La massima
1. La responsabilità della pubblica amministrazione da provvedimento illegittimo risponde ad un modello speciale non riconducibile ai modelli di responsabilità che operano nel settore del diritto civile.
2. Rispetto alla responsabilità civile, quella della p.a. presuppone che il comportamento illecito si inserisca nell’ambito di un procedimento amministrativo. L’amministrazione, in ossequio al principio di legalità, deve osservare predefinite regole, procedimentali e sostanziali, che scandiscono le modalità di svolgimento della sua azione. Sicché, l’esercizio del potere autoritativo non è assimilabile alla condotta di chi – con un comportamento materiale o di natura negoziale – cagioni un danno ingiusto a cose, a persone, a diritti, posizioni di fatto o altre posizioni tutelate ai fini risarcitori erga omnes dal diritto privato (e la cui tutela è prevista dagli articoli 2043 e ss. del codice civile).
2. Nel rapporto tra responsabilità della p.a. e responsabilità contrattuale sono diverse le posizioni soggettive che si confrontano: da un lato, dovere di prestazione (o di protezione) e diritto di credito, dall’altro, potere pubblico e interesse legittimo o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, diritto soggettivo.
3. La peculiarità dell’attività amministrativa – che deve svolgersi nel rispetto di regole procedimentali e sostanziali a tutela dell’interesse pubblico – rende speciale anche il sistema della responsabilità da attività illegittima.
4. Nel solo settore degli appalti pubblici la Corte di Giustizia ha sancito il principio della sovrapposizione tra regole di validità e regole di responsabilità, non rilevando, quindi, ai fini della configurabilità della responsabilità della stazione appaltante, l’elemento soggettivo della colpevolezza. La deroga si giustifica nell’ottica del rispetto dei principi a tutela della concorrenza e dunque dei valori sottesi di libera circolazione delle persone e delle merci. Si vuole, infatti, che nel settore degli appalti gli operatori economici non incontrino ostacoli all’accesso al mercato in ragione delle modalità di tutela assicurate nei singoli Stati membri. Detta ragione giustificativa della deroga, strettamente connessa al settore dei contratti pubblici, impedisce che l’orientamento della Corte di giustizia sia suscettibile di generalizzazione mediante applicazione anche in altri ambiti del diritto pubblico.
CONSIGLIO DI STATO
SEZIONE VI
SENTENZA 27 giugno 2013, n.3521
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5039 del 2012, proposto dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in persona del Ministro pro tempore, Università degli Studi “La Sapienza” di Roma, in persona del Rettore pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
La signora Maria Giuseppina Eboli, rappresentata e difesa dall’avvocato Carlo Rienzi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, viale delle Milizie, 9;
sul ricorso numero di registro generale 5663 del 2012, proposto dall’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, in persona del rettore pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Luigi Napolitano, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Sicilia, 50;
contro
La signora Maria Giuseppina Eboli, rappresentata e difesa dall’avvocato Carlo Rienzi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale delle Milizie, 9;
nei confronti di
Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
quanto ad entrambi i ricorsi n. 5039 del 2012 e n. 5663 del 2012:
della sentenza 8 maggio 2012, n. 4164 del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Roma, Sezione II.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nella camera di consiglio del giorno 19 marzo 2013 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Aiello e gli avvocati Rienzi e Napolitano.
FATTO
1.– La sig.ra Eboli Maria Giuseppina ha impugnato, innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Roma, con ricorso n. 1269 del 1992, gli atti del concorso a trentacinque posti di professore associato del raggruppamento disciplinare «economico estimativo GO10», indetto con decreto ministeriale 28 luglio 1990.
Il Tribunale amministrativo, con sentenza 28 ottobre 1999, n. 3178, ha annullato l’atto di nomina della commissione, per avere fatto parte di essa un componente (prof. Cassano) incompatibile per avere già partecipato ai lavori del concorso relativo al gruppo «258 economico estimativo GO10» nel 1984.
Il Consiglio di Stato, Sez. VI, con sentenza 31 gennaio 2006, n. 315, ha confermato la sentenza.
2.– Il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (d’ora innanzi anche solo Ministero o MIUR), al fine di dare esecuzione alle suddette decisioni:
– con decreto 24 aprile 2008 ha reiterato la procedura nei confronti della sola sig.ra Eboli;
– con decreto 5 giugno 2008, nel revocare il precedente decreto, ha indetto una sessione straordinaria di concorso riservata a tutti i candidati;
– con decreto 28 luglio 2008 ha nominato la nuova commissione, composta da cinque componenti.
3.– Con ricorso n. 2969 del 2008, e successivi motivi aggiunti, la sig.ra Eboli ha dedotto la persistente elusione della sentenza in quanto con gli atti sopra indicati l’amministrazione:
– non ha provveduto ad annullare l’intera procedura, con imposizione anche agli ex vincitori di ripetere la selezione;
– non ha fissato nuovi criteri;
– ha nominato, quale componente della nuova commissione, il prof. Giovanni Quaranta, il quale ha ottenuto l’idoneità per professore associato, in una procedura di valutazione comparativa bandita nel 2002, da una commissione composta da due professori vincitori del concorso del 1990 (con decreto ministeriale 26 gennaio 2009, anch’esso impugnato con motivi aggiunti, il componente è stato sostituito).
