
Presidente CRISCUOLO – Redattore CARTABIA | |
Udienza Pubblica del 07/07/2015 Decisione del 07/07/2015 | |
Deposito del 16/07/2015 Pubblicazione in G. U. | |
Norme impugnate: | Art. 30 ter del decreto legge 24/06/2014, n. 91, convertito con modificazioni in legge 11/08/2014, n. 116. |
Massime: | |
Atti decisi: | ric. 85/2014 |
SENTENZA N. 171ANNO 2015REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Alessandro CRISCUOLO; Giudici : Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 30-ter del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 agosto 2014, n. 116, promosso dalla Regione Abruzzo con ricorso notificato il 20 ottobre 2014, depositato in cancelleria il 27 ottobre 2014 ed iscritto al n. 85 del registro ricorsi 2014. Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell’udienza pubblica del 7 luglio 2015 il Giudice relatore Marta Cartabia; uditi l’avvocato Fabio Francesco Franco per la Regione Abruzzo e l’avvocato dello Stato Pio Giovanni Marrone per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.– Con ricorso notificato a mezzo del servizio postale il 20 ottobre 2014 e depositato il 27 ottobre 2014 (reg. ric. n. 85 del 2014) la Regione Abruzzo ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 30-ter del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 agosto 2014, n. 116, per contrasto con gli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, primo comma, e 120, secondo comma, della Costituzione, quest’ultimo anche in riferimento all’art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3). Ad avviso della Regione ricorrente la disposizione impugnata, che ha modificato l’art. 29 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 aprile 2012, n. 35, e che si occupa dei procedimenti per la riconversione di industrie del settore bieticolo saccarifero, esplicherebbe la sua efficacia anche nel territorio della Regione Abruzzo, in relazione al progetto di costruzione di un termovalorizzatore a biomasse, in attuazione dell’accordo per la riconversione di un ex zuccherificio sito nel Comune di Celano. Nel ricorso si dà conto dell’evoluzione registratasi nella disciplina del settore bieticolo-saccarifero, a livello europeo e a livello statale: la prima contenuta soprattutto nel regolamento (CE) 20 febbraio 2006, n. 320/2006 (Regolamento del Consiglio relativo a un regime temporaneo per la ristrutturazione dell’industria dello zucchero nella Comunità e che modifica il regolamento (CE) n. 1290/2005 relativo al finanziamento della politica agricola comune); la seconda identificabile nel decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2 (Interventi urgenti per i settori dell’agricoltura, dell’agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d’impresa), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 marzo 2006, n. 81, il cui art. 2 ha istituito un apposito Comitato interministeriale per fronteggiare la grave crisi del settore. Questo Comitato interministeriale – presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri e con il Ministro delle politiche agricole e forestali chiamato a svolgere le funzioni di vicepresidente, composto altresì da ulteriori cinque ministri e da tre presidenti di Regione designati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano – è stato chiamato a: a) approvare il piano per la razionalizzazione e la riconversione della produzione bieticolo-saccarifera; b) coordinare le misure comunitarie e nazionali previste per la riconversione industriale del settore e per le connesse problematiche sociali; c) formulare direttive per l’approvazione dei progetti di riconversione (presentati dalle imprese, per ciascun impianto, e soggetti all’approvazione del Ministero delle politiche agricole e forestali, ai sensi dell’art. 2, comma 3, del d.l. n. 2 del 2006, come convertito). In questo quadro, l’art. 29 del d.l. n. 5 del 2012, come convertito, ha previsto la figura del commissario ad acta, nominato dal suddetto Comitato interministeriale – ai sensi dell’art. 20 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 28 gennaio 2009, n. 2 – il quale ultimo è incaricato, nella formulazione originaria, di disporre «norme idonee nel quadro delle competenze amministrative regionali atte a garantire l’esecutività dei progetti» di riconversione. La disposizione di cui al suddetto art. 29, comma 2, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 62 del 2013 di questa Corte, in accoglimento di un ricorso promosso dalla Regione Veneto. Secondo quanto stabilito da tale pronuncia, infatti, la