Consiglio di Stato
sezione V
sentenza 22 maggio 2015, n. 2569
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE QUINTA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 7849 del 2014, proposto da:
HI. S.R.L., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avv. Bi.Pa., con la quale è elettivamente domiciliata in Roma, presso Al.Pl., Via (…);
contro
PROVINCIA DI TARANTO, in persona del Presidente della Giunta provinciale in carica, rappresentata e difesa dall’avv. Ce.Se., con il quale è elettivamente domiciliata presso Lu.Al. in Roma, Via (…);
ARPA PUGLIA – AGENZIA REGIONALE PER LA PREVENZIONE E LA PROTEZIONE AMBIENTALE, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avv. La.Ma., con la quale è elettivamente domiciliata presso Al.Pl. in Roma, Via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA – sez. Staccata di Lecce, sez. I, n. 1383 del 6 giugno 2014, resa tra le parti, concernente ordinanza di messa in sicurezza d’emergenza dell’acqua di falda;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Taranto e dell’Arpa Puglia – Agenzia Regionale per la prevenzione e la protezione ambientale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 gennaio 2015 il Cons. Carlo Saltelli e uditi per le parti gli avvocati Bi.Pa. e La.Ma.;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
1. L’analisi della campionatura della sostanza liquida che fuoriusciva da una tubazione interrata in pvc, riscontrata da personale del Dipartimento provinciale di Taranto dell’ARPA Puglia e da militari della Guardia di Finanza nel corso del sopralluogo effettuato in data 28 gennaio 2013 presso l’impianto di trattamento di rifiuti pericolosi gestito dalla società Hi. s.r.l. (ed in particolare nelle adiacenze dell’impianto in questione, ad una distanza di 1 m circa dal confine con lo stabilimento En. S.p.A.), accertava il superamento di quasi tutti i parametri/limiti previsti per le acque sotterranee di cui all’allegato 5, tab. 2, parte IV, titolo V, del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
L’amministrazione provinciale di Taranto, pertanto, previa comunicazione di avvio del relativo procedimento (giusta nota prot. PTA/2013/0053150/P del 16 settembre 2013) ha diffidato, con ordinanza prot. PTA/2013/0061503/P del 23 ottobre 2013, la predetta Hi.e s.r.l. (d’ora in avanti anche solo Hi. o l’appellante), ai sensi dell’art. 244 del d. Lgs. n. 152 del 2006, a provvedere, entro trenta giorni, alla messa in sicurezza d’emergenza dell’acqua di falda nell’area di pertinenza dello stabilimento e all’ottemperanza a quanto richiesto dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare in sede di conferenza di servizi decisoria del 19 ottobre 2006.
2. Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, sez. II, con la sentenza n, 1383 del 6 giugno 2014, nella resistenza dell’amministrazione provinciale di Taranto, ha respinto il ricorso proposto da Hi. per l’annullamento della ricordata ordinanza PTA/2013/0061503/P del 23 ottobre 2013, ritenendo infondate le formulate censure di “I. Violazione e falsa applicazione di legge (art. 53 e seg. Del D. Lgs. n. 152/2006; paragrafo 2, dell’allegato 3 alla parte III del D. Lgs. n. 152/2006; allegato 2, alla parte IV – titolo V del D. Lgs. n. 152/2006, allegato 2, parte VI del D. Lgs. n. 162/2006). Violazione delle linee guida APAT n-. 43/2006. Violazione delle regole tecniche di analisi fissate dall’Istituto Superiore di Sanità nel parere prot- n. 23005 del 16.4.2008. Violazione e falsa applicazione di legge (art. 3 legge n. 241/1990 e s.m.i.: carenza di motivazione). Eccesso di potere per omesso apprezzamento dei presupposti di fatto e di diritto. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento. Contraddittorietà ed illogicità manifesta”; “II. Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 242, 244 e 311 del D. Lgs. n. 152/2006). Violazione del principio “chi inquina paga”. Violazione e falsa applicazione di legge (art. 174 Trattato CE). Violazione e falsa applicazione di legge (art. 13, comma 3, della direttiva del Parlamento n. 2006/0086). Violazione e falsa applicazione di legge (paragrafo 2, allegato III, parte III, del D. Lgs. n. 152/2006). Violazione e falsa applicazione di legge (art. 3 legge n. 241/90 e s.m.i.: carenza di motivazione. Eccesso di potere per omesso apprezzamento dei presupposti di fatto e di diritto. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e contraddittorietà ed illogicità manifesta”; “III. Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 23 e 42 Cost.). Violazione e falsa applicazione di legge (art. 21 septies L. n. 241/90 e s.m.i.: nullità dei provvedimenti impugnati per difetto assoluto di attribuzione). Violazione e falsa applicazione di legge (art. 3 della L. n. 241/1990. Difetto di motivazione). Eccesso di potere per travisamento dei presupposti, difetto di istruttoria, illogicità manifesta. Sviamento. Illegittimità del provvedimento per indeterminatezza”; “IV. Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 240, 242, 244, 250, 252, 253 del D. Lgs. n. 152/2006, allegato 3 parte IV D. Lgs. n. 152/2006). Violazione e falsa applicazione di legge (art. 3 della L. n. 241/90. Difetto di motivazione). Eccesso di potere per travisamento dei presupposti. Difetto di istruttoria, illogicità manifesta. Sviamento” e “V. Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 7, 8 e 10 L. n. 241/1990 e s.m.i.). Violazione e falsa applicazione di legge (art. 3 L. n. 241/1990 e s.m.i.: difetto di motivazione). Violazione e falsa applicazione di legge (art. 1 l. n. 241/1990 e s.m.i. e art- 97 Cost.). Eccesso di potere per difetto di istruttoria. Eccesso di potere per omesso e/o erroneo apprezzamento dei presupposti di fatto e di diritto. Eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà ed ingiustizia manifesta. Eccesso di potere per travisamento. Sviamento”.