4.– Con sentenza interlocutoria 12 febbraio 2009, n. 1401, il Tribunale amministrativo ha preso atto della volontà della ricorrente e dell’Avvocatura dello Stato di stabilire, in via transattiva, una modalità di esecuzione del giudicato consistente nella rinnovazione della procedura di concorso nei confronti della sola ricorrente. Questa soluzione, si legge nella sentenza, costituirebbe il giusto compromesso tra la pretesa della ricorrente (che, se risultante idonea, sarebbe stata nominata professore associato in soprannumero) e quella dei vincitori del concorso che hanno acquisito una posizione di stabilità.
Nella sentenza si afferma, inoltre, che «una soluzione di questo genere» risulta «praticabile allo stato per effetto del ridimensionamento (…) della domanda della ricorrente, la quale si riserverebbe soltanto la possibilità di fare valere transattivamente o in altra sede, anche eventualmente all’esito del rinnovato giudizio valutativo concorsuale, eventuali profili risarcitori». Sul punto, dalla determinazione 26 febbraio 2009, n. 832, in atti, risulta che il Ministero ha consentito alla transazione purché alla stessa facesse seguito la rinuncia della parte al ricorso per ottemperanza e ai motivi aggiunti.
4.1.– Con successiva decisione interlocutoria 1° aprile 2009, n. 3496, lo stesso Tribunale ha nominato come commissario ad acta il professore Fabrizio De Filippis, ordinario presso la Facoltà di economia e commercio dell’Università degli Studi di Roma Tre, il quale avrebbe dovuto nominare una commissione, composta da tre membri, con il compito di valutare la posizione della sola ricorrente.
Il commissario in data 27 maggio 2009 ha nominato la nuova commissione e in data 17 giugno 2009 ha depositato una relazione conclusiva, nella quale dava atto che la commissione aveva espresso un giudizio di idoneità della ricorrente a ricoprire il posto di professore associato.
4.2.– Il Tar del Lazio, con sentenza 23 settembre 2009, n. 9253, resa sul ricorso n. 2968 del 2008, proposto dalla sig.ra Eboli, e sul ricorso n. 9088 del 2008, proposto dai vincitori del concorso del 1990, ha affermato che la procedura esecutiva si è svolta regolarmente.
In particolare, sono stati ritenuti privi di fondamenti i rilievi mossi, nelle proprie memorie, dall’amministrazione relativi: a) all’illegittimità della composizione di una commissione composta da soli tre membri; b) alla incompatibilità del commissario ad acta che, da un lato, ha prestato servizio, per un dato periodo, presso la stessa sede in cui ha lavorato la ricorrente, dall’altro, ha redatto alcune pubblicazioni in collaborazione con la ricorrente stessa.
Sulla base di queste premesse il Tar:
a) ha accolto il ricorso di ottemperanza della sig.ra Eboli, ordinando all’amministrazione di recepire i provvedimenti della commissione e del commissario ad acta, provvedendo alla sua nomina anche eventualmente in soprannumero presso l’Ateneo che avrebbe effettuato la chiamata ovvero, in subordine, presso l’Ateneo ove l’istante allora prestava servizio;
b) ha dichiarato, in relazione alle domande risarcitorie, che le stesse «potranno semmai essere valutate all’esito della procedura conseguente alla dichiarata idoneità concorsuale dell’istante, previa rituale riproposizione e specificazione, anche eventualmente sub specie di decorrenza ex tunc della nomina a fini reintegratori o riparatori, tenendo conto di quelle che saranno le concrete determinazioni sul punto della p.a. nel prosieguo dell’attività di ottemperanza»;
c) ha dichiarato improcedibile il ricorso proposto dai vincitori del concorso per sopravvenuto difetto di interesse, in quanto la procedura è stata legittimamente rinnovata nei confronti della sola sig.ra Eboli senza coinvolgere i ricorrenti vincitori del concorso del 1990.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con sentenza 10 febbraio 2010, n. 688, ha dichiarato improcedibile l’appello proposto avverso la sentenza interlocutoria n. 3674 del 2009 e ha rigettato l’appello avverso la sentenza n. 3496 del 2009.
La sentenza n. 688 del 2010 è stata impugna dal MIUR in Cassazione, per avere il Consiglio di Stato travalicato il limite esterno della giurisdizione.
La Cassazione, con sentenza 10 agosto 2011, n. 17152, ha rigettato il ricorso.
6.– Successivamente la ricorrente ha impugnato, nell’ambito sempre del ricorso n. 2968 del 2008:
– la nota del 16 marzo 2010, n. 1111, con cui il MIUR ha comunicato che intendeva eseguire la sentenza;
– il decreto del 15 marzo 2010, n. 82, con cui il MIUR ha disposto l’assegnazione della ricorrente all’Università “La Sapienza”, con ricostruzione giuridica della carriera a decorrere dal 1° novembre 1992 e con obbligo di corrispondere il trattamento economico a decorrere dalla data di effettivo servizio quale professore associato;
– i decreti del Rettore dell’Università “La Sapienza” 1° aprile 2010, n. 70 e n. 8834, con i quali la sig.ra Eboli è stata nominata professore associato presso l’Ateneo, con decorrenza giuridica dal 1° novembre 1992, e non anche economica.
