Consiglio di Stato
sezione VI
sentenza 15 aprile 2015, n. 1927
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE SESTA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2565 del 2014, proposto da:
Or.Gi. ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Fa.Br. e Iv.So., con domicilio eletto presso Stefano Lombardi in Roma, Via (…);
contro
Comune di Castel Maggiore, in persona del sindaco e legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’avvocato Fe.Gu., con domicilio eletto presso avvocato Al.Pl. in Roma, Via (…);
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA – BOLOGNA: SEZIONE I n. 522/2013, resa tra le parti, concernente acquisizione opere abusive al patrimonio comunale
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Castel Maggiore;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 24 marzo 2015, il consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e udito per il Comune di Castel Maggiore l’avvocato Le. per delega dell’avvocato Gu.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.-Le Signore Or.Gi. ed altri impugnano la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna 10 luglio 2013 n. 522, che ha respinto il loro ricorso per l’annullamento dell’ordinanza dirigenziale n. 15 del 2013 con la quale il Comune di Castel Maggiore (Bologna) aveva disposto l’acquisizione a titolo gratuito al patrimonio del Comune di Castel Maggiore degli edifici denominati “D” ed “E”, ubicati alla via Corticella, 16, nonché di ogni altro atto presupposto, preparatorio, connesso e consequenziale.
Con un unico motivo di ricorso, le appellanti censurano la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che la sanzione acquisitiva applicata in loro confronto dal Comune di Castel Maggiore, ai sensi dell’art. 31 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), in relazione a taluni abusi edilizi a suo tempo contestati al deceduto padre di esse appellanti, operi su un piano meramente oggettivo, trattandosi di sanzione a carattere reale, potendosi in tal modo trasferire in via automatica agli eredi che abbiano accettato l’eredità.
Le odierne appellanti assumono, per converso, che a norma del combinato disposto degli artt. 29 (Responsabilità del titolare della concessione, del committente, del costruttore e del direttore dei lavori, nonché anche del progettista per le opere subordinate a denuncia di inizio attività) e 31 (Interventi eseguiti in assenza di concessione, in totale difformità o con variazioni essenziali) del Testo Unico dell’Edilizia e degli artt. 3 e 7 della legge 24 novembre 1981 n. 689, l’acquisizione gratuita del bene non possa operare nei confronti del terzo proprietario estraneo all’abuso ed al pedissequo ordine demolitorio, con la conseguenza che la funzione ripristinatoria dell’interesse pubblico violato dovrebbe ritenersi limitata alla sola misura demolitoria.
Di qui la richiesta di accoglimento, con l’appello, della domanda di annullamento del provvedimento in primo grado impugnato, in riforma della gravata sentenza.
Si è costituito in giudizio il Comune di Castel Maggiore per resistere all’appello e per chiederne la reiezione, con la conseguente conferma della pronuncia di primo grado.
Con ordinanza cautelare 14 maggio 2014 n. 1952 questa Sezione ha disposto la sospensione della esecutività della impugnata sentenza.
All’udienza pubblica del 24 marzo 2015 la causa è stata trattenuta per la sentenza.
2.- Prima di passare al merito della vicenda, appare opportuno riepilogare i fatti di causa.
L’ordinanza di demolizione n. 37 del 2007, richiamata nel provvedimento impugnato recante l’acquisizione del bene al patrimonio indisponibile del Comune, era indirizzata al signor Or.An., comproprietario con il signor Or.Lu. di un terreno sul quale insistono due manufatti abusivi e dante causa delle odierne appellanti, che sono subentrate nella sua posizione patrimoniale a titolo di successione universale.
Detta ordinanza è stata impugnata davanti al Tribunale amministrativo dell’Emilia-Romagna dagli originari proprietari. Il ricorso è stato respinto con sentenza del 17 settembre 2009, n. 1526, passata in giudicato.
In data 15 marzo 2011 An.Or. è deceduto, lasciando eredi le odierne appellanti.
