Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 27 febbraio 2018, n. 1169. La previsione dell’art. 36 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, che ritiene necessaria la presenza della c.d. “doppia conformità” non è superabile

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Da qui il ricorso in appello della società, con formulazione di istanza di sospensione dell’efficacia della sentenza gravata.
Si è costituito in giudizio l’appellato Comune, contestando analiticamente le avverse prospettazioni, chiedendo quindi la reiezione del gravame.
Con ordinanza 29 novembre 2016, n. 5321, la Sezione ha accolto la domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza fatta oggetto di appello, sulla evidenza del profilo del periculum in mora.
Sono state prodotte ulteriori memorie, anche di replica, dalle parti in giudizio, nelle quali sono state confermate le già formulate conclusioni.
Alla udienza pubblica del 9 novembre 2017, il giudizio è stato trattenuto per la decisione.
4. – La società appellante ha formulato i seguenti motivi di appello che, per ragioni di economia di giudizio, si illustrano anche accorpati tra di loro, raccogliendo in tal senso i suggerimenti espositivi formulati nell’atto di appello dalla società agricola e nella memoria dall’amministrazione resistente, che paiono al Collegio ragionevoli:
I) il primo, il secondo ed il terzo motivo di appello ripropongono il primo, il secondo ed il sesto dei dieci motivi di censura dedotti con il ricorso recante motivi aggiunti, proposto nell’ambito del giudizio di primo grado (nonché buona parte delle censure dedotte con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado). La società appellante sostiene che la sentenza gravata non avrebbe tenuto conto della illegittimità del diniego di sanatoria, in quanto gli uffici non avrebbero tenuto in alcuna considerazione le osservazioni presentate (nel luglio 2013) nel corso della fase procedimentale di opposizione al preavviso di diniego, superando erroneamente tale censura nel richiamare il principio di cui all’art. 21-octies, comma 2, l. 7 agosto 1990, n. 241, e la natura vincolata del potere esercitato attraverso il procedimento e l’adozione del provvedimento di diniego impugnato, in quanto la violazione del principio del contraddittorio è, nella specie, palese. Con il secondo motivo si censura la scelta di adottare nel corso dello stesso procedimento un doppio preavviso di diniego, che si sarebbe risolto in un aggravio della procedura nel corso della quale, peraltro, illegittimamente il Comune non aveva dato contezza della intervenuta l’abrogazione dell’art. 56 del regolamento edilizio. Con il terzo motivo di appello (corrispondente al sesto motivo del ricorso per motivi aggiunti di primo grado) si contesta la circostanza che la sentenza abbia “derubricato” il dedotto vizio di istruttoria nell’ambito della categoria dei vizi formali del provvedimento (di diniego della sanatoria), tenuto conto che l’assenza di acquisizione del parere da parte della commissione tecnica comunale per l’edilizia e la trasformazione urbana costituisce un vizio sostanziale della procedura, sotto il profilo della completezza dell’iter logico-giuridico che avrebbe dovuto assistere la motivazione del provvedimento finale che sul punto appare evidentemente incongrua;
II) il quarto motivo di appello (corrispondente al terzo motivo aggiunto in primo grado) contesta la legittimità della ricostruzione espressa dal giudice di prime cure, che ha valorizzato il periodo temporale nel quale è stata pubblicata la sentenza della Corte costituzionale, che ha poi indotto ad abrogare l’art. 56 del regolamento edilizio, individuandolo in epoca antecedente rispetto all’adozione del provvedimento di diniego di sanatoria, giacché tale collocazione temporale non avrebbe rilievo giuridico nel caso di specie, posto che era già in corso il procedimento di sanatoria e tenuto conto che il pagamento dell’oblazione non costituisce di per sé il presupposto per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria e quindi il procedimento si sarebbe concluso già con la individuazione dell’ammontare dell’importo dell’oblazione, il cui presupposto va individuato nella verifica di conformità delle opere alle norme del vigente PRG, pur in assenza di doppia conformità, all’epoca non necessaria;
III) con il quinto motivo di appello (corrispondente al quarto motivo del ricorso per motivi aggiunti di primo grado), si contesta la valutazione del giudice di prime cure, che avrebbe errato nel qualificare l’incidenza della sentenza della Corte costituzionale n. 101/2013 sul procedimento e sul provvedimento di interesse per la parte appellante, tenuto conto che, più correttamente, la suindicata pronuncia andava considerata estranea al caso di specie, atteso che essa concerne la sanatoria amministrativa strutturale per gli interventi difformi rispetto alla normativa antisismica;