disciplina in essa contenuta va ascritta «alla materia agricoltura riservata alla competenza legislativa residuale delle Regioni» e perciò «viene a porsi in contrasto con l’art. 117 Cost., tanto se la si interpreti come attributiva di un potere regolamentare, quanto amministrativo. Nel primo caso sarebbe pacificamente violato l’art. 117, sesto comma, Cost., trattandosi di una materia riservata alla competenza legislativa residuale delle regioni. Nel secondo, invece, si dovrebbe ipotizzare una chiamata in sussidiarietà da parte dello Stato per assicurare il perseguimento di interessi unitari che sarebbero compromessi dall’inerzia o dall’inadempimento da parte del livello di governo inferiore» (viene richiamata la sentenza di questa Corte n. 303 del 2003). Tuttavia – continua la sentenza n. 62 del 2013 – «nei casi in cui vi sia uno spostamento di competenze amministrative a seguito di attrazione in sussidiarietà, questa Corte ha escluso che possa essere previsto un potere sostitutivo, dovendosi ritenere che la leale collaborazione, necessaria in tale evenienza, non possa essere sostituita puramente e semplicemente da un atto unilaterale dello Stato (sentenze n. 165 del 2011 e n. 383 del 2005). L’art. 29, invece, prevede un potere di intervento sostitutivo dello Stato che si attiva mediante la predisposizione da parte del comitato interministeriale di norme idonee a dare esecutività ai progetti nel quadro delle competenze regionali e in casi di particolare necessità (non specificati) con il diretto intervento di un commissario ad acta. Inoltre la norma introduce una forma di potere sostitutivo (per dare attuazione al diritto comunitario) che non risponde ai requisiti richiesti dall’art. 120 Cost. e dall’art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3)». Ad avviso della ricorrente, la modifica apportata all’art. 29 del d.l. n. 5 del 2012, dalla disposizione qui impugnata, inserita nell’art. 30-ter del d.l. n. 91 del 2014 per effetto di un emendamento al relativo disegno di legge di conversione, pur qualificando i progetti di riconversione nel settore bieticolo-saccarifero come «di interesse strategico» e pur avendo precisato i presupposti alla base della nomina del commissario ad acta, meriterebbe le medesime censure di incostituzionalità già accolte nella sentenza n. 62 del 2013. La ricorrente lamenta, anzitutto, la lesione – ad opera dell’impugnato art. 30-ter, comma 1, lettera a) – degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché del principio di leale collaborazione. L’attribuzione del carattere di «interesse strategico» ai progetti di riconversione industriale nel settore bieticolo-saccarifero risulterebbe, infatti, generica e configurerebbe una “chiamata in sussidiarietà” in materia riservata alla competenza regionale, senza che a monte vi sia stata la prescritta intesa con le Regioni territorialmente interessate. Quanto all’art. 30-ter, comma 1, lettera b), la ricorrente sostiene che tale disposizione sia affetta dai medesimi vizi già rilevati dalla sentenza n. 62 del 2013 di questa Corte e sia, pertanto, da dichiararsi in contrasto con l’art. 117, quarto comma, Cost., in quanto invasiva della sfera di competenza legislativa esclusiva delle Regioni in materia di agricoltura. Le modifiche apportate alla precedente normativa, infatti, si concretizzerebbero esclusivamente nell’uso di sinonimi («esecuzione» in luogo di «attuazione»), di locuzioni verbali che definiscono il medesimo concetto («accordi per la riconversione industriale sottoscritti con coordinamento del Comitato interministeriale» al posto di «accordi definiti in sede regionale con coordinamento del Comitato interministeriale») e, infine, di locuzioni verbali più lunghe che meglio specificano un concetto (come quello di «casi di particolare necessità», sostituito da «nel caso in cui i relativi procedimenti autorizzativi non risultino ultimati e siano decorsi infruttuosamente i termini di legge per la conclusione di tali procedimenti»), senza però modificarlo. Inoltre l’art. 30-ter, impugnato, sarebbe in contrasto con il combinato disposto dell’art. 120, secondo comma, Cost. e dell’art. 8 della l. n. 131 del 2003 e, altresì, con i principi di sussidiarietà e di leale collaborazione. Infatti, l’esercizio del potere sostitutivo dello Stato, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione, va preceduto, secondo i parametri richiamati, dall’assegnazione di un congruo termine all’ente regionale interessato, perché sia in condizione di adottare i provvedimenti necessari: solo una volta decorso tale termine lo Stato sarebbe abilitato ad intervenire con l’adozione dei provvedimenti necessari o con la nomina di apposito commissario. Al contrario, nella disciplina impugnata non sono previsti né l’assegnazione di un termine né il coinvolgimento della Regione, in violazione dei principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale (viene richiamata la sentenza di questa Corte n. 63 del 2008). 