In materia edilizia la giurisprudenza più recente ha da tempo specificato che la cd. vicinitas, cioè una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell’intervento costruttivo autorizzato, è sufficiente a radicare la legittimazione del confinante e che non è necessario accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall’atto impugnato comportino o no un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l’impugnazione

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 7 giugno 2018, n. 3460.

La massima estrapolata:

Se, in linea generale, l’interesse a ricorrere nel processo amministrativo è caratterizzato dagli stessi requisiti che qualificano l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., in materia edilizia la giurisprudenza più recente ha da tempo specificato che la cd. vicinitas, cioè una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell’intervento costruttivo autorizzato, è sufficiente a radicare la legittimazione del confinante e che non è necessario accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall’atto impugnato comportino o no un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l’impugnazione, in quanto la realizzazione di interventi che comportano un’alterazione del preesistente assetto urbanistico ed edilizio che è pregiudizievole in re ipsa in quanto consegue necessariamente dalla maggiore antropizzazione, dalla minore qualita’ panoramica, ambientale, paesaggistica e dalla possibile diminuzione del valore dell’immobile; ciò esime, di norma, il giudice da qualsiasi necessita’ di accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall’atto impugnato comportino o non un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l’impugnazione.

Sentenza 7 giugno 2018, n. 3460

Data udienza 31 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1892 del 2018, proposto dal signor St. Bo. e dalla signora Do. Ca. Va., rappresentati e difesi dall’avvocato Lu. Ma., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Il Comune di Padova, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Lo., Vi. Mi., Pa. Be. e Gi. Co., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Co. in Roma, via (…);
nei confronti
La S.p.a. Te. It., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Al. Tu., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo per il Veneto, Sezione II, n. 1060/2017, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Padova e della S.p.a. Te. It.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 31 maggio 2018 il Consigliere Oswald Leitner e uditi, per gli appellanti, l’avvocato Fe. Sc., su delega dell’avvocato Lu. Ma., per il Comune di Padova, l’avvocato Gi. Co. e, per la S.p.a. Te. It., l’avvocato Al. Tu.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con nota n. 57466 del 5 marzo 2015, la società Te. It. S.p.A. presentava al Comune di Padova una S.C.I.A. conforme al modello B di cui all’art. 87-bis del D.L.vo 1° agosto 2003, n. 259, per la realizzazione dei lavori di riconfigurazione di un’antenna S.R.B. già esistente, denominata PP65 – PD, sita in zona (omissis) – Via (omissis).
Decorso il termine di 30 giorni, l’intervento di riconfigurazione risultava efficace ai sensi del sopra richiamato art. 87-bis.
In data 4 agosto 2015 perveniva al Comune di Padova la comunicazione di fine lavori da parte di Te. It..
In data 1° agosto 2016, gli odierni appellanti, premettendo di essere residenti presso immobili di rispettiva proprietà ubicati in uno stabile confinante con l’edificio suddetto, hanno presentato al Comune di Padova una istanza volta ad ottenere dall’Amministrazione la verifica che la riconfigurazione della S.R.B. denominata PP65, operata in forza di S.C.I.A. n. 1313/2015 acquisita al prot. gen. n. 0057466/2015, sia stata eseguita in conformità ad adeguato titolo e, in ogni caso, in conformità rispetto a quanto previsto nel Regolamento comunale per l’installazione e l’esercizio degli impianti per la telefonia mobile e per le trasmissioni in standard DVB-H, approvato con la deliberazione di consiglio comunale n. 35 del 26 febbraio 2008, nonché nel Regolamento Edilizio Comunale approvato con la deliberazione consiliare n. 41 del 5 giugno 2006.
Nonostante gli appellanti avessero formulato, ai sensi ed agli effetti dell’art. 19, co. 6-ter, L. n. 241/1990 la predetta sollecitazione, il Comune è rimasto silente, oltre il termine di 180 giorni previsto dal “Regolamento sull’attività e i procedimenti amministrativi” del Comune di Padova, con riferimento ai procedimenti amministrativi volti all’accertamento degli abusi edilizi ed all’adozione dei relativi provvedimenti.
Con ricorso ex artt. 31 e 117 c.p.a., notificato in data 30 marzo 2017, gli odierni appellanti hanno quindi proposto, dinanzi al T.A.R. per il Veneto, azione avverso il silenzio, chiedendone la dichiarazione di illegittimità, oltre alla condanna del Comune di Padova a provvedere in ordine alla suddetta istanza ed a concludere il procedimento con un provvedimento espresso, con fissazione del relativo termine e nomina, in caso di inosservanza, di un Commissario ad acta che provvedesse in via sostitutiva a spese dell’Amministrazione.
Si sono costituiti in giudizio il Comune di Padova e Te. It. S.p.a., chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse e, comunque, il rigetto del ricorso per infondatezza nel merito.
Il T.A.R. ha dichiarato il ricorso inammissibile, per carenza d’interesse, rilevando che la sopra richiamata istanza in data 1° agosto 2016, che non sarebbe stata esaminata, non contenesse l’indicazione di profili di danno che parte ricorrente subirebbe per effetto della riconfigurazione dell’impianto.
Avverso tale sentenza hanno interposto gravame gli odierni appellanti, formulando tre motivi di appello.
Si sono costituiti in giudizio il Comune di Padova e Te. It. S.p.a., per resistere al gravame.
Nell’udienza del 31 maggio 2018, la causa è passata in decisione.

