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b) rispetto al lotto 6, che l’obbligo del cessionario già risultava dalla decisione n. 10 del 2012, senza ulteriori limiti, con argomentazioni valevoli per la Gu. e per la Co..
Rilevò che l’amministrazione non aveva effettuato i riscontri e che la dichiarazione non era stata resa dai soggetti tenuti.
5. La Co., assumendo che la suddetta sentenza di appello del 2013 non avesse disposto la caducazione della convenzione e dei relativi contratti attuativi, ha avviato distinte procedure per la verifica dei requisiti riservandosi, all’esito, di confermare l’annullamento o di procedere a nuova aggiudicazione nei confronti degli stessi soggetti. In esito alla verifica positiva in ordine alla sussistenza dei requisiti, ha riaggiudicato a Co. il lotto 3 e a Gu. il lotto 6 e ha riammesso in graduatoria Co..
6. La Manutecoop ha agito per l’ottemperanza al giudicato discendente dalla sentenza di cognizione n. 6203 del 2013, assumendo che la Co. l’aveva palesemente eluso, ed ha chiesto l’annullamento dei suddetti atti e il risarcimento mediante subentro o per equivalente.
6.1. Questo Consiglio, con la sentenza n. 1708 del 2015, ora oggetto dei distinti ricorsi per revocazione, ha accolto il ricorso; ha annullato gli atti impugnati; ha dichiarato l’inefficacia della convenzione tra Co. e Gu. per il lotto 6 ed ha disposto il subentro di Ma.; rispetto al lotto 3, ha condannato la Co. al risarcimento del danno per equivalente subito da Ma., liquidato in motivazione, essendosi esaurita la capienza relativa alla convenzione per tale lotto.
7. I motivi di revocazione proposti dai tre ricorsi, avverso la suddetta sentenza, verranno separatamente scrutinati secondo un ordine di priorità logica, affrontando prima quelli volti ad ottenere una radicale sentenza rescindente ed una nuova decisione del ricorso per l’ottemperanza alla sentenza di cognizione del 2013.
7.1. La Co., deducendo la violazione dell’art. 395, n. 5 c.p.c., sostiene che il giudicato discendente dalla sentenza di questo Consiglio del 2013, in sede della cognizione dell’appello proposto da Ma., consiste nell’annullamento dell’ammissione alla procedura e della conseguente aggiudicazione alle società controinteressate, “allo stato”, col conseguente obbligo della committente Co. di riaprire la procedura e di verificare l’esistenza o meno dei requisiti di cui all’art. 38, trattandosi di gara svolta prima delle decisioni dell’Adunza Plenaria n. 10 e n. 21 del 2012. Conseguente sarebbe la violazione da parte della sentenza revocanda, emessa in sede di ottemperanza, del giudicato discendente dalla sentenza di cognizione emessa in sede di appello.
7.1.1. Il motivo di ricorso per revocazione è inammissibile per mancanza dei presupposti richiesti dall’art. 395, n. 5 c.p.c.
Ai sensi della disposizione di cui si deduce la violazione, la revocazione è ammissibile “se la sentenza è contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione”.
Ai fini della inammissibilità del motivo, è decisivo e assorbente quanto statuito dalla decisione dell’Adunanza Plenaria n. 1 del 2017, che il Collegio condivide e alle cui approfondite argomentazioni si fa integrale rinvio.
Secondo tale decisione la valutazione rimessa al giudice amministrativo in sede di ottemperanza si risolve nell’interpretazione della sentenza ottemperanda passata in giudicato, con la conseguenza che non è configurabile il vizio revocatorio di cui all’art. 395, n. 5), cod. proc. civ. nella sentenza di ottemperanza per contrasto con la sentenza di cognizione, oltre che con altre precedenti sentenze di ottemperanza intervenute nel medesimo giudizio. Infatti, qualora le sentenze poste a raffronto costituiscano l’esito, rispettivamente, del giudizio di ottemperanza e di quello di cognizione, ciò che viene dedotto come contrasto fra giudicati è l’interpretazione che il giudice dell’ottemperanza ha dato dell’ambito della statuizione della sentenza da eseguire, onde la richiesta di revocazione si risolve, in realtà, nel chiedere il riesame delle conclusioni, cui detto giudice è pervenuto, non nell’assenza di consapevolezza dell’esistenza di un giudicato facente stato fra le stesse parti, ma nell’espresso apprezzamento dell’ambito di quest’ultimo e degli adempimenti necessari per la sua corretta esecuzione. Inoltre, sempre secondo la stessa decisione, difetta in radice il presupposto del contrasto tra giudicati, che non può che riguardare giudicati tra loro “esterni” e non sentenze rese all’interno di un processo, funzionalmente unitario, vòlto a dare ottemperanza a una originaria sentenza di cognizione.
7.2. La Gu. e la Co. (§ 5, pag. 18 2°) deducendo la violazione dell’art. 395, n. 4 c.p.c., sostengono che il giudice della sentenza revocanda sarebbe incorso in un errore di fatto. Questo consisterebbe nel non aver percepito che la gara, in specie la fase della ammissione delle offerte, si era svolta prima delle decisioni dell’Adunanza Plenaria n.10 e n. 21 del 2012, e nel periodo transitorio da esse individuato. Aggiungono che, proprio in applicazione delle suddette decisioni, il giudicato discendente dalla sentenza del Consiglio del 2013 non era di esclusione dalla procedura delle imprese, che non avevano reso le dichiarazioni ex art. 38 cit., e di annullamento della aggiudicazione. Piuttosto, stante l’assenza di dichiarazioni in presenza di una lex specialis di gara che richiamava genericamente l’art. 38 cit., dalla sentenza del 2013 derivava l’obbligo della committente di riesaminare in concreto se i requisiti previsti dall’art. 38 sussistessero, proprio come la Co. aveva fatto. Con la conseguenza, che la Co. non avrebbe posto in essere una elusione del giudicato, ma avrebbe attuato lo stesso, esercitando il potere di soccorso dopo l’annullamento e verificando in concreto che quelle società, che non avevano presentato la dichiarazione ex 38 cit., erano in possesso dei requisiti richiesti.
7.2.1. Il motivo di ricorso per revocazione è inammissibile.
7.2.1.1. L’interpretazione dell’art. 38 in argomento, in rapporto alle pronunce dell’Adunanza Plenaria del 2012 intervenute per superare i diversi orientamenti giurisprudenziali espressi proprio rispetto a procedure di gara precedenti, costituisce la questione giuridica centrale affrontata dalle sentenze emesse in sede di cognizione tra le parti in causa. Questione risolta, come si è già detto (cfr. § 3 e 4), con esiti differenti.
E’ principio consolidato che la valutazione rimessa al giudice amministrativo in sede di ottemperanza si risolva nella interpretazione della sentenza ottemperanda passata in giudicato (A.P. n. 11 del 2016 e, da ultimo, n. 1 del 2017).
Con la sentenza revocanda questo Consiglio, chiamato in sede di ottemperanza a compiere una triplice operazione logica, dovendo procedere in primo luogo a interpretare il giudicato discendente dalla sentenza di appello del 2013, ha provveduto a tale interpretazione, al fine di individuare il comportamento doveroso della committente, accertare il comportamento tenuto dalla stessa, valutare la conformità del secondo al primo.
7.2.1.2. In particolare, la sentenza revocanda ha individuato la portata del giudicato della sentenza ottemperanda nella decisione di annullamento dell’ammissione e del conseguente annullamento dell’aggiudicazione, sul presupposto dell’interpretazione dell’art. 38 cit., fatta dallo stesso giudice della sentenza ottemperanda ed espressamente richiamata (cfr. pag. 6 sentenza revocanda), la quale aveva ritenuto: – la mancanza delle dichiarazioni dei soggetti già tenuti ai sensi dell’art. 38 cit. per il lotto n. 6; – che l’amministrazione non aveva effettuato i riscontri, per il lotto n. 3.
