Interdittiva antimafia; il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull’esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose.

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[…]

Come chiarito dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 6 aprile 2018, n. 3, si tratta di provvedimento amministrativo al quale deve essere riconosciuta natura cautelare e preventiva, in un’ottica di bilanciamento tra la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall’art. 41 Cost.; costituisce una misura volta – ad un tempo – alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica amministrazione. Tale provvedimento, infatti, mira a prevenire tentativi di infiltrazione mafiosa nelle imprese, volti a condizionare le scelte e gli indirizzi della Pubblica amministrazione e si pone in funzione di tutela sia dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento, riconosciuti dall’art. 97 Cost., sia dello svolgimento leale e corretto della concorrenza tra le stesse imprese nel mercato, sia, infine, del corretto utilizzo delle risorse pubbliche.
L’interdittiva esclude, dunque, che un imprenditore, persona fisica o giuridica, pur dotato di adeguati mezzi economici e di una altrettanto adeguata organizzazione, meriti la fiducia delle istituzioni (sia cioè da queste da considerarsi come “affidabile”) e possa essere, di conseguenza, titolare di rapporti contrattuali con le predette amministrazioni, ovvero destinatario di titoli abilitativi da queste rilasciati, come individuati dalla legge, ovvero ancora (come ricorre nel caso di specie) essere destinatario di “contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate”.
Ciò preliminarmente chiarito, va aggiunto che la misura interdittiva, essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull’esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificare il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata.
Ha aggiunto la Sezione terza che – pur essendo necessario che siano individuati (ed indicati) idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano l’instaurazione di un rapporto dell’impresa con la Pubblica amministrazione – non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l’interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l’ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo.
Il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più “probabile che non”, alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, quale è, anzitutto, anche quello mafioso (13 novembre 2017, n. 5214; 9 maggio 2016, n. 1743). Pertanto, gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione.
Gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente, dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.
La Sezione (7 febbraio 2018, n. 820) ha ancora chiarito che – quanto ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose – l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del “più probabile che non”, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto col proprio congiunto. Nei contesti sociali, in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una “influenza reciproca” di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza; una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della “famiglia”, sicché in una “famiglia” mafiosa anche il soggetto, che non sia attinto da pregiudizio mafioso, può subire, nolente, l’influenza del “capofamiglia” e dell’associazione. Hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza – su un’area più o meno estesa – del controllo di una “famiglia” e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti (a fortiori se questi non risultino avere proprie fonti legittime di reddito).
4. Applicando i sopradetti principi alla vicenda oggetto dell’attuale contendere i motivi di appello, proposti avverso l’interdittiva, non trovano favorevole esame e le motivazioni della sentenza del Tar devono essere confermate.
Non risulta infatti superato il presupposto su cui, nel caso in esame, si basa l’informativa, e cioè la vicinanza del sig. -OMISSIS– e, dunque, della sua ditta individuale “-OMISSIS-” – alla famiglia -OMISSIS– originaria della stessa frazione di -OMISSIS- del sig. -OMISSIS– che, a sua volta, è vicina alla cosca mafiosa -OMISSIS-.
In particolare, è ammesso dallo stesso appellante che era stato dipendente della ditta -OMISSIS-. Quest’ultima è la moglie di -OMISSIS–OMISSIS-e la cognata di -OMISSIS-, titolare di impresa individuale colpita da informativa antimafia e marito di -OMISSIS–OMISSIS-, sorella di -OMISSIS-e -OMISSIS–OMISSIS-.
Risulta agli atti che la famiglia -OMISSIS-è vicina alla cosca dei -OMISSIS-.
In particolare, -OMISSIS–OMISSIS-è stato ritenuto affiliato alla predetta cosca mafiosa. Il figlio -OMISSIS-è stato tratto in arresto nei 2003, unitamente ad altre 18 persone (tra le quali anche -OMISSIS-, pregiudicato per il 416 bis), nel corso del procedimento penale cd. “-OMISSIS-” per produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope. Scarcerato il -OMISSIS-, è stato sottoposto all’obbligo di dimora in luogo diverso da quello di residenza; è stato spesso controllato in compagnia di pregiudicati quali -OMISSIS-, già avvisato orale, con precedenti per ricettazione, tentata estorsione in concorso, rapina e altro; -OMISSIS–OMISSIS-, con precedenti per tentata estorsione, violazione in materia di controllo delle armi; -OMISSIS-, già sorvegliato speciale di Pubblica sicurezza con precedenti per associazione a delinquere di tipo mafioso, ritenuto vicino alla cosca mafiosa denominata “-OMISSIS-” e frequentatore di persone con pregiudizi penali, alcune delle quali vicine a locali consorterie mafiose; -OMISSIS-, già diffidato di P.S., con precedenti per furto in concorso, detenzione e porto abusivo di armi, sequestro di persona, tentata violenza privata; -OMISSIS–OMISSIS-, figlio di -OMISSIS–OMISSIS- ritenuto inserito nella cosa -OMISSIS-; -OMISSIS-, arrestato per il reato di tentata estorsione in concorso aggravata dalla modalità mafiosa e noto per accompagnarsi con pregiudicati, alcuni dei quali vicini a locali consorterie mafìose.
