Consiglio di Stato
sezione VI
sentenza 26 gennaio 2015, n. 318
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE SESTA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7495 del 2013, proposto dal Parco Naturale Regionale Bracciano – Martignano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, Via (…);
contro
Ro.Si., Ma.Gr.Po., rappresentati e difesi dagli avvocati Gi.Ma., Co.De., con domicilio eletto presso Gi.Ma. in Roma, Vicolo (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE I QUATER n. 3996/2013, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ro.Si. e di.Gr.Po.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 dicembre 2014 il consigliere Maurizio Meschino e udito per le parti l’avvocato dello Stato Ga.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. I signori Si.Ro. e Po.Ma.Gr. (in seguito “ricorrenti”), con il ricorso n. 5060 del 2012 proposto al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, hanno chiesto l’annullamento dell’ordinanza di riduzione in pristino n. 2/12, prot. n. 980 del 16 aprile 2012, emessa dal Direttore del Parco naturale regionale Bracciano – Martignano (in seguito “Ente Parco”).
Il provvedimento è basato sulla “constatazione di una violazione urbanistico- ambientale nel Comune di Trevignano Romano” riguardante “la realizzazione di un manufatto in blocchetti e malta cementizia con tetto in legno e tegole della superficie di circa 86 mq (7,10 mt x 12,10 mt x 3,45 mt x 5,90 mt circa per un’altezza al colmo di 3,70 mt circa)”.
2. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima quater, con la sentenza n. 3996 del 2013, ha accolto il ricorso e, per l’effetto, ha annullato il provvedimento impugnato. Ha condannato l’Amministrazione resistente al pagamento delle spese di lite che ha liquidato in Euro 2.000,00, oltre gli accessori di legge.
3. Con l’appello in epigrafe è chiesto l’annullamento della sentenza di primo grado con domanda cautelare di sospensione dell’esecutività.
La domanda cautelare è stata respinta con l’ordinanza n. 4417 del 2013.
4. All’udienza del 16 dicembre 2014 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Nella sentenza di primo grado:
– anzitutto si richiama che, diversamente da quanto sostenuto dall’Ente Parco, dagli atti è emerso che i ricorrenti avevano presentato domanda di condono edilizio al Comune di Trevignano Romano (in data 9 luglio 1986) e si afferma l’irrilevanza per il giudizio dell’emanazione da parte del Comune del provvedimento di demolizione, in data 29 marzo 2012, trattandosi di aspetti e ambiti di competenza differenti;
– si accoglie il ricorso ritenendo la non incidenza del mancato rilascio ai ricorrenti del nulla osta dell’Ente Parco, considerato che l’Ente è stato istituito con l’art. 4 della legge regionale n. 36 del 1999 e perciò successivamente alla realizzazione del manufatto in questione avvenuta prima dell’1 settembre 1967, richiamando il primo giudice che l’art. 4 citato è sulle misure di salvaguardia che si applicano fino alla data di pubblicazione del piano del Parco.
2. Nell’appello si eccepisce anzitutto la carenza di interesse al ricorso, erroneamente non rilevata nella sentenza, poiché, pur se fosse annullata l’impugnata ordinanza di demolizione dell’Ente Parco, resterebbe comunque efficace quella emanata dal Comune anch’essa motivata con la violazione del vincolo di parco incorporato nel P.T.P.R..
