Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 25 agosto 2017, n. 4066

Se un concorso è riservato solo ai dipendenti interni, senza che sia prevista la possibilità, in qualunque percentuale, di partecipazione a candidati esterni, il concorso non è pubblico.

Sentenza 25 agosto 2017, n. 4066
Data udienza 14 aprile 2016

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 645 del 2013, proposto da:

Ma. Pe. ed altri, con domicilio eletto presso lo studio Cl. Ro. in Roma, via (…);

contro

Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura, domiciliata in Roma, Via (…);

nei confronti di

Li. Ma., non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione II quater n. 06657/2012, resa tra le parti, concernente diniego di scorrimento delle graduatorie degli idonei relative alle progressioni verticali dall’area B alla pos econ C1 – profilo architetto.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del giorno 14 aprile 2016 il consigliere Andrea Pannone e uditi per le parti l’avvocato Ro. e l’avvocato dello Stato D’A.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. I ricorrenti, oggi appellanti, hanno impugnato il provvedimento con cui il Ministero per i beni e le attività culturali ha rigettato la loro richiesta di scorrimento delle graduatorie relative agli idonei delle progressioni verticali per il profilo di storico dell’arte, la cui procedura si è conclusa in data 30 novembre 2010, anziché procedere alla assunzione dei vincitori del concorso per soli esterni bandito per il medesimo profilo professionale in data 14 luglio 2008.

Il diniego è motivato dalla amministrazione in relazione alla previsione di cui all’art. 24 della l. n. 150 del 2009, il quale prevede che a decorrere dal 1° gennaio 2010, le amministrazioni coprono i posti disponibili nella dotazione organica attraverso concorsi pubblici.

La problematica affrontata nella sentenza impugnata riguarda la possibilità o meno per le pubbliche amministrazioni, per le quali il d.l. 31 marzo 2011, n. 34 convertito, con modificazioni, in legge 26 maggio 2011, n. 75, all’art. 2, comma 3, ha autorizzato, in deroga al blocco per le assunzioni, la possibilità di ricorrere all’utilizzazione di graduatorie in corso di validità, di utilizzare a questo fine anche le graduatorie delle procedure di progressioni verticali ovvero di ricorrere solo alle graduatorie conseguenti a concorso pubblico, come prevede l’art. 24 della l. 150/2009.

Gli appellanti sostengono che nella nozione di concorso pubblico, cui fa riferimento il citato art. 24, debba intendersi non solo la procedura selettiva finalizzata all’immissione nei ruoli della pubblica amministrazione dei candidati esterni, ma anche la progressione verticale attraverso la quale personale già in ruolo può aspirare ad una fascia o area superiore. In sostanza, l’art. 24 citato dovrebbe essere interpretato nel senso che esso non preclude di attingere alle graduatorie delle procedure di riqualificazione o di progressione verticale di carriera, in quanto comportanti comunque un procedimento selettivo.

2. La sentenza qui impugnata ha rigettato il ricorso sulla base della seguente e assorbente considerazione.

La giurisprudenza richiamata dai ricorrenti, infatti, non riguarda la nozione di “concorso pubblico”, che per sua natura presuppone la partecipazione a soggetti esterni alla pubblica amministrazione che bandisce il concorso, bensì la nozione di “procedure concorsuali finalizzate all’assunzione”, esaminata in particolare dalla giurisprudenza della Cassazione al fine di stabilire l’esatto discrimine tra la giurisdizione amministrativa e ordinaria in materia di procedure concorsuali.

E’ a questi fini che è stato affermato dalla suprema Corte di cassazione del 15 ottobre 2003, n. 15403 che anche le controversie attinenti c.d. concorsi interni, quando comportano l’accesso ad una fascia o area superiore, spettano alla giurisdizione amministrativa.

Tale giurisprudenza, dunque, non ha affatto inteso assimilare ad ogni effetto il concorso pubblico (aperto agli esterni) alle progressioni verticali (riservate agli interni), ma ha solo affermato che per le controversie attinenti le procedure concorsuali riservate agli interni comportanti il passaggio ad una fascia o area superiore, laddove esse siano compatibili con l’art. 97 Cost., che prevede come regola il pubblico concorso, la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo.

Non è pertanto sostenibile una interpretazione di tale giurisprudenza che porti alla totale equiparazione delle procedure selettive riservate agli interni al concorso pubblico.

3. Con il ricorso in appello le interessate sostengono, per quel che qui rileva, quanto segue.

La sentenza appellata, invero, appare del tutto illogica siccome fondata su un’erronea ricostruzione teorico-sistematica della nozione di concorso pubblico. Ed invero, l’intera vicenda contenziosa trae origine dalla corretta portata da attribuirsi al disposto di cui all’articolo 24, del d.lgs. n. 150/2009 il quale, come è noto, a far data dal 1° gennaio 2010 impone l’obbligo di copertura dei posti disponibili nella dotazione organica tramite pubblici concorsi.

