Ipotesi di transazione semplice o conservativa, cioè di un accordo con il quale le parti si sono limitate ad apportare modifiche solo quantitative ad una situazione già in atto e a regolare il preesistente rapporto mediante reciproche concessioni, consistenti anche in una congrua riduzione delle opposte pretese in modo da realizzare un regolamento di interessi costituente un quid medium rispetto alle prospettazioni iniziali, e non di una transazione novativa (che determina l’estinzione del precedente rapporto e la sostituzione integrale rispetto ad esso, di modo che si verifichi una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello risultante dall’accordo transattivo, con la conseguente insorgenza dall’atto di un’obbligazione oggettivamente diversa dalla precedente): ne consegue che, in tal caso, la risoluzione per inadempimento della transazione potrebbe restituire il rapporto transatto nella situazione giuridica preesistente, facendo risorgere tutte le ragioni, azioni ed eccezioni di cui potevano disporre originariamente le parti (laddove, invece, nella transazione novativa la risoluzione per inadempimento può essere richiesta soltanto se il diritto alla risoluzione sia stato espressamente stipulato ex art. 1976 c.c.).
Consiglio di Stato
sezione VI
sentenza 19 luglio 2017, n. 3564
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10568 del 2014, proposto da:
Mo. di Pa. Fe. e C. S.a.s., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Fa. Lo., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Via (…);
contro
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del direttore p.t., e Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via (…);
per l’esecuzione
della sentenza del CONSIGLIO DI STATO – SEZ. IV n. 03373/2014, resa tra le parti, concernente risarcimento danni per la mancata ottemperanza sentenze n. 13310/03 e n. 1720/11 sezione II^ del Tar Lazio-Roma – gestione sale destinate al gioco del bingo.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e di Ministero dell’Economia e delle Finanze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 aprile 2016 il Cons. Nicola Russo e uditi per le parti gli avvocati Lo.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Nel 2001 la ditta Mo. di Pa. Fe. & Co. sn. c. partecipava alla procedura pubblica di gara per l’assegnazione di 800 concessioni per l’esercizio del gioco del Bingo, presentando un’offerta relativa ad una sala da ubicarsi nel comune di Rimini.
Successivamente, la stessa proponeva ricorso avanti al Tar Lazio a seguito della mancata aggiudicazione della gara.
Il Tar adito si pronunciava con sentenza n. 13310/2003 dichiarando l’illegittimità degli atti di gara e ordinando conseguentemente all’Amministrazione di procedere a nuovo esame delle offerte.
All’esito di detto nuovo esame alla ricorrente veniva assegnata la concessione con decreto direttoriale del 15 ottobre 2004.
Successivamente, nel marzo 2005, la ditta ricorrente presentava all’Amministrazione istanza con cui, da un lato, chiedeva la proroga del termine di 150 giorni per l’apertura della sala e dall’altro, chiedeva di poter trasferire la sala Bingo in altri locali, ciò al fine di eseguire dei lavori di manutenzione dei locali originariamente destinati all’attività imprenditoriale che medio tempore si erano deteriorati.
Con nota prot.n. 14758/COA/BNG del 23 marzo 2005 la AAMS (oggi Agenzia delle Dogane e dei Monopoli) comunicava, quanto alla richiesta di proroga dei termini di apertura della sala, che la stessa “può essere accordata (nei termini e alle condizioni stabilite dall’art. 52, co. 48 L. n. 448/2001)” e, con riguardo alla richiesta di trasferimento della sala, che “la stessa potrà intervenire qualora ricorrano le condizioni stabilite dal par. 3 del decreto direttoriale del 7 giugno 2003, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 144 del 24 giugno 2003, concernente determinazioni in materia di trasferimento dei locali delle sale Bingo. Nella istanza inoltrata con lettera dell’11 marzo 2005 non risulta documentata la sussistenza di tali condizioni”.
Ciò detto, la Mo. impugnava detto provvedimento avanti al Tar Emilia Romagna, il quale con sentenza n. 7990 del 2010 riteneva inammissibile il ricorso proposto, rilevando la carenza di interesse all’impugnazione da parte della società ricorrente.
Avverso detta pronuncia proponeva appello la società Mo. Pa..
Nel frattempo, con ricorso dinanzi al Tar Lazio del 30 aprile 2008, la ricorrente proponeva autonoma azione risarcitoria, per il ristoro del ritardo subito nell’assegnazione della concessione.
Il Tar Lazio si pronunciava con sentenza di accoglimento n. 1720 del 2011, riconoscendo il diritto al risarcimento, e ordinava pertanto all’Amministrazione di formulare una proposta risarcitoria ai sensi dell’art. 35 del d.lgs. n. 80/2008 (ora trasfuso nell’art. 34, co. 4 c.p.a.) tenendo conto di taluni elementi: “a) delle spese sostenute per mantenere la disponibilità giuridica del locale e quindi delle spese legate all’adattamento del locale stesso e direttamente provocate dal ritardo nella stipula della convenzione: b) l’incidenza delle variazioni urbanistiche intervenute successivamente all’11 luglio 2001 nell’area territoriale ove insiste il locale ed i riflessi economici patiti dalla società ricorrente, sempre che siano stati neutralizzati da sistemazioni più utili del locale autorizzate dall’Amministrazione, anche in occasione della richiesta di trasferimento della sala Bingo, nel frattempo accolta dall’AMMS; c) sulle somme accertate come dovute a titolo risarcitorio secondo quanto sopra dovrà riconoscersi la svalutazione monetaria prodottasi dal dì del verificarsi dei fatti che hanno dato luogo al detrimento patrimoniale; d) dovrà, ancora tenersi conto che le somme rivalutate sono produttive di interessi nella misura del tasso legale”.