Si deduce quindi che:
– a) l’avvenuta presentazione da parte dei ricorrenti della domanda di condono non rileva ai fini della posizione dell’Ente Parco, essendo questa fondata sull’indifferenza del momento della sottoposizione a vincolo rispetto alla realizzazione del manufatto ed essendosi comunque avuta la conoscenza dell’illecito dopo l’istituzione del vincolo, con la trasmissione dell’ordinanza di demolizione da parte del Comune, pur non avendo questo trasmesso all’Ente Parco la domanda di condono ai sensi dell’art. 13 della legge n. 394 del 1991 e dell’art. 28 della legge regionale n. 29 del 1997. Questa mancata trasmissione comunque non rileva, si soggiunge, poiché altrimenti l’esercizio della funzione di tutela ambientale del Parco dipenderebbe dall’operato del Comune, dovendosi prescindere, invece, ai sensi dell’art. 13 della legge n. 394 del 1991, e dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985, dal momento di apposizione del vincolo ambientale anche nel caso in cui, aperta la fase del condono, la relativa istanza non sia stata trasmessa all’Ente Parco per il nulla osta;
-b) l’affermazione nella sentenza sulla realizzazione del manufatto in epoca anteriore all’1 settembre 1967 non è sufficientemente motivata, non essendo precisati i documenti da cui risulterebbe, non bastando l’indicazione al riguardo nella domanda di condono poiché dichiarazione della parte a favore proprio, e non essendo stato comunque considerato che l’immobile è stato ricostruito ex novo, con l’abbattimento e il completo rifacimento del rudere originario, e perciò dopo l’apposizione del vincolo, come provato dalle fotografie depositate in giudizio dall’Ente Parco non valutate dal primo giudice in violazione dell’art. 64 c.p.a.;
-c) la censura proposta dai ricorrenti per cui l’Ente Parco non avrebbe potuto adottare provvedimenti ablatori è infondata poiché, come previsto dagli articoli 32 e 33 della legge n. 47 del 1985, al vincolo urbanistico – edilizio si sovrappone quello ambientale, tutelato dall’Ente Parco in via autonoma e prevalente nell’esercizio della preventiva valutazione di conformità alla normativa di salvaguardia ai sensi dell’art. 8 della legge regionale n. 29 del 1997 (vigente nell’Ente Parco ai sensi dell’art. 4 della legge regionale n. 36 del 1999 istitutiva dell’area protetta), impedendo la mancanza del nulla osta ogni accertamento di conformità successivo alla realizzazione di un’opera e non valendo in contrario anche l’eventuale accoglimento della domanda di condono;
– d) così come sono infondate la censura di violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, poiché, ai sensi dell’art. 28, comma 3, della legge n. 29 del 1997, si tratta nella specie di atto dovuto il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato, ricorrendo quindi la fattispecie dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, e quella di carenza di legittimazione attiva dell’Ente Parco, poiché il potere esercitato dall’Ente non è basato sull’art. 12, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, che riguarda le misure urbanistico –edilizie ma sull’art. 4 della legge regionale n. 36 del 1999, rientrando le relative controversie nella giurisdizione del giudice amministrativo.
3. Nella memoria di costituzione dei ricorrenti, contestato quanto dedotto in appello, sono riproposti i seguenti motivi di primo grado avverso il provvedimento impugnato:
– a) eccesso di potere per violazione o falsa applicazione di legge per violazione degli articoli 38, comma 1, e 44 della legge n. 47 del 1985, disponendo queste norme che in pendenza della domanda di condono edilizio non possono esser adottati provvedimenti repressivi degli abusi, e dovendosi inoltre rilevare che nel caso di costruzione anteriore al 1° settembre 1967, come nella specie, non vi è preclusione al rilascio del titolo in sanatoria anche se l’immobile ricade in zona vincolata, essendo necessario soltanto acquisire il nulla osta dell’autorità preposta alla tutela del vincolo come attestato nell’atto di compravendita;
– b) violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990 per la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento sanzionatorio;
– c) carenza di legittimazione attiva, poiché l’art. 12, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede che le norme di salvaguardia hanno efficacia al massimo quinquennale, per cui, considerato che l’art. 4 della legge regionale n. 36 del 1999, istitutiva del Parco naturale regionale di cui qui si tratta, prevede l’applicazione delle misure di salvaguardia di cui all’art. 8 della legge regionale n. 29 del 1997 fino alla data di pubblicazione del piano di assetto del parco, data la mancata approvazione di questo, le misure dovevano considerarsi scadute alla data della notifica del provvedimento impugnato.
4. Si prescinde dall’eccezione sollevata dall’appellante sulla sopravvenuta carenza di interesse al ricorso da parte dei ricorrenti, attenendo il provvedimento per cui è causa all’esercizio di una competenza diversa da quella alla base dell’ingiunzione comunale di demolizione, essendo stata emanata questa ai sensi degli articoli 27 e 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, relativi all’attività di vigilanza comunale sull’attività urbanistico-edilizia per interventi eseguiti in assenza del titolo edilizio o in totale difformità, e, il provvedimento dell’Ente Parco, sulla base della legislazione nazionale e regionale di tutela delle aree naturali e relativi poteri dell’ente di gestione.
5. L’appello è fondato per le ragioni che seguono.
5.1. Il quadro della normativa rilevante per la controversia è dato, quanto alla legislazione statale, dall’art. 32 della legge n. 47 del 1985, per il quale il rilascio del titolo edilizio in sanatoria per opere su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo, e dall’art. 13 della legge quadro sulle aree protette (legge n. 394 del 1991), per cui “Il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all’interno del parco è sottoposto al nulla osta dell’Ente parco”, e, quanto alla legislazione regionale, dall’art. 4 della legge n. 36 del 1999 (Istituzione del Parco naturale regionale del complesso lacuale Bracciano-Martignano), per il quale “Fino alla data di pubblicazione del piano del parco si applicano le misure di salvaguardia di cui all’art. 8 della L.R. 29/97 e successive modificazioni”, e dall’art. 28 dell’ora citata legge regionale n. 29 del 1997 che prevede il nulla osta preventivo dell’ente di gestione per il rilascio di concessioni o autorizzazioni per interventi, impianti od opere nell’area naturale protetta (comma 1) e, se nell’area siano esercitate attività difformi dal piano, dal regolamento o dal nulla osta, la sospensione delle attività e la riduzione in pristino con provvedimento dell’ente di gestione (comma 3).
