CASSAZIONE

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 24 novembre 2014, n. 48734

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di Palermo, con sentenza dei 9 ottobre 2013, ha confermato la sentenza del Tribunale di Palermo del 15 novembre 2012 con la quale G.S. era stato condannato per il delitto di furto in un istituto scolastico.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando una violazione di legge e una motivazione illogica in merito alla ritenuta esistenza della prova del commesso reato, basata solo dalle risultanze di un’indagine dattiloscopica nonché in merito all’integrazione della fattispecie di cui all’articolo 624 bis cod.pen..

Considerato in diritto

1. Il ricorso non è meritevole di accoglimento.
2. Quanto al primo motivo si osserva come non solo pronunzie risalenti ma anche decisioni più recenti abbiano ribadito il principio mai abbandonato, nella interpretazione della valenza indiziaria delle impronte digitali, secondo cui il risultato delle indagini dattiloscopiche offra piena garanzia di attendibilità e possa costituire fonte di prova, senza elementi sussidiari di conferma, anche nel caso in cui esse siano relative all’impronta di un solo dito, purché abbiano evidenziato almeno sedici o diciassette punti caratteristici uguali per forma e posizione (v. Cass. Sez. II 2 aprile 2008 n. 16356 e di recente, Sez. V 26 febbraio 2010 n. 12792).
Si aggiunge, per la completezza del ragionamento induttivo, come la verifica dattiloscopica sia dotata di piena efficacia probatoria, senza bisogno di elementi sussidiari di conferma (purché sia individuata la sussistenza di almeno 16 punti caratteristici uguali), in quanto essa fornisce la certezza che la persona, con riguardo alla quale sia stata effettuata, si sia trovata sul luogo in cui sia stato commesso il reato; pertanto, legittimamente, in mancanza di giustificazioni su tale presenza, venga utilizzata dal Giudice ai fini del giudizio di colpevolezza.
In conclusione, è costante l’orientamento di questa Corte di legittimità che attribuisce grave valenza indiziaria al rinvenimento di una o più delle dette impronte digitali sul luogo di consumazione dei reato non abitualmente frequentato dall’imputato, elemento cui viene aggiunto quello della assenza di qualsiasi spiegazione al riguardo che valga a colorire diversamente il già eloquente elemento costituito dalla impronta.
Il che è quanto avvenuto nel caso di specie, avendo vieppiù la Corte territoriale logicamente motivato, in fatto attraverso le modalità di commissione (effrazione di una porta protetta esternamente da un’imposta di metallo ed internamente da un’imposta a barre di metallo e normalmente aperta durante l’orario scolastico), su quanto accertato in sede di indagini di Polizia giudiziaria e nonostante l’asserita frequentazione dell’imputato nei locali della scuola.

3. Quanto al secondo motivo, si osserva come secondo l’orientamento oramai costante della giurisprudenza di questa Corte sia da ritenersi luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora qualsiasi luogo nel quale le persone si trattengano per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della loro vita privata, come studi professionali, stabilimenti industriali ed esercizi commerciali (vedi, Cass. Sez. V 18 settembre 2007 n. 43089 e Sez. V 15 febbraio 2011 n. 10187).
La riportata interpretazione dell’articolo 624 bis cod.pen. appare del tutto corretta non solo sul piano letterale, ma anche su quello logico-sistematico perché il legislatore con la Legge 26 marzo 2001 n. 128, articolo 2, che ha introdotto l’articolo 624 bis cod.pen., ha voluto ampliare la portata della originaria previsione del furto in abitazione di cui all’articolo 625 cod.pen., n. 1, in modo da comprendere anche i luoghi destinati in tutto, abitazioni o in parte, gli altri luoghi indicati in precedenza, a privata dimora.
E in tale ottica la giurisprudenza ha ritenuto luogo destinato in parte a privata dimora i luoghi ove si compiono attività lavorative (v. Cass. Sez. IV 16 aprile 2008 n. 20022) e, quindi, anche gli studi professionali o una farmacia (v. Cass. Sez. IV 25 giugno 2009 n. 37908) una sagrestia (v. Cass. Sez. IV 30 settembre 2008 n. 40245) o un bar (v. Cass. Sez. V 2 luglio 2010 n. 30957).
Nella specie, il furto è stato commesso all’interno di un edificio scolastico e, quindi, senza dubbio all’interno di un edificio destinato ad un’attività di pubblico interesse, quale l’istruzione degli allievi, ma del pari è indubitabile come nel suddetto edificio si rinvengano, altresì, siti o locali nei quali i soggetti frequentanti la scuola si trattengano, in modo transitorio o cogente, per lo svolgimento di atti della loro vita privata (spogliatoi, cortili e sale di ricreazione).
4. Il rigetto del ricorso determina, per concludere, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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