3. Hi. ha chiesto la riforma della predetta sentenza, lamentandone l’erroneità e l’ingiustizia alla stregua di due serie di censure.
Con la prima, articolata in quattro motivi, è stato dedotto: “I. Sull’erroneità della sentenza del TAR Lecce n. 1383/2014 per violazione del principio di legalità, per contraddittorietà, illogicità, ingiustizia manifesta. Eccesso di potere giurisdizionale. Violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. Violazione degli artt. 1 e 2 cod. proc. amm.. Errore di fatto ed omessa valutazione della documentazione depositata in giudizio. Omessa, erronea e travisata applicazione del D. Lgs. n. 152/2006 e delle metodiche ufficiali di campionamento e di analisi delle acque sotterranee e dei suoli, delle linee guida APAT, delle regole tecniche di analisi dell’Istituto Superiore della Sanità del 16.4.2008. Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 53 e ss. D. Lgs. n. 152/2006; all. 3 par. 2, parte III D. Lgs. n. 152/2006; all. 5, parte IV D. Lgs. n. 152/2006, all. 2, parte IV D. Lgs. n. 152/2006). Difetto assoluto di motivazione. Violazione del principio comunitario “Chi inquina paga””; “II. Erroneità della sentenza del TAR Lecce n. 1383/2014 per violazione del principio di legalità, per contraddittorietà, illogicità, ingiustizia manifesta. Eccesso di potere giurisdizionale. Violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. Violazione degli artt. 1 e 2 cod. proc. amm.. Violazione e falsa applicazione del D. Lgs. n. 152/2006. Violazione e falsa applicazione del par. 2, all. 3, parte III e dell. 5, parte IV del D. Lgs. n. 152/2006. Errore di fatto ed omessa valutazione della documentazione depositata in giudizio sotto ulteriore profilo. Travisata applicazione del principio di “vicinanza della prova”. Violazione del principio comunitario “Chi inquina paga””; “III. Erroneità della sentenza del TAR Lecce n. 1383/2014 per violazione dell’art. 174 del Trattato UE e per violazione del principio comunitario “chi inquina paga”. Violazione della direttiva del Parlamento Europero n. 2006/0086. Violazione e falsa applicazione degli artt. 242, 244 e 311 D. Lgs. n. 152/2006. Erroneità per violazione del principio di legalità, per contraddittorietà, illogicità, ingiustizia manifesta. Eccesso di potere giurisdizionale. Violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. Violazione degli artt. 1 e 2 cod. proc. amm.” e “IV. Sull’erroneità della sentenza del TAR Lecce n. 641/2013 per violazione degli artt. 7, 8, 10 e 21 octies della legge n. 241/1990”.
Con la seconda serie di censure, sono stati poi espressamente riproposti il secondo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso di primo grado, asseritamente non esaminati nella sentenza impugnata.
Hanno resistito al gravame la Provincia di Taranto e l’Agenzia regionale per la protezione ambientale per la Puglia, che ne hanno dedotto l’inammissibilità e l’infondatezza ed hanno insistito per il suo rigetto.
4. All’udienza in camera di consiglio del 21 ottobre 2014, fissata per la decisione sull’istanza cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata, sull’accordo delle parti la causa è stata rinviata all’udienza del 21 gennaio 2015 direttamente per la trattazione del merito.
Nell’imminenza dell’udienza di trattazione le parti hanno illustrato con apposite memorie le proprie tesi difensive.
All’udienza pubblica del 20 gennaio 2015, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
5. La soluzione della controversia impone la precisazione del suo substrato fattuale.
5.1. In data 28 gennaio 2013 personale del Dipartimento provinciale di Taranto dell’ARPA Puglia e militari della Guardia di Finanza hanno effettuato un sopralluogo ispettivo presso l’impianto dí trattamento di rifiuti pericolosi di Hi., sito in Taranto, alla Contrada Rondinella (ricompreso nel Sito di Interesse Nazionale per le bonifiche di Taranto).
