Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 4 gennaio 2016, n. 19

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm. sul ricorso numero di registro generale 9029 del 2015 proposto da Ma. Da., rappresentato e difeso dall’avv. Giacomo Straffi, con domicilio eletto presso lo stesso in (Omissis);

contro

Roma Capitale, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difeso per legge dall’avv. Andrea Camarda, domiciliata in (Omissis);

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. LAZIO -ROMA -SEZIONE I QUATER, n. 3937/2015, resa tra le parti, concernente demolizione opera edilizia abusiva;

Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del 3 dicembre 2015 il cons. Marco Buricelli e uditi per le parti gli avvocati Straffi per l’appellante e Garofoli, in dichiarata delega di Camarda, per l’appellata;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm. ;

Premesso e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

Ma. Da. ha impugnato, davanti al TAR del Lazio, la determinazione dirigenziale di Roma Capitale n. 1858 del 21 novembre 2014 con la quale gli è stata ingiunta la demolizione di un’opera edilizia abusiva consistente nellarealizzazione di una tettoia di mq. 25 circa con copertura in lamiera e struttura in paletti metallici in alluminio, imbullonata alla recinzione dell’area privata, in sostituzione di precedente tettoia in ondulato metallico.

Con la sentenza impugnata il Tribunale amministrativo ha respinto il ricorso -con la condanna del ricorrente alle spese a favore di Roma Capitale- con la motivazione che segue: il ricorrente assume l’illegittimità del provvedimento in ragione del carattere pertinenziale dell’opera rispetto al bene principale cui accede…il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono tuttavia una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime del permesso di costruire, come nel caso di una tettoia in ferro delle dimensioni quali quelle per cui è causa e ancorata con pali fissi di metallo…per tali ragioni la realizzazione di una tettoia di tal genere, comportando la trasformazione edilizia del territorio ex art. 3 comma 1 lett. e) del D.P.R. n. 380/2001, si caratterizza, secondo la prevalente giurisprudenza amministrativa, in termini di “nuova costruzione”, tale da necessitare del previo rilascio del pertinente titolo abilitativo… (segue la citazione di precedenti giurisprudenziali per i quali la realizzazione di manufatti e di tettoie con struttura metallica e copertura in lamiere zincate simili a quello per cui è causa costituisce nuova costruzione per la quale occorre il permesso di costruire).

Il Da. ha proposto appello contestando statuizioni e argomentazioni della sentenza e deducendo, con un unico, articolato motivo,violazione dell’art. 26 della legge n. 1034/1971per insufficiente motivazione, in relazione al fatto che il richiamo a precedenti giurisprudenziali non risulta nella specie integrato dalle insopprimibili specificità del caso concreto.

Il percorso motivazionale –si legge tra l’altro nell’atto d’appello– risulta insufficiente a sorreggere la decisione gravata, mentre il riferimento ai precedenti giurisprudenziali è scarno e lacunoso non avendo, la sentenza, motivato circa l’applicabilità, al caso in esame, dei precedenti giurisprudenziali relativi alla necessità del permesso di costruire per la realizzazione di tettoie.

L’opera realizzata, di dimensioni modestissime, in lamierato ondulato, destinata al ricovero di piccoli oggetti, non sarebbe né stabile né permanente e avrebbe carattere di pertinenza dell’edificio principale.

Come tale, non sarebbe soggetta a permesso di costruire, con conseguente illegittimità dell’ingiunzione di demolizione.

Resiste Roma Capitale.

L’appello è infondato e va respinto.

La sentenza breve di rigetto del Tar va confermata essenzialmente perché risulta corretta -pur nella oggettiva concisione della motivazione della pronuncia, coerente, del resto, con la natura semplificata della decisione di primo grado- la qualificazione data all’opera abusiva realizzata come intervento di nuova costruzione ex art. 3, lett. e), del t. u. n. 380 del 2001, con il consequenziale assoggettamento dell’intervento medesimo, di trasformazione edilizia, al permesso di costruire.