Il ricorso che ha dato luogo alla pronuncia del giudice di prime cure, invero, poggiava su numerosi arresti giurisprudenziali il cui consolidato punto di approdo inequivocabilmente impone di ricondurre le procedure di riqualificazione verticale alla nozione di concorso pubblico. Un tale assunto, che può ben dirsi jus receptum, è stato nuovamente ribadito dalla recente sentenza del Consiglio di Stato che – in Adunanza Plenaria – con riguardo alle c.d. progressioni verticali ha statuito “[…] E’ stato, da ultimo rimarcato (Cassazione civile, sez. un., 5 maggio 2011, n. 9844), che “per procedure concorsuali di assunzione ascritte al diritto pubblico e all’attività autoritativa dell’amministrazione (alla stregua dell’art. 63, comma 4, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165/2001), si intendono non soltanto quelle preordinate alla costituzione “ex novo” dei rapporti di lavoro, ma anche le prove selettive dirette a permettere l’accesso del personale già assunto ad una fascia o area funzionale superiore, e cioè ad una progressione verticale che consista nel passaggio ad una posizione funzionale qualitativamente diversa, tale da comportare una novazione oggettiva del rapporto di lavoro; tale accesso deve avvenire per mezzo di una pubblica selezione, comunque denominata ma costituente, in definitiva, un pubblico concorso […]” (così, di recente, Consiglio di Stato, Ad. Plen., 28 maggio 2012, n. 17). La sentenza appellata, viceversa, ribalta o quantomeno restringe grandemente la portata del suddetto acquis, laddove ne interpreta il senso limitandolo ai soli fini del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo.

Ciò è tanto più incomprensibile atteso che proprio sul versante della natura da riferire alle procedure verticali implicanti il passaggio da una qualifica inferiore ad una superiore, lo stesso Consiglio di Stato ha da tempo limpidamente statuito che: “[…] Ed ancora, questa Sezione, ha affermato che, invero, i concorsi interni non si configurano come ordinario sviluppo di carriera degli impiegati che vi partecipano, e, per questa ragione sottoposti, ormai, alla giurisdizione dell’a.g.o. Essi vanno, invece, intesi come procedimenti selettivi che, alla pari di quelli in cui sono ammessi candidati esterni, consentono l’accesso a posti alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (nel caso specifico, diversi da quelli già occupati). I concorsi interni quindi non presentano connotati differenti dai concorsi denominati pubblici, e questa identità, di natura e di risultato, consente di ricondurli sotto la previsione normativa (ora, dell’art. 63, comma 4, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, e, con riguardo all’epoca del provvedimento impugnato in prime cure, dell’art. 68 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, come modificato, da ultimo, dai decreti legislativi n. 80 e n. 387 del 1998) della cognizione delle controversie “sulle procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni”, riservata al giudice amministrativo (cfr. Cons. St., sez. V, 12.10.2004, n. 6560; Cass., SS. UU. 15 ottobre 2003, n. 15403, sulla scorta di C. cost. n. 41/99 e n. 2/2001)” (Consiglio di Stato, Sez. V, 16 luglio 2007, n. 4030). […].

I giudici di Palazzo Spada hanno espressamente riconosciuto l’identità ontologica e teleologica delle riqualificazioni verticali con i concorsi pubblici, non solo sul piano del risultato, ma anche con esplicito riguardo alla stessa natura.

Il quadro di riferimento giurisprudenziale – al quale, come visto, la sentenza gravata non ha attribuito altro significato se non quello della equiparazione tra procedure verticali e concorsi esterni ai meri fini del riparto giurisdizionale – era già ampiamente riportato nei suoi passaggi qualificanti nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado. Tra le altre ivi citate, invero, “[…] è “ius receptum”, […] che per “concorso pubblico” deve intendersi non solo quello aperto a candidati esterni, ma anche quello “riservato” ai dipendenti ai fini delle progressioni verticali di particolare rilievo qualitativo, restando affidata in tal caso la selezione all’esercizio dei poteri pubblici e ai procedimenti amministrativi” (T.A.R. Basilicata, 8 giungo 2011, n. 355).

4. Il ricorso in appello non può trovare accoglimento.

Sostengono gli appellanti che nella nozione di concorso pubblico debbono farsi rientrare anche le progressioni verticali riservate (solo) agli appartenenti alla medesima amministrazione.

Il primo comma dell’articolo 24 del d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 (norma su cui si controverte) dispone: “Ai sensi dell’articolo 52, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001, come introdotto dall’articolo 62 del presente decreto, le amministrazioni pubbliche, a decorrere dal 1° gennaio 2010, coprono i posti disponibili nella dotazione organica attraverso concorsi pubblici, con riserva non superiore al cinquanta per cento a favore del personale interno, nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di assunzioni”.

Per definizione legislativa, sia pure ricavabile a contrario, il concorso è pubblico quando sia riservato a soggetti estranei all’amministrazione che bandisce il concorso, nel quale la riserva di posti a favore dei candidati interni non può superare la percentuale del cinquanta per cento.

Quindi, sempre argomentando a contrario, se un concorso è riservato solo ai dipendenti interni, senza che sia prevista la possibilità, in qualunque percentuale, di partecipazione a candidati esterni, il concorso non è pubblico.

Poiché è pacifico in atti che la selezione per la quale gli appellanti chiedono lo scorrimento non consentiva la partecipazione di candidati esterni, quella selezione non può qualificarsi concorso pubblico.

5. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 aprile 2016 con l’intervento dei magistrati:

Sergio Santoro – Presidente

Giulio Castriota Scanderbeg – Consigliere

Dante D’Alessio – Consigliere

Andrea Pannone – Consigliere, Estensore

Vincenzo Lopilato – Consigliere

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *