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La doglianza appare però inammissibile e, comunque, infondata.
Sotto il primo profilo, va evidenziato come l’appellante, lungi dal riproporre i motivi di appello non esaminati nel corso del primo grado di giudizio, si limiti ad una formula di mero stile, inidonea però ad assolvere l’onere minimo di allegazione in capo all’appellante.
Non diversamente può intendersi infatti, la generica indicazione per cui “I motivi giudicati assorbiti con il provvedimento impugnato sono in ogni caso riproposti nel presente atto d’appello conformemente alle disposizioni dell’art. 101, comma 2 c.p.a.”, laddove i suddetti motivi neppure vengono esplicitamente enunciati, anche solo a scopo riassuntivo.
In ogni caso, deve respingersi la tesi secondo cui l’assorbimento dei motivi di ricorso dovrebbe considerarsi in linea di principio vietato dall’ordinamento processuale amministrativo: invero, la stessa Ad. plen. 27 aprile 2015, n. 5 di questo Consiglio, richiamata dall’appellante, non esclude certo tale principio, chiarendo (p.to 9.2 delle motivazioni) che “nel processo amministrativo, la tecnica dell’assorbimento dei motivi deve ritenersi legittima quando è espressione consapevole del controllo esercitato dal giudice sull’esercizio della funzione pubblica e se è rigorosamente limitata ai soli casi disciplinati dalla legge ovvero quando sussista un rapporto di stretta e chiara continenza, pregiudizialità o implicazione logica tra la censura accolta e quella non esaminata”.
Al riguardo, la stessa pronuncia enuncia il principio per cui, nel giudizio impugnatorio di legittimità, l’unicità o pluralità di domande proposte dalle parti, mediante ricorso principale, motivi aggiunti o ricorso incidentale, si determina esclusivamente in funzione della richiesta di annullamento di uno o più provvedimenti.
In particolare, laddove il giudice ritenga che, a fronte di una domanda di annullamento basata su diversi motivi, sia configurabile pur sempre un’unica domanda (come giustappunto accade nel caso in esame), allora sarà anche possibile predicare il possibile assorbimento dei sottesi motivi.
Nel caso di specie, il giudice di prime cure aveva fatto ricorso al principio dell’assorbimento per ragioni di economia processuale, come nel caso di reiezione fondata su una pluralità di ragioni ostative, ognuna delle quali autonomamente idonea a supportare la determinazione finale negativa: ipotesi nella quale è sufficiente che anche una sola delle ragioni ostative resista al vaglio del giudice (come si era appunto verificato, una volta ammessa l’operatività del principio di rotazione), perché l’impugnativa avverso il provvedimento negativo venga respinta (ex multis, Cons. Stato, VI, 4 marzo 2015, n. 1059; V, 10 febbraio 2015; VI, 20 ottobre 2014, n. 5159).
Per le ragioni sovra espose, l’appello va dunque respinto e con esso pure le istanze risarcitorie di Sh. So..
La particolarità delle questioni trattate giustifica peraltro, ad avviso del Collegio, l’integrale compensazione – tra le parti – delle spese di lite del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta,
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa integralmente tra le parti le spese di lite del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 novembre 2017 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Fabio Franconiero – Consigliere
Raffaele Prosperi – Consigliere
Valerio Perotti – Consigliere, Estensore
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