Nel corso delle relative operazioni è stata, tra l’altro, individuata una tubazione interrata in pvc, posta nelle adiacenze dell’impianto di trattamento fanghi della predetta Hi., ad una distanza di 1 m circa dal confine con lo stabilimento di En. S.p.A.: all’interno di detta tubazione in pvc è stata riscontrata una sostanza liquida e, non essendone chiare, né le origini, né la natura, ne è stato prelevato un campione ad una profondità di circa 4 metri dal piano di campagna, secondo le modalità puntualmente descritte nel verbale n. 177/ST del 28 gennaio 2013 (camp. n. 85).
5.2. Le analisi di quei campioni di liquido, giusta il Rapporto di Prova n. 350/13 del 4 luglio 2013, hanno evidenziato il superamento dei limiti previsti per le Concentrazioni Soglia di Contaminazione (CSC) nelle acque sotterranee (Tab.2 in Allegato 5 alla Parte 1V del D.Lgs. n°152/2006) per diverse sostanze.
L’ARPA ha confrontato i dati delle analisi relativi al campione prelevato con quelli relativi al monitoraggio idrochimico delle acque sotterranee nell’area confinante di pertinenza dell’impianto di raffinazione dell’En. S.p.A. nel periodo maggio-giugno 2011, riscontrando che: a) le concentrazioni delle sostanze rilevate nei piezometri posti nell’area di En. S.p.A. prossima al confine con lo stabilimento di Hi. (piezometri P170, P252 e P253) erano sensibilmente inferiori a quelle del campione prelevato dalla tubazione, relativamente a rame, zinco, vanadio, cromo, arsenico, selenio e nichel (con un rapporto variabile da circa 1:100 a circa 1:1000); anche per composti organici, quali BTEX ed oli minerali, vi erano concentrazioni circa 1000 volte inferiori rispetto al campione in oggetto, mentre per altri elementi (quali antimonio, cobalto, piombo, stagno, magnesio e calcio) che pure superavano i limiti previsti per le concentrazioni soglia di contaminazione, non era possibile operare a raffronti per l’assenza di dati comparativi; b) i metalli riscontrati nel rapporto di prova n°350/13 del 4 luglio 2013 erano, per un verso, tutti rinvenibili nei rifiuti trattati nell’impianto di Hi. e, per altro verso, non erano sempre direttamente correlabili, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, con le attività di En. S.p.A.; c) la contaminazione rinvenuta nel campione prelevato nella tubazione sita nell’area di Hi., tubazione collocata a monte dell’impianto di trattamento, induceva ad ipotizzare una potenziale immissione dell’inquinante piuttosto che una perdita dall’impianto verso il suolo (salvo ipotizzare, meno probabilmente, una perdita dell’impianto nel suolo).
Secondo l’ARPA, in definitiva, se a monte del sito di Hi. i dati rilevati risultavano sensibilmente inferiori a quelli rilevati nell’area gestita direttamente da Hi., era logico individuare quest’ultima come responsabile del potenziale inquinamento.
5.3. Nel corso del giudizio di primo grado, il Consiglio di Stato, adito in sede cautelare per l’annullamento dell’ordinanza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede staccata di Lecce, sez. I, n. 641 del 13 dicembre 2013, che aveva rigettato la richiesta di sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, ha disposto, con ordinanza n. 611 del 12 febbraio 2014, “…da parte dell’A.R.P.A la rinnovazione delle operazioni di sopralluogo e di campionamento sull’area dell’appellante, effettuando previamente lo spurgo del pozzo, le indagini preliminari sullo stato di contaminazione della falda acquifera con individuazione delle linee direttrici del flusso di falda, nonché prelievi nei pozzi – spia collocati a monte e a valle dell’area in questione. Il campionamento sull’area dell’appellante dovrà inoltre essere di tipo dinamico a’ sensi dell’art. 2, parte IV, del D. L.vo 3 aprile 2006 n. 152”.