Un altro figlio di -OMISSIS–OMISSIS-, -OMISSIS–OMISSIS-, è stato tratto in arresto dai Carabinieri, di Crotone e poi condannato ad anni 19 di reclusione dalla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro, per il reato di tentato omicidio volontario in concorso mediante accensioni ed esplosioni pericolose in concorso. Era stato accusato di avere agito in un contesto di associazione a delinquere di stampo mafioso in seno alla ‘ndrangheta calabrese. Il suo nominativo compare, con quello del padre -OMISSIS-, nell’elenco dei soggetti arrestati per il 416 bis c.p. in esecuzione dell’ordine di custodia cautelare eseguita nel 1993 a carico di -OMISSIS- -OMISSIS-+ 104.
Nei lavori per l’Expo 2015 la ditta individuale -OMISSIS-era presente nel cantiere riguardante la tangenziale esterna di Milano, unitamente alla -OMISSIS-s.r.l. e alle imprese individuali -OMISSIS- e-OMISSIS-.
Si tratta di elementi che, ad avviso del Collegio – e contrariamente a quanto si afferma nel primo motivo di appello – ben possono fondare di per se soli la misura impugnata la quale, essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull’esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose. Aggiungasi che il semplice decorso del tempo non può costituire, da solo, elemento probante dell’assenza dell’attualità del tentativo di infiltrazione e la struttura clanica (fondata sulla famiglia) della mafia fa sì che anche il soggetto, che non sia attinto da pregiudizio mafioso, possa subire l’influenza dell’associazione criminale (Cons. St., sez. III, 7 novembre 2017, n. 5143).
Anche la circostanza che quattro dei nove mezzi di proprietà della ditta “-OMISSIS-” erano stato acquistati dalla -OMISSIS-s.r.l. è sintomo di un collegamento tra la ditta di cui è titolare l’appellante e gli ambienti mafiosi.
5. Tutti gli elementi sopra indicati sono dunque tali da giustificare l’impugnata informativa (senza che sia necessario disporre l’istruttoria richiesta dall’appellante), alla luce del principio, ampiamente argomentato, secondo cui i fatti che l’autorità prefettizia deve valorizzare prescindono dall’atteggiamento antigiuridico della volontà mostrato dai singoli e finanche da condotte penalmente rilevanti, non necessarie per la sua emissione, ma sono rilevanti nel loro valore oggettivo, storico, sintomatico, perché rivelatori del condizionamento che l’organizzazione mafiosa può esercitare sull’impresa, anche al di là e persino contro la volontà del singolo (Cons. St., sez. III, 10 gennaio 2018, n. 97).
Giova aggiungere che la valutazione del pericolo di infiltrazioni mafiose, di competenza del Prefetto, è connotata, per la specifica natura del giudizio formulato, dall’utilizzo di peculiari cognizioni di tecnica investigativa e poliziesca, che esclude la possibilità per il giudice amministrativo di sostituirvi la propria, ma non impedisce ad esso di rilevare se i fatti riferiti dal Prefetto configurino o meno la fattispecie prevista dalla legge e di formulare un giudizio di logicità e congruità con riguardo sia alle informazioni acquisite, sia alle valutazioni che il Prefetto ne abbia tratto (Cons. St., sez. III, n. 820 del 2018; n. 5130 del 2011; n. 2783 del 2004 e n. 4135 del 2006). L’ampia discrezionalità di apprezzamento del Prefetto in tema di tentativo di infiltrazione mafiosa comporta che la sua valutazione sia sindacabile in sede giurisdizionale in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre al sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell’informativa antimafia rimane estraneo l’accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento (Cons. St. n. 4724 del 2001). Tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che, per giurisprudenza costante, può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons. St. n. 7260 del 2010).
6. Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c.. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati, infatti, dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.
7. In conclusione, per i suesposti motivi, l’appello va respinto e va, dunque, confermata la sentenza di primo grado che ha respinto il ricorso di primo grado.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto dal sig. -OMISSIS-, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento, in favore del costituito Ministero dell’Interno, delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in E. 4.000,00 (euro quattromila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 aprile 2018 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Pierfrancesco Ungari – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere

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