2.– Con atto del 27 novembre 2014, depositato in cancelleria nella medesima data, si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile e, comunque, rigettato. La difesa statale rileva, infatti, che la Regione ricorrente omette di evidenziare talune modifiche, contenute nell’impugnato art. 30-ter del d.l. n. 91 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 116 del 2014, le quali, ad un esame più attento, consentirebbero di affermare la conformità a Costituzione della norma vigente. In particolare, nell’art. 29, comma 1, del d.l. n. 5 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 35 del 2012, è stato inserito – per effetto dell’art. 30-ter, impugnato – un riferimento ai progetti che rivestono «carattere di interesse strategico e costituiscono una priorità a carattere nazionale in considerazione dei prevalenti profili di sviluppo economico di tali insediamenti produttivi nonché per la salvaguardia dei territori oggetto degli interventi e dei livelli occupazionali». La novella legislativa impugnata dispone che i progetti in questione riguardano «la realizzazione di iniziative di riconversione industriale, prevalentemente nel settore della produzione di energia da fonti rinnovabili» e che essi siano «finalizzati anche al reimpiego dei lavoratori, dipendenti delle imprese saccarifere italiane dismesse per effetto del regolamento (CE) n. 320/2006 del Consiglio, del 20 febbraio 2006, in nuove attività di natura industriale»; si è previsto che il commissario ad acta possa essere nominato solo «nel caso in cui i relativi procedimenti autorizzativi non risultino ultimati e siano decorsi infruttuosamente i termini di legge per la conclusione di tali procedimenti»; e si è infine eliminato il richiamo alle «norme idonee», sostituendolo con quello alle «direttive» adottate dal Comitato interministeriale. Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato la nuova formulazione dell’art. 29, comma 1, in particolare laddove riconduce la riconversione del comparto bieticolo-saccarifero ai «prevalenti profili di sviluppo economico» e laddove esplicita la finalità del mantenimento dei livelli occupazionali, dovrebbe portare a ricondurre la materia alla tutela del diritto del lavoro di cui all’art. 4 Cost., analogamente a casi in cui si verteva di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale (come quello di cui alla richiamata sentenza n. 85 del 2013). Inoltre, poiché la riconversione sarebbe volta a trasformare ex stabilimenti saccariferi in impianti destinati alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, non si verterebbe in materia di agricoltura, bensì in materie quali sviluppo economico, occupazione, ambiente, energia e adempimento di impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea. Si tratterebbe di un intervento legislativo statale proporzionato e non irragionevole, analogo a quelli adottati per altri interventi strategici, ad esempio per l’emergenza rifiuti in Campania e a quelli riguardanti la protezione per i cantieri della linea ferroviaria Torino-Lione: in tal senso sono richiamati, rispettivamente, il decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 luglio 2008, n. 123, e l’art. 19 della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2012). Inoltre, il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea, nella memoria, come il settore dello zucchero sia stato oggetto di una riforma volta ad adeguarlo agli impegni assunti dall’Unione europea a livello internazionale, prevedendo specifiche forme di aiuto al settore anche per favorire la riconversione delle attività di coltivazione e produzione, in modo da dismettere gran parte degli impianti attivi. La disciplina in esame, pertanto, sarebbe riconducibile agli artt. 117, primo e secondo comma, Cost., essendo giustificata dalla necessità di garantire il puntuale e corretto adempimento degli obblighi comunitari (è richiamata la sentenza n. 304 del 1987) e la tutela dell’unità giuridica ed economica di cui lo Stato è garante. In questa logica si giustificherebbe altresì il potere di intervento