DIRITTO

1. Con il primo motivo di gravame, gli appellanti deducono che il rilievo del T.A.R. per cui l’istanza del 1° agosto 2016 non contiene l’indicazione di profili di danno che parte ricorrente subirebbe per effetto della riconfigurazione dell’impianto non potrebbe essere condivisa.
Essi lamentano la violazione di norme contenute nel Regolamento edilizio comunale e nel Regolamento comunale per l’installazione e l’esercizio degli impianti di telefonia mobile per le trasmissioni in standard DVB-H, il che avrebbe comunque fatto sorgere in capo all’Amministrazione comunale l’obbligo di provvedere in ordine all’istanza medesima.
Ad ogni modo, in punto di interesse, dovrebbe considerarsi, in primo luogo, che il danno subito dagli odierni appellanti rivestirebbe senz’altro i caratteri della concretezza e dell’attualità, laddove si consideri che la SRB oggetto di causa, oggetto di riconfigurazione e di innalzamento in altezza, ha un maggiore impatto visivo, indubbiamente negativo – oltre i limiti di tollerabilità – sull’estetica ed il decoro dell’immobile; la stessa occuperebbe, oggi ancora di più, il cono visuale sulla vista della città e dei Colli Euganei, determinando un indubbio nocumento alla vista del paesaggio, oltre che una consistente diminuzione del valore degli immobili così “oscurati”, il che risulterebbe evidente dalla documentazione fotografica prodotta.
In secondo luogo, gli odierni appellanti avrebbero allegato nel testo dell’istanza la loro qualità di confinanti, ritenendo la cd. vicinitas utile e sufficiente a fondare il loro interesse, in considerazione del fatto, tra l’altro, che l’oggetto dell’attività di controllo sollecitata all’Amministrazione riguardava la verifica dell’esecuzione della riconfigurazione della SRB fosse conforme ad adeguato titolo e, in ogni caso, alla normativa edilizia-urbanistica.
Peraltro, non mancherebbero pronunce giurisprudenziali che ritengono la mera vicinitas sufficiente a fondare l’interesse al ricorso, in particolare laddove le questioni sottese involgono il rispetto della normativa urbanistica-edilizia.
Ma, in ogni caso, l’interesse degli appellanti (in termini di nocumento alla veduta panoramica e di nocumento estetico per l’ampliamento dell’impatto visivo dovuto all’innalzamento dell’altezza del palo, nonché di conseguente deprezzamento del loro immobile), che pure sarebbe da considerarsi in re ipsa alla vicinitas, risulterebbe anche dalla documentazione fotografica prodotta in primo grado e dall’ulteriore allegata all’atto di appello.
2. Ritiene il Collegio che il motivo di gravame sia fondato.
2.1. Nel testo dell’istanza di sollecitazione ex art. 19, comma 6-ter, L. n. 241/1990, gli odierni appellanti hanno infatti allegato la propria qualità di confinanti, precisando opportunamente la loro posizione qualificata con l’atto d’appello, nel quale hanno dedotto in termini di nocumento alla veduta panoramica e di nocumento estetico per l’ampliamento dell’impatto visivo dovuto all’innalzamento dell’altezza del palo, nonché di conseguente deprezzamento dell’immobile, pregiudizi che risultano comprovati anche dalla documentazione fotografica prodotta in primo grado e da quella ulteriore, allegata all’atto di appello.
Sul punto questo Collegio ritiene, invero, di aderire alla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, sentenza 22 settembre 2014, n. 4764), secondo la quale “se in linea generale, l’interesse a ricorrere nel processo amministrativo è caratterizzato dagli stessi requisiti che qualificano l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., in materia edilizia la giurisprudenza più recente (…) ha da tempo specificato che la cd. vicinitas, cioè una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell’intervento costruttivo autorizzato, è sufficiente a radicare la legittimazione del confinante e che non è necessario accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall’atto impugnato comportino o no un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l’impugnazione, in quanto la realizzazione di interventi che comportano un’alterazione del preesistente assetto urbanistico ed edilizio che è pregiudizievole in re ipsa in quanto consegue necessariamente dalla maggiore antropizzazione, dalla minore qualità panoramica, ambientale, paesaggistica e dalla possibile diminuzione del valore dell’immobile; ciò esime, di norma, il giudice da qualsiasi necessità di accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall’atto impugnato comportino o non un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l’impugnazione”.
A maggior ragione, tali considerazioni rilevano quando, come nella specie, si deduca un pregiudizio derivante dall’impatto delle opere sulla panoramicità dei luoghi.