6.1.– Con autonomo ricorso, n. 7940 del 2010, la sig.ra Eboli ha impugnato questi decreti del Rettore e la nota del MIUR n. 1111 del 2010 e ha chiesto la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.
Nel corso del giudizio, a decorrere da 1° novembre 2011, la sig.ra Eboli è stata collocata in quiescenza per superamento dei limiti di età.
7.– Il Tribunale amministrativo, con la sentenza 8 maggio 2012, n. 4164, impugnata in questa sede, previa riunione dei ricorsi n. 2968 del 2008 e n. 7940 del 2010:
– ha dichiarato inammissibile il ricorso per motivi aggiunti avverso la nota n. 1111 del 2010, per carenza di interesse, avendo tale nota valenza solo comunicativa;
– ha dichiarato inammissibile il ricorso per motivi aggiunti avverso il decreto n. 82 del 2010, in quanto lo stesso ha disposto favorevolmente per la ricorrente;
– ha dichiarato improcedibile per carenza di interesse il ricorso di annullamento relativo ai decreti rettorali del 1° aprile 2010, ritenendo assorbente la pronuncia sulla domanda risarcitoria;
– ha rigettato la domanda di risarcimento del danno da tardiva esecuzione del giudicato, in ragione della complessità della vicenda amministrativa che ha coinvolto più soggetti;
– ha rigettato la domanda volta ad ottenere la ricostruzione economica della carriera, nonché il trattamento pensionistico e di buona uscita correlato alla qualifica di professore associato, in ragione del fatto che la ricorrente non avesse prestato servizio.
Il Tribunale amministrativo ha, invece, ritenuta fondata la domanda di risarcimento dei danni, nei limiti di seguito indicati.
Sul piano del fatto lesivo, sono stati ritenuti sussistenti:
– la colpa dell’amministrazione, derivante dall’illegittimità degli atti e, in particolare, dalla illegittima composizione della commissione, tenuto conto che non è emerso alcun elemento volto a dimostrare la sussistenza di un errore scusabile;
– il nesso di causalità tra il comportamento dell’amministrazione e la lesione della posizione giuridica fatta valere.
Sul piano del danno subito, il primo giudice ha riconosciuto:
– il danno patrimoniale, determinato in via equitativa, nella misura del 50% delle retribuzioni, che le sarebbero spettate nella qualifica di professore associato, nonché del trattamento previdenziale e contributivo, demandando all’accordo delle parti di definirlo in concreto, assumendo quale parametro, la somma di euro 140.595,91, individuato in sede di istruttoria, con aggiunta di interessi e rivalutazione;
– il danno patrimoniale, per le spese mediche sostenute dal 2000 al 2011, per un importo complessivo di euro 73.541,58, oltre interessi;
– il danno non patrimoniale per la lesione della salute, liquidato, all’esito dei risultanti della consulenza tecnica disposta, nella misura del 5% del valore tabellare e determinato in euro 10.374,00;
– il danno non patrimoniale, cosiddetto “esistenziale”, per la dequalificazione professionale subita per oltre un ventennio, pari al 20% della somma spettante a titolo di risarcimento patrimoniale.
Il Tar ha rigettato, invece, le domande di risarcimento:
– per danno da perdita di chance, non avendo la parte provato quale fossero state le opportunità concrete perse;
– per danno morale soggettivo puro, in quanto lo stesso sarebbe, nella specie, un duplicato di quello alla salute.
– per danno relativo alle spese di giudizio sostenute, non ravvisando forme di abuso del processo da parte dell’amministrazione;
Infine, il Tar ha condannato il Ministero e l’Università al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese processuali, determinate in euro 10.000,00.
8.– Ha proposto appello il Ministero, rilevando sul piano del fatto lesivo che mancherebbe, in primo luogo, il requisito soggettivo della colpa, in quanto l’inserimento del prof. Cassano nella commissione è avvenuto all’esito della acquisizione del parere del Consiglio di Stato, Sez. II, 11 gennaio 1984, n. 32, coerente con quanto anche deciso dallo stesso Consiglio, Sez. VI, 3 ottobre 1994, n. 1475.
In particolare, si è rilevato che il divieto posto dal d.p.r. n. 382 del 1980, secondo cui «non possono fare parte delle commissioni coloro che siano stati membri della commissione di concorso associato immediatamente precedente per lo stesso raggruppamento di discipline», è stato, nella specie, ritenuto non applicabile sulla base di una complessa ricostruzione del quadro normativo e delle circostanze riguardanti il susseguirsi dei procedimenti concorsuali.
Infatti, il nuovo raggruppamento «G010 Economico estimativo» aveva subito mutamenti rispetto al gruppo «258 Economico estimativo» della precedente tornata concorsuale. Su tale impostazione aveva concordato il Consiglio universitario nazionale, come risulta dal verbale delle sedute del 9 aprile 1992.
Ne consegue che sussisterebbero i presupposti per riconoscere l’errore scusabile nella ricostruzione del quadro normativo e l’assenza di colpa dell’amministrazione nell’aver emanato il provvedimento annullato con la sentenza del Tar nel 1999, confermata dal Consiglio di Stato nel 2006.
In secondo luogo, non sussisterebbe neanche il nesso di causalità, in quanto il commissario, della cui incompatibilità si tratta, avrebbe espresso un giudizio favorevole all’appellata.
