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5. Ciò premesso, la descritta prospettazione della domanda si pone in contrasto con la regola generale espressa dall’art. 124 cod. proc. amm., secondo il quale il risarcimento del danno per equivalente da illegittima privazione dell’appalto deve essere “subito e provato” (comma 1).
Infatti, da un lato, l’appellante non ha indicato quale sarebbe il lucro cessante, e cioè l’utile che avrebbe conseguito se si fosse aggiudicata i due lotti di gara in contestazione, né ha fornito i criteri per la quantificazione di tali importi.
Analoghe considerazioni devono essere svolte con riguardo al danno emergente, non senza sottolineare che: le spese di partecipazione alla gara rimangono comunque un costo a carico dell’operatore economico anche in caso di aggiudicazione dell’appalto (ex multis: Cons. Stato, III, 30 aprile 2015, n. 1839; IV, 14 marzo 2016, n. 992; V, 26 luglio 2017, n. 3679, 24 luglio 2017, n. 3650, 31 ottobre 2016, n. 4562, 16 agosto 2016, n. 3634; VI, 17 febbraio 2017, n. 731); per quanto riguarda invece l’immobilizzazione di risorse umane e dei mezzi tecnici e la perdita di chance contrattuali alternative, tali conseguenze sono solo affermate in modo apodittico.
Sul punto va ancora soggiunto che il ricorso all’equità per la determinazione del quantum risarcitorio può essere ammesso soltanto in caso di impossibilità, o di estrema difficoltà, di fornire una precisa prova in ordine al preciso ammontare del danno, e non anche in caso di mancata allegazione imputabile alla parte (in tal senso: Cons. Stato, VI, 25 ottobre 2012, n. 5461; da ultimo: Cons. Stato, V, 14 agosto 2017, n. 4002).
6. Tutto ciò precisato, va sottolineato che, secondo quanto affermato da questa Sezione (sentenza 27 marzo 2017, n. 1373), l’interesse a base dell’impugnazione di una procedura di affidamento di un contratto pubblico va rapportato “ai possibili esiti satisfattori (ripristinatorio, restitutorio o risarcitorio, oltre la rinnovazione della gara), che l’ordinamento processuale amministrativo oggi – coerentemente al principio di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale – appronta con lo speciale “rito appalti” di cui agli artt. 119 e ss. Cod. proc. amm. a chi si assume illegittimamente leso nella sua aspettativa ad essere, mediante l’aggiudicazione, parte effettiva del contratto d’appalto”. In ragione di ciò – ha specificato la Sezione nella sentenza ora richiamata – nel giudizio in materia di appalti il ricorso è improcedibile una volta accertata l’infondatezza dei motivi diretti a conseguire l’aggiudicazione e quindi una volta constatata l’impossibilità di subentrare nel contratto o la possibilità di ottenere il risarcimento per equivalente monetario delle utilità dal medesimo contratto ritraibili.
La pronuncia ha anche ricordato che in una giurisdizione di diritto soggettivo quale quella amministrativa (cfr. in questo senso: Cons. Stato, Ad. plen., 13 aprile 2015, n. 4) il bene della vita consiste nell’essere parte effettiva del contratto d’appalto, di cui si asserisce l’illegittimo affidamento a terzi, e “non invece nel veder rispettate inter alios le forme di una contesa il cui esito resta comunque ad altrui vantaggio”. A questo specifico riguardo, la Sezione ha in particolare evidenziato che gli strumenti che l’ordinamento processuale predispone sono orientati ad assicurare realmente gli effetti oggettivi di una piena concorrenza nell’affidamento delle commesse pubbliche e che pertanto “l’annullamento giudiziale non costituisce più un bene in sé, ma un tramite per produrre immediatamente un’utilità effettiva e non meramente virtuale, ai fini della valutazione di concretezza e attualità dell’interesse a ricorrere (…) l’annullamento deve risultare prodromico ad utilità ulteriori”. Le quali utilità consistono, tra l’altro, nella: “rinnovazione del procedimento quanto a protagonisti, per modo di restituire al ricorrente l’opportunità di ottenere il bene della vita conteso”; oppure nel “subentro nella posizione contrattuale da cui è stato indebitamente pretermesso (ovvero all’esclusione o alla soccombenza di chi gli è stato preferito) per attribuirgli la stessa opportunità o senz’altro il bene”; o ancora nel “un ristoro monetario stimato equivalente alle opportunità concretamente perdute (chances) e a quanto egli dimostri aver speso per partecipare alla selezione (c.d. interesse negativo)”.