statale previsto dalla norma censurata, inteso a scongiurare l’inadempimento degli enti territoriali competenti per l’attuazione dei progetti di riconversione, che rischierebbe di impedirne la realizzazione. La nuova versione dell’art. 29 si presenterebbe immune dalle censure accolte dalla sentenza n. 62 del 2013: sia perché circoscrive l’intervento statale ai soli casi in cui siano decorsi infruttuosamente i termini di legge per la conclusione dei procedimenti autorizzativi; sia perché il potere di intervento dello Stato è ora attribuito al Comitato interministeriale che, per la sua composizione “mista”, è espressione anche delle Regioni; sia infine perché scompaiono tanto il riferimento ai «casi di particolare necessità», quanto quello alle «norme idonee», su cui si erano appuntate le censure accolte dalla sentenza n. 62 del 2013. 3.– Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, la Regione Abruzzo replica a quanto dedotto dall’Avvocatura generale dello Stato, rilevando che nel proprio ricorso non è stato omesso alcun elemento utile a valutare la legittimità costituzionale o meno del testo impugnato, prendendo puntualmente in esame tutte le modifiche intervenute. In particolare, con riguardo all’art. 29, comma 1, del d.l. n. 5 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 35 del 2012, come modificato dall’art. 30-ter del d.l. n. 91 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 116 del 2014, né il riferimento all’«interesse strategico» al posto di quello all’«interesse nazionale», né il richiamo alla salvaguardia dei livelli occupazionali sembrano idonei a superare i profili di illegittimità costituzionale già rilevati nella sentenza n. 62 del 2013 di questa Corte, in quanto non comporterebbero una modifica della competenza legislativa, ma continuerebbero a configurare una “chiamata in sussidiarietà”, senza che a monte vi sia stata l’imprescindibile intesa, sulla base del principio di lealtà, con le Regioni territorialmente interessate e senza che siano stati rispettati i principi di sussidiarietà, di differenziazione e di adeguatezza nell’allocazione delle funzioni amministrative. Per quanto poi concerne l’art. 29, comma 2, del d.l. n. 5 del 2012, come convertito, modificato dall’art. 30-ter del d.l. n. 91 del 2014, come convertito, la Regione Abruzzo ribadisce che il testo originario della disposizione, dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza n. 62 del 2013, e quello novellato sarebbero sostanzialmente eguali e rileva come anche nel testo vigente le modalità del ricorso alla nomina del commissario ad acta sarebbero in evidente contrasto sia con l’art. 117, quarto comma, Cost., in quanto invasive della sfera di competenza legislativa esclusiva delle Regioni in materia di agricoltura, sia con il combinato disposto degli artt. 120, secondo comma, Cost. e 8 della l. n. 131 del 2003, in quanto non si assegna un congruo termine alla Regione né si prevede il coinvolgimento della medesima. 4.– Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri insiste per l’inammissibilità o, comunque, per il rigetto del ricorso, ribadendo e integrando gli argomenti illustrati nell’atto di costituzione in giudizio. Il Presidente del Consiglio dei ministri ricorda, tra l’altro, che il Piano per la razionalizzazione e la riconversione della produzione bieticolo-saccarifera è stato approvato nella riunione dell’apposito Comitato interministeriale del 31 gennaio 2007 e che, con riferimento alla riconversione dell’ex stabilimento saccarifero di Celano, il progetto per la realizzazione di un impianto per la produzione di energia elettrica da biomassa lignocellulosica è stato approvato il 19 marzo 2008, sulla base dell’Accordo di riconversione produttiva sottoscritto il 19 settembre 2007 tra la Regione Abruzzo, la Provincia dell’Aquila, il Comune di Celano, le organizzazioni sindacali dei lavoratori e i proponenti Eridania Sadam spa e Power Crop srl. L’interesse nazionale per i progetti di riconversione approvati, dichiarato dal Comitato interministeriale nella riunione del 9 settembre 2009, si fonderebbe anche sull’impegno assunto dallo Stato italiano – in attuazione della direttiva 23 aprile 2009, n. 2009/28/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive n. 2001/77/CE e n. 2003/30/CE) – di coprire nel 2020 i consumi finali di energia per almeno il 20 per cento da fonti rinnovabili e sulla esigenza di tener conto dell’obiettivo programmatico dell’Unione europea di estendere detta percentuale ad almeno il 27 per cento