La stipula di una convenzione accessiva alla concessione amministrativa non preclude all’autorità comunale l’esercizio del potere autoritativo di revoca

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 11 giugno 2018, n. 3602.

La massima estrapolata:

La stipula di una convenzione accessiva alla concessione amministrativa non preclude all’autorità comunale l’esercizio del potere autoritativo di revoca in presenza dei relativi presupposti e che detto esercizio del potere di ritiro dell’atto presupponga sempre la valutazione dell’interesse pubblico sopravvenuto ovvero, nei casi consentiti, una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.

Sentenza 11 giugno 2018, n. 3602

Data udienza 12 aprile 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 665 del 2009, proposto da:
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Bi. Be. e Se. Zu., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Bi. Be. in Roma, via (omissis);
contro
Ol. Nu. S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati En. In. e Ma. Co., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Co. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PIEMONTE – TORINO, Sez. I, n. 1491/2008, resa tra le parti, concernente dichiarazione di risoluzione concessione del diritto di superficie.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 aprile 2018 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e uditi per le parti gli avvocati Zu. Se. e Co. Gi., su dichiarata delega di Co. Ma.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il Comune di (omissis) ha impugnato la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, accogliendo il ricorso proposto dalla società Ol. Nu. s.r.l., ha annullato la deliberazione della Giunta municipale del 15 maggio 1999, n. 154, con la quale si era disposto di procedere alla risoluzione della concessione del diritto di superficie in suo favore, di dare atto che nulla era dovuto alla concessionaria in conseguenza della risoluzione contrattuale e di dare notificazione della deliberazione quale preavviso di risoluzione previsto in convenzione.
1.1. La società ricorrente aveva dedotto:
– col primo motivo, “violazione di legge, con particolare riferimento all’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Illegittimità della delibera di risoluzione della concessione del diritto di superficie alla Ol. Nu. s.r.l. e di cui alla convenzione stipulata il 26.10.1993, n. 2672 per omesso rispetto dell’obbligo della comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo al soggetto (Ol. Nu. s.r.l.) nei confronti del quale il provvedimento finale è destinato a produrre effetti. Eccesso di potere in relazione al principio di buon andamento dell’attività della P.A. e della necessità per l’Autorità procedente (Comune di (omissis)) di acquisire e comparare nel procedimento tutti gli interessi in esso coinvolti. Eccesso di potere per sviamento”;
– col secondo motivo, “eccesso di potere per inesistenza, carenza, illogicità, contraddittorietà, falsità e perplessità della motivazione. Ancora, eccesso di potere sotto ulteriori profili.”. Con questo motivo, esposti gli eventi in successione cronologica, la ricorrente aveva censurato l’iter argomentativo contenuto nella motivazione del provvedimento impugnato e nella relazione legale allegata, rilevando, secondo quanto riassunto nella sentenza impugnata, che ” 1) non era trascorso un anno dal rilascio delle concessioni edilizie quando era subentrato il loro annullamento, per cui non poteva imputarsi alla Ol. Nu. s.r.l. alcuna inadempienza, tenuto conto che nessun termine inferiore all’anno era stato imposto dalla stessa amministrazione comunale per l’avvio dei lavori; 2) comunque i lavori erano iniziati in virtù di scavi e recinzioni già effettuate ed era stato proprio l’annullamento imposto dal Comune a bloccare ogni ulteriore attività della società concessionaria; 3) la Ol. Nu. s.r.l. si era attivata in sede processuale per una celere definizione del contenzioso avverso l’annullamento delle concessioni edilizie presentando diverse istanze di prelievo e comunque era stata l’amministrazione comunale a non ottemperare per tre anni ad un’istanza istruttoria […].; 4) era il Comune di (omissis) a dover formare lo strumento urbanistico esecutivo (S.U.E.) e non necessariamente su impulso della società ricorrente; 5) inconsistente era l’argomentazione legata al trascorrere del tempo in relazione all’iniziale interesse pubblico per l’attuazione dell’opera, atteso che il trascorrere del tempo senza la prosecuzione della costruzione era da imputare integralmente al Comune di (omissis); 6) la valutazione di esiguità del canone era assolutamente sfornita di qualsiasi supporto e non teneva conto degli ingenti oneri della concessionaria; 7) la destinazione dell’area non consentiva comunque altro uso, se era necessario uno S.U.E., né la Ol. Nu. s.r.l. poteva utilizzarla in altro modo, per cui nuovamente non poteva essere imputato a lei lo stato di abbandono; 8) l’interesse pubblico era stato già valutato nel 1992 e non erano subentrate particolari ragioni diverse idonee a confutare tale giudizio di utilità pubblica per la realizzazione del centro natatorio polivalente, tenuto conto che a tale scopo non poteva essere invocata la ritenuta inerzia della Ol. Nu. s.r.l.”. Aveva perciò concluso che non avrebbe potuto essere ritenuto legittimo il richiamo all’art. 11 della convenzione per disporre la risoluzione della concessione.
1.2. Il Comune di (omissis) si era costituito in giudizio e, con memoria difensiva depositata in prossimità della pubblica udienza, aveva sostenuto la natura privatistica, di tipo contrattuale, della convenzione stipulata e quindi l’inammissibilità del ricorso, perché il fondamento genetico della risoluzione si sarebbe dovuto rinvenire nella clausola contrattuale di cui all’art. 11 della convenzione, e non nella deliberazione della Giunta municipale; di conseguenza, aveva dedotto l’inapplicabilità dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, riferibile al procedimento amministrativo, non agli accordi tra privati; nel merito, aveva comunque rilevato l’infondatezza del ricorso.
2. Il Tribunale adìto ha:
a) respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso perché la controversia, pur essendo insorta successivamente alla sottoscrizione della convenzione tra la società ricorrente e il Comune di (omissis) concernente la concessione del diritto di superficie per anni novanta, su aree di proprietà comunale, aveva ad oggetto la deliberazione della Giunta