Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 26 maggio 2015, n. 2649

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE SESTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3267 del 2014, proposto da:

Ba.Fe. e Po.Gi., rappresentati e difesi dagli avvocati Se.Le. e Ma.Di., con domicilio eletto presso il primo, in Roma, via (…);

contro

Roma Capitale in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Pi.Lu.Pa., domiciliata in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE II BIS n. 549/2014, resa tra le parti, concernente sospensione della lottizzazione abusiva – acquisizione al patrimonio disponibile del Comune.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 aprile 2015 il consigliere Roberta Vigotti e uditi per le parti gli avvocati Le. ed altri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

 

Il signor Fe.Ba. chiede la riforma della sentenza, in epigrafe indicata, con la quale il Tribunale amministrativo del Lazio ha respinto il ricorso proposto avverso la determinazione direttoriale n. 1721 del 14 novembre 1995 con la quale il Comune di Roma ha contestato al ricorrente e al signor Gi.Po. la lottizzazione abusiva a scopo edificatorio di un terreno in via Braccianese, mediante la trasformazione urbanistico — edilizia del terreno attraverso “il frazionamento e la vendita o atti equivalenti”, e ha ingiunto “la sospensione della lottizzazione; l’immediata interruzione delle eventuali opere in corso (…), il divieto di disporre con atto tra vivi dei suoli e delle opere sopra descritte e delle eventuali opere in corso”, con acquisizione gratuita del terreno, entro 90 giorni dalla notifica, al patrimonio disponibile del Comune.

In questo giudizio di secondo grado si è costituito il signor Gi.Po., che ha agito davanti al Tar e nei cui confronti pure è stata pronunciata la sentenza impugnata: giova, a questo proposito, fin da subito rilevare l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità dell’appello proposta dall’Amministrazione capitolina in ragione del fatto che solo il signor Ba. ha proposto appello, infondatezza motivata dalla considerazione che l’appellante è titolare di una posizione legittimante personale e autonoma, che lo abilita, in ragione della lesione del proprio interesse, a proseguire anche da solo il giudizio.

I fatti che hanno determinato la fattispecie in esame derivano dall’acquisto, da parte del Po., in data 1° agosto 1994, di un appezzamento di terreno agricolo di mq 9975, distinto al catasto al foglio 91 con la particella 246, e dalla successiva alienazione, in data 7 ottobre 1994, in favore del Ba. di una parte del terreno, avente l’estensione di 4832 mq, con contestuale attivazione di una servitù di passaggio pedonale e carrabile di mq 311 favore dell’acquirente e conservazione della titolarità di soli mq 5143, di cui 311 gravati, appunto, dalla servitù di passaggio.

Rilevando, tra l’altro, che l’appezzamento trasferito al Ba. è di dimensione molto inferiore a quella prescritta nella zona di P.R.G. “H3″, dove il lotto minimo è di mq 50.000, la Polizia municipale ha inoltrato alla Procura della Repubblica, in data 28 settembre 1995, la comunicazione della notizia di reato per lottizzazione abusiva , ravvisando la violazione dell’art. 18 della legge 28 febbraio 1985, n. 47. In data 14 novembre 1995, infine, la direzione tecnica competente ha emanato la determinazione impugnata in primo grado, indirizzata al Po., quale lottizzatore, e al Ba., quale lottista.

Il Tribunale amministrativo, ricordato che l’art. 18, comma I, della legge appena citata richiama due tipologie di lottizzazione abusiva, una caratterizzata dall’inizio di “opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione ” e l’altra dalla circostanza che “tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio”, ha concluso nel senso che quella contestata ai ricorrenti concretizza una lottizzazione di quest’ultimo tipo, cosiddetta “cartolare” o “negoziale”.

L’appello, che contesta la definizione ritenuta dal primo giudice, è fondato.

E’ ben vero che, come rileva la costante giurisprudenza, per sostenere che il frazionamento di un suolo risulti strumentale a un intento edificatorio non è necessario verificare la presenza di opere edili, o quanto meno di un loro principio di esecuzione, su ciascuno dei lotti ricavati dalla suddivisione (per tutte, Cons. Stato, sez. VI, 29 gennaio 2015, n. 410); ma è nondimeno necessario, perché si possa ritenere sussistere la lottizzazione negoziale, sulla base non della realizzazione di alcune opere, quanto del frazionamento contrattuale di un più vasto terreno con la creazione di lotti sufficienti per la costruzione di un singolo edificio, che ciò sia desumibile in modo non equivoco dalle dimensioni e dal numero dei lotti, dalla natura del terreno, dall’eventuale revisione di opere di urbanizzazione e dalla loro destinazione a scopo edificatorio (Cons. Stato, sez. III, 11 settembre 2012, n. 4800). Non è, in altre parole, sufficiente il riscontro della vendita di un fondo ricavato da un più ampio appezzamento di terreno, sia pure con la costituzione di una servitù di passaggio a favore del fondo altrimenti intercluso (nel che si sostanzia la fattispecie in esame) per far emergere i profili dell’intento lottizzatorio, occorrendo, a tal fine, che la suddivisione in lotti per dimensioni, per natura del terreno e per numero evidenzi la loro destinazione a scopo edificatorio. Cons. Stato, sez. IV, 19 giugno 2014, n. 3115).

Tale conclusione, del resto, è del tutto conseguente al disposto normativo, dato che lo stesso art. 18 della legge n. 47 del 1985 richiede, affinché sia riscontrabile una lottizzazione abusiva del tipo considerato, che la suddivisione in lotti denunci in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio. Non sono quindi sufficienti il frazionamento e la vendita, ma occorre anche l’esistenza, e l’accertamento, di elementi tali da denunciare in modo obiettivo “la destinazione a scopo edificatorio”: del che non è traccia nella fattispecie in esame.

La compravendita stipulata tra gli originari ricorrenti, avente ad oggetto una sola porzione del più ampio terreno acquisito per successione ereditaria dal signor Po., in assenza di qualsiasi indice obiettivo atto a evidenziare il suddetto scopo, non può, perciò, contrariamente a quanto ha ritenuto il Tribunale amministrativo, integrare di per sé la definizione della lottizzazione abusiva, neppure del tipo negoziale.

Quanto alla previsione minima del lotto inserito dal piano regolatore nella sottozona H3 riguardante il territorio agricolo, pure valorizzata dal primo giudice, nessuna particolare portata può esserle riconosciuta ai fini che ne occupano, in quanto trattasi di norma attinente all’attività edificatoria, estranea all’ambito della decisione.

In conclusione, la sentenza impugnata merita la riforma chiesta con l’appello.

Le spese seguono, come di regola, la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe indicato, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla gli atti impugnati.

Condanna il Comune di Roma a rifondere agli appellanti le spese del giudizio, nella misura di 3.000 (tremila) euro per ognuno di essi, oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 aprile 2015 con l’intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi – Presidente

Sergio De Felice – Consigliere

Claudio Contessa – Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg – Consigliere

Roberta Vigotti – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 26 maggio 2015.

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