Si sottolinea, inoltre, come – per affermare la sostanziale spettanza del giudizio di idoneità ‘ora per allora’ – non sarebbe ammissibile sostituire la valutazione svolta da una commissione composta per legge da nove membri con la valutazione svolta dalla commissione nominata da un commissario a sua volta nominato dal giudice dell’ottemperanza, che, tra l’altro, ha valutato soltanto la sig.ra Eboli senza alcuna valutazione comparativa.
Infine, si rileva come, successivamente al concorso annullato, l’appellata avrebbe partecipato ad altri concorsi per posti di professore associato senza riuscire mai ad ottenere un giudizio favorevole.
Sotto altro aspetto, si deduce che la Eboli, in ragione del suo collocamento in quiescenza, non avrebbe svolto i tre anni di servizio necessari per il giudizio di conferma.
Nell’ipotesi in cui si ritenesse sussistente la colpa e il nesso causale, l’appellante assume che andrebbe riformata la sentenza nella parte relativa alla quantificazione del danno in quanto:
– le differenze retributive, su cui applicare la percentuale del 50%, nelle relazione istruttoria dell’amministrazione, sono state sempre individuate nella somma di euro 63.125,06;
– il danno biologico non è dovuto, in quanto la consulenza tecnica d’ufficio avrebbe un contenuto non attendibile e sarebbe stata svolta senza garantire il rispetto delle regole del contraddittorio; inoltre, nella stessa consulenza si afferma che l’inizio della patologia di interesse psichiatrico è da collocare all’inizio dell’anno 2000; in via subordinata, si rileva come la somma da riconoscere sarebbe pari ad euro 5.889,00;
– il danno esistenziale sarebbe stato quantificato in una misura, pari al 20%, in palese contraddizione con l’esiguità del danno biologico.
8.1.– Si è costituita in giudizio la parte appellata, chiedendo il rigetto degli appelli proposti.
In particolare, ella ha dedotto che:
a) il Ministero ha posto in essere un comportamento grave ed inescusabile, in ragione della identità delle due commissioni di concorso;
b) sussiste il nesso di causalità materiale, avendo accertato la commissione – nominata dal commissario ad acta – l’idoneità dell’appellata;
c) i danni sono stati correttamente determinati dal primo giudice.
La parte ha, poi, proposto appello incidentale, rilevando che il Tar avrebbe dovuto riconoscerle:
a) il danno da ritardo per avere dovuto attendere tredici anni per la esecuzione della sentenza che ha annullato il concorso, senza che la questione presentasse profili di complessità;
b) il danno emergente per le spese legali sostenute in tutti i gradi di giudizio (euro 196.215,00, per i giudizi promossi dal 1999; euro 17.942,02, per la difesa in Cassazione; euro 23.099,58, per la difesa innanzi al Consiglio di Stato; euro 89.351,33, per la prestazione professionale resa nel presente giudizio;
c) un danno patrimoniale pari alle differenze retributive non percepite e comunque in una misura superiore al 50%;
d) il danno da perdita di chance, da determinarsi in via equitativa, per non avere potuto partecipare a tutti i momenti decisionali della vita accademica e al concorso per diventare professore di prima fascia;
e) il danno biologico nella maggiore misura determinata correttamente dalla perizia di parte depositata in giudizio;
f) il danno esistenziale in una misura superiore al 20%.
9.– L’Università degli Studi di Roma ha proposto autonomo appello, rilevando la sua estraneità rispetto al presunto danno lamentato dall’appellata. L’intera procedura, infatti, è stata gestita dal Ministero, avendo l’Università provveduto soltanto nella fase finale di chiamata dell’interessata.
Per il resto, si deducono, a sostegno dell’appello, motivi analoghi a quelli contenuti nell’appello proposto dal Ministero.
9.1.– Si è costituita anche in questo giudizio la sig.ra Eboli, sottolineando come il coinvolgimento dell’Università si giustificherebbe, in quanto, con decreti rettorali oggetto di impugnazione, le è stata riconosciuta la decorrenza giuridica e non anche economica.
DIRITTO
1.– La questione posta all’esame di questa Sezione attiene alla sussistenza della responsabilità delle amministrazioni intimate in relazione alla procedura concorsuale descritta nella parte in fatto.
Il Ministero sostiene che, per le modalità di svolgimento della predetta procedura, non potrebbe ritenersi sussistente, in particolare, né un comportamento colposo dell’amministrazione né il nesso di causalità. L’Università “La Sapienza” assume la sua estraneità ai fatti di causa e comunque l’infondatezza nel merito delle pretese avanzate.
2.– Gli appelli, stante la loro connessione oggettiva, devono essere riuniti per essere decisi con un’unica sentenza.
3.– In via preliminare, è necessario soffermarsi sulla natura della responsabilità della pubblica amministrazione e sugli elementi costitutivi della fattispecie al fine di stabilire, poi, come rileva l’elemento soggettivo.
3.1.– La responsabilità della pubblica amministrazione da provvedimento illegittimo risponde ad un modello speciale non riconducibile ai modelli di responsabilità che operano nel settore del diritto civile (Cons. Stato, VI, 14 marzo 2005, n. 1047).
