Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 8 agosto 2014, n. 4230

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE SESTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5433 del 2012, proposto da:

Jo. & Jo. Spa, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma.To., Pi.Fa., An.Li. e Ma.Pa., con domicilio eletto presso Ca. in Roma;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma;

nei confronti di

He.It. S.p.A., non costituita in questo grado;

per la riforma

della sentenza definitiva del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE I n. 3273/2012 nonché della sentenza non definitiva del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE I n. 8947/2011, rese tra le parti, concernenti l’applicazione di sanzione amministrativa pecuniaria in relazione ad un’intesa restrittiva della concorrenza, ai sensi art 101 TFUE, nel settore della vendita al dettaglio di prodotti cosmetici

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’ Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 24 giugno 2014, il Consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le parti l’avvocato Li., l’avvocato Pa., l’avvocato To., e l’avvocato dello Stato St.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.- Jo. & Jo. s.p.a. impugna le sentenze del Tribunale amministrativo regionale del Lazio di cui in epigrafe recanti l’accoglimento soltanto parziale del ricorso di primo grado della odierna società appellante avverso la delibera dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato 15 dicembre 2010 n. 21924 che, sul presupposto della ritenuta partecipazione dell’appellante ad un’intesa illecita ai sensi dell’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (d’ora in avanti, anche TFUE), nel settore della produzione e della vendita di prodotti cosmetici avente ad oggetto i comportamenti da assumere nei confronti della grande distribuzione organizzata, le ha irrogato la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 3.298.680,00.

L’appellante si duole della erroneità delle gravate sentenze che, sull’assunto della effettiva partecipazione della società Jo. & Jo. all’intesa tra produttori di cosmetici finalizzata ad adottare un aumento coordinato dei prezzi di listino in confronto della grande distribuzione organizzata nonché altri comportamenti anticoncorrenziali, l’avrebbe ritenuta partecipe dell’accordo predetto sulla base di incerti elementi indiziari, irrogandole così una sanzione comunque eccessiva e sproporzionata rispetto alla condotta ascrittale.

Conclude la società appellante per l’accoglimento, con l’appello, del ricorso di primo grado, con conseguente annullamento, per quanto di interesse, della delibera oggetto dal ricorso di primo grado, in riforma delle impugnate sentenze.

Si è costituita in giudizio l’Autorità garante della concorrenza e del mercato per resistere al ricorso e chiederne la reiezione.

Le parti hanno depositato memorie illustrative in vista dell’udienza di discussione.

All’udienza pubblica del 24 giugno 2014 la causa è stata trattenuta per la sentenza.

2.- L’appello va accolto nei sensi e limiti di cui appresso.

3.- La vicenda contenziosa.

Giova premettere, in fatto, che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato è giunta ad individuare un’intesa restrittiva della concorrenza tra i produttori di cosmetici per la cura della persona, commercializzati per il tramite della grande distribuzione organizzata, all’esito di un articolato procedimento contraddistinto dal rilevante apporto all’istruttoria procedimentale di tre soggetti cooperanti (c.d. leniency applicant), parti originarie dell’intesa vietata.

In particolare, a seguito di una domanda di ammissione al beneficio della clemenza, ai sensi dell’articolo 15 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, in data 12 giugno 2008 l’AGCM ha avviato un procedimento nei confronti delle società He.It. S.p.A., Un. S.r.l., ed altri.

Successivamente all’avvio del procedimento, anche le società Co.-Pa. S.p.A., Pr. & Ga. Italia S.p.A., Pr. & Ga. Holding S.r.l. e Pr. & Ga. S.r.l. hanno fatto istanza di ammissione al beneficio della clemenza. Ed è proprio in relazione alle dichiarazioni rese da tali ultime società che il procedimento istruttorio è stato soggettivamente esteso anche in confronto della odierna appellante.

Nei confronti di tutte le parti dell’intesa l’Autorità ha adottato, nella seduta del 15 dicembre 2010, la delibera n.21924 con la quale, oltre a diffidare le stesse ad astenersi per il futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quelli oggetto dell’infrazione accertata, ha ritenuto sussistente tra loro, durante il periodo 2000-2007, una fattispecie di intesa illecita, ai sensi dell’art. 101 del TFUE, avente per oggetto la totale alterazione del confronto concorrenziale realizzata attraverso il coordinamento delle strategie commerciali.

Ha inoltre riconosciuto alla società He. S.p.A. il beneficio della non imposizione della sanzione, di cui al paragrafo 2 della Comunicazione sulla non imposizione e sulla riduzione delle sanzioni ai sensi dell’articolo 15 della legge 10 ottobre 1990, n. 287; ha riconosciuto alle società e Co.-Pa. S.p.A. e Pr.&Ga. S.r.l. il beneficio della riduzione della sanzione, di cui al paragrafo 4 della Comunicazione sulla non imposizione e sulla riduzione delle sanzioni ai sensi dell’articolo 15 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 nella misura, rispettivamente, del 50% e del 40%; ed ha irrogato, nei confronti delle restanti parti dell’intesa, le sanzioni amministrative pecuniarie dettagliatamente indicate nella suddetta delibera. Come si è anticipato, nei confronti dell’odierna appellante, la sanzione irrogata è stata pari ad euro 3.298.680,00.

L’Autorità ha ritenuto che l’intesa tra i produttori di cosmetici commercializzati attraverso la grande distribuzione organizzata (GDO) avesse avuto ad oggetto il generale allineamento dei prezzi di listino nonché l’accordo su altre strategie commerciali. Lo scambio di informazioni sugli aumenti programmati dei prezzi di listino dei prodotti cosmetici e sulle condizioni della negoziazione con gli operatori della GDO è stata ritenuta come preordinata alla alterazione dei meccanismi concorrenziali.