7. Per quanto finora rilevato la Ev. It. non potrebbe accedere a nessuna di queste utilità.
Infatti, l’odierna appellante non ha chiesto il subentro nei contratti di fornitura corrispondenti ai due lotti di gara in contestazione e non ha fatto valere l’utilità strumentale connessa al rinnovo della procedura di affidamento. L’unica forma di tutela azionata è quella del risarcimento per equivalente, ma con le carenze assertive e probatorie sopra accertate, le quali dovrebbero quindi condurre ad una pronuncia di inammissibilità dell’appello per difetto di interesse ad agire.
8. Nondimeno, nell’ambito della prospettiva risarcitoria le censure di legittimità riproposte con il presente appello sono anche infondate nel merito.
9. Quella con cui si contesta la mancata sottoposizione delle offerte dell’aggiudicataria In. It. Au. e della seconda classificata nel lotto 3, So. Bu. & Co., non implica alcun accertamento del diritto della Ev. It. a conseguire l’aggiudicazione nei due lotti di gara in contestazione. L’effetto dell’accoglimento di tale motivo di impugnazione sarebbe quello di un rinnovo parziale della procedura di gara, il cui esito è incerto. Infatti, le graduatorie dei due lotti potrebbero essere confermate, laddove la verifica di anomalia che la TP. sarebbe obbligata a svolgere sia positiva per le due società controinteressate.
La censura in esame ha quindi carattere meramente formale, nel senso che con essa si enucleano vizi del procedimento di gara, mentre a fini risarcitori occorre dedurre e provare che il provvedimento amministrativo in ipotesi illegittimo abbia impedito di conseguire il bene della vita ad esso sotteso (ex multis: Cons. Stato, Ad. plen., 3 dicembre 2008, n. 13; III, 23 gennaio 2015, n. 302; IV, 4 luglio 2017, n. 3255, 6 febbraio 2017, n. 489; V, 17 luglio 2017, n. 3505, 6 marzo 2017, n. 1037, 15 novembre 2016, n. 4718, 23 agosto 2016, n. 3674, 10 febbraio 2015, n. 675, 14 ottobre 2014, n. 5115; VI, 30 novembre 2016, n. 5042).
Dalle considerazioni ora svolte è dunque evidente che nessun risarcimento del danno da mancato potrebbe essere riconosciuto a favore della Ev. It. in conseguenza dell’accoglimento della censura in esame, poiché non è certo che le offerte delle due controinteressate sono anomale e come tali da escludere.
10. Va del pari respinto il secondo motivo d’appello, diretto a sostenere che l’aggiudicataria In. It. Au. non avrebbe potuto essere invitata alla gara, a causa del fatto che con la Turchia, dove è situata la sua produzione industriale, non vi è alcun accordo ex art. 47 d.lgs. n. 163 del 2006.
Questa disposizione del previgente codice dei contratti pubblici è inserita nella parte II, relativa ai contratti nei settori ordinari, mentre quello in contestazione è pacificamente un contratto nei settori speciali di cui alla parte III del medesimo codice. Inoltre, lo stesso art. 47 non è incluso tra le disposizioni applicabili a quest’ultimo settore ai sensi dell’art. 206 d.lgs. n. 163 del 2006 o in virtù di autovincolo dell’ente aggiudicatore.
11. Rispetto alle offerte contenenti prodotti originari di Paesi terzi è invece applicabile ai contratti pubblici relativi ai settori speciali l’art. 234, che nel secondo motivo d’appello in esame la Ev. It. ritiene comunque violato, per le medesime ragioni esposte con riguardo alla censura di violazione dell’art. 47 d.lgs. n. 163 del 2006.
Sennonché, come controdeducono le parti appellate, la prima delle disposizioni ora richiamate prevede al comma 2 una facoltà e non già un obbligo di esclusione delle offerte recanti forniture di prodotti provenienti per oltre il 50% da Paesi terzi e di questa facoltà la TP. non risulta essersi avvalsa in sede di predisposizione della normativa di gara.
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