La responsabilità extracontrattuale, che rinviene il fondamento generale della sua disciplina nell’art. 2043 cod. civ., presuppone che l’agente non abbia normalmente alcun rapporto o contatto con la parte danneggiata. La norma citata, infatti, impone, con clausola generale dotata di una sua autonomia precettiva, il rispetto del dovere generale del neminem laedere a tutela di qualunque posizione soggettiva meritevole di protezione giuridica.
La responsabilità contrattuale è conseguenza della violazione di un rapporto giuridico che sorge non solo da un contratto ma, esprimendo l’espressione impiegata una sineddoche, anche dalla legge o da contatto tra le parti che può generare un rapporto contrattuale di fatto. Le posizioni soggettive sono riconducibili alla categoria del diritto soggettivo relativo.
La responsabilità della pubblica amministrazione ha natura speciale non riconducibile ai modelli normativi di responsabilità sopra indicati.
In primo luogo, rispetto alla responsabilità civile, quella in esame presuppone che il comportamento illecito si inserisca nell’ambito di un procedimento amministrativo. L’amministrazione, in ossequio al principio di legalità, deve osservare predefinite regole, procedimentali e sostanziali, che scandiscono le modalità di svolgimento della sua azione. L’esercizio del potere autoritativo «non è assimilabile alla condotta di chi – con un comportamento materiale o di natura negoziale – cagioni un danno ingiusto a cose, a persone, a diritti, posizioni di fatto o altre posizioni tutelate ai fini risarcitori erga omnes dal diritto privato (e la cui tutela è prevista dagli articoli 2043 e ss. del codice civile)» (Cons. Stato, VI, n. 1047 del 2005).
In secondo luogo, rispetto alla responsabilità contrattuale, sono diverse le posizioni soggettive che si confrontano: da un lato, dovere di prestazione (o di protezione) e diritto di credito, dall’altro, potere pubblico e interesse legittimo o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, diritto soggettivo.
In definitiva, la peculiarità dell’attività amministrativa – che deve svolgersi nel rispetto di regole procedimentali e sostanziali a tutela dell’interesse pubblico – rende speciale, per le ragioni indicate, anche il sistema della responsabilità da attività illegittima.
3.2.– Nel caso di lesione arrecata all’interesse legittimo, elementi costitutivi della responsabilità della p.a., sul piano della fattispecie, sono i seguenti:
i) l’elemento oggettivo;
ii) l’elemento soggettivo (la ‘colpevolezza’ o ‘rimproverabilità’);
iii) il nesso di causalità materiale o strutturale;
iv) il danno ingiusto, inteso come lesione alla posizione di interesse legittimo.
Sul piano delle conseguenze, il fatto lesivo, così come sopra individuato, deve essere collegato, con un nesso di causalità giuridica o funzionale, con i pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali lamentati.
3.3.– In questa sede interessa soffermarsi sull’elemento soggettivo della colpevolezza.
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che non è sufficiente che l’amministrazione emani un atto illegittimo perché possa ritenersi anche responsabile dei danni subiti dal privato destinatario dell’atto. Devono, pertanto, essere mantenute separate le regole di validità dell’atto dalle regole di responsabilità.
Quando è proposta una domanda risarcitoria a seguito dell’emanazione di un provvedimento autoritativo risultato illegittimo, il suo accoglimento è subordinato alla verifica (da parte del giudice amministrativo, sulla base della documentazione acquisita) della rimproverabilità dell’amministrazione.
Sul punto la giurisprudenza amministrativa ha contribuito a tipizzare alcune situazioni la cui ricorrenza può indurre a ritenere che l’emanazione dell’atto illegittimo sia stata determinata da un errore scusabile.
In particolare, si ritiene costantemente (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 6 maggio 2013, n. 2452; Cons. Stato, Sez. V, 17 febbraio 2013, n. 798; Cons. Stato, Sez. VI, 9 marzo 2007, n. 1114) che integra gli estremi dell’esimente da responsabilità l’esistenza di:
a) contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma;
b) una formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore;
c) una rilevante complessità del fatto;
d) una illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata.
Dalla esemplificazione casistica risulta come la giurisprudenza amministrativa richieda – per aversi responsabilità – che il vizio sia ‘grave’, dovendosi comunque anche valutare la natura, formale o sostanziale, della violazione commessa e la eventuale esistenza di una pluralità di destinatari dell’atto illegittimo.
3.3.1.– Nel solo settore degli appalti pubblici la Corte di Giustizia ha, invece, sancito il principio della sovrapposizione tra regole di validità e regole di responsabilità (sentenza 30 settembre 2010). Non rileva, pertanto, ai fini della configurabilità della responsabilità della stazione appaltante, l’elemento soggettivo della colpevolezza. Questo orientamento è stato seguito dalla giurisprudenza di questo Consiglio (Cons. Stato, Sez. V, 27 marzo 2013, n. 1833; Id., 8 novembre 2012, n. 5686). La giurisprudenza europea, imponendo il rispetto di tale interpretazione, ha derogato al principio generale che, in ossequio alla regola dell’autonomia processuale degli Stati membri, demanda ad essi di stabilire quali sono gli elementi costitutivi delle singole azioni proponibili nel processo.