L’intesa illecita ed in particolare il coordinamento delle politiche di prezzo è stata ulteriormente dimostrata dalla Autorità anche in base alla reazione congiunta dei medesimi produttori in relazione alle iniziative commerciali adottate da Es. nel corso del 2005.

Le parti del procedimento hanno scambiato informazioni sensibili e coordinato le loro strategie commerciali soprattutto nel corso delle riunioni del “Gruppo Chimico” dell’Associazione Nazionale dell’Industria di Marca -Centromarca, l’associazione di categoria che riunisce essenzialmente operatori attivi nelle aree “chimico persona” (settore della cosmetica) e “chimico casa” (settore della detergenza). L’Autorità ha accertato e premesso che durante gli svariati incontri annuali i responsabili commerciali delle aziende del settore chimico sono stati informati dei risultati di alcuni studi pubblicati da Centromarca sulla base dei dati forniti dagli associati e/o dalle agenzie specializzate. Tali ricerche vengono denominate “osservatori”, sono realizzate periodicamente e sono principalmente concentrate sull’analisi dei rapporti intercorrenti tra i produttori e i distributori.

Gli interlocutori commerciali dei produttori di cosmetici, infatti, sono gli operatori della grande distribuzione organizzata e le centrali d’acquisto nazionali e internazionali che svolgono principalmente funzioni di accentramento della contrattazione degli acquisti per conto dei distributori.

Generalmente le modifiche dei prezzi di listino variano per ciascuna linea di prodotti. Nonostante le variazioni percentuali di prezzo relative alle diverse linee di prodotto possano differire tra loro in modo significativo, tuttavia, uno degli elementi chiave della negoziazione con gli operatori della grande distribuzione è la percentuale media di aumento di tutte le referenze (i.e. dei singoli prodotti) contenute nel listino. Infatti, un produttore molto raramente negozia con la GDO il livello di aumento del prezzo di singole referenze in quanto una siffatta negoziazione risulterebbe eccessivamente onerosa e di difficile gestione considerato che ciascuna catena di distribuzione acquista da ciascun produttore centinaia di referenze. Il contratto è negoziato e stipulato tra il singolo produttore, da una parte, e la centrale d’acquisto e/o il singolo distributore, dall’altra. In genere, la negoziazione di ciascun nuovo contratto inizia a fine anno e si conclude normalmente entro la fine del primo semestre dell’anno successivo.

L’oggetto principale del contratto è l’ammontare degli sconti e dei premi riconosciuti dal produttore (ad esempio, sconti e premi differiti di fine periodo incondizionati, sconti e premi al raggiungimento di target di fatturato, sconti e premi per rispetto delle condizioni di pagamento, sconti e premi per efficienze logistiche e sconti di sell-in) oltre che i servizi promozionali e gli altri servizi di centrale.

Come messo in evidenza dall’Autorità nel provvedimento impugnato in primo grado, il settore dei cosmetici commercializzati attraverso la GDO presenta dinamiche tipiche dei fenomeni di “multimarket contact”. In sostanza, il fatto che i principali produttori detengano, a rotazione, posizioni di leadership in una o più categorie o macro-categorie di prodotti rientranti nel paniere complessivamente venduto alla GDO, rende altamente probabile l’instaurarsi di un equilibrio collusivo. Nessuna delle imprese coinvolte, infatti, potrebbe avere incentivi reali a deviare da una strategia collusiva di prezzo giacché la circostanza che i principali produttori siano attivi nella quasi totalità delle categorie merceologiche fa sì che il rischio di ritorsione rappresenti una minaccia credibile.

Il mercato rilevante, ai fini del procedimento avviato dall’Autorità, è stato fatto coincidere con tutta la gamma dei prodotti cosmetici commercializzati attraverso il canale retail.

Tale definizione, logicamente successiva all’individuazione dell’intesa, consente l’analisi dell’ambito merceologico e territoriale nel quale si manifesta un coordinamento fra imprese concorrenti e si realizzano eventualmente gli effetti derivanti dall’illecito concorrenziale; essa è funzionale soltanto alla verifica del grado di offensività dell’intesa posto che, per costante giurisprudenza nazionale e comunitaria, ai fini della valutazione di fattispecie aventi ad oggetto intese tra concorrenti, la definizione di uno specifico contesto merceologico e geografico non è dirimente né necessaria, come invece accade per la valutazione di operazioni di concentrazione e di comportamenti abusivi.

4.- Il giudizio di primo grado.

E’ utile ricordare, in fatto, che il giudice di primo grado ha adottato una prima sentenza non definitiva (17 novembre 2011 n. 8947) con la quale, dopo aver esaminato e respinto alcune censure in ordine alle modalità di applicazione delle norme sui programmi di clemenza, alla definizione del mercato rilevante (ritenuto sufficientemente individuato in relazione a tutta la gamma dei prodotti cosmetici commercializzati attraverso il canale retail), ha ritenuto di dover acquisire dall’Autorità una relazione su alcune circostanze utili a verificare la fondatezza delle censure dedotte in ordine all’effettiva sussistenza dell’intesa ed all’analisi dei suoi effetti, nonché alla quantificazione della sanzione; in particolare, il giudice di prime cure ha invitato l’Autorità a specificare , con dettagliata relazione, gli aumenti annuali dei prezzi di listino, in forma aggregata e per singola impresa relativi a ciascuno degli anni per i quali è stata accertata la durata dell’intesa, anticoncorrenziale per ciascuna impresa, oltre al valore delle vendite dei beni realizzato da ciascuna impresa ed utilizzato per il calcolo del fatturato dell’ultimo esercizio (preso in esame come base di calcolo per la determinazione della sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art. 15 della legge n. 287 del 1990).