entro il 2030. Quanto all’individuazione della materia entro la quale si inserisce la norma impugnata, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che, in coerenza con l’orientamento giurisprudenziale secondo cui sarebbe necessario tenere conto della ratio della norma, così da identificare correttamente e compiutamente anche l’interesse tutelato (vengono richiamate le sentenze n. 167 e n. 119 del 2014, n. 300 del 2011, n. 430 e n. 165 del 2007 di questa Corte), la nuova formulazione del comma 1 dell’art. 29, che fa espresso riferimento a «prevalenti profili di sviluppo economico», sia riconducibile alla finalità del mantenimento dei livelli occupazionali e pertanto inquadrabile in una molteplicità di materie (sviluppo economico, tutela dei livelli occupazionali, ambiente, energia, adempimento di impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea). In questo quadro, la “chiamata in sussidiarietà” si rivelerebbe conforme al dettato costituzionale, risultando proporzionata e non affetta da irragionevolezza. Anche la nuova formulazione del comma 2 dell’art. 29 risulterebbe esente da censure, in quanto non sarebbe più caratterizzata da termini generici ed eviterebbe il profilo di illegittimità costituzionale che la sentenza n. 62 del 2013 aveva riscontrato nell’attribuzione al Comitato interministeriale di un potere – regolamentare ovvero amministrativo – a seguito di attrazione in sussidiarietà, con un atto unilaterale dello Stato che vulnerava il principio della leale collaborazione. Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, invece, la norma impugnata non violerebbe né il principio di sussidiarietà, inteso come indicazione in favore dell’esercizio del potere sostitutivo da parte del livello di governo immediatamente superiore a quello sostituito, né il principio di proporzionalità, vista la piena adeguatezza tra l’esercizio del potere sostitutivo e il fine perseguito dal legislatore statale, né infine il principio di leale collaborazione. A quest’ultimo proposito, viene sottolineato da un lato, su un piano generale, che il Comitato interministeriale, per la sua composizione “mista”, risulterebbe espressione anche delle Regioni e dall’altro, su un piano specifico, che l’Assessore all’agricoltura della Regione Abruzzo, nella riunione del Comitato del 12 ottobre 2011, avrebbe espresso parere favorevole al commissariamento. Inoltre, non potrebbe sostenersi che la violazione della leale collaborazione derivi dal mancato rispetto degli oneri procedimentali imposti dall’art. 120 Cost. e dall’art. 8 della l. n. 131 del 2003: ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la norma impugnata andrebbe annoverata tra le ipotesi di interventi sostitutivi statali che si collocano al di fuori dello schema dell’art. 120 Cost., in quanto non integrerebbe le ipotesi di “emergenza istituzionale” contemplate da tale disposizione, ma avrebbe ad oggetto funzioni amministrative allocate a Regioni o a enti locali ma intersecanti interessi unitari meritevoli di tutela (viene richiamata la sentenza di questa Corte n. 27 del 2004). L’esercizio di tali poteri sarebbe subordinato ad una serie di condizioni – base legale, attività amministrativa vincolata nell’an a tutela di interessi unitari, titolarità del potere in capo ad un organo di governo e congrue garanzie procedurali – che nella specie sarebbero rispettate: in questa ipotesi il potere sostitutivo sarebbe infatti subordinato alla mancata conclusione dei procedimenti autorizzativi di competenza regionale e al decorso dei termini per la loro conclusione (senza la necessità di una previa diffida, che si risolverebbe in un ulteriore passaggio procedimentale inconciliabile con l’esigenza di attuare progetti di riconversione approvati da anni). In definitiva, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, l’intervento sostitutivo contemplato dalla norma impugnata, mediante il commissario ad acta, si rivelerebbe precisamente delineato nei presupposti (inerzia conseguente al decorso dei termini procedimentali), nel contenuto (esecuzione di accordi di riconversione industriale già sottoscritti) e nelle modalità di esercizio (secondo le direttive del Comitato interministeriale, cui partecipano le Regioni): pertanto, pienamente compatibile con i precetti che si presumono violati. Considerato in diritto 1.