La deroga si giustifica nell’ottica del rispetto dei principi a tutela della concorrenza e dunque dei valori sottesi di libera circolazione delle persone e delle merci. Si vuole, infatti, che nel settore degli appalti gli operatori economici non incontrino ostacoli all’accesso al mercato in ragione delle modalità di tutela assicurate nei singoli Stati membri.
La ragione giustificativa della deroga, strettamente connessa al settore dei contratti pubblici, impedisce che l’orientamento della Corte di giustizia sia suscettibile di generalizzazione mediante applicazione anche in altri ambiti del diritto pubblico.
4.– Occorre adesso valutare se, nella fattispecie, in esame il Ministero (e non anche l’Università che è estranea a questa parte della vicenda) abbia tenuto un comportamento colposo o rimproverabile e dunque abbia posto in essere una violazione grave delle norme di disciplina della sua azione.
La disposizione ritenuta violata, con sentenza passata in giudicato, è l’art. 44 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica).
Tale norma, dopo avere previsto che «per ciascun raggruppamento di discipline è nominata, con decreto del Ministro della pubblica istruzione, una commissione giudicatrice composta da cinque membri effettivi e da altri cinque membri per eventuali surroghe in caso occorra sostituire un membro effettivo», stabilisce che «non possono far parte delle commissioni coloro che siano stati membri della commissione del concorso associato immediatamente precedente per lo stesso raggruppamento di discipline».
La ratio della disposizione è quella di evitare una cristallizzazione nella composizione delle commissioni, con ingiustificato favore per una determinata scuola scientifica.
Il Consiglio di Stato, con parere 11 gennaio 1984, n. 32, su richiesta del Ministero, ha individuato le diverse situazione di fatto che possono portare a ritenere variato o immutato il raggruppamento.
In particolare, si è ritenuto che «il concetto di stesso raggruppamento ricomprende, oltre il caso di perfetta identità tra gli insegnamenti inclusi nei due gruppi presi in considerazione, anche l’ipotesi in cui il nuovo gruppo risulti dalla somma di tutti gli insegnamenti inclusi in un gruppo precedente e di altri di nuova istituzione». L’aggiunta di discipline di nuova istituzione, per le quali non esistono professori di ruolo, non incide sull’elettorato.
Nello stesso parere si afferma che si ha la diversità nel caso in cui un nuovo raggruppamento derivi dalla fusione o scissione di precedenti gruppi (in tal senso si è pronunciata anche Cons. Stato, Sez. VI, 3 ottobre 1994, n. 1475).
Nella fattispecie in esame, il prof. Cassano aveva fatto parte sia della commissione relativa al concorso relativo al gruppo «258 Economico estimativo» nel 1984 sia della commissione relativa al raggruppamento, che rileva in questa sede, «G010 Economico estimativo» nel 1990.
In sede di giudizio di primo grado, il Tar, dopo avere disposto una istruttoria con ordinanza n. 3522 del 1998, ha accolto il ricorso, ritenendo la sostanziale identità dei due raggruppamenti, avendo il Ministero:
– modificato la sola denominazione di alcuni insegnamenti (si cita l’esempio della disciplina «Assistenza, consulenza e divulgazione agricola», che prima era denominata «Assistenza e divulgazione nell’agricoltura»);
– raggruppato in un’unica disciplina un insegnamento frazionato in quattro (si veda l’esempio dell’insegnamento «Ordinamento e gestione dell’azienda agraria»);
– introdotto alcuni limitati insegnamenti quale «Zooinformatica gestionale».
In sede di appello, con decisione interlocutoria 31 marzo 2005, n. 1362, il Consiglio di Stato ha chiesto alla Direzione del Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica una documentata relazione relativa alla composizione analitica dei raggruppamenti oggetto delle due tornate concorsuali (G 010 e 258), in particolare affermando che: «la relazione dovrà chiarire la rispettiva collocazione delle tre materie indicate nel gravame proposto dal Ministero («Pianificazione ed organizzazione territoriale», «Tecnica amministrativa e contabilità dell’azienda agraria» e «Tecnica commerciale dei prodotti agricoli»), nonché il peso relativo dei corrispondenti elettorati in relazione a quello assoluto proprio di ciascuno dei due raggruppamenti; dovrà indicare, inoltre, l’odierna posizione dei docenti nominativamente indicati nel ricorso del Ministero».
Il Consiglio di Stato, dopo avere rilevato che la controversia non involgeva problemi interpretativi essendo una «questione di fatto», ha rigettato l’appello, non ritenendo convincente la «seconda risposta istruttoria», in quanto: 1) non era stato chiarito, come richiesto, il peso relativo dei corrispondenti elettorati in relazione a quello assoluto proprio di ciascuno dei due raggruppamenti; 2) non era stata precisata la variazione che i due raggruppamenti avevano subito; 3) alcune materie di insegnamento (quelle specificate dal Ministero per dimostrare la diversità dei due raggruppamenti) avevano mutato solo denominazione.
La sentenza d’appello ha concluso ritenendo che «nessuna variazione significativa è intervenuta nella composizione dei due raggruppamenti».
4.1.– Da quanto esposto risulta come non possa ritenersi che la violazione – effettuata in sede di giustizia amministrativa sulla base di una valutazione complessa e opinabile – sia stata grave, sia guardando al contenuto precettivo della norma, sia guardando alla situazione di fatto.