Con sentenza definitiva 11 aprile 2012 n. 3273, il Tar – acquisita la relazione istruttoria dell’Autorità -ha ritenuto corretto l’accertamento, da parte dell’AGCM, sia in ordine alla sussistenza dell’intesa illecita sia in relazione alla sua durata (respingendo pertanto le relative censure di J&J) addivenendo tuttavia (in accoglimento sul punto del ricorso di primo grado) ad una riduzione della sanzione da applicare in ragione della rideterminazione del coefficiente percentuale riferibile alla gravità della sanzione, che il giudice di primo grado ha ritenuto più congruo fissare al 25% del valore delle vendite di J&J (anziché al 30%, come ritenuto equo dall’Autorità) in ragione del contenuto aumento dei prezzi riscontrato (peraltro non in modo uniforme e costante in ciascun anno) .

5.- I motivi di appello.

Tali sentenze sono state impugnate da J&J, che ha dedotto, in sintesi, i seguenti motivi.

5.1- Avverso la sentenza non definitiva la società appellante ha anzitutto osservato come il Tar abbia mal compreso le censure di primo grado in ordine alla contraddittorietà delle dichiarazioni confessorie dei leniency applicants, di tenore non omogeneo e mutevole a misura che veniva loro indebitamente consentito, prima della conclusione dell’istruttoria, l’accesso alle informazioni riservate. Inoltre l’appellante ha dedotto che l’estensione soggettiva in suo confronto di un’indagine per cartello, decisa su impulso di dichiarazioni prodotte da leniency applicant successivi al primo cooperante, fosse un fenomeno del tutto anomalo e che, nella specie, detta estensione era stata contraddistinta dall’incapacità del secondo e terzo cooperante di identificare correttamente il rappresentante della società appellante che avrebbe preso parte al coordinamento illecito. Sul punto la difesa dell’appellante ha richiamato gli insegnamenti della Cassazione penale in materia di “pentitismo” secondo cui la chiamata in correo proveniente da un soggetto che si assume pentito deve essere sottoposta a riscontro e vaglio di rigorosa cautela, ciò che non sarebbe avvenuto in relazione alle dichiarazioni rilasciate dai cooperanti, inficiate dalla contaminazione derivante dall’illegittimo accesso al fascicolo d’indagine e da numerose contraddizioni e rettifiche.

5.2 -Avverso la sentenza definitiva J&J ha invece dedotto la sua erroneità in relazione all’accertamento della durata dell’infrazione ascrittale, ricompresa nell’arco temporale decorrente dal 19 settembre 2000. In particolare, l’appellante muove dal rilievo secondo cui l’Autorità, nonostante quanto dalla stessa dichiarato nel provvedimento irrogativo della sanzione, non avrebbe individuato alcuna prova documentale attestante il momento iniziale della partecipazione della società appellante alle riunioni in seno all’Associazione nazionale dell’industria di marca- Centromarca, tale non potendosi considerare il semplice foglio di convocazione predisposto da Centromarca in occasione della prima riunione degli associati (del 19 settembre 2000) in cui sarebbe stata coinvolta la società appellante.

La società appellante insiste nel ritenere la illegittimità della datazione al 19 settembre 2000 del proprio coinvolgimento nell’intesa anticoncorrenziale e si duole che il Tar non abbia considerato l’evidenza della mancata partecipazione di J&J alla prima riunione – come d’altronde – non contestato dall’Autorità nel corso del giudizio di primo grado, ed abbia in tal modo obliterato il modus procedendi della stessa Autorità nell’individuazione, per ciascun partecipante all’intesa, del momento genetico dell’accordo nonché la giurisprudenza comunitaria e nazionale in materia di prova di intese complesse, che richiedono la prova che ad una certa data le parti in causa abbiano aderito alla pratica restrittiva concordata avallando il disegno anticompetitivo complessivo perseguito per il tramite dell’intesa. Detta prova, per quanto riguarda l’odierna appellante, non si sarebbe potuta trarre per il periodo settembre 2000- maggio 2005 da alcun elemento istruttorio acquisito nel corso dell’indagine, di tal che la sanzione complessiva, applicata per tutto il periodo di ritenuta durata dell’intesa (2000-2007), risulterebbe eccessiva, dovendosi quantomeno ridurre di una frazione non inferiore ai 5/7 dell’intera misura applicata.

5.3 -Sotto distinto profilo, anch’esso incidente sulla quantificazione della sanzione, l’appellante rileva con il terzo motivo di censura come il giudice di primo grado abbia commesso un evidente errore nel considerare legittima la determinazione dell’Autorità di ritenere di durata settennale l’intesa contestata alla ricorrente ” conteggiando i periodi di durata superiore a sei mesi come anno intero”. Secondo l’assunto dell’appellante, poiché l’intesa avrebbe riguardato l’arco temporale ricompreso tra il 19 settembre 2000 ed il 7 marzo 2007 (pari, nell’insieme, a sei anni, cinque mesi e sedici giorni) il periodo di partecipazione all’intesa ascritto a J&J avrebbe dovuto essere pari, ai fini dell’applicazione della sanzione, a sei anni e sei mesi e non a sette anni, come erroneamente ritenuto; infatti, secondo gli orientamenti della Commissione sull’applicazione delle ammende di cui ha fatto applicazione l’Autorità nella fattispecie in esame, le frazioni temporali superiori al semestre si considerano come anno intero, mentre si computano in sei mesi i periodi di tempo inferiori.