– Con ricorso notificato a mezzo del servizio postale il 20 ottobre 2014 e depositato il 27 ottobre 2014 (reg. ric. n. 85 del 2014) la Regione Abruzzo ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 30-ter del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 agosto 2014, n. 116, per contrasto con gli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, primo comma, e 120, secondo comma, della Costituzione, quest’ultimo anche in riferimento all’art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3). La ricorrente, in primo luogo, impugna l’art. 30-ter, comma 1, lettera a), del d.l. n. 91 del 2014, come convertito, nella parte in cui, modificando l’art. 29, comma 1, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 aprile 2012, n. 35, attribuisce carattere di «interesse strategico» ai progetti di riconversione industriale nel settore bieticolo-saccarifero, per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché del principio di leale collaborazione, in quanto configura una “chiamata in sussidiarietà” in materia riservata alla competenza regionale, senza che a monte vi sia stata l’intesa con le Regioni territorialmente interessate. La Regione Abruzzo censura, in secondo luogo, l’art. 30-ter, comma 1, lettera b), del d.l. n. 91 del 2014, come convertito, nella parte in cui, sostituendo integralmente l’art. 29, comma 2, del citato d.l. n. 5 del 2012, prevede che il Comitato interministeriale di cui all’art 2 del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2 (Interventi urgenti per i settori dell’agricoltura, dell’agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d’impresa), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 marzo 2006, n. 81, nomini un commissario ad acta per l’esecuzione degli accordi per la riconversione industriale, nel caso in cui i procedimenti autorizzativi per la riconversione degli impianti di produzione bieticolo-saccarifera non risultino ultimati e siano decorsi infruttuosamente i termini di legge per la conclusione di tali procedimenti, lamentando la violazione, da un lato, dell’art. 117, quarto comma, Cost., in quanto ripropone i vizi già rilevati, con riferimento alla formulazione originaria dell’art. 29, comma 2, del d.l. n. 5 del 2012, come convertito, dalla sentenza n. 62 del 2013 di questa Corte, risultando invasivo della sfera di competenza legislativa esclusiva delle Regioni in materia di agricoltura; e, dall’altro lato, del combinato disposto dell’art. 120, secondo comma, Cost. e dell’art. 8 della l. n. 131 del 2003, nonché dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione, in quanto non assegna un congruo termine, né prevede il coinvolgimento della Regione interessata nell’esercizio di tale potere sostitutivo. 2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso proposto dalla Regione Abruzzo sia dichiarato inammissibile o, comunque, infondato. 3.– La prima censura sollevata nel ricorso della Regione Abruzzo, riferita alla lettera a) del comma 1 dell’art. 30-ter, del d.l. n. 91 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 116 del 2014, nella parte in cui, modificando l’art. 29, comma 1, del d.l. n. 5 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 35 del 2012, attribuisce carattere di «interesse strategico» ai progetti di riconversione industriale nel settore bieticolo-saccarifero, è inammissibile, per insufficienza della motivazione e incompleta ricostruzione del quadro normativo di riferimento (ex plurimis, sentenze n. 60 del 2015, n. 165 del 2014, n. 114 del 2013 e n. 33 del 2011; ordinanza n. 174 del 2012). Ad avviso della ricorrente, infatti, il suddetto art. 29, comma 1, il cui testo originario non era stato impugnato e non aveva costituito oggetto della sentenza n. 62 del 2013 di questa Corte, configurerebbe, per come modificato dall’impugnato art. 30-ter, comma 1, lettera a), una “chiamata in sussidiarietà” dello Stato in una materia – quella dell’agricoltura – riservata alla competenza regionale. Invero, la modifica apportata dalla disposizione impugnata si limita ad attribuire la qualifica di «interesse strategico» ai progetti di riconversione del comparto bieticolo-saccarifero, precisando che essi «costituiscono una priorità a carattere nazionale in considerazione dei prevalenti profili di sviluppo economico», in particolare «per la salvaguardia dei territori oggetto degli interventi e dei livelli occupazionali». Si tratta, dunque, di una disposizione che si limita a riqualificare i progetti di riconversione industriale, già in precedenza qualificati «di interesse nazionale», senza modificarne la disciplina. A fronte di una norma siffatta, la ricorrente non fornisce ragioni a sostegno della sua idoneità ad attivare un meccanismo