Medio tempore, la Mo. proponeva avanti al Tar Lazio ricorso per l’ottemperanza chiedendo il risarcimento dei danni per la mancata ottemperanza delle sentenze n. 13310 del 2003 e n. 1720 del 2011.
In particolare, con riferimento alla sentenza del 2011, asseriva l’inottemperanza dell’Amministrazione nel formulare la proposta risarcitoria e chiedeva il risarcimento derivante da impossibile ottemperanza in forma specifica (art. 112, 3 co c.p.a).
Con sent. n. 8075 del 2013 il Tar adito accoglieva la richiesta di risarcimento del ritardo nell’esecuzione della sentenza del 2011, condannando l’Amministrazione al pagamento della somma, equitativamente determinata, in euro 8.000,00; rigettava la domanda di risarcimento per impossibilità di esecuzione in forma specifica del giudicato del 2003, rilevando che non vi era prova che tale esecuzione fosse divenuta impossibile, in quanto il Tar Emilia Romagna, con la sentenza n. 7990/2010, aveva ritenuto la risposta all’istanza di proroga e trasferimento formulata dalla Mo. non lesiva e meramente interlocutoria.
Avverso detta sentenza del Tar Lazio la Mo. presentava apposito appello.
Questo Consiglio di Stato si pronunciava con sentenza n. 3373 del 2014 di accoglimento parziale, e per l’effetto riformava la sentenza impugnata, statuendo che l’Amministrazione formulasse una proposta risarcitoria ai sensi dell’art. 34, 4 comma c.p.c..
In base alla sentenza la proposta risarcitoria avrebbe dovuto tener conto delle spese sostenute per mantenere la disponibilità giuridica del locale (canoni di locazione, spese di custodia, pulizie e assicurazioni) e “avere come riferimento temporale il periodo tra l’11 luglio 2001, data dell’originaria illegittima graduatoria sfavorevole alla Mo. al 15 ottobre 2004, data in cui la ricorrente ha ottenuto l’aggiudicazione”; “sulle somme accertate come dovute a titolo risarcitorio dovrà riconoscersi la svalutazione monetaria prodottasi dal dì del verificarsi dei fatti che hanno dato luogo al detrimento patrimoniale; dovrà ancora tenersi conto che le somme rivalutate son produttive di interessi nella misura del tasso legale”.
Dopo un primo pagamento e dopo un incontro tenutosi tra le parti presso la sede dell’Avvocatura Generale dello Stato, in data 23 luglio 2015 la società, a mezzo del proprio legale, dichiarava di accettare a titolo di danno da ritardo la somma di euro 13.000,00 comprensiva di rivalutazione e interessi legali, in aggiunta all’importo già versato dall’Amministrazione pari ad euro 11.001,67, rinunciando alla maggiore somma di Euro 22.915,01 dovuta in forza dei criteri sanciti dalla sentenza n. 3373/2014 per la quantificazione della suddetta voce di danno.
La Mo., tramite il proprio difensore, si impegnava a depositare una dichiarazione di sopravvenuto difetto di interesse con compensazione delle spese successivamente all’avvenuta corresponsione di quanto concordato.
In data 18 dicembre 2015 l’Agenzia delle Dogane provvedeva al pagamento della fattura di Euro 13.000,00, come confermato dal competente reparto Tesoreria.
Stante la tardività del pagamento la Mo. non provvedeva al deposito della dichiarazione di sopravvenuto difetto di interesse, come previsto dall’accordo del 23 luglio 2015.
Alla camera di consiglio del 7 aprile 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
La vicenda in esame ha ad oggetto il pagamento delle restanti somme a seguito di ottemperanza della sentenza n. 3373 del 6 maggio 2014 pronunciata da questa Sezione del Consiglio di Stato.
In particolare, l’appellante espone che, stante la tardività del pagamento, avvenuto solo in data 18 dicembre 2015 da parte dell’Agenzia delle Dogane anziché al 31 agosto 2015 come concordato, l’accordo intercorso sarebbe venuto meno.
Pertanto con memoria depositata in vista dell’udienza del 7 aprile 2016 la Mo. chiede il pagamento di euro 14.757,12 a titolo di risarcimento del danno da ritardo sino al 7 Aprile 2016, con rivalutazione monetaria e interessi legali dal 24 febbraio 2011 sino all’integrale soddisfo, oltre a giornalieri ulteriori euro 21,91 dalla data del 7 aprile 2016 e fino al momento del pagamento.