5.4- Con distinta censura la società appellante lamenta la violazione del principio di proporzionalità ed adeguatezza nella determinazione della sanzione e si duole che il Tar non abbia rilevato la fondatezza dei rilievi in punto di errata applicazione del coefficiente moltiplicatore della sanzione, applicato in ragione della sola appartenenza della appellante ad un gruppo societario che realizza un fatturato elevato, ma senza alcun riferimento al ruolo dalla stessa in concreto assunto nel coordinamento delle politiche dei prezzi e, in generale, nella partecipazione attiva all’intesa vietata.

6. – Passando all’esame dei distinti motivi di censura, il Collegio osserva quanto segue.

6.1- Come si è anticipato, con il primo motivo la società appellante ha lamentato la erroneità della impugnata sentenza non definitiva per non avere la stessa sufficientemente approfondito i profili di evidente contraddittorietà delle dichiarazioni accusatorie dei soggetti cooperanti, peraltro più volte rettificate dagli stessi anche a seguito del non consentito accesso agli atti dell’indagine, consentito illegittimamente prima della formale chiusura dell’istruttoria.

Ritiene il Collegio che la censura non meriti favorevole scrutinio.

Come si è detto in premessa, l’Autorità ha ritenuto che i soggetti coinvolti nell’indagine per violazione dell’art. 101 del TFUE abbiano dato vita ad un complesso sistema di alterazione delle dinamiche competitive nel settore nazionale dei prodotti cosmetici commercializzati attraverso il canale retail, finalizzato al coordinamento degli aumenti dei prezzi di listino comunicati annualmente agli operatori della grande distribuzione organizzata attraverso un costante e pervasivo scambio di informazioni sulle principali variabili sulle quali normalmente i competitor assumono atteggiamenti concorrenziali.

In particolare, lo scambio di informazioni sugli aumenti dei prezzi di listino e sulle condizioni di negoziazione con gli operatori della distribuzione è avvenuto nell’ambito dell’Associazione Centromarca, e si è tradotto, come già detto, in un allineamento generalizzato e costante dei prezzi di listino comunicati agli operatori della GDO normalmente in misura superiore (tra il 3% ed il 5%) al tasso di inflazione annuale .

Il coordinamento delle strategie commerciali risulta confermato proprio dalla reazione che i produttori di cosmetici aderenti a Centromarca hanno manifestato in relazione al comportamento commerciale aggressivo assunto da Es. nel corso del 2005. La preoccupazione dei produttori di dover reintegrare le perdite dei distributori coinvolti dalla guerra dei prezzi scatenata da Es. ha, infatti, condotto alla ricerca e all’elaborazione di soluzioni condivise proprio per evitare richieste di sconti ulteriori e più che probabili contestazioni degli aumenti di listino annuali.

L’insieme delle condotte evidenziate nelle risultanze istruttorie si snoda nell’ampio e intenso scambio di informazioni avvenuto nel corso delle riunioni del Gruppo Chimico di Centromarca, nello scambio di informazioni avvenuto fuori dalle riunioni associative, nell’allineamento degli aumenti dei prezzi di listino comunicati alla GDO e nel coordinamento evidenziato in occasione del comportamento commerciale aggressivo assunto da Es. nel corso del 2005, il cui tentativo di riduzione dei prezzi è stato efficacemente contrastato dai produttori di cosmetici (ivi inclusa naturalmente la odierna società appellante) proprio a mezzo del coordinamento dei prezzi di listino e dall’offerta a Es. di un formato dei prodotti in parte diverso rispetto a quello fornito agli altri distributori.

L’Autorità ha fornito, nel provvedimento irrogativo della sanzione, puntuali riscontri rispetto al complesso materiale istruttorio acquisito che, in relazione alla particolare posizione di J&J, è essenzialmente consistito nelle dichiarazioni dei due soggetti cooperanti facenti parte dell’intesa vietata (Co. e P&G); in ordine a tali dichiarazioni non sono ravvisabili contraddizioni o incompletezze tali da inficiarne la genuinità ovvero la loro attendibilità, puntualmente riscontrata nel corso del procedimento istruttorio in relazione a tutti gli elementi istruttori acquisiti.

Inoltre, la sentenza non definitiva del 17 novembre 2011 il giudice di primo grado ha evidenziato come nel provvedimento impugnato (parr. 32 e 210) si sia dato conto del fatto che le società collaboranti abbiano effettuato l’accesso agli atti del procedimento, ed in particolare alle trascrizioni delle dichiarazioni orali degli altri leniency applicant, con modalità e tempistiche identiche a quelle delle altre parti del procedimento, e cioè successivamente all’invio della comunicazione delle risultanze istruttorie nel mese di dicembre 2009.

Sul punto, pertanto, la censura della società appellante relativa a pretese irregolarità nell’accesso agli atti del procedimento da parte dei due soggetti cooperanti che hanno coinvolto nell’indagine J&J risultano al limite della ammissibilità processuale, in quanto non apportano alcun argomento utile a contrastare il decisum dei primi giudici.

6.2 -D’altra parte, già in primo grado si è osservato, con considerazioni qui meritevoli di conferma, che il preventivo accesso di una società agli atti del procedimento istruttorio non è di ostacolo alla sua ammissione ad un programma di clemenza e che, in ogni caso, eventuali vizi del procedimento applicativo di detto programma (in base alle previsioni dell’art. 15 , comma 2 bis, della legge n. 287 del 1990) non si traducono nella inattendibilità delle dichiarazioni accusatorie dei cooperanti, quando le stesse siano risultate credibili in quanto coerenti con il complessivo quadro indiziario desumibile dagli atti del procedimento.