Attinendo tale interpretazione dell’art. 38 cit. propriamente alla fase cognitoria del giudizio di appello, non avrebbe potuto mai essere messa in discussione dal giudice dell’ottemperanza. Nel giudizio di ottemperanza, potendosi solo discutere della portata del giudicato, mai avrebbe potuto venire in gioco l’interpretazione dell’art. 38 cit., come postulano sostanzialmente le attuali ricorrenti. Queste, infatti, attraverso la prospettazione di un errore di fatto in riferimento ai tempi antecedenti della procedura di gara, incidente sulla interpretazione dell’art. 38 cit., che è stata la questione giuridica affrontata e risolta dalle decisioni dell’Adunanza Plenaria ed è stata applicata alla specie dalla sentenza ottemperanda del 2013, sindacano in definitiva l’attività valutativa essenziale del giudice dell’ottemperanza, consistente nella interpretazione del giudicato.
7.2.1.3. Comunque, anche a voler ammettere astrattamente l’ipotizzabilità di un errore di fatto in ordine al tempo delle procedure rilevante nell’interpretazione dell’art. 38 cit. – il che non è, dato che le decisione dell’Adunanza Plenaria si pongono proprio il problema dell’interpretazione della norma rispetto a bandi precedenti – questo sarebbe stato, semmai, proponibile rispetto alla sentenza del 2013, emessa in sede di cognizione, che aveva ad oggetto tale interpretazione, e non, sicuramente, rispetto alla sentenza emanata in sede di ottemperanza volta alla sola interpretazione del giudicato.
7.2.1.4. In conclusione, la prospettazione dell’errore di fatto si sostanzia in un sindacato della funzione valutativa sulla sentenza ottemperanda, che costituisce la funzione valutativa essenziale attribuita al giudice dell’ottemperanza.
Non sussistono, pertanto, i presupposti perché possa rinvenirsi l’errore di fatto revocatorio, secondo la giurisprudenza consolidata di questo Consiglio (in generale, ex multis, Cons. Stato, sez. IV, nn. 4586 e 2883 del 2016).
8. Vengono ora in rilievo i motivi di ricorso per revocazione, proposti subordinatamente da Co. e da Ma., rispetto alla decisione emessa in ottemperanza, che: a) per il lotto n. 3, ha determinato il risarcimento del danno per equivalente a favore della Ma.; b) per il lotto n. 6, ha dichiarato l’inefficacia della convenzione tra Co. e Gu. disponendo il subentro di Ma. e, sulla base della mutevolezza per la fase successiva, ha liquidato in favore della Ma. il danno euro 2.085.000,00 per il caso non si operino gli scomputi per l’eventuale subentro.
8.1. Rispetto al lotto n. 3, Co. e Ma. con ricorsi sostanzialmente analoghi, deducendo la violazione dell’art. 395, n. 4 c.p.c., sostengono che il giudice della sentenza revocanda sarebbe incorso in un errore di fatto.
Sulla base dell’incontestato esaurimento della capienza relativa alla convenzione, la sentenza revocanda avrebbe ritenuto il contratto non più in essere, come se l’esaurimento del plafond massimo stabilito dalla lex specialis fosse idoneo a ritenere il contratto non più in essere, precludendo il subentro della Ma.. Invece, dal disciplinare (punto 1.3.), così integrandosi l’errore in fatto secondo la prospettazione, emergerebbe la differenza tra esaurimento della capienza e durata della convenzione rispetto ai contratti attuativi. Con la conseguenza che, essendo stata la convenzione attivata il 21 dicembre 2012, anche facendo riferimento ai soli ordinativi della durata di 4 anni, ed ipotizzando che gli stessi fossero stati emessi a partire dalla data dell’attivazione della convenzione, questi sarebbero scaduti non prima del 21 dicembre 2016, se non addirittura il 21 dicembre 2019. Quindi, se la sentenza di ottemperanza non fosse incorsa nel suddetto errore di fatto, avrebbe potuto ordinarsi la reintegrazione in forma specifica nei confronti di Ma. anche per il lotto n. 3.
8.1.1. Il motivo per revocazione, proposto con ricorsi analoghi, è inammissibile.
8.1.2. La sentenza revocanda, per il lotto n. 3, dice non contestato l’esaurimento della capienza della convenzione e liquida il danno per equivalente, pari a euro 2.100.000,00.
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