Il Comune, con sopralluogo in data 9 dicembre 2011, accertata l’inottemperanza al precedente ordine di demolizione, ha emanato il provvedimento in epigrafe indicato con il quale ha disposto, in confronto delle odierne proprietarie degli immobili abusivi oggetto dell’ordine di demolizione, l’acquisizione al patrimonio comunale dell’area su cui insistono i manufatti.
3.- Ritiene il Collegio che l’appello meriti accoglimento nei sensi di cui appresso.
4.- Il giudice di primo grado ha respinto il ricorso portato al suo esame sull’assunto che gli eredi, subentrando in locum et ius nella posizione patrimoniale del de cuius, succedono automaticamente in tutti i rapporti attivi e passivi rientranti nel patrimonio del loro dante causa e nella stessa posizione di quest’ultimo, ad ogni effetto giuridico.
5.- Con un unico motivo di ricorso le appellanti contestano la sentenza del Tribunale amministrativo nella parte in cui ha ritenuto che anche la sanzione acquisitiva, prevista dal citato art. 31 del Testo unico in materia edilizia (di cui al d.P.R. n. 380 del 2001), sia sostanzialmente una sanzione di tipo reale e che, come tale, abbia efficacia erga omnes, potendosi pertanto opporre non solo all’autore dell’abuso ma anche ai suoi eredi universali o ai successori o aventi causa a titolo particolare.
Il motivo appare meritevole di favorevole apprezzamento.
6.- Rileva il Collegio che le sanzioni per illeciti amministrativi – vale a dire, che puniscono comportamenti lesivi di precetti giuridici sanzionati da una norma non penale, si estinguono con la morte del trasgressore e non sono trasmissibili agli eredi (cfr. art 7 l. 24 novembre 1981, n. 689).
7.- Invece, come avviene in materia edilizia, la misura dell’ordine di riduzione in pristino dello stato dei luoghi, che consegue all’accertamento del carattere illegittimo di un manufatto realizzato senza titolo o in sua difformità, ha carattere reale in quanto è volta a ripristinare l’ordine prima ancora materiale che giuridico, alterato a mezzo della sopravvenienza oggettiva del manufatto, cioè di una cosa, priva di un giusto titolo: non già a sanzionare il comportamento che ha dato luogo a quella cosa (al che presiede, piuttosto, la fattispecie penale dell’art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001).
Ne consegue, a ben vedere, che la stessa qualificazione di ‘sanzione’ della misura ripristinatoria è impropria, perché non si tratta di sanzionare, cioè di punire, un comportamento, ma solo di adottare una misura di ricomposizione dell’ordine urbanistico quale si presentava, e che ha di mira solo l’eliminazione degli effetti materiali dell’avvenuta sua ingiustificata alterazione. L’ablazione che può conseguire all’inadempimento dell’ordine di demolizione concerne un effetto anch’esso della stessa natura, perché con l’acquisizione al Comune l’ente pubblico può facilmente dar luogo alla realizzazione di quel ripristino a spese dei responsabili: ovvero, compensativamente – e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali – destinare la cosa stessa a soddisfare prevalenti interessi pubblici (art. 31, comma 5).
Per questa ragione, la misura demolitoria è opponibile anche a soggetti estranei al comportamento illecito (ad es. gli eredi o aventi causa dell’autore dell’abuso).
Per tal genere di misure riparatorie a carattere reale, non è dato dubitare, per costante, consolidata e risalente giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, VI, 7 aprile 2014, n. 3392; 10 febbraio 2015, n. 708), della trasmissibilità agli eredi dell’obbligazione ripristinatoria insita nell’ordine di demolizione dell’opera abusiva.
8.- La particolarità della presente fattispecie è che si controverte non già dell’opponibilità dell’ordine di demolizione verso gli eredi dell’autore dell’abuso, quanto dell’esecuzione in confronto di costoro della successiva misura dell’acquisizione al patrimonio comunale dell’area di sedime e in ipotesi di quella per opere analoghe, unitamente a detta opera: e dopo che l’ordine di demolizione era stato notificato non a loro, bensì al loro dante causa quando ancora era in vita.