Ora, nel caso in esame, lo scambio di informazioni confidenziali è stato comprovato, anche in relazione alla posizione assunta da J&J, sulla base del ruolo di coordinamento assunto dall’organismo associativo Centromarca promotore delle riunioni tra gli associati ma soprattutto responsabile della circolazione delle informazioni riservate tra gli associati a mezzo della periodica redazione e diffusione degli “osservatori”, contenenti dati apparentemente disaggregati e non sensibili ma in concreto rivelatori, a mezzo di “chiavi di codifica” messe a disposizione degli associati, funzionali a disvelare elementi fondamentali (come ad esempio la vera identità dei soggetti cui riferire i dati statistici riportati negli osservatori) per ricavare precise indicazioni comportamentali dei diretti concorrenti nei confronti dei distributori.

6.3- Tutti i suddetti comportamenti sono stati ritenuti dall’Autorità funzionali all’attuazione di un’intesa unica, complessa e continuata nel tempo, volta alla totale alterazione del confronto concorrenziale nel settore dei prodotti cosmetici commercializzati attraverso il canale retail.

Nell’ambito di tale quadro indiziario, che ha visto la partecipazione della odierna appellante all’intesa restrittiva, non appare dirimente che, sulla base delle dichiarazioni dei cooperanti, non sia stato identificato con chiarezza il nominativo del soggetto che avrebbe di volta in volta partecipato, a nome della multinazionale J&J, alle riunioni dei produttori di cosmetici, trattandosi di circostanza marginale a fronte del grave, preciso e concordante quadro indiziario che attesta, al di là di ogni ragionevole dubbio, il pieno coinvolgimento della società appellante nella fattispecie di intesa vietata e la corretta estensione soggettiva anche in suo confronto del procedimento sanzionatorio.

7.- Con il secondo motivo, la società appellante ha reiterato il motivo inerente la carenza di prova in ordine al suo coinvolgimento, a far data dal 19 settembre 2000, all’intesa occorsa tra i produttori di cosmetici per concordare strategie commerciali comuni nei confronti della grande distribuzione organizzata.

In particolare, l’appellante assume che nessun elemento istruttorio autorizzerebbe la conclusione secondo cui alla riunione del 19 settembre 2000 – da cui l’Autorità ha desunto l’inizio della partecipazione di J&J all’intesa vietata – avrebbe partecipato un rappresentante della società appellante di tal che, in difetto di tale imprescindibile elemento di certezza, non sarebbe stata fornita congrua dimostrazione della partecipazione della società deducente all’intesa vietata quantomeno nel periodo ricompreso tra il 2000 ed il 2005 (epoca quest’ultima alla quale sarebbe invece provata la partecipazione della società ad una riunione degli associati in ambito Centromarca).

La censura non appare meritevole di condivisione.

7.1- Anzitutto, l’appellante sembra non considerare che sia la impugnata sentenza definitiva del 11 aprile 2012 (cfr. pag. 17) sia il provvedimento dell’Autorità oggetto del ricorso di primo grado abbiano escluso che, quantomeno fino al 2007, le riunioni tra gli associati nell’ambito della associazione Centromarca siano state la sede esclusiva dello scambio di informazioni “sensibili” tra i partecipanti all’intesa illecita.

Al proposito la sentenza impugnata ha dato conto dei passaggi motivazionali della delibera irrogativa della sanzione in cui si è evidenziato come i “giri di tavolo” in ambito associativo erano soltanto alcune delle modalità utilizzate dai produttori di cosmetici per concordare le strategie commerciali nei confronti dei distributori, le quali venivano in ogni caso significativamente influenzate dal continuo flusso informativo – realizzato anche per il tramite dell’Associazione Centromarca, ma anche autonomamente tra gli associati- idoneo ad elidere i margini di incertezza comportamentali dei concorrenti.

Il riferimento alla “riunione” degli associati come evento storico capace di evidenziare adeguatamente una modalità procedimentale di concordare le strategie commerciali, pur centrale nell’impianto motivazionale del provvedimento antitrust, non è mai stato l’unico argomento utilizzato dall’AGCM per addivenire a ritenere dimostrata, nel caso di specie, la sussistenza della intesa vietata.

D’altra parte è noto che, nella maggior parte dei casi, l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale dev’essere dedotta da un certo numero di coincidenze e di indizi i quali, considerati nel loro insieme, possono rappresentare, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle regole sulla concorrenza, in quanto è ben difficile che di una intesa possano rinvenirsi prove dirette, desumibili da materiale documentale o da altre evidenze istruttorie che attestino la conclusione dell’accordo anticoncorrenziale illecito.

Al proposito, nella stessa giurisprudenza della Corte di giustizia UE si trova più volte affermato il principio per cui (cfr., in particolare,sentenza 7 gennaio 2004, in causa C-204/00) poiché sono noti tanto il divieto di partecipare a pratiche e accordi anticoncorrenziali quanto le sanzioni che possono essere irrogate ai contravventori, di norma le attività derivanti da tali pratiche ed accordi si svolgono in modo clandestino, le riunioni sono segrete, spesso in un paese terzo, e la documentazione ad esse relativa è ridotta al minimo. Si è detto al proposito che anche se la Commissione scoprisse documenti attestanti in modo esplicito un contatto illegittimo tra operatori, come i resoconti di una riunione, questi ultimi sarebbero di regola solo frammentari e sporadici, di modo che si rivela spesso necessario ricostituire taluni dettagli per via di deduzioni.

7.2 Nel caso in esame vi è molto di più di quanto sarebbe ragionevolmente bastato a ritenere sussistente la partecipazione di J&J all’intesa vietata fin dal settembre 2000.

L’assenza del rappresentante della società appellante alla riunione del 19 settembre 2000 (circostanza sulla quale ha molto insistito la difesa dell’appellante) non è elemento dunque che possa infirmare le conclusioni dell’Autorità circa il coinvolgimento di tale società fin da tale data alla concertazione con gli altri concorrenti delle rispettive politiche commerciali.

Al proposito è altresì utile osservare che:

– J&J risulta regolarmente convocata a partecipare alla riunione del 19 settembre 2000 e vi è riscontro che la società abbia risposto positivamente alla convocazione ricevuta (cfr. p. 114 della impugnata delibera dell’Autorità), a comprova della sua piena conoscenza del sistema degli incontri periodi dei produttori di cosmetici nell’ambito dell’associazione dei produttori di marca (risalente già a qualche tempo prima, secondo le dichiarazioni dei cooperanti);

– le riunioni in ambito Centromarca tra i produttori del “gruppo chimico” sono soltanto uno degli elementi indiziari raccolti dall’Autorità a carico delle società sanzionate (cfr. parr. 227-228) di tal che, al di là del mero riscontro riguardo alla presenza fisica del rappresentante della società interessata a questo o a quell’incontro (circostanza correlata, in ultima analisi, anche a fattori contingenti ed estemporanei), rileva in senso dirimente, a comprova del coinvolgimento della società J&J nel circuito delle informazioni sensibili utili ad orientare in senso uniforme le condotte dei concorrenti, l’adesione effettiva ed incondizionata della società J&J alla politica dei prezzi collettivamente concordata, attraverso la sua partecipazione alla pratica di concertazione delle politiche commerciali e (quantomeno a decorrere dal 2003) di costante e coordinato aumento dei prezzi di listino , da proporre di anno in anno alla grande distribuzione organizzata;

– rispetto a tale pratica anticoncorrenziale, ricostruita dall’Autorità sulla base di dati oggettivi e dei riscontri obiettivi rinvenuti alle dichiarazioni dei cooperanti, la odierna appellante non ha fornito, né in sede procedimentale né in sede processuale, alcuna prova di estraneità di partecipazione all’intesa vietata nel periodo ricompreso tra il 2000 ed il 2005 (per il periodo successivo manca ogni contestazione, risultando conclamata la partecipazione attiva di J&J anche alle riunioni svolte sotto l’egida di Centromarca);

– appare pertanto evidente come l’elemento della mancata presenza fisica del rappresentante di J&J alla riunione del 19 settembre 2000, su cui ruota il nucleo centrale dell’appello della società, non sia circostanza idonea ad escluderla (anche in relazione al periodo 2000-2005) dal novero dei soggetti parte dell’intesa vietata, a fronte del carattere indiziante correttamente ricollegato all’atto di convocazione della società all’incontro suddetto ed al riscontro dalla stessa fornito per assicurare la sua (poi mancata) partecipazione, elementi che confermano come la società fin da quella data fosse coinvolta nel sistema posto in essere dalle più importanti società produttrici di cosmetici per concordare le rispettive politiche commerciali e per improntale ad uniformi modelli comportamentali;

– d’altra parte (la considerazione è scevra di portata addizionale al bastevole contenuto motivazionale del provvedimento antitrust) le intese anticoncorrenziali funzionano solo se e nella misura in cui la effettiva attuazione delle politiche concordate viene assicurata dai principali players del settore di riferimento, che pertanto devono ritenersi ab origine parti “necessarie” dell’intesa (pena altrimenti la sua inefficacia) soprattutto in un mercato a carattere oligopolistico fortemente concentrato come quello in oggetto, in cui lo scambio di informazioni può consentire alle imprese di conoscere le posizioni dei loro concorrenti sul mercato stesso e la loro strategia commerciale e, di conseguenza, può alterare sensibilmente la concorrenza esistente fra gli operatori economici;

– di tal che le dichiarazioni accusatorie di Co. e P&G riguardo alla partecipazione all’intesa di J&J fin dal settembre 2000 risultano ulteriormente corroborate da elementi di ragionevolezza e di logicità estrinseca ed appaiono, anche per tal ragione, credibili e meritevoli di considerazione, come condivisibilmene ritenuto dall’AGCM.

7.3 Tali conclusioni appaiono d’altronde in linea con i principi rinvenibili nella giurisprudenza comunitaria in tema di intese restrittive della concorrenza ai sensi dell’art. 81 del Trattato di Roma (oggi, art. 101 del TFUE).

Nella sentenza 8 settembre 2010 (resa in causa T-29/05) il Tribunale dell’Unione europea ha avuto modo tra l’atro di precisare che, per dimostrare la partecipazione di un’impresa ad un accordo unico, costituito da una serie di comportamenti illeciti ripartiti nel tempo, la Commissione (alla quale, per i procedimenti di rilevanza nazionale, può sostituirsi AGCM) deve provare che tale impresa intendeva contribuire con il proprio comportamento agli obiettivi comuni perseguiti da tutti i partecipanti e che essa era a conoscenza dei comportamenti materiali previsti o attuati da altre imprese nel perseguire i medesimi obiettivi, oppure che poteva ragionevolmente prevederli ed era pronta ad accettarne i rischi. Al riguardo, il Tribunale ha ricordato che il fatto di approvare tacitamente un’iniziativa illecita, senza distanziarsi pubblicamente dal suo contenuto o denunciarla agli organi amministrativi, ha l’effetto di incoraggiare la continuazione dell’infrazione e ne pregiudica la scoperta. Il Tribunale ha sottolineato che tale complicità rappresenta una modalità passiva di partecipazione all’infrazione, idonea quindi a far sorgere la responsabilità dell’impresa nell’ambito di un unico accordo.