5.2. In tale contesto la questione prioritaria per la decisione della controversia si articola nei due seguenti quesiti:
– se l’Ente parco può intervenire in via sanzionatoria dell’abuso, a salvaguardia del vincolo alla cui tutela è preposto, anche al di fuori del procedimento attivato con la domanda di condono edilizio, quale previsto dell’art. 32 della legge n. 45 del 1987 ai fini del nulla osta di competenza dell’Ente stesso; se, cioè, anche nel caso in cui non sia stata trasmessa all’Ente la domanda di condono per il manufatto, avendo l’Ente diversamente conosciuto dell’abuso come, nella specie, con la comunicazione del provvedimento comunale di ingiunzione alla demolizione;
– se, in caso di costruzione abusiva anteriore all’apposizione del vincolo, il nulla osta è comunque richiesto con la legittimazione dell’Ente parco ad esercitare i poteri che gli sono al riguardo attribuiti.
5.3. Il Collegio ritiene che la risposta ad entrambi i quesiti debba essere positiva.
5.3.1. Ai sensi infatti della lettera e della ratio della normativa in materia, l’Ente parco è titolato all’esercizio dei poteri che si esprimono nel rilascio o meno del nulla osta pur se non investito dal procedimento per il condono edilizio.
Depongono in tal senso l’art. 13, comma 1, della legge statale n. 394 del 1991, che richiede il preventivo nulla osta dell’Ente Parco in via generale, per ogni ipotesi di concessioni o autorizzazioni, e l’art. 28, commi 1 e 3, della legge regionale n. 29 del 1997 recante la medesima previsione.
La ratio della normativa è, evidentemente, quella di radicare un generale potere di intervento dell’Ente parco a presidio del vincolo alla cui tutela è preposto, in ragione dei valori specifici in esso compendiati, da salvaguardare altresì, ma non soltanto, nell’ambito del procedimento per il condono edilizio attivato in relazione al diverso parametro della normativa in materia edilizia e urbanistica.
Sarebbe infatti elusivo dell’obbligo dell’Ente parco di esercitare la propria specifica funzione di tutela se, venuto a conoscenza della commissione di un abuso nell’area protetta, non intervenisse perché non formalmente interessato dal procedimento per il condono, comportando ciò un’interpretazione formalistica della normativa sopra citata, poiché l’Ente parco dovrebbe in questo caso non tutelare il vincolo cui è preposto per il solo fatto di non essere stato attivato nell’ambito del detto procedimento, pur a fronte della comunicazione su un intervenuto abuso.
5.3.2. Rispetto al secondo quesito la giurisprudenza è concorde nell’affermare la sottoposizione del manufatto abusivo al vincolo sopravvenuto, non risultando ciò inciso dalla normativa introdotta dall’art. 32, comma 43-bis del decreto-legge n. 269 del 2003 (convertito in legge n. 326 del 2003); con riguardo infatti all’intervento dell’Ente parco nel procedimento per il condono edilizio, ma essendo riferibile ciò, per quanto sopra detto, anche al caso all’esame, è stato chiarito che “-nel caso di sopravvenienza di un vincolo di protezione, l’autorità competente ad esaminare l’istanza di condono, riconducibile ai primi due condoni, deve acquisire il parere della autorità preposta alla tutela del ‘vincolo sopravvenuto’, la quale deve pronunciarsi tenendo conto del quadro normativo vigente al momento in cui esercita i propri poteri consultivi (Adunanza Plenaria, 22 luglio 1999, n. 20);
– il richiamato art. 32, comma 43 bis, si è limitato a disporre che le istanze di condono, presentate in base alle prime due leggi del 1985 e del 1994, continuano a dover essere esaminate sulla base della normativa sostanziale anteriore (più favorevole) a quella (più restrittiva) contenuta nella legge n. 326 del 2003;
– sarebbe, invece, stata palesemente incostituzionale (per contrasto con gli artt. 3, 9 e 117, secondo comma, Cost.) una disposizione statale che avesse inteso porre nel nulla i poteri consultivi delle autorità preposte alla tutela del vincolo, il cui esercizio – come nel caso di specie – fosse stato a lungo impedito dall’inerzia degli enti locali;
– il medesimo comma 43-bis non ha affatto inciso sui poteri delle autorità preposte alla tutela dei vincoli, imposti con legge o con atto amministrativo in un’area sulla quale è stato in precedenza commesso un abuso edilizio, né ha inciso sul loro dovere di valutare l’attuale compatibilità dei manufatti realizzati abusivamente con lo speciale regime di tutela del bene compendiato nel vincolo, con cui la disposizione di legge o l’atto amministrativo hanno imposto la immodificabilità dei luoghi e, dunque, la tendenziale insanabilità (relativa) degli abusi ancora esistenti” (Cons. di Stato, Sez. VI, n. 2308 del 2014 e giurisprudenza ivi citata).