L’effetto risolutivo dell’accordo intervenuto in data 23 2015 sarebbe attribuibile alla condotta dilatoria dell’Amministrazione che non ha cooperato alla realizzazione dell’interesse della controparte in violazione degli obblighi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c.
Pertanto, il pagamento di Euro 13.000,00 avvenuto in data 18 dicembre 2015 risulterebbe un adempimento parziale del giudicato formatosi sulla sentenza n. 3373/2014.
La richiesta della Mo. trova giustificazione ove si consideri che l’inerzia successiva al 23 luglio 2015 non sarebbe altro che il protrarsi del comportamento dilatorio dell’amministrazione a partire sin dal 3 luglio 2014 (data di pubblicazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 3373 del 2014) e, ancor prima, sin dal 24 febbraio 2011, data di pubblicazione della sentenza del Tar Lazio n. 1720 del 2011, a cui risale la condanna risarcitoria.
L’appellante sostiene di aver pertanto diritto al residuo importo di euro 14.757,12 (pari alla sorte calcolata come maturata alla data del 7 aprile 2016 di euro 38.758,79 – 11.001,67 versati in data 13 luglio 2015 – 13.000,00 accreditati in data 18 dicembre 2015 = 14.757,12), oltre ad euro 21,91 per ogni giorno di ulteriore ritardo che si dovesse verificare dopo il 7 aprile 2016 e fino al giorno del pagamento.
Con memoria depositata in data 22 marzo 2016 l’Avvocatura dello Stato eccepisce l’infondatezza della pretesa, rilevando di aver ottemperato integralmente alle sentenze n. 13310 del 2003 e 1720 del 2011 del Tar Lazio sez. II e n. 3373 del 2014 del Consiglio di Stato.
Invero, come risulterebbe dalla lettera del 23 luglio 2015, la controparte, per il tramite del proprio difensore, ha comunicato di voler accettare a titolo risarcitorio l’importo di euro 13.000, comprensivo di rivalutazione ed interessi legali in aggiunta all’importo già versato pari ad euro 11.001,67 così rinunciando alla maggior somma dovuta in forza dei criteri sanciti dalla sentenza n. 3373 del 2014 per la quantificazione della suddetta voce di danno.
Lo stesso si impegnava altresì a depositare non appena fosse stato disposto l’accredito, dichiarazione di sopravvenuto interesse con compensazione delle spese. Nessun termine era, invero, stabilito per l’adempimento.
L’istanza è infondata.
E’ vero, infatti, che nella specie si versa in ipotesi di transazione semplice o conservativa (cioè di un accordo con il quale le parti si sono limitate ad apportare modifiche solo quantitative ad una situazione già in atto e a regolare il preesistente rapporto mediante reciproche concessioni, consistenti anche in una congrua riduzione delle opposte pretese in modo da realizzare un regolamento di interessi costituente un quid medium rispetto alle prospettazioni iniziali), e non di una transazione novativa (che determina l’estinzione del precedente rapporto e la sostituzione integrale rispetto ad esso, di modo che si verifichi una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello risultante dall’accordo transattivo, con la conseguente insorgenza dall’atto di un’obbligazione oggettivamente diversa dalla precedente): ne consegue che, in tal caso, la risoluzione per inadempimento della transazione potrebbe restituire il rapporto transatto nella situazione giuridica preesistente, facendo risorgere tutte le ragioni, azioni ed eccezioni di cui potevano disporre originariamente le parti (laddove, invece, nella transazione novativa la risoluzione per inadempimento può essere richiesta soltanto se il diritto alla risoluzione sia stato espressamente stipulato ex art. 1976 c.c.).
Purtuttavia va considerato che, nella specie: 1) non è stata chiesta esplicitamente la risoluzione per inadempimento (azione costitutiva) della transazione, ma la parte invoca una specie di risoluzione “di diritto” della transazione discendente dal ritardo nell’adempimento dell’accordo transattivo; 2) trattasi di semplice ritardo nell’adempimento a fronte di un termine che, come eccepito dall’Avvocatura, non era stato apposto nel negozio transattivo; 3) non ricorre alcuna delle ipotesi di risoluzione di diritto disciplinate dal codice civile (diffida ad adempiere, clausola risolutiva espressa e termine essenziale: artt. 1454, 1456 e 1457 c.c.).
L’Agenzia ha comunicato di aver proceduto al pagamento della somma di euro 13.000,00 ed ha sollecitato la declaratoria di sopravvenuto difetto di interesse a spese compensate come da impegno contenuto nell’accordo transattivo in data 23 luglio 2015.
L’istanza della ricorrente non può dunque trovare accoglimento.
La particolarità e complessità delle questioni civilistiche trattate giustifica l’integrale compensazione fra le parti delle spese, competenze ed onorari della presente fase di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’istanza, come in epigrafe proposta, la respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 aprile 2016 con l’intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi – Presidente
Nicola Russo – Consigliere, Estensore
Raffaele Greco – Consigliere
Andrea Migliozzi – Consigliere
Oberdan Forlenza – Consigliere
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