Effettuato il sopralluogo in data 14 marzo 2014, l’ARPA Puglia ha redatto la relazione di servizio in data 20 marzo 2014 di servizio (cfr. produzione primo grado), nella quale:
– nel paragrafo denominato “premessa” si evidenzia che “la prima fase delle attività di campionamento consiste nell’individuazione dei piezometri e delle loro specifiche tecniche”, precisandosi che “Il pozzo spia riconosciuto come tale (foto n. 1), è visivamente, strutturalmente e funzionalmente diverso dai sondaggi del terreno (foto n. 2). Infatti il primo (pozzo spia) è costituito da una camicia in pvc/abs interrata, fessurata alla base, munita di filtro, con l’apice della tubatura che “pesca” alla base della cavità che contiene l’acqua sotterranea, cementato e munito di chiusino alla superficie. L’installazione di un piezometro prevede le seguenti fasi (vedasi par. 3.2.2. del manuale APAT 43/2006: a) realizzazione del foro sino alla base della cavità sotterranea dell’acquifero; b) posa in opera del tubo di rivestimento, finestrato in corrispondenza della falda, cieco nei tratti rimanenti; c) realizzazione del dreno in corrispondenza del tratto finestrato; d) realizzazione del setto impermeabile e cementazione. Inoltre è indispensabile il contesto geologico e morfologico dell’area, la stratigrafia locale, parametri idrodinamici dell’acquifero e rapporti tra acquifero e reticolo idrografico non già per il posizionamento preciso del pozzo ma anche per l’identificazione del monte/valle rispetto all’impianto, Le operazioni di cui sopra richiedono personale competente ed indagini preliminari complesse nel rispetto del manuale APAT ISPRA n° 46/2006. Lo studio dettagliato dell’idrologia e della stratigrafia nonché delle caratteristiche piezometriche (altezza, posizionamento dei filtri, ecc.) consente di strutturare il piezometro (completo oppure incompleto) in funzione non solo delle caratteristiche geomorfologiche del suolo ma anche del comportamento diverso che possono avere gli inquinanti in fase separata come oli, idrocarburi etc. E’ ipotizzabile la presenza di più falde, ciascuna dislocata in area e profondità diversa (fig. n° 2 – pag. 65 Manuale APAT 46/2006), Lo studio stratigrafico del suolo, l’ubicazione dei piezometri e la mappa idrogeologica con relative isopieze (flussi sotterranei delle acque) consentono altresì di intercettare tramite i piezometri ogni possibile contaminazione”. Nella premessa si aggiunge ancora che “I sondaggi nei terreni, contrassegnati nella “Mappatura dei punti dei punti di campionamento tav. 06 di Hi. Service s.r.l.” (MPC)…con i numeri 1-2-3-4, sono invece finalizzati soltanto al campionamento dei primi strati del suolo, con il carotaggio (asportazione di cilindri di terreno con apposite macchine perforatrici) e lo scavo che termina in frangia capillare (strato di terreno subito sopra la falsa), situata nel terreno ben al di sopra della cavità sotterranea contenente l’acqua di falsa. Quindi un semplice foro nel terreno”. Dato atto poi dell’acquisizione del piano di caratterizzazione di Hi. (dalla lettura del quale è risultato che ‘per la caratterizzazione dell’acquifero presente nel sottosuolo dell’area in oggetto, quattro dei sondaggi realizzati per la caratterizzazione del suolo verranno attrezzati a piezometro’), la relazione sottolinea che “come sopra dettagliato, con l’inequivocabile distinzione tra piezometro e sondaggio di terreno, soltanto con una complessa indagine idrogeologica nonché l’installazione di ben altre strutture, è possibile formalizzare la trasformazione di un sondaggio di terreno in piezometro”; che tali “Attività tecniche ed amministrative [non sono] mai [state] espletate da Hi.”; che “Tra questi sondaggi di terreno, il n. 1 della MPC, che corrisponde al tubo interrato sequestrato…. ed oggetto del contenzioso…NON E’ CONFORME AD UN PIEZOMETRO ed è pertanto un TUBO INTERRATO. Si deduce che il campionamento istantaneo effettuato dallo scrivente, relativamente al TUBO INTERRATO…è lecito, poiché non si applicano le procedure di campionamento previste per i piezometri di cui all’alleg. 2 parte IV Dlgs 152/06. Ai sensi dell’art. 242 del D. Lgs. 152/2006, il responsabile della contaminazione, e non ARPA, viste le evidenti tracce di rifiuti sull’imboccatura del tubo interrato nonché gli indiscutibili esiti dei rapporti di prova, è obbligato, ad un’indagine preliminare del terreno e delle acque sotterranee, attività che, avrebbero dovuto già espletare autonomamente con la comunicazione preventiva alle A.C.. Vi è inoltre da evidenziare che i sondaggi del terreno, nella fattispecie, rivestono ancor più rappresentatività delle acque sotterranee, in quanto il terreno custodisce le tracce di contaminazione remote, a differenza delle acque di falda che per loro natura, vengono continuamente rinnovate sia per la permeabilità del terreno che per le precipitazioni piovose”. Il paragrafo della premessa si conclude osservando che “La stessa Hi., nel suo piano di caratterizzazione dichiara:…la presenza nell’area di rocce permeabili che determinano un più o meno rapido assorbimento dell’acqua meteorica che nell’area cade con una media annua di 45 – 575. A causa di questo assorbimento viene a mancare una vera e propria idrografia superficiale. Da aggiungere, a tal proposito, che Hi. non ha completato la caratterizzazione dell’area…” con “..un piano di indagine preliminare che il Ministero ha prescritto con il sondaggio del suolo e delle acque sotterranee (sito SIN), allorquando alcuni [anni] or sono, si verificò l’incendio di un’autocisterna con sversamento di rifiuti, atteso che ad oggi non risultano o rapporti di prova dei sondaggi”;
– nel paragrafo “Campionamento piezometri”, si evidenzia che “Sebbene per le motivazioni su esposte, l’indagine preliminare è attività che non si riduce alla sola analisi di un piezometro a monte ed a valle dell’impianto, in data 14.03.3014…” si è proceduto ad effettuare presso lo stabilimento Hi. i prelievi ai due piezometri riconosciuti visivamente come tali, aggiungendosi che per effettuare lo spurgo (che può farsi per volumetria, dalle tre alle cinque volte le acque presenti nella camicia piezometrica oppure per stabilizzazione dei parametri chimico – fisici) “…era dunque necessario conoscere opportunamente il dimensionamento (altezza, diametro) del piezometro, la strumentazione per il campionamento e mappa idrogeologica per l’identificazione delle linee direttrici e mappa idrogeologica per l’identificazione delle linee direttrici del flusso di falda”, elementi richiesti a Hi., ma inutilmente (e d’altra parte non contenuti nel piano di caratterizzazione), così che non è stato possibile effettuare il campionamento dei piezometri;
– nel paragrafo relativo al “campionamento dinamico”, la relazione afferma che “si è dell’opinione, riguardo alle modalità di campionamento, che ai sensi dell’alleg. 2 parte IV Dlgs 152/06 per i due piezometri in questione, è consigliabile un campionamento statico anziché dinamico perché trattasi di pozzi non in emungimento e poco produttivi, con presumibile presenza di fase separata oli/idrocarburi”.
