Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 1 dicembre 2014, n. 5928

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUINTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7336 del 2014, proposto dall’ISTAT – ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, e domiciliato in (…);

contro

(OMISSIS) S.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati Cl.De. e Ma.Bo., con domicilio eletto presso il primo in (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Lazio – ROMA, Sez. III, n. 7753/2014, resa tra le parti, concernente un appalto per la fornitura di lavagne multimediali con relativo software di gestione.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di (OMISSIS) S.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 novembre 2014 il Cons. Nicola Gaviano e udito per la parte appellata l’avv. Ma.Bo.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

La società K. … s.r.l. (di seguito, la K.), risultata aggiudicataria provvisoria della gara indetta dall’ISTAT per la fornitura di lavagne multimediali e relativo software per un importo complessivo a base d’asta pari ad euro 190.350,00, con ricorso n. 6866 del 2011 impugnava con ricorso al T.A.R. per il Lazio la propria esclusione dalla procedura, disposta con atto n. 327 del 12 luglio 2011, e i provvedimenti consequenziali, ivi inclusa l’escussione della cauzione provvisoria, oltre che l’aggiudicazione definitiva accordata alla controinteressata.

L’esclusione era stata motivata dalla ragione che la ricorrente non avrebbe indicato, “come richiesto dal bando di gara a pena di esclusione al punto III.2.1) le eventuali condanne subite comprese quelle soggette alla non menzione”, alla luce del fatto “che in data 11.07.2011 sono pervenuti i certificati giudiziali del legale rappresentante, dal quale risulta nulla a suo carico (…) e del Direttore Tecnico, dal quale risultano numerosi reati in materia fiscale e finanziaria (certificato n. (…) del (…))”.

La ricorrente deduceva, tuttavia, di aver erroneamente indicato quale Direttore tecnico, nel proprio modulo di partecipazione, un soggetto che non ricopriva realmente tale ruolo, ma era solo un ordinario dipendente tecnico: sicché le condanne risultanti dal suo certificato penale non avrebbero potuto dispiegare alcuna influenza sull’aggiudicazione provvisoria già disposta in favore della stessa deducente.

Del resto, dati la natura della fornitura e l’oggetto sociale della ricorrente (commercio all’ingrosso, noleggio e manutenzione di apparecchiature elettroniche, fornitura di hardware e software), appena un minimo di istruttoria procedimentale ai sensi dell’art. 46 D.Lgs. 163/2006 sarebbe stato già sufficiente ad accertare l’insussistenza in seno alla K. della carica di Direttore tecnico, così chiarendo i termini di un documento da essa presentato, ma oggettivamente erroneo in parte qua.

L’errata indicazione si sarebbe dovuta consideraei, pertanto, come non apposta, potendo il profilo della moralità professionale dipendere unicamente dai trascorsi dei soggetti effettivamente rivestiti delle cariche individuate expressis verbis dal legislatore.

Anche ammettendo, infatti, la più ampia interpretazione del genus “Direttore tecnico”, in questo non si sarebbe potuto mai inquadrare un dipendente quale il sig. L..

Dunque, stante l’inesistenza di un Direttore tecnico della società, da questa non risultava essere stata emessa alcuna falsa dichiarazione, né ci si trovava in presenza di omissione alcuna nei termini rilevati dall’Amministrazione.

La ricorrente domandava anche la reintegrazione in forma specifica attraverso la propria riammissione alla procedura, e, in via subordinata, la condanna dell’ISTAT al risarcimento del danno per equivalente ai sensi dell’art. 124 C.P.A., con la conseguente declaratoria dei criteri in base ai quali la Stazione Appaltante avrebbe dovuto formulare la propria proposta riparatoria.

L’ISTAT si costituiva in giudizio in resistenza al ricorso, chiedendone il rigetto in quanto infondato.

La ricorrente depositava, in seguito, un atto di motivi aggiunti, avverso il provvedimento con il quale l’Istituto aveva ritenuto di non procedere in via di autotutela all’annullamento dei provvedimenti impugnati, e si era riservato anzi di attivare ulteriori provvedimenti sanzionatori ai sensi dell’art. 76 d.P.R. n. 445/2000.

All’esito del giudizio il T.A.R. adìto, con la sentenza n. 7753/2014 in epigrafe, accoglieva il ricorso e i motivi aggiunti, annullando i provvedimenti impugnati e condannando l’Amministrazione al risarcimento del danno per equivalente.

Seguiva la proposizione del presente appello da parte dell’ISTAT, articolato su tre motivi tesi ad evidenziare, rispettivamente: la legittimità dell’esclusione dell’appellata; l’inammissibilità ed infondatezza della sua domanda risarcitoria; infine, la carenza di motivazione alla base della statuizione del T.A.R. di annullamento di tutti gli atti impugnati.

Resisteva all’appello dell’Istituto la K., che con controricorso deduceva la sua infondatezza (anche per l’inammissibilità di qualsivoglia integrazione in sede di giudizio della motivazione del provvedimento di esclusione) e concludeva per la sua reiezione.