9.- Al proposito giova ricordare che l’art. 31 del d.P.R. n 380 del 2001 dispone, al comma 2, che l’amministrazione, accertata l’esecuzione di opere in assenza di permesso di costruire, in totale difformità dal medesimo ovvero con variazioni essenziali, ingiunge la demolizione.
Il comma 3 stabilisce poi che se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive, sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio comunale. Infine, il comma 4 prevede che l’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione a demolire, nel termine predetto, previa notifica all’interessato, costituisce titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari.
La norma richiamata prevede un dispositivo articolato in una duplice fase di misure amministrative (ordine di demolizione ed acquisizione al patrimonio comunale in caso di inottemperanza al primo ordine di ripristino) già usuale in applicazione delle disposizioni normative in materia (cfr. art. 15, terzo comma, l. 28 gennaio 1977 n. 10; art. 7 l. 28 febbraio 1985 n. 47), che il Testo unico del 2001 consolida.
10.- Rileva il Collegio che dalla richiamata disposizione possono trarsi le seguenti considerazioni.
Anzitutto, l’acquisizione al patrimonio disponibile del Comune dell’area sulla quale insiste la costruzione si differenzia dalla stretta e immediata misura ripristinatoria insita nell’ordine di demolizione, posto che non solo estende l’ablazione al sedime (ed eventualmente all’area necessaria per opere analoghe), ma anche ne evidenzia il suo carattere di conseguenza dovuta (cfr. art. 31, comma 2, ultima parte) rispetto alla mancata esecuzione ad opera del destinatario dell’ordine di demolizione in base a quanto sopra detto (tale significando l’espressione ‘responsabile dell’abuso’, di cui al comma 2). È evidente che non si tratta di sanzione di un comportamento (omissivo), perché se così fosse lo schema procedimentale applicativo dovrebbe essere quello della rammentata l. n. 689 del 1981: la quale invece non si applica alle misure ripristinatorie reali, nel cui alveo questa stessa ablazione va iscritta per le ragioni testé rammentate (v. infra per ulteriori considerazioni).
Nondimeno, poiché si tratta comunque di conseguenza oggettivamente incidente sul diritto di proprietà (estesa al sedime ed eventualmente all’area per opere analoghe), e postulante un volontario inadempimento da parte dell’obbligato, occorre – in omaggio a un elementare criterio di conoscenza ed esigibilità – che la persona dell’obbligato medesimo alla rimozione (o a patire – come si vedrà – l’operazione demolitoria comunale) sia stata fatta formalmente destinataria del previo ordine di demolizione ed abbia avuto a sua disposizione il termine per provvedere alla demolizione.
Non è stato così nel caso qui in esame, dove – come ricordato – l’ordine di demolizione era sì stato notificato, ma solo all’allora vivente proprietario, di cui gli attuali ricorrenti sono i successivi eredi. Né alcun onere di avvenuta informazione può essere presunto in capo a loro, essendo la loro successione nella proprietà del bene avvenuta non già inter vivos (il che comporta la presunzione di conoscenza della legittimità dell’immobile, a norma delle disposizioni incidenti sulla validità dei contratti: cfr art. 30) bensì mortis causa: sicché nulla è loro riferibile.
Ne consegue che – in deroga all’automatismo dell’acquisizione una volta decorso il termine dall’emanazione di un’ordinanza di demolizione come quella del caso presente: cfr. da ultimo Cons. Stato, VI, 8 maggio 2014, n. 2368; V, 11 luglio 2014, n. 3565 – non può farsi derivare una così seria conseguenza se costoro stessi non sono stati fatti espressi destinatari di un rinnovato ordine di demolizione e, in seguito, non vi hanno – seppur così rettamente informati – adempiuto.
Ne consegue dunque che, in sede di rinnovazione del procedimento, l’ordine di demolizione dovrà essere comunicato nei confronti dei successori mortis causa.