6. Ciò precisato, passando all’esame dei singoli motivi di gravame, si osserva quanto segue.
6.1. Possono essere esaminati congiuntamente i primi due motivi, rubricati rispettivamente il primo “I. Sull’erroneità della sentenza del TAR Lecce n. 1383/2014 per violazione del principio di legalità, per contraddittorietà, illogicità, ingiustizia manifesta. Eccesso di potere giurisdizionale. Violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. Violazione degli artt. 1 e 2 cod. proc. amm.. Errore di fatto ed omessa valutazione della documentazione depositata in giudizio. Omessa, erronea e travisata applicazione del D. Lgs. n. 152/2006 e delle metodiche ufficiali di campionamento e di analisi delle acque sotterranee e dei suoli, delle linee guida APAT, delle regole tecniche di analisi dell’Istituto Superiore della Sanità del 16.4.2008. Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 53 e ss. D. Lgs. n. 152/2006; all. 3 par. 2, parte III D. Lgs. n. 152/2006; all. 5, parte IV D. Lgs. n. 152/2006, all. 2, parte IV D. Lgs. n. 152/2006). Difetto assoluto di motivazione. Violazione del principio comunitario “Chi inquina paga”” ed il secondo “II. Erroneità della sentenza del TAR Lecce n. 1383/2014 per violazione del principio di legalità, per contraddittorietà, illogicità, ingiustizia manifesta. Eccesso di potere giurisdizionale. Violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. Violazione degli artt. 1 e 2 cod. proc. amm.. Violazione e falsa applicazione del D. Lgs. n. 152/2006. Violazione e falsa applicazione del par. 2, all. 3, parte III e dell. 5, parte IV del D. Lgs. n. 152/2006. Errore di fatto ed omessa valutazione della documentazione depositata in giudizio sotto ulteriore profilo. Travisata applicazione del principio di “vicinanza della prova”. Violazione del principio comunitario “Chi inquina paga””.
Secondo l’appellante, i primi giudici non avrebbero tenuto conto che la normativa di settore per la verifica della contaminazione delle acque di falda richiede che il liquido sia prelevato da un piezometro, che siano effettuate preliminari indagini sulle acque sotterranee, che il campionamento sia preceduto dalla spurgo dei piezometri e che sia effettuato con metodo dinamico, procedure che nel caso di specie non sarebbero state rispettate, ciò determinando l’inutilizzabilità dei risultati delle analisi del campionamento effettuato e la conseguente illegittimità dell’ordinanza impugnata; d’altra parte, sempre secondo l’appellante, se è vero che il prelievo operato in data 28 gennaio 2013 non poteva dirsi effettuato da un piezometro, ma soltanto da un semplice tubo, il liquido non poteva essere riconducibile alle acque di falda ed era un semplice rifiuto, il che rendeva ugualmente inutilizzabile l’esito delle analisi, dal momento che non trovava applicazione la tab. 2 dell’all. 5 della parte IV del D. Lgs. n. 152 del 2006 (che si riferisce esclusivamente alle acque sotterranee), bensì la tab. 1 dello stesso allegato.
Le suggestive doglianze non meritano accoglimento.
6.1.1. Occorre innanzitutto rilevare che le incertezze sulla esatta natura della tubatura dalla quale è stata prelevata la sostanza liquida esaminata, circostanza su cui è sostanzialmente incentrata la difesa dell’appellante per neutralizzare gli esiti delle analisi svolte, piuttosto che a presunte carenze istruttorie dell’amministrazione, devono essere ricollegate prevalentemente, se non addirittura esclusivamente, al comportamento, reticente e poco collaborativo, tenuto dai rappresentanti della stessa società ricorrente in occasione dei due ricordati sopralluoghi (oltre che alla stessa lacunosa predisposizione e successiva effettiva attuazione del piano di caratterizzazione, come appurato nel corso dell’ulteriore attività istruttoria svolta nel mese di marzo del 2014).
Quelle incertezze ed i non lineari comportamenti tenuti dalla società appellante non sono idonei ad inficiare l’attività svolta dagli uffici dell’amministrazione per assicurare e garantire l’interesse pubblico alla tutela ambientale del sito in esame.