In relazione al primo aspetto, le difficoltà interpretative poste dalla disposizione in esame hanno indotto l’amministrazione a chiedere un parere al Consiglio di Stato, il quale, come sottolineato, ha individuato, avendo riguardo al quesito posto, singole ipotesi riconducibili nell’ambito applicativo della disposizione.
Inoltre, la composizione della commissione di concorso, come risulta dal decreto ministeriale di indizione del concorso, è stata effettuata in conformità anche al parere reso dal Consiglio universitario nazionale.
In relazione al secondo aspetto, la complessità fattuale derivava dalla circostanza che non vi fosse identità tra i due raggruppamenti, ma una obiettiva diversità tale da richiedere un approfondito accertamento istruttorio, nel primo e nel secondo grado di giudizio, per stabilire se tali diversità potessero o meno rientrare nella griglia di quelle che il Consiglio di Stato, con il citato parere, ha ritenuto rilevanti, anche se poi nel corso del giudizio – in un’ottica di piena tutela dell’interessata risultata inidonea nel corso del procedimento e per consentirle di essere rivalutata – i giudici hanno ritenuto che il prof. Cassano non avrebbe dovuto far parte della commissione.
Infine, non è senza rilievo, sul piano della rimproverabilità del comportamento, che la violazione commessa avesse natura formale e incidesse su una pluralità di destinatari.
L’illegittimità, infatti, come più volte rilevato, non si è diretta contra personam, né è stata la conseguenza di un esercizio anomalo, deviato o persecutorio del potere pubblico (ciò che avrebbe senz’altro comportato anche in questa sede l’accertamento delle relative responsabilità): più semplicemente, e come sovente avviene nel diritto pubblico, l’amministrazione ha interpretato la normativa applicabile (concernente un atto infraprocedimentale) in modo diverso da quanto ha poi ritenuto corretto il giudice amministrativo.
Per di più la composizione della commissione di concorso è stata considerata illegittima in sede giurisdizionale, malgrado proprio il commissario risultato incompatibile avesse espresso un giudizio positivo nei confronti dell’appellata, il che induce a ribadire che sotto nessun profilo sono rimproverabili le amministrazioni appellanti.
Gli appelli principali vanno pertanto accolti.
5.– Chiarito ciò si può passare ad esaminare l’appello incidentale.
5.1.– In primo luogo, la parte appellata deduce l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha riconosciuto la sussistenza di un danno connesso alla eccessiva durata del procedimento amministrativo nella fase di esecuzione della sentenza.
Il motivo non è fondato.
La sentenza di primo grado che ha definito il giudizio è del 28 ottobre 1999. La sentenza di secondo grado, di conferma della prima, è del 31 gennaio 2006. La fase di ottemperanza è di fatto iniziata con l’adozione del decreto ministeriale 24 aprile 2008, con cui è stata reiterata la procedura concorsuale nei confronti della sola sig.ra Eboli.
Nella fase successiva all’adozione della sentenza di primo grado e, in particolare nel periodo compreso tra il 1999 e il 2006, non può ritenersi che vi sia stata una omessa ottemperanza pregiudizievole per la parte.
La mancata esecuzione della sentenza da parte dell’amministrazione rinviene, infatti, una sufficiente giustificazione, nella specie, nel fatto che l’esecuzione avrebbe imposto una reiterazione dell’intera procedura concorsuale in ragione della illegittima composizione della commissione, con conseguente caducazione delle nomine anche di tutti i trentacinque vincitori.
L’attuazione della sentenza del Tar avrebbe, pertanto, determinato una incisiva modificazione della realtà materiale.
Non risulta, inoltre, che la parte abbia instaurato innanzi al Tar un giudizio per ottenere l’esecuzione della sentenza di primo grado. In ogni caso, anche se lo avesse fatto, il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto tenere conto degli effetti che sarebbero potuti derivare dall’attuazione di una statuizione giudiziale non dotata ancora del crisma della definitività (in questo senso si veda, ora, art. 114, comma 4, lettera c, cod. proc. amm.) .
Nella fase successiva all’adozione della sentenza di questo Consiglio n. 315 del 2006, non può ritenersi che vi sia stato un ritardo tale da giustificare una pretesa risarcitoria.
Infatti, l’esigenza di attendere il passaggio in giudicato di tale sentenza, unitamente alla individuazione di quali potessero essere le migliori modalità esecutive (considerato che si erano stabilizzate le posizioni dei vincitori del concorso), induce a ritenere che l’esecuzione attivata con il decreto 24 aprile 2008 rende priva di fondamento la pretesa risarcitoria avanzata.
L’effettiva sussistenza di tale complessità è palesemente confermata anche dalla durata e dalle complicazioni che si sono avute nella stessa fase di attuazione coattiva del giudicato iniziata con la proposizione, da parte dell’appellata, del ricorso n. 2969 del 2008.
Non è un caso che è stato possibile definire l’intera vicenda soltanto a seguito di una sorta di “accordo transattivo” tra la parte pubblica e privata (insindacabile in questa sede).
Tale accordo, come già sottolineato, è consistito nel permettere una attuazione del giudicato limitato alla posizione dell’appellata, mediante la nomina di una commissione formata da tre componenti, da parte del commissario ad acta, che valutasse esclusivamente la posizione della sig.ra Eboli.