di “chiamata in sussidiarietà”, per come configurato da questa Corte a partire dalla sentenza n. 303 del 2003, né, più in generale, ad incidere negativamente sulle attribuzioni regionali. D’altra parte, il coinvolgimento dello Stato nei procedimenti di riconversione del settore bieticolo saccarifero è riconducibile ad una normativa precedente, e in particolare al d.l. n. 2 del 2006, il cui art. 2 istituisce un apposito comitato interministeriale, dotandolo di poteri di pianificazione, di coordinamento e di direttiva, e prevede una scansione procedimentale e temporale per l’approvazione dei progetti di riconversione delle imprese saccarifere. Tale normativa, mai impugnata di fronte a questa Corte, non è tenuta in alcun modo in considerazione nel ricorso della Regione Abruzzo, benché proprio ad essa sia da imputarsi l’assegnazione di competenze allo Stato nell’ambito che qui viene in rilievo, anche in relazione alla regolazione del settore disposta, nel medesimo arco temporale, dalla normativa comunitaria, di cui al regolamento (CE) 20 febbraio 2006, n. 320/2006 (Regolamento del Consiglio relativo a un regime temporaneo per la ristrutturazione dell’industria dello zucchero nella Comunità e che modifica il regolamento (CE) n. 1290/2005 relativo al finanziamento della politica agricola comune). Dalle suddette carenze del ricorso proposto dalla Regione Abruzzo discende l’inammissibilità della censura. 4.– La seconda censura è riferita alla lettera b) del comma 1 dell’art. 30-ter del d.l. n. 91 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 116 del 2014, nella parte in cui prevede che il Comitato interministeriale, di cui all’art. 2, comma 1, del citato d.l. n. 2 del 2006, nomini un commissario ad acta per l’esecuzione degli accordi per la riconversione industriale del settore bieticolo-saccarifero sottoscritti con il coordinamento del medesimo Comitato interministeriale e in ottemperanza alle direttive da quest’ultimo adottate, nei casi in cui siano decorsi infruttuosamente i termini di legge previsti per la conclusione di tali procedimenti. 4.1.– La questione è fondata, per violazione dell’art. 120, secondo comma, Cost. La disposizione impugnata modifica il comma 2 dell’art. 29 del d.l. n. 5 del 2012, già dichiarato costituzionalmente illegittimo con la sentenza n. 62 del 2013, in quanto prevedeva che il Comitato interministeriale disponesse «le norme idonee nel quadro delle competenze amministrative regionali atte a garantire l’esecutività dei progetti» e «nei casi di particolare necessità» nominasse «un commissario ad acta per l’attuazione degli accordi definiti in sede regionale con il coordinamento del Comitato interministeriale». E’ vero che la nuova formulazione del potere sostitutivo supera alcuni aspetti problematici della precedente disciplina, precisando, in particolare, i presupposti per il suo esercizio e circoscrivendo l’ampiezza dei compiti attribuiti al Comitato interministeriale. L’impugnato art. 30-ter, comma 1, lettera b), stabilisce, infatti, che il potere sostitutivo del Comitato interministeriale possa essere esercitato solo nel caso in cui i «procedimenti autorizzativi non risultino ultimati e siano decorsi infruttuosamente i termini di legge per la conclusione di tali procedimenti». Inoltre, i poteri del Comitato interministeriale si concretizzano nella nomina di un «commissario ad acta per l’esecuzione degli accordi per la riconversione industriale sottoscritti con il coordinamento del Comitato interministeriale, in ottemperanza alle direttive da quest’ultimo adottate». Nonostante la maggiore accuratezza con cui il legislatore ha indicato i presupposti e limiti del potere sostitutivo, persistono nell’impugnato art. 30-ter, comma 1, lettera b), del d.l. n. 91 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 116 del 2014, profili di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 120, secondo comma, Cost. 4.2.