6.1.2. Sotto un primo profilo deve infatti rilevarsi che, come accennato in precedenza, nel corso del sopralluogo effettuato in data 14 marzo 2014, in adempimento dell’ordinanza istruttoria n. 611 del 12 febbraio 2014 di questa stessa Sezione del Consiglio di Stato, è emerso, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il tubo interrato, già rinvenuto nel corso del sopralluogo del 28 gennaio 2013, non è affatto un piezometro, come sostenuto da Hi..
Ciò rende di per sé inapplicabili al caso di specie le procedure di campionamento di cui all’allegato 2, parte IV, del D, Lgs. n. 152 del 2006, ed infondate le censure con le quali l’appellante ne ha lamentato il mancato rispetto, in particolare il previo esperimento di indagini preliminari, l’effettuazioni di operazioni di spurgo ed il campionamento con metodo dinamico, ciò senza contare peraltro che anche quanto riguarda i piezometri effettivamente esistenti nell’impianto di Hi. la relazione ARPA del 20 marzo 2014 consiglia in ogni caso un campionamento statico, trattandosi “…di pozzi non in emungimento e poco produttivi, con presumibile presenza in fase separata oli/idrocarburi.
6.1.3. Sennonché all’accertata natura di mero tubo – e non già di piezometro – della tubatura riscontrata nel corso del sopralluogo del 28 gennaio 2013, non consegue l’inutilizzabilità degli esiti dell’analisi della campionatura della sostanza liquida prelevata e l’illegittimità dell’ordinanza impugnata, come sbrigativamente e suggestivamente sostenuto dall’appellante per il fatto di non poter essere considerata quel liquido come acqua di falda, con inapplicabilità dei valori soglia di cui all’allegato 2, parte IV, del D, Lgs. n. 152 del 2006, dovendo trovare invece applicazione quelli della tab. 1 dello stesso allegato, relativa alle soglie di contaminazione del suolo e del sottosuolo.
L’accoglimento di una simile prospettazione invero non terrebbe conto dell’effettivo dipanarsi dei fatti e consentirebbe alla società di sottrarsi ingiustamente alle proprie responsabilità.
6.1.4. Infatti, come emerge dalla lettura del verbale di sopralluogo n. 177/D/ST/12 del 28 gennaio 2013, il campione di “rifiuto liquido”, di origine ignota, presente nella “tubatura interrata” in pvc “…situata nelle adiacenze dell’impianto trattamento fanghi, a mt. 1 dal muro perimetrale di confine EN….” è stato prelevato ad una profondità di circa 4 mt….campione raccolto in n° 4 contenitori pe da 500 ml, n° 2 vials per volativi ed un falcon per metalli, le analisi da effettuare sono quelle relative ai parametri con la metodica vigente, del foglio allegato con codice CER 19 08 99 con aggiunta delle prescrizioni ARPA”.
Quel campione è stato prelevato come rifiuto liquido per essere esaminato come tale e come tale è stato trattato in laboratorio, secondo la classificazione di cui all’all. D allegato al D. Lgs. n. 152 del 2006, come evidenziato, senza alcuna specifica contestazione da parte dell’appellante, nella memoria difensiva di costituzione dell’ARPA (circostanza peraltro che di per sé giustifica, sotto altro concorrente profilo, il mancato spurgo della tubatura ed il metodo statico di campionamento utilizzato, essendo la finalità del prelievo quella di identificare il liquido e non il monitoraggio del livello qualitativo e quantitativo delle acque di falda”.
Solo successivamente alle operazioni di sopralluogo e prelevamento, come si rileva dalla relazione del 7 agosto 2013, Hi. ha precisato che quella tubatura era un piezometro o pozzo – spia (circostanza che, come si è detto, è risultata non veritiera a seguito del sopralluogo del 14 marzo 2014) ed allora quel campione è stato utilizzato per esprimere un giudizio di conformità con i limiti previsti per le acque sotterranee di cui all’alleg. 5, tab. 2, della parte IV, del titolo V, del D. lgs. n. 152 del 2006.
6.1.5. Ciò posto, indipendentemente da ogni considerazione sull’ondivago comportamento della società Hi., non improntato al generale dovere di buona fede che ha inciso sulla già di per sé complessa e delicata attività istruttoria, non può sottacersi che, come non irragionevolmente evidenziato dai primi giudici, il fatto che il liquido oggetto di campionatura sia stato prelevato dalla tubatura in questione ad una profondità di circa quattro metri rende del tutto verosimile che esso sia acqua di falda, tanto più che sul punto nessuna effettiva adeguata prova contraria, neppure a livello indiziario, è stata fornita dall’appellante, che, come accennato in precedenza, si è in realtà limitata a contestare del tutto genericamente le risultanze degli accertamenti svolti dall’amministrazione e le conclusioni dei primi giudici, con argomentazioni di carattere meramente logico – deduttivo imperniate sulle conseguenze della corretta denominazione (tubo o piezometro) della tubatura riscontrata, ai soli fini delle modalità delle analisi da compiere e sui valori soglia da tenere in considerazione.