Con ordinanza in data 8 ottobre 2014 la domanda cautelare proposta dall’appellante veniva accolta, sospendendosi l’esecutività della sentenza appellata limitatamente alla condanna risarcitoria da essa disposta.

Alla pubblica udienza dell’11 novembre 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.

1 Rileva preliminarmente la Sezione che il contraddittorio processuale non richiede di essere integrato.

Vero è che l’appello dell’Amministrazione non è stato notificato all’originaria controinteressata, la Co. s.p.a..

L’art. 95 C.P.A. (“Parti del giudizio di impugnazione”), peraltro, nel suo primo comma recita: “L’impugnazione deve essere notificata, nelle cause inscindibili, a tutte le parti in causa e, negli altri casi, alle parti che hanno interesse a contraddire.”

La regola che si attaglia maggiormente al caso concreto è la seconda delle due testé viste, che limita il contraddittorio alle sole “parti che hanno interesse a contraddire.”

La necessità del contraddittorio è ristretta, pertanto, a quei soli soggetti che dall’accoglimento della nuova impugnativa potrebbero ricevere un pregiudizio, e non si estende a coloro che, pur essendo stati parti del giudizio di primo grado, dall’accoglimento dell’appello potrebbero ottenere solo un vantaggio, rivestendo in pratica una posizione di sostanziale cointeresse all’impugnazione (cfr. C.d.S., Ad. Pl., 24 marzo 2004, n. 7).

E proprio questa seconda è la posizione in cui versa ai fini del presente giudizio d’appello la società resasi conclusivamente aggiudicataria della commessa, che, mentre potrebbe trarre vantaggio da un accoglimento dell’impugnativa proposta dall’ISTAT, nel caso opposto non può ricavarne nocumento alcuno.

Da qui l’esclusione della necessità che il contraddittorio del giudizio di appello debba essere integrato.

2 L’appello, oltre che procedibile, è fondato, essendo meritevole di accoglimento il suo primo e assorbente mezzo.

2a Giova subito ricordare le considerazioni che hanno indotto il primo Giudice a ritenere fondata l’azione impugnatoria della K..

“Risulta, in primo luogo, evidente che l’indicazione del signor L. come direttore tecnico della società sia stato il frutto di un errore commesso dal compilatore della domanda di partecipazione: dalla visura camerale della società, dalla lettera di assunzione del signor L. e dalla busta paga nonché dal libro matricola risulta che egli non era il direttore tecnico e come tale non doveva prestare la dichiarazione ai sensi dell’art. 38 del D.Lgs. 163/2006 s.m.i , che, come riconosciuto dalla giurisprudenza maggioritaria (Cond. Stato, sez. V, n. 5693 dell’9.11.2013, sez. III, n. 768 dell’11.02.2013), non è suscettibile di analogica applicazione e non è quindi estendibile ai semplici dipendenti. Sarebbe pertanto bastato che la stazione appaltante chiedesse i chiarimenti ai sensi dell’art. 46 D.Lgs. 163/2006 ovvero accogliesse almeno la richiesta di provvedimenti in autotutela inviata dalla ricorrente il 28 luglio 2011, ove è fatto espresso riferimento al certificato camerale della società, da cui si evinceva chiaramente che vi era stato un errore nella compilazione del “Mod. Cam.”.

Inoltre, l’assenza del direttore tecnico nella compagine societaria della ricorrente poteva enuclearsi anche “a contrario” dalla circostanza della necessarietà di detta figura per quanto riguarda gli operatori economici titolari dell’attestazione SOA, dell’iscrizione all’Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti, dell’iscrizione al registro delle imprese che svolgono attività di derattizzazione, disinfestazione e sanificazione, tutte caratteristiche non presenti per quanto riguarda la società ricorrente, che dunque sarebbe stato possibile desumere per il tramite del certificato camerale ovvero di specifica richiesta, come sopra detto, ai sensi dell’art. 46 D.Lgs. 163/2006. Al contrario, la stazione appaltante ha escusso la cauzione e ha segnalato la società ricorrente all’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici ai fini dell’applicazione delle sanzioni ai sensi dell’art. 76 d.P.R. 445/2000, anche se l’organismo di vigilanza ha escluso, con il provvedimento n. VISF/C/11/7959 del 26/09/2012, la ricorrenza dei presupposti per dare inizio al procedimento di inserimento nel casellario informatico proprio inforza della dimostrazione attraverso il certificato della camera di commercio dell’assoluta inesistenza all’interno dell’impresa della figura professionale del direttore tecnico (decisione dell’AVCP del 26 settembre 2012 n. 250 SOAS/USI/11/79599.”

2b Orbene, la ragione di fondo della non condivisibilità di siffatta decisione risiede in ciò, che il Giudice di primo grado ha enfatizzato oltre modo il dovere di diligenza della Stazione appaltante, mentre ha obliterato quello dell’impresa che concorre in una pubblica gara.