5.2.– In secondo luogo, la parte appellata assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha riconosciuto il suo diritto ad una retrodatazione non solo giuridica ma anche economica con diritto ad ottenere la corresponsione delle differenze retributive.
Si assume, inoltre, che alla parte andrebbe riconosciuto il diritto al trattamento pensionistico parametrato alla qualifica di professore associato.
Il motivo è parzialmente fondato.
Preliminarmente, deve rilevarsi come la sig.ra Eboli, essendo stata collocata in pensione per limiti di età in data 1° novembre 2011, non abbia mai prestato l’attività professionale corrispondente alla riconosciuta qualifica di professore associato.
Chiarito ciò, in relazione alla questione relativa alle differenze retributive, la giurisprudenza di questo Consiglio è costante nel ritenere che al dipendente pubblico, nel caso di accertata illegittimità di un diniego di costituzione di un rapporto di lavoro, non spetta, non avendo prestato la relativa attività lavorativa, la ricostruzione economica della carriera (tra gli altri, Cons. Stato, Sez. V, 23 marzo 2009, n. 1752).
In relazione al trattamento pensionistico, la parte ha, invece, diritto ad una pensione che tenga conto che ella ha acquisito la qualifica di professore associato a decorrere dal 1° novembre 1992.
Ne consegue che l’amministrazione universitaria deve segnalare all’ente previdenziale che vi è stato un provvedimento di nomina nella qualifica con tale decorrenza (senza che rilevi il mancato giudizio di idoneità dopo i tre anni), nel senso che deve determinare la retribuzione ipoteticamente rilevante per la corresponsione del trattamento pensionistico, computando (a tale solo fine di comunicazione) le classi e gli scatti biennali maturati sino al momento del collocamento in pensione, quale professore associato senza soluzione di continuità.
5.3.– In terzo luogo, l’appellante incidentale assume la erroneità della sentenza per non avere il primo giudice riconosciuto:
a) il danno da perdita di chance, da determinarsi in via equitativa, per non avere potuto partecipare a tutti i momenti decisionali della vita accademica e al concorso per diventare professore di prima fascia;
b) il danno biologico nella maggiore misura determinata correttamente dalla perizia di parte depositata in giudizio;
c) il danno esistenziale in una misura superiore al 20%.
Si chiede, inoltre, il riconosciuto del danno emergente per le spese legali sostenute in tutti i gradi di giudizio (euro 196.215,00, per i giudizi promossi a fare data dal 1999; euro 17.942,02, per la difesa in Cassazione; euro 23.099,58, per la difesa innanzi al Consiglio di Stato; euro 89.351,33, per la prestazione professionale resa nel presente giudizio).
I motivi non sono fondati.
Il mancato perfezionamento, sul piano della fattispecie, del fatto lesivo per mancanza della colevolezza comporta la impossibilità di configurare conseguenze pregiudizievoli patrimoniali e non patrimoniali addebitabili all’amministrazione.
Per quanto attiene, poi, alle spese legali, le stesse sono state determinate nei singoli gradi di giudizio e non possono essere poste in discussione o modificate in questa sede.
L’assenza di un comportamento rimproverabile anche in ambito processuale da parte dell’amministrazione rende priva di fondamento la domanda risarcitoria proposta.
6.– In conclusione, la Sezione rileva che l’appellata ricorrente in primo grado ha ottenuto una tutela effettiva a seguito della vittoriosa proposizione dell’originario ricorso avverso gli atti che avevano condotto al giudizio della sua inidoneità.
Infatti, ella ha ottenuto:
a) con statuizione giudiziale del giudice amministrativo (coadiuvato dal commissario ad acta), il riconoscimento della qualifica di professore associato all’esito dell’attuazione di un “accordo transattivo”, che ha consentito che ella venisse giudicata da una commissione di tre componenti nominati ad hoc;
b) con decreto del rettore dell’Università “La Sapienza”, la nomina a professore associato con decorrenza retroattiva a partire dal 1° novembre 1992;
c) con la presente decisione, il riconoscimento del diritto alla determinazione del trattamento economico giuridicamente spettante l’ultimo giorno di servizio, parametrato allo status di professore associato avente anzianità nella qualifica dalla medesima data.
La parte non ha, invece, titolo:
a) al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali connessi alla illegittima composizione della commissione, in quanto non sussiste un comportamento rimproverabile del Ministero;
b) al risarcimento per eccessiva durata della fase di esecuzione, in quanto tale fase, da lato, ha riguardato una sentenza non passata in giudicato, dall’altro, per la sentenza passata in giudicato, non sussisono né l’antigiuridicità, né il danno lamentato.
7.– La natura della controversia e le statuizioni conclusive cui è pervenuta questa Sezione giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese dei due gradi di giudizio (il che comporta la caducazione della incompatibile statuizione del giudice di primo grado).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, previa riunione degli appelli n. 5039 e n. 5663 del 2012:
a) accoglie gli appelli principali proposti dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e dall’Università “La Sapienza” di Roma e per l’effetto respinge tutte le domande di liquidazione di somme, formulate con il ricorso di primo grado;
b) accoglie, in parte, l’appello incidentale proposto dalla signora Eboli Maria Giuseppina, come indicato in motivazione;
c) dichiara integralmente compensate tra le parti dei due gradi di giudizio le spese processuali.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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