6.1.6. E’ appena il caso di rilevare poi che la valutazione degli esiti delle analisi del campione prelevato, contenuta nella ricordata relazione dell’ufficio per dar conto dell’effettiva sussistenza della contaminazione (con particolare riguardo alla comparazione di quei dati con le concentrazioni dei piezometri in area EN.), in quanto espressione di discrezionalità tecnica, sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, tranne le ipotesi della manifesta irragionevolezza, illogicità, irrazionalità, arbitrarietà o travisamento dei fatti, di cui non vi è traccia nel caso di specie, non essendo per contro sufficiente l’eventuale opinabilità di tale valutazione: il che rende del tutto irrilevante le deduzioni dell’appellante circa l’asserito mancato esame delle perizie di parte prodotte per contestare quelle conclusioni, perizie che evidentemente si atteggiano quali mere soggettive opinioni dissezioni rispetto a quelle degli organi tecnici dell’amministrazione.
6.2. Con il secondo motivo di gravame, rubricato “III. Erroneità della sentenza del TAR Lecce n. 1383/2014 per violazione dell’art. 174 del Trattato UE e per violazione del principio comunitario “chi inquina paga”. Violazione della direttiva del Parlamento Europeo n. 2006/0086. Violazione e falsa applicazione degli artt. 242, 244 e 311 D. Lgs. n. 152/2006. Erroneità per violazione del principio di legalità, per contraddittorietà, illogicità, ingiustizia manifesta. Eccesso di potere giurisdizionale. Violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. Violazione degli artt. 1 e 2 cod. proc. amm.”, la società appellante ha sostanzialmente lamentato che non vi sarebbe alcun elemento certo, sicuro ed inequivocabile circa la riconducibilità della contaminazione accertata al proprio comportamento, con conseguente macroscopica violazione dei principi comunitari in materia, imperniati sul principio “chi inquina paga”.
Anche tale doglianza non merita condivisione.
Se è vero, infatti, che in applicazione degli invocati principi comunitari la responsabilità in materia ambientale non può essere di natura oggettiva, non potendo prescindersi dal fatto che la contaminazione o l’inquinamento debbano essere ricollegabili ad un comportamento (commissivo od omissivo) di un soggetto e a questi imputabile sotto il profilo psicologico, quanto meno a livello di colpa, deve sottolinearsi che l’imputazione dell’inquinamento ad un determinato soggetto può avvenire sia per condotte attive che per condotte omissive e la relativa prova può essere data in forma diretta o indiretta, potendo in quest’ultimo caso la pubblica amministrazione avvalersi anche di presunzioni semplici ex art. 2727 c.c., prendendo in considerazione elementi di fatto da cui si traggano indizi gravi, precisi e concordanti: sulla base di tali indizi deve risultare verosimile che si sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori (Cons. Stato, sez. V, 16 giugno 2009, n. 3885).
Nel caso di specie, posto che non può seriamente dubitarsi dell’effettiva sussistenza dello stato di contaminazione del sito, come emerso dalle adeguate analisi del campionamento del liquido prelevato, deve rilevarsi che nessun adeguato elemento probatorio, inequivoco ed oggettivo, è stato fornito dall’appellante per escludere la correttezza e la coerenza della comparazione svolta dall’ARPA tra i dati delle analisi del campione di liquido prelevato e le concentrazioni delle sostanze rilevate nei piezometri di EN., da cui è stato fatto conseguire, del tutto logicamente, secondo l’id quod plerumque accidit, la riferibilità di quella contaminazione esclusivamente all’attività svolta proprio da Hi..
Posto poi che non sono idonee a smentire le ricordate conclusioni dell’ARPA (le cui valutazioni, come già evidenziato, sono espressione di discrezionalità tecnica e come tale non sono di norma passibili di sindacato giurisdizionale, neppure quando sia opinabili – salve le ipotesi di irragionevolezza, irrazionalità, illogicità, arbitrarietà o travisamento di fatti, che non si rinvengono nel caso di specie) i rilievi dell’appellante, ancorché consacrati in perizie di parte, che si atteggiano a mere inammissibili opinioni dissenzienti dall’operato dell’amministrazione, deve in conclusione escludersi che la responsabilità di Hi. per la predetta contaminazione sia stata ricollegata al mero fatto della sola proprietà dell’impianto e dell’area su cui esso insiste.
6.3. Deve essere respinto anche il quarto motivo di gravame, rubricato “IV. Sull’erroneità della sentenza del TAR Lecce n. 641/2013 per violazione degli artt. 7, 8, 10 e 21 octies della legge n. 241/1990”, con il quale l’appellante ha lamentato che i primi giudici avrebbero frettolosamente ed immotivatamente respinto le censure relative all’omessa valutazione delle osservazioni proposte, laddove la loro serena considerazione avrebbe dovuto indurre alla ripetizione del campionamento, come peraltro sollecitato anche da questa sezione con la richiamata ordinanza n. 611 del 2014, non potendo trovare applicazione nel caso di specie la previsioni di cui all’art. 21 octies della legge 7 agosto 1990, n. 241, tanto più che né la Provincia di Taranto, né l’ARPA Puglia avevano provato che il provvedimento impugnato non avrebbe potuto avere un diverso contenuto.