In conclusione, il T.A.R. ha dichiarato erroneamente l’inammissibilità del ricorso per carenza di rappresentazione di una posizione qualificata dei ricorrenti, a fronte di un’istanza che richiamava la loro qualità di confinanti e, quindi, la vicinitas rispetto al sito in contestazione, per cui era fondata su un interesse diretto alla verifica della compatibilità dell’impianto alle norme contenute nel Regolamento edilizio comunale e nel Regolamento comunale per l’installazione e l’esercizio degli impianti di telefonia mobile per le trasmissioni in standard DVB-H.
2.2. E’, poi, infondata l’eccezione del Comune di Padova di irricevibilità del ricorso di primo grado per tardività, conseguente, secondo l’Amministrazione comunale al fatto che il silenzio assenso alla SCIA si è perfezionato nel giugno 2015, i lavori si sono svolti e conclusi nell’agosto 2015 e la documentazione relativa all’intervento è stata consegnata agli appellanti nel luglio 2015, mentre il ricorso è stato proposto soltanto in data 4 aprile 2017.
Sul punto, infatti, va richiamata la giurisprudenza, secondo la quale “la funzione di vigilanza urbanistico-edilizia si caratterizza, infatti, per la mancanza di limiti temporali per il relativo esercizio e per l’inapplicabilità degli istituti della prescrizione e della decadenza. Il potere di repressione degli illeciti edilizi può essere esercitato, infatti, anche a distanza di tempo dalla violazione stessa, in considerazione della natura permanente dell’illecito in questione” (cfr. CGARS, Sez. Riunite, 10 aprile 2018, n. 192).
Tra l’altro, con specifico riferimento alla disciplina contenuta nell’art. 19 della L. n. 241/1990, non risulta fissato dalla richiamata norma, né è ricavabile aliunde dal sistema, il termine entro il quale il terzo deve presentare la propria istanza di sollecitazione delle verifiche amministrative.
Ed anche l’art. 31 c.p.a. prevede che, decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo e negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse può chiedere l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere e che l’azione può essere proposta fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento, termine che è stato senz’altro rispettato nel caso di specie.
Ne segue, quindi, l’infondatezza dell’eccezione di tardività sollevata dal Comune di Padova.
3. Con il secondo motivo di gravame, gli appellanti criticano la sentenza impugnata in punto statuizione sulle spese, laddove non sono stati considerati sussistenti i presupposti per la compensazione. Il giudice di primo grado, infatti, avrebbe quantomeno dovuto tener conto dell’esistenza del su richiamato orientamento giurisprudenziale che ritiene sufficiente la cd. vicinitas ai fini della sussistenza dell’interesse al ricorso.
Il T.A.R. ha condannato i ricorrenti soccombenti alla rifusione delle spese di lite, sul presupposto della dichiarazione di inammissibilità del ricorso e, quindi, in applicazione del principio della soccombenza, ai sensi del combinato disposto degli artt. 26 c.p.a. e 91 c.p.c..
4. Ritiene il Collegio che il primo giudice abbia erroneamente condannato i ricorrenti alla rifusione delle spese di lite: la riforma della statuizione di inammissibilità del ricorso di primo grado comporta la caducazione della conseguente statuizioni sulle spese.
5. Con il terzo motivo, infine, gli appellanti ripropongono il motivo del ricorso introduttivo in primo grado, non esaminato dal giudice di prime cure.
Con il motivo in esame, gli appellanti deducono che il Comune di Padova sarebbe stato obbligato ad espletare le richieste verifiche e, in ogni caso, a concludere il procedimento avviato con l’istanza ex art. 19, co. 6-ter, L. n. 241/1990 con l’adozione di un provvedimento espresso, entro il termine legalmente fissato.
6. Ritiene il Collegio che il motivo di gravame sia fondato.
L’art. 19, co. 6-ter, L. 241/1990, invero, costituisce la norma di riferimento in materia di tutela del terzo rispetto alle opere e alle attività realizzate a seguito di SCIA, in base alla quale il soggetto titolare di un interesse qualificato in relazione all’attività oggetto di SCIA, senz’altro ricorrente nel caso di specie, come si è già precisato in merito al primo motivo di gravame, può legittimamente richiedere (rectius, sollecitare) all’Amministrazione l’esercizio delle verifiche ad essa spettanti, al fine dell’esercizio dei poteri inibitori ovvero ai fini dell’esercizio del potere di autotutela da parte dell’Amministrazione, sussistendone i presupposti.
L’istanza de qua apre un procedimento amministrativo che obbliga l’Amministrazione richiesta a concluderlo con l’emanazione di un provvedimento espresso, entro i termini legalmente fissati, che decorrono dalla data di ricevimento dell’istanza.
Il predetto obbligo della pubblica amministrazione di provvedere, in ogni caso, con provvedimento espresso è sancito con l’art. 2 della L. n. 241/1990.