Un punto fermo dal quale non è consentito prescindere è, infatti, quello che il legale rappresentante della società nell’ambito della propria documentazione di gara ha allegato un modello di autocertificazione (“Mod.Cam.”), formato ai sensi del d.P.R. n. 445/2000, nel quale, nel fornire le indicazioni richieste sul conto della società rappresentata, dichiarava proprio che il suo Direttore tecnico era il sig. L..

2c Ciò posto, non pare dubbio che gli accertamenti di competenza della Stazione appaltante e le sue conseguenti determinazioni potessero senz’altro –e, anzi, dovessero- muovere dal presupposto appena indicato, il quale, per il fatto di provenire dalla parte interessata, che lo aveva attestato mediante rituale dichiarazione sostitutiva ai sensi di legge, non richiedeva di essere sottoposto ad alcuna verifica preventiva.

L’intero sistema della disciplina delle procedure di evidenza pubblica poggia, invero, sulla presentazione, da parte delle imprese concorrenti, di dichiarazioni sostitutive che le vincolano in base all’elementare principio dell’autoresponsabilità, e che devono essere rese con diligenza e veridicità.

2d Né è corretto assumere che la dichiarazione della quale si tratta fosse affetta da un errore riconoscibile.

La visura della CCIAA asseritamente allegata agli stessi atti di gara non risulta, in realtà, essere stata sottoposta alla Stazione appaltante in sede di offerta. Per completezza si aggiunge, comunque, che tale documento, dall’appellata solo genericamente richiamato, non fornendo alcuna particolare indicazione sulla posizione del Direttore tecnico della società, non offriva con il necessario grado di evidenza alcun dato che potesse smentire la specifica attestazione resa con la dichiarazione sostitutiva (che riguardava, oltretutto, un’impresa di esigue dimensioni, il cui vertice non poteva quindi non conoscere il proprio personale).

2e In difetto di errore riconoscibile, pertanto, alcun onere di particolari approfondimenti poteva dirsi sorto in capo alla Stazione appaltante.

E poiché la dichiarazione resa dall’impresa era del tutto chiara ed univoca, non esistevano nemmeno i presupposti perché insorgesse la necessità di un’ipotetica applicazione dell’istituto del soccorso istruttorio mediante richiesta di chiarimenti ai sensi dell’art. 46 D.Lgs. n. 163/2006.

2f Ne consegue che l’impugnato provvedimento di esclusione si sottrae alle censure dedotte dall’originaria ricorrente, per il fatto di essere stato emanato secondo il senso letterale delle risultanze che la società stessa aveva fornito mediante la dichiarazione resa, con tutti i crismi dell’affidabilità, sotto la responsabilità giuridica del proprio organo rappresentativo.

2g Parimenti immune da vizi è la successiva determinazione con cui l’Istituto ha disatteso la richiesta della società di procedere in sede di autotutela all’annullamento dei provvedimenti impugnati.

Tanto per la semplice ragione, puntualmente dedotta con il presente appello, che con l’istanza della società così respinta, pur adducendosi l’esistenza di un errore alla base della dichiarazione dianzi resa, con la puntualizzazione che il predetto sig. L. sarebbe stato solo un “sempliceimpiegato tecnico”, non erano stati forniti elementi atti a dare dimostrazione di siffatto errore.

L’istanza si limitava, difatti, ad un generico richiamo alla visura della CCIAA asseritamente già agli atti della Stazione appaltante: richiamo in se stesso insufficiente, per quanto si è già detto, a ribaltare la qualificata valenza probatoria della dichiarazione sostitutiva che era stata resa proprio sullo specifico punto.

E’ stato soltanto in seguito, invece, dinanzi all’AVCP, che la società ha prodotto -in allegato alla memoria ivi depositata- ulteriori elementi documentali a sostegno del proprio asserto quali la lettera di assunzione del dipendente interessato, la sua busta paga ed il libro matricola, documenti che non possono però essere opposti ex post all’Istituto.

Da qui l’impossibilità di muovere alcun addebito di legittimità alla Stazione appaltante per aver confermato il proprio atto di esclusione.

3 Per le ragioni esposte, in conclusione, il presente appello va accolto, con il conseguente rigetto dell’originario ricorso introduttivo e dei relativi motivi aggiunti.

Le spese processuali del doppio grado di giudizio sono liquidate secondo la soccombenza dal seguente dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe n. 7336 del 2014, lo accoglie, e, per l’effetto, respinge il ricorso di primo grado n. 6866 del 2011 e i relativi motivi aggiunti

Condanna la società appellata al rimborso all’ISTAT delle spese processuali del doppio grado di giudizio, che liquida nella complessiva misura di euro millecinquecento, oltre gli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 11 novembre 2014 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti – Presidente

Carlo Saltelli – Consigliere

Fulvio Rocco – Consigliere

Antonio Bianchi – Consigliere

Nicola Gaviano – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 01 dicembre 2014.

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