Al riguardo occorre rilevare che non è dato comprendere quali sarebbero le osservazioni presentate da Hi., di cui l’amministrazione non avrebbe tenuto conto, giacché dalla lettura del provvedimento emerge che non sono neppure state presentate osservazioni scritte, eventualmente corredate da documenti, utili ai fini del procedimento in questione: la censura pertanto è assolutamente generica ed in ogni caso essa risulta infondata, non essendovi dubbi, sulla scorta delle osservazioni svolte nei paragrafi precedenti, sulla correttezza, adeguatezza, coerenza, affidabilità ed utilizzabilità del prelievo di liquido effettuato e sull’esito delle relative analisi (oltre che sulle ragionevole considerazioni svolte dall’ARPA).
Correttamente pertanto i primi giudici hanno escluso che in ogni caso le eventuali osservazioni presentate da Hi. avrebbero potuto condurre ad un provvedimento diverso da quello contestato, essendo appena il caso di rilevare che non è pertinente il richiamo operato dall’appellante al comma 2 dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990, atteso che non si versa in un’ipotesi di mancata comunicazione dell’avvio del procedimento (solo in relazione alla quale si richiede all’amministrazione la dimostrazione in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso).
6.4. Le considerazioni svolte in precedenza sub 6.1. e sub 6.2. rendono infondati i motivi di censura di primo grado (rubricati rispettivamente, “II. Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 242, 244 e 311 del d.lgs. n. 152/2006). Violazione del principio del “chi inquina paga”. Violazione e falsa applicazione di legge (art. 174 Trattato CE). Violazione e falsa applicazione di legge (art. 13, comma 3, della direttiva del Parlamento n. 2006/0086). Violazione e falsa applicazione di legge (paragrafo 2, allegato III, parte III, del d.lgs. n. 152/2006). Violazione e falsa applicazione di legge (art. 3 legge n. 241/1990 e s.m.i.: carenza di motivazione). Eccesso di potere per omesso apprezzamento dei presupposti di fatto e di diritto. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e contraddittorietà ed illogicità manifesta”; “III. Violazione e falsa applicazione di legge (art. 23 e 42 cost.). Violazione e falsa applicazione di legge (art. 21 septies l. n. 24111990 e s.m.i.: nullità dei provvedimenti impugnati per difetto assoluto di attribuzione). Violazione e falsa applicazione di legge (art. 3 della l. n. 241/1990. Difetto di motivazione). Eccesso di potere per travisamento dei presupposti, difetto di istruttoria, illogicità manifesta. Sviamento. Illegittimità del provvedimento per indeterminatezza” e “IV. Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 240, 242, 244, 250, 252, 253 del d.lgs. n. 152/2006, allegato 3 parte IV d.lgs. n. 152/2006). Violazione e falsa applicazione di legge (art. 3 della l. n. 241/1990. Difetto di motivazione). Eccesso di potere per travisamento dei presupposti, difetto di istruttoria, illogicità manifesta. sviamento”), che Hi. ha riproposto con l’atto di appello sull’assunto che essi non sarebbero stati esaminati dai primi giudici.
Tali censure infatti ribadiscono i presunti (ma infondati) vizi di difetto di adeguata istruttoria e di motivazione quanto allo svolgimento delle analisi sul liquido prelevato dalla tubatura riscontrata nell’impianto della società appellante ed in ordine all’accertamento della ricollegabilità di tale contaminazione all’attività svolta da Hi., essendo appena il caso di sottolineare, per un verso, che ai fini della legittimità dell’ordinanza impugnata non era neppure necessaria l’indicazione dei motivi di necessità ed urgenza che la giustificavano, questi essendo da considerare in ogni caso insiti nello stesso accertamento della contaminazione e, per altro verso, che la dedotta sussistenza di un inquinamento diffuso, cioè asseritamente ascrivibile ad una pluralità di fattori (circostanza peraltro di cui non è stata fornita ancora una volta alcun elemento probatorio neppure indiziante, tanto più in considerazione della convincente comparazione dei dati effettuata dall’ARPA), non è comunque idonea ad inficiare la correttezza, l’esausistività e l’adeguatezza dell’attività istruttoria svolta dall’amministrazione (e delle relative analisi) e la conseguente legittimità dell’ordinanza impugnata.
7. In conclusione l’appello deve essere respinto.
La peculiarità della controversia e delle questioni trattate giustifica nondimeno la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla società Hi. Service s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, sez. II, n. 1383 del 6 giugno 2014, lo respinge.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 gennaio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Alessandro Pajno – Presidente
Carlo Saltelli – Consigliere, Estensore
Antonio Amicuzzi – Consigliere
Doris Durante – Consigliere
Nicola Gaviano – Consigliere
Depositata in Segreteria il 22 maggio 2015.
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