IV) con il sesto motivo di appello (corrispondente al quinto dei motivi aggiunti proposti in primo grado), la società contesta la motivazione della sentenza gravata nella parte in cui non ha tenuto conto della necessità di corretta applicazione dei principi dell’autotutela e del legittimo affidamento. L’appellante sostiene che l’abrogazione dell’art. 56 del regolamento edilizio, per effetto della decisione della sentenza della Corte Costituzionale, debba ricondursi, più propriamente, ad un atto di ritiro riconducibile nell’alveo della categoria degli atti emanati in autotutela, che però è stato adottato senza la verifica della sussistenza dei presupposti indicati dalla legge per consentirne l’emanazione, in primis in merito alla presenza, o meno, di un interesse pubblico meritevole di tutela e dell’affidamento legittimo che si era ormai consolidato in capo alla società interessata e senza che il provvedimento di diniego di sanatoria affermasse nulla sul punto nella motivazione;
V) con il settimo motivo di appello (corrispondente al settimo motivo di ricorso per motivi aggiunti), si contesta l’insussistenza del requisito doppia conformità necessario per il rilascio della sanatoria ex art. 140, comma 1, l.r. 1/2005. Ad avviso del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, nella sentenza qui impugnata, non sussisterebbe, con riferimento alle opere in questione, il suddetto requisito, ma il giudice erra nel considerare realizzate le opere nell’anno 2004, quando queste sono state effettivamente realizzate nell’anno 2006 sotto la vigenza della l.r. Toscana 64/1995 per effetto della quale il regolamento del Comune di Prato conteneva le disposizioni degli artt. 66 e 69, che permettevano l’effettuazione di interventi di risanamento conservativo, anche per edifici di “matrice rurale” e senza escludere nuove costruzioni in area agricola;
VI) con l’ottavo motivo di appello (corrispondente all’ottavo motivo di ricorso per motivi aggiunti), si contesta la mancata valutazione da parte del giudice di primo grado della stretta connessione intercorrente tra il provvedimento di diniego di sanatoria e il presupposto provvedimento, illegittimo, relativo al (ri)calcolo dell’oblazione asseritamente dovuta dalla società appellante, di talché il diniego di sanatoria sarebbe illegittimo in quanto è illegittimo il provvedimento con il quale si è ingiunto il pagamento dell’oblazione;
VII) con il nono motivo di appello, si sostiene che il Tribunale ha errato nel dichiarare improcedibili il primo ed il secondo motivo di ricorso, dedotti entrambi con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, in quanto lo scrutinio di tali motivi sarebbe stato “superato” dalla verificata legittimità del provvedimento di diniego di sanatoria, atteso che il giudice di primo grado non ha tenuto conto della permanenza dell’interesse in capo alla società agricola alla verifica in sede giudiziale dell’ammontare del (ri)calcolo dell’oblazione dovuta per la sanatoria e quindi vengono riproposte, nella sede di appello, le due indicate censure formulate con il ricorso introduttivo;
VIII) con il decimo motivo di appello si rileva che sia in occasione del ricorso introduttivo che al momento della proposizione dei motivi aggiunti la odierna società appellante aveva formulato istanze istruttorie, volte a vedere disposta una verificazione ovvero una consulenza tecnica d’ufficio, che il giudice di primo grado non ha, erroneamente, affatto in considerazione e che dunque si ripropongono nella sede di appello;
IX) con l’undicesimo motivo di appello si contesta la correttezza della condanna alle spese a carico della odierna appellante che, dunque, chiede la restituzione del relativo ammontare.
5. – In via preliminare va chiarito che ad avviso del Collegio restano di fondamentale rilievo e pienamente condivisibili i seguenti approdi giurisprudenziali che si pongono in evidente contrasto con la maggior parte delle censure dedotte, nuovamente, in sede di appello dalla società agricola interessata.
In prima battuta va subito ribadito che la previsione dell’art. 36 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, che ritiene necessaria la presenza della c.d. “doppia conformità” non è superabile e ciò indipendentemente dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 101/2013, ai cui principi doverosamente il Comune di Prato si è riferito.

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