Nel quadro così definito con concorde e consolidata giurisprudenza non rilevano in contrario: la difforme interpretazione di cui alla nota del Direttore dell’Ente parco, n. 2499 del 2012, riportata nella memoria dei ricorrenti; l’asserita costruzione del manufatto prima del 1° settembre 1967, poiché è comunque necessario il nulla osta dell’ente preposto alla tutela del vincolo, come indicato nello stesso atto di appello, una volta intervenuto tale vincolo, avente valenza specifica e autonoma rispetto al rilascio del titolo edilizio per la diversità dei valori in ciascun ambito tutelati, ed essendo stato istituito l’Ente parco preposto alla sua tutela; la citazione nell’atto di compravendita (all. n. 2 del fascicolo dei ricorrenti in primo grado) del parere favorevole del Comune ai sensi dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985, non annullato dalla Soprintendenza competente, trattandosi di un procedimento svolto tra il 1995 e il 1996, prima perciò dell’istituzione del Parco naturale; la natura del vincolo, se di inedificabilità assoluta o relativa, essendo in questione nella specie la mancanza del nulla osta dell’Ente preposto alla sua tutela.
6. La rilevata fondatezza dell’appello comporta l’esame dei motivi di primo grado qui riproposti relativi (esaminato e respinto, nel precedente punto 5.3.2., il motivo concernente l’intervenuta costruzione prima del 1° settembre 1967) all’impossibilità di provvedimenti repressivi degli abusi in pendenza della domanda di condono, alla mancata comunicazione di avvio del procedimento e all’asserita mancanza della legittimazione a provvedere da parte dell’Ente parco.
I motivi non possono essere accolti.
Il primo, poiché la presentazione della domanda di condono non può sospendere il procedimento sanzionatorio basato sulla mancanza del nulla osta che l’art. 32 della legge n. 47 del 1985 richiede, invece, come necessario proprio ai fini della definizione dell’iter del condono, con l’effetto, altrimenti contrario alla normativa, della non sanzionabilità di un abuso per la cui sanatoria manca il prescritto nulla osta paesaggistico; il secondo, poiché, ferma l’obbligatorietà dell’intervento dell’Ente parco, nel provvedimento impugnato, pur senza puntuale indicazione di formale comunicazione di avvio, è comunque comunicato ai destinatari, espressamente ai sensi della legge n. 241 del 1990, il nome del responsabile del procedimento e, insieme, che “gli intestatari della presente ordinanza possono intervenire nel procedimento con memorie scritte, inviando documenti, informazioni, autorizzazioni e quant’altro riterranno utile, che il responsabile valuterà e, ove siano, attinenti all’oggetto, ne farà menzione nel provvedimento di chiusura del procedimento”, con ciò assicurando il fine sostanziale della comunicazione di avvio del procedimento, che consiste nella possibilità dei privati di rappresentare i documenti e le valutazioni ritenute utili al fine della definizione del procedimento stesso, nella specie entro i 90 giorni stabiliti per la riduzione in pristino nello stesso provvedimento; il terzo, infine, poiché nella specie non rileva la previsione dell’art. 12, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, sulla durata dell’efficacia delle misure di salvaguardia, in quanto relativa alle misure proprie degli strumenti urbanistici adottati, mentre, nel caso in esame, ci si riferisce alle misure di salvaguardia in materia ambientale di cui alla speciale legislazione regionale applicata.
7. Per le ragioni che precedono l’appello è fondato e deve perciò essere accolto, salvo ogni ulteriore provvedimento dell’Amministrazione.
Le spese dei due gradi del giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) accoglie l’appello in epigrafe, n. 7495 del 2013, e per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, respinge il ricorso di primo grado.
Condanna, in solido, i signori Si.Ro. e Po.Ma.Gr., appellati, al pagamento delle spese dei due gradi del giudizio in favore dell’Ente parco appellante, che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre gli accessori di legge se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 16 dicembre 2014, con l’intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini – Presidente
Maurizio Meschino – Consigliere, Estensore
Giulio Castriota Scanderbeg – Consigliere
Bernhard Lageder – Consigliere
Andrea Pannone – Consigliere
Depositata in Segreteria il 26 gennaio 2015.
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