– La Regione lamenta un contrasto con l’art. 8 della l. 131 del 2003, di «[a]ttuazione dell’art. 120 della Costituzione sul potere sostitutivo». La disposizione richiamata esige, infatti, al comma 1, che nei casi e per le finalità previste dall’art. 120, secondo comma, Cost., «il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, assegna all’ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito l’organo interessato su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale della Regione interessata al provvedimento». Questa Corte ha già ripetutamente affermato che l’art. 8 della l. n. 131 del 2003 non deve necessariamente applicarsi ad ogni ipotesi di potere sostitutivo previsto dalla legge ove quest’ultima ne disciplini espressamente in maniera diversa l’esercizio (sentenza n. 254 del 2009; sentenza n. 240 del 2004). Il modello procedurale indicato nell’art. 8 della l. n. 131 del 2003 non esaurisce, dunque, le possibilità di esercizio di poteri sostitutivi e lascia impregiudicata la possibilità che il legislatore, con normativa di settore, disciplini altri tipi di intervento sostitutivo (sentenze n. 250 e n. 249 del 2009 e n. 43 del 2004). Tale è, appunto, il caso della disposizione impugnata, che regola i poteri sostitutivi nell’ambito dei progetti di riconversione delle attività economiche del settore bieticolo-saccarifero. Nondimeno, il legislatore statale è tenuto a rispettare i principi desumibili dall’art. 120 Cost., al quale l’art. 8 della l. n. 131 del 2003 ha inteso dare attuazione, pur rimanendo libero di articolarli in forme diverse (sentenze n. 44 del 2014, n. 209 del 2009). In particolare, anche in conformità ad una costante giurisprudenza di questa Corte, i poteri sostitutivi: a) devono essere previsti e disciplinati dalla legge, che ne deve definire i presupposti sostanziali e procedurali, in ossequio al principio di legalità; b) devono essere attivati solo in caso di accertata inerzia della Regione o dell’ente locale sostituito; c) devono riguardare solo atti o attività privi di discrezionalità nell’an; d) devono essere affidati ad organi di Governo; e) devono rispettare il principio di leale collaborazione all’interno di un procedimento nel quale l’ente sostituito possa far valere le proprie ragioni (ex plurimis, sentenze n. 227, n. 173, n. 172 e n. 43 del 2004); f) devono conformarsi al principio di sussidiarietà. 4.3.– Il potere sostitutivo disciplinato dall’impugnato art. 30-ter, comma 1, lettera b), del d.l. n. 91 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 116 del 2014, non è idoneo, nella sua attuale configurazione, a soddisfare appieno il principio di leale collaborazione espressamente richiamato dall’art. 120, secondo comma, Cost. Determinante in tal senso è che la disposizione impugnata non garantisce che le Regioni e gli enti locali direttamente interessati dall’esercizio del potere sostitutivo siano specificamente e individualmente coinvolti in modo da poter far valere le proprie ragioni. Non è sufficiente, infatti, che il potere sostitutivo sia affidato ad un Comitato interministeriale composto anche da tre presidenti di Regione designati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano. La presenza nel Comitato interministeriale di alcuni esponenti regionali non assicura la partecipazione delle Regioni e degli enti locali direttamente interessati alle delibere che li riguardano. La legge impugnata è formulata in modo tale da prevedere sì una componente regionale nel Comitato interministeriale preposto all’esercizio dei poteri sostitutivi; tuttavia, non garantisce che tale componente coinvolga specificamente gli esponenti della Regione (o dell’ente locale) destinataria dei poteri sostitutivi. D’altra parte, al fine del giudizio sulla legge impugnata, non può assumere rilievo decisivo la circostanza che, nei fatti, un Assessore della Regione Abruzzo abbia preso parte a talune riunioni del suddetto Comitato interministeriale, esprimendo altresì, in un’occasione, parere favorevole alla prospettiva di un commissariamento. 5.– Restano assorbiti i restanti profili di censura sollevati nei confronti dell’art. 30-ter, comma 1, lettera b), del d.l. n. 91 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 116 del 2014. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE 1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 30-ter, comma 1, lettera b), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 agosto 2014, n. 116, nella parte in cui non prevede la necessaria partecipazione al procedimento della Regione interessata; 2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 30-ter, comma 1, lettera a), del decreto-legge n. 91 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 116 del 2014, promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, dalla Regione Abruzzo con il ricorso indicato in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2015. F.to: Alessandro CRISCUOLO, Presidente Marta CARTABIA, Redattore Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2015. Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella Paola MELATTI |
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