In materia di SCIA è stato affermato che l’autotutela amministrativa “si connota in modo peculiare perché: 1) essa non incide su un precedente provvedimento amministrativo e dunque si caratterizza per essere un atto di “primo grado” che deve, però, possedere i requisiti legittimanti l’atto di “secondo grado”; 2) l’Amministrazione, a fronte di una denuncia da parte del terzo, ha l’obbligo di procedere all’accertamento dei requisiti che potrebbero giustificare un suo intervento repressivo e ciò diversamente da quanto accade in presenza di un “normale” potere di autotutela che si connota per la sussistenza di una discrezionalità che attiene non solo al contenuto dell’atto ma anche all’an del procedere” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 3 novembre 2016, n. 4610).
Questo Consiglio ha inoltre avuto modo di affermare che la vigilanza edilizia costituisce funzione non discrezionale, di tal ché il confinante, che in ragione della cd. vicinitas gode di una legittimazione differenziata rispetto alla collettività, subendo gli effetti (nocivi) immediati e diretti della commissione dell’eventuale illecito edilizio “può pretendere l’esercizio di tali poteri vincolati e doverosi (donde incomparabilità di tale pretesa alle vicende dell’autotutela spontanea) e la relativa definizione mercé un provvedimento espresso, anche magari esplicitando l’erronea valutazione dei presupposti da parte dell’istante” (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 9 novembre 2015, n. 5087), sicché, in caso di inerzia dell’Amministrazione, egli potrà proporre l’azione ai sensi dell’art. 31 c.p.a..
Il Comune di Padova avrebbe quindi ben dovuto effettuare le verifiche richieste e, in ogni caso, avrebbe dovuto riscontrare l’istanza con un provvedimento espresso. Gli istanti avrebbero potuto così valutare, alla luce dei riscontri forniti dall’Amministrazione, la fondatezza o meno delle proprie doglianze ed eventualmente impugnare il provvedimento sfavorevole.
Atteso che il giudizio in esame verte sull’accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato rispetto alla sollecitazione del 1° agosto 2016 ex art. 19, comma 6-ter, L. n. 241/1990, è invece, estranea – ai fini della decisione – ogni questione relativa all’asserita illegittimità e conformità alle previsioni urbanistico-edilizie degli interventi di riconfigurazione eseguiti in forza della SCIA n. 1313/2015.
7. Conclusivamente, l’appello va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va dichiarata l’illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Padova in relazione alla sollecitazione ex art. 19, co. 6-ter, L. 241/1990, con conseguente condanna dell’Amministrazione a provvedere sulla predetta istanza e a concludere il procedimento con un provvedimento espresso, entro il termine di 60 giorni dalla comunicazione in via amministrativa o notificazione della presente sentenza, con nomina, fin d’ora, in caso di inosservanza di un Commissario ad acta, che viene individuato nella persona del Prefetto territorialmente competente, che provveda in via sostituiva a spese dell’Amministrazione.
8. Le spese del doppio grado di giudizio, così come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
9. Il Comune di Padova e la S.p.a. Te. It. sono tenuti a rifondere, in ragione di metà per ciascuno, agli appellanti il contributo unificato corrisposto per la proposizione dei ricorsi in primo grado ed in appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 1892 del 2018, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara l’illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Padova in relazione alla sollecitazione ex art. 19, co. 6-ter, L. 241/1990, con conseguente condanna dell’Amministrazione a provvedere sulla predetta istanza e concludere il procedimento con un provvedimento espresso, entro il termine di 60 giorni dalla comunicazione in via amministrativa o notificazione della presente sentenza, con nomina, fin d’ora, in caso di inosservanza di un Commissario ad acta, che viene individuato nella persona del Prefetto territorialmente competente, che provveda in via sostituiva a spese dell’Amministrazione.
Condanna il Comune di Padova e la S.p.a. Te. It. a rifondere, in ragione di metà per ciascuno, agli appellanti le spese del doppio grado di giudizio, liquidate nell’importo omnicomprensivo di Euro 3.000,00-, oltre accessori di legge.
Il Comune di Padova e la S.p.a. Te. It. sono tenuti, in ragione di metà per ciascuno, a rifondere agli appellanti il contributo unificato corrisposto per la proposizione dei ricorsi in primo grado ed in appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 31 maggio 2018, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Marco Buricelli – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere
Oswald Leitner – Consigliere, Estensore

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