Diversamente da quanto ritiene parte appellante, non viene in rilievo una pertinenza, essendo stata realizzata, in base agli atti e ai documenti di causa, un’opera edilizia autonoma, opera che, comportando un mutamento nell’assetto dei luoghi e una trasformazione del territorio, necessitava del permesso di costruire.

In termini generali va rammentato che l’art. 817 cod. civ. definisce pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa.

La nozione di pertinenza accolta dalla giurisprudenza amministrativa è però meno ampia di quella civilistica.

La giurisprudenza è generalmente orientata a ritenere che gli elementi che caratterizzano le pertinenze siano, da un lato, l’esiguità quantitativa del manufatto, nel senso che il medesimo deve essere di entità tale da non alterare in modo rilevante l’assetto del territorio; dall’altro, l’esistenza di un collegamento funzionale tra tali opere e la cosa principale, con la conseguente incapacità per le medesime di essere utilizzate separatamente ed autonomamente.

Un’opera può definirsi accessoria rispetto a un’altra, da considerarsi principale, solo quando la prima sia parte integrante della seconda, in modo da non potersi le due cose separare senza che ne derivi l’alterazione dell’essenza e della funzione dell’insieme.

Tale vincolo di accessorietà deve desumersi dal rapporto oggettivo esistente fra le due cose e non dalla semplice utilità che da una di esse possa ricavare colui che abbia la disponibilità di entrambe (conf., explurimis, Cons. Stato, IV, n. 5509/09 -e, ivi, numerosi riferimenti giurisprudenziali ulteriori-, secondo cui la nozione di pertinenza urbanistica ha peculiarità sue proprie, che la differenziano da quella civilistica dal momento che il manufatto deve essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere anche sfornito di autonomo valore di mercato e dotato comunque di un volume modesto rispetto all’edificio principale, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico; conf. inoltre Cons. Stato, sez. IV, n. 4636/09: i beni che nel diritto civile assumono senz’altro natura pertinenziale non sono tali ai fini dell’applicazione delle regole che governano l’attività edilizia, ogniqualvolta assumono autonomia rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime concessorio. Ne discende, dunque, che in materia edilizia sono qualificabili come pertinenze solo le opere che siano prive di autonoma destinazione e che esauriscano la loro destinazione d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico; v. anche Cons. Stato, n. 2549/2011).

Nella specie, ad avviso di questo Consiglio, dalla descrizione dell’opera contenuta nell’atto impugnato, dalla fotografia in atti e in generale dalla documentazione prodotta emerge che, sul piano strutturale, si tratta di un manufatto, avente una superficie non irrilevante, forse minore dei 25 mq. ai quali si fa riferimento nella determina impugnata in primo grado, ma comunque di certo non irrilevante, con copertura in lamiera e struttura in paletti metallici, imbullonato alla recinzione dell’area privata e dunque tutt’altro che agevolmente rimovibile, destinato, sotto l’aspetto funzionale, a soddisfare esigenze prolungate nel tempo e in ogni caso tutt’altro che temporanee, con la conseguenza che, per la realizzazione di opere come il manufatto medesimo, occorre conseguire il permesso di costruire.

In modo condivisibile in sentenza è stata negata natura pertinenziale al manufatto, considerandolo intervento che implica una trasformazione urbanistico -edilizia del territorio.

La natura strutturalmente, e funzionalmente, non precaria della tettoia, o baracca, di cui si discute, risulta dunque sussistere, al di là delle considerazioni difensive rivolte -comprensibilmente, ma infondatamente- a minimizzare l’entità dell’intervento realizzato.

Alla luce delle considerazioni su esposte è da ritenere che le caratteristiche e la funzione della struttura, realizzata con l’impiego di paletti metallici e avente, come detto, una superficie non irrilevante, non consentano di qualificare l’opera stessa come pertinenza.

Di qui il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.

La natura della controversia giustifica la compensazione tra le parti delle spese del grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente decidendo sull’appello in epigrafe lo respinge confermando, per l’effetto, la sentenza impugnata.

Spese del grado di giudizio compensate.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 3 dicembre 2015 con l’intervento dei magistrati:

 

Stefano Baccarini, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Andrea Pannone, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Marco Buricelli, Consigliere, Estensore

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 04/01/2016

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