In altra decisione dell’8 luglio 2008 (in causa T-99/04) lo stesso giudice comunitario ha stabilito che un’impresa può violare il divieto previsto dall’art. 81, n. 1, CE quando il suo comportamento, coordinato con quello di altre imprese, ha per obiettivo di restringere la concorrenza su un mercato rilevante particolare all’interno del mercato comune; inoltre, perché l’infrazione nel suo complesso possa essere imputata ad un’impresa partecipante ad un’intesa in conformità del principio di responsabilità personale, è necessario che siano soddisfatte due condizioni, una di natura oggettiva e l’altra di natura soggettiva: quanto alla prima condizione, il Tribunale ha rilevato che, in base alle acquisizioni giurisprudenziali in materia, essa è soddisfatta, per quanto attiene alla relazione tra concorrenti operanti sullo stesso mercato rilevante nonché tra tali concorrenti e i loro clienti, quando l’impresa partecipante ha contribuito all’attuazione dell’intesa, anche in maniera subordinata, accessoria o passiva, per esempio approvando tacitamente tale intesa e non denunciandola alle autorità.Quanto alla seconda condizione, il Tribunale ha rammentato che l’imputazione di tutta l’infrazione all’impresa partecipante dipende altresì dalla manifestazione della sua volontà, che dimostra che essa approva, almeno tacitamente, gli obiettivi dell’intesa.

Il Tribunale ha precisato che tale condizione soggettiva, da un lato, è inerente al criterio dell’approvazione tacita dell’intesa e a quello della mancata presa di distanza pubblica dal suo contenuto, in quanto tali criteri implicano la presunzione che l’impresa interessata continui ad approvare gli obiettivi e l’attuazione dell’intesa, e, dall’altro, costituisce la giustificazione che permette di considerare corresponsabile l’impresa interessata, poiché essa intendeva contribuire con il proprio comportamento agli obiettivi comuni perseguiti da tutti i partecipanti ed era a conoscenza dei comportamenti illeciti degli altri partecipanti, oppure poteva ragionevolmente prevederli ed era pronta ad accettarne i rischi.

Nella sentenza 5 dicembre 2013 (in causa C-449/11) – si tratta della sentenza d’appello, rispetto alla sentenza, citata più volte negli scritti difensivi di Jo. & Jo., del Tribunale dell’Unione europea 16 giugno 2011 (in causa T-186/06), la Corte di Giustizia UE ha parimenti giudicato che una pratica concordata ha un oggetto anticoncorrenziale ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, CE quando, in ragione del suo tenore nonché della sua finalità, e tenuto conto del contesto economico e giuridico nel quale si inserisce, sia concretamente idonea ad impedire, restringere o falsare la concorrenza nel mercato comune. Non è necessario che la concorrenza sia effettivamente impedita, ristretta o falsata, né che sussista un nesso diretto fra tale pratica concordata e i prezzi al dettaglio. Lo scambio di informazioni tra i concorrenti persegue uno scopo anticoncorrenziale quando è in grado di eliminare le incertezze relative al comportamento programmato dalle imprese interessate. La Corte ha precisato inoltre che si deve presumere, fatta salva la prova contraria il cui onere incombe agli operatori interessati, che le imprese partecipanti alla concertazione e che rimangono presenti sul mercato, tengano conto degli scambi di informazioni con i loro concorrenti per decidere il proprio comportamento sul mercato stesso. Ciò sarà tanto più esatto quando la concertazione avviene in modo regolare nel corso di un lungo periodo. Al fine di inficiare questa presunzione, è onere dell’impresa interessata dimostrare che la concertazione non abbia influenzato in nessun modo il suo personale comportamento sul mercato.

Ed anche la già citata sentenza di primo grado del Tribunale UE 16 giugno 2011 (richiamata dalla difesa dell’appellante anche in sede di memoria conclusiva), resa nell’ambito del medesimo giudizio in cui è poi intervenuta, in grado di appello, la sentenza della Corte di Giustizia appena sopra richiamata, non fa altro che richiamare – per le parti qui di interesse- pacifici principi in materia di prova delle intese restrittive, prova che deve consistere in quadro indiziario grave preciso e concordante di partecipazione dell’impresa alla intesa vietata (il che conferma la irrilevanza della partecipazione fisica del rappresentante di un’impresa ad una singola riunione in cui sono state concordate strategie comportamentali anticoncorrenziali).

7.4- Ora, tirando le fila del discorso e facendo applicazione al caso di specie dei condivisibili principi elaborati dalla giurisprudenza comunitaria in materia di intese restrittive della concorrenza, il Collegio ritiene che, nel caso di specie, sulla base degli elementi univoci raccolti in istruttoria, l’AGCM abbia dimostrato debitamente che le imprese di cui trattasi (ed in particolare, per quel che qui rileva, l’appellante J&J), abbiano posto in essere, per un lungo arco temporale, per il tramite (ma non solo) dell’Associazione Centromarca un sistema di circolazione stabile delle informazioni relative a dati e notizie sensibili capaci di condizionare reciprocamente le rispettive strategie e politiche commerciali (soprattutto sui prezzi ma anche sugli sconti e ale altre condizioni contrattuali da praticare ai distributori) contribuendo così a creare una situazione di mercato “calmo” tipicamente caratterizzato da assenza di concorrenza in ragione della univocità dei comportamenti concordati tra i competitor e del reciproco controllo sulle condotte commerciali in concreto tenute con i partner commerciali della distribuzione. La società J&J ha partecipato consapevolmente, nel periodo considerato, alla intesa protrattasi per così lungo tempo, non si è mai dissociata dalla concertazione con le altre imprese concorrenti delle politiche commerciali ed ha così contribuito a creare condizioni di mercato anticoncorrenziali.