De resto, non v’è chi non veda che se l’acquisizione al patrimonio comunale fosse – in rottura della coerenza del sistema – qualificata come sanzione personale della condotta di inottemperanza, non solo ne dovrebbe derivare la (già accennata) coerente applicazione secondo lo schema della l. n. 689 del 1981 (con conseguente opposizione in sede giurisdizionale ordinaria; la prescrizione, ecc.); ma anche la considerazione generale dell’irragionevolezza del sistema normativo, perché le ordinanze di demolizione resterebbero facilmente inottemperate col solo mezzo di un’artata alienazione dopo la loro notificazione. L’effettività della legge, in altri termini, rischierebbe di rimanere vanificata rispetto alla misura principe di ripristino dell’ordine urbanistico violato: il che sarebbe conseguenza irragionevole e rinnegante la funzione generale dell’art. 31.
Vero è poi che secondo Corte cost., 15 luglio 1991, n. 345 “l’acquisizione gratuita […] si riferisce esclusivamente al responsabile dell’abuso, non potendo di certo operare […] nei confronti del proprietario dell’area quando risulti, in modo inequivocabile, la sua completa estraneità al compimento dell’opera abusiva o che, essendone egli venuto a conoscenza, si sia adoperato per impedirlo con gli strumenti offertigli dall’ordinamento”; e peraltro che “l’operatività dell’ingiunzione a demolire non presuppone sempre necessariamente la preventiva acquisizione dell’immobile al patrimonio comunale, perché l’ingiunzione è un provvedimento amministrativo di natura autoritativa che, in quanto tale, è assistito, in base ai principî generali che regolano l’azione amministrativa, dal carattere dell’esecutorietà insito nel potere di autotutela che, come è noto, consiste nel potere-dovere degli organi amministrativi di dare esecuzione ai provvedimenti da essi stessi emanati. Di conseguenza, appare evidente che, qualora non ricorrano i presupposti per l’acquisizione gratuita del bene, come nel caso in cui l’area sia di proprietà del terzo, la funzione ripristinatoria dell’interesse pubblico violato dall’abuso, sia pur ristretta alla sola possibilità della demolizione, rimane affidata al potere-dovere degli organi comunali di darvi esecuzione d’ufficio. E ciò senza che a tal fine necessiti la preventiva acquisizione dell’area che, se di proprietà del terzo estraneo all’abuso deve rimanere nella titolarità di questi, anche dopo eseguita d’ufficio la demolizione”.
Ed è vero che, analogamente, nella giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, V, 11 luglio 2014, n. 3565) si trova affermato che l’acquisizione gratuita dell’area dove è stato realizzato un immobile abusivo non possa essere dichiarata verso il proprietario estraneo al compimento dell’opera abusiva, che non possa ritenersi responsabile della stessa, facendo eccezione il caso in cui il proprietario, pur non responsabile dell’abuso, ne sia venuto a conoscenza e non si sia adoperato per impedirlo (cfr. Cons. Stato, III, 15 ottobre 2009, n. 2371) e l’ipotesi che l’attuale proprietario abbia acquistato il manufatto dal proprietario che aveva commesso l’abuso, pur se il nuovo non è responsabile dello stesso, subentrando nella sua posizione giuridica.
Nondimeno, quali che qui debbano essere le conseguenze – ovvero che persistano in concreto i presupposti per l’acquisizione gratuita comunale, o che il Comune debba, in forza di detto suo comportamento dovuto, demolire il manufatto abusivo intervenendo sul sedime altrui e quanto vi insiste – va rilevato che è illegittimo, come qui è avvenuto, disporre l’acquisizione gratuita, o in ipotesi effettuare questo materiale intervento comunale, in danno di chi non è responsabile dell’abuso e nei cui confronti sia mancata la notifica dell’ordine di demolizione.
11.- Essendo l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale – ovvero la demolizione in danno – una misura prevista per l’ipotesi di inottemperanza all’ingiunzione di demolizione, essa postula comunque un’inottemperanza da parte di chi va a patirne le pur giuste conseguenze.
12.- Su queste basi il Collegio qui considera che l’acquisizione gratuita dell’area – come la demolizione pubblica in danno – non possa essere senz’altro disposta nei confronti degli attuali interessati.
Il contrario sarebbe stato se, a norma dell’art. 31, comma 4, l’Amministrazione, previa notifica dell’atto all’interessato, avesse provveduto, prima della morte dei signori An. e Lu.Or., alla trascrizione nei registri immobiliari del provvedimento di acquisizione del bene al patrimonio comunale.
Invece il provvedimento impugnato, che addebita l’omessa demolizione alle attuali appellanti (che risultano estranee alla attività di realizzazione dell’abuso), fa riferimento non solo ai proprietari originari, ma anche agli eredi, nonostante il richiamo all’ordinanza di demolizione n. 37 del 2007, ove l’unico destinatario era il signor Or.An., poi deceduto.
13.- Del resto, il proprietario di un manufatto abusivo può evitare che l’ordinanza di acquisizione gratuita al patrimonio comunale abbia effetto e lo colpisca, determinandone l’ablazione del diritto di proprietà, solamente dimostrando in sede procedimentale di non avere avuto (o di aver perduto) la concreta disponibilità dell’immobile; e di essere stato, pertanto, impossibilitato ad eseguire l’ingiunzione di demolizione. Infatti il proprietario dell’area, fino a prova contraria, si presume corresponsabile dell’abuso edilizio (Cons. Stato, VI, 4 ottobre 2013, n. 4913).
14.-Nella fattispecie in esame è comunque mancata anche la comunicazione di avvio del procedimento acquisitivo, quindi l’acquisizione è stata realizzata nei confronti di soggetti che appaiono estranei all’attività abusiva , di tal che non è legittimo quanto disposto dall’Amministrazione comunale e impugnato davanti al giudice.
Invero, risulta per tabulas che non solo le odierne appellanti non hanno partecipato al procedimento amministrativo che ha portato all’ordinanza di demolizione, ma anche che non erano neanche i destinatari dell’ordinanza di demolizione n. 37 del 2 marzo 2007, che era indirizzata al signor Or.An., deceduto nel marzo del 2011. E scaduto il termine di novanta dall’adozione dell’ordinanza di demolizione e prima del marzo 2011, l’Amministrazione non ha provveduto alla trascrizione nei registri immobiliare dall’accertamento dell’inottemperanza.
Deve essere ancora ricordato che l’acquisizione della proprietà mortis causa non comporta i doveri d’informazione e le responsabilità che caratterizzano il passaggio della cosa per atto inter vivos (né del resto il provvedimento di demolizione è soggetto a qualche forma di pubblicità).
Per conseguenza, diversamente opinando, gli eredi si troverebbero ad essere colpiti per non aver adempiuto ad un onere che non era da loro esigibile.
15.- Del resto, come già richiamato da questa VI Sezione, “la legittimità dell’atto di acquisizione va esaminata con riferimento alla situazione di fatto e di diritto esistente alla data della sua emanazione” (cfr. Cons. Stato, VI, 4 ottobre 2013, n. 4913). Si tratta, del resto, di una conseguenza di una violazione di un obbligo di facere specifico nel termine fissato dall’amministrazione. E si è detto che l’acquisizione è prospettiva funzionale a far sì che il destinatario dell’obbligo di demolizione vi adempia in concreto.
Dunque, la misura dell’acquisizione gratuita – o della demolizione pubblica in danno – può essere rivolta soltanto all’autore della violazione ovvero a chi, subentrato nella titolarità del bene, sia stato destinatario dell’ordine di demolizione e non lo abbia ottemperato nei termini previsti dalla legge.
16.- Per quanto si è fin qui detto, nel caso di specie,dette condizioni legali per l’adozione dell’atto acquisitivo in confronto delle odierni appellanti non ricorrono.
17.- In conclusione, alla luce dei rilievi che precedono, l’appello va accolto, unitamente al ricorso di primo grado, e va annullato, in riforma della gravata sentenza, l’atto impugnato in quella sede impugnato.
18.- Tenuto conto della particolarità dell’intera vicenda, ricorrono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e le competenze di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello (R.G. 2565/14), come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, annulla l’atto in quella sede gravato.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 marzo 2015 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Sergio De Felice – Consigliere
Roberto Giovagnoli – Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg – Consigliere, Estensore
Carlo Mosca – Consigliere
Depositata in Segreteria il 15 aprile 2015.
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