8.- Venendo a trattare del terzo motivo, l’appellante lamenta, come si è già anticipato, la erroneità della determinazione dell’ammontare della sanzione applicata in suo confronto evidenziando, da un lato, il non corretto calcolo della durata dell’infrazione con riguardo all’erroneo arrotondamento all’anno di un semestre non integralmente perfezionatosi, e per altro verso, il suo carattere comunque eccessivo e non proporzionato al ruolo in concreto assunto da J&J nella realizzazione della condotta vietata.

8.1- Il Collegio ritiene che il motivo meriti accoglimento soltanto in relazione al primo dei profili evidenziati.

Infatti, come correttamente dedotto dalla appellante, si tratta di un errore di calcolo aritmetico in cui è incorsa l’Autorità e che qui deve essere rettificato, in accoglimento sul punto del motivo d’appello. Anche il giudice di primo grado, è incorso nel medesimo errore materiale dell’Autorità, ritenendo che la durata della intesa vietata (accertata, per quanto riguarda J&J, dal 19 settembre 2000 al 7 marzo 2007) sia risultata pari a più di sei anni e sei mesi (donde l’arrotondamento all’anno intero della frazione temporale superiore al semestre, e così la determinazione erronea in sette anni della durata dell’intesa ai fini del computo della sanzione).

Per contro, la durata effettiva dell’intesa -eseguendo un semplice calcolo di quella frazione temporale – risulta pari a sei anni, cinque mesi e sedici giorni: una frazione temporale che, secondo gli stessi Orientamenti per il calcolo delle ammende della Commissione (paragrafo 24, cui hanno fatto riferimento sia l’Autorità che il Tar), non consente l’arrotondamento all’anno intero della frazione di tempo non eccedente i sei mesi, ma soltanto l’arrotondamento a sei mesi della frazione temporale suddetta.

Il Collegio osserva come dallo stesso provvedimento impugnato si evinca come per la società J&J la partecipazione all’intesa vietata sia stata accertata dal 19 settembre 2000 al 7 marzo 2007, e cioè per un periodo temporale tale da non giustificare, così come previsto dal paragrafo 24 degli stessi Orientamenti, l’arrotondamento a 7 anni della durata dell’infrazione.

Non par dubbio, pertanto, che l’ammenda debba essere proporzionata alla durata della partecipazione all’infrazione, così come recentemente ricordato dal Tribunale di primo grado dell’Unione europea nella sentenza 13 settembre 2013 (in causa T-566/08).

Di tal che la sanzione va correttamente applicata, in riforma sul punto della impugnata sentenza, sulla base della durata effettiva dell’infrazione accertata ed in ragione del suo corretto arrotondamento a sei anni e sei mesi.

Per questa parte, dunque, l’appello va accolto e va conseguentemente disposta la rettifica della sanzione pecuniaria applicata a J&J sulla base della effettiva ed accertata durata (nei suddetti limiti temporali) della partecipazione della suddetta società all’intesa vietata.

Al ricalcolo della sanzione, nei sensi suindicati, provvederà l’appellata Autorità garante della concorrenza e del mercato, che dovrà in ogni caso preliminarmente por mano, in confronto della odierna appellante, alla fissazione dell’ulteriore moltiplicatore di determinazione della sanzione-base (rappresentato da una misura percentuale del valore delle vendite alle quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce) ; tanto in esecuzione della statuizione di primo grado (sul punto non impugnata) relativa, come già detto, all’abbattimento della sanzione-base (dal 30% al 25% del valore delle vendite) che dovrà poi essere moltiplicato per il periodo di durata dell’infrazione (da contenere, a questo punto, nel limite temporale di sei anni e sei mesi e non più di sette anni).

8.2- Per converso, non merita condivisione l’altro profilo di doglianza inerente la maggiorazione della sanzione in rapporto alla gravità dell’infrazione.

Sul punto, non è condivisibile quanto sostenuto dalla società appellante a proposito del suo minor grado di partecipazione all’intesa avendo, per quanto già detto, l’Autorità accertato un unico e complessivo comportamento, ascrivibile a tutte le imprese coinvolte, senza peraltro che possa tenersi conto della minor durata dell’infrazione per la odierna appellante, trattandosi di circostanza già presa in considerazione – come si è detto – in sede di determinazione della sanzione.

Piuttosto, la maggiorazione applicata in confronto della società J&J risulta congruamente motivata tenuto conto, sulla base dei parametri indicati nei citati “Orientamenti”, della “quota di mercato aggregata”e, in sostanza, dell’elemento dimensionale della società, cui la sanzione va evidentemente correlata perché ne sia assicurato l’effetto di deterrenza.

Per altro verso, non ricorre alcuna circostanza capace di determinare un effetto diminuente sulla sanzione, come correttamente evidenziato dal giudice di primo grado, che congruamente ha ritenuto corretta, sul punto, la determinazione della sanzione per come operata dall’AGCM, non avendo la società J&J mai assunto comportamenti di collaborazione (anche postuma) con l’Autorità antitrust ovvero di desistenza attiva dall’intesa.

9.- In definitiva, alla luce dei rilievi svolti, l’appello va accolto soltanto nei limiti di cui innanzi (cfr. par.8.1), mentre va respinto per il resto.

10.- In considerazione della particolarità della vicenda trattata e dell’accoglimento soltanto parziale dell’appello, si ravvisano giusti motivi per far luogo alla compensazione tra le parti delle spese e degli onorari del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello (RG n. 5433/12), come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, nei sensi e limiti di cui in motivazione.

Spese del presente grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 giugno 2014 con l’intervento dei magistrati:

Luciano Barra Caracciolo – Presidente

Sergio De Felice – Consigliere

Claudio Contessa – Consigliere

Gabriella De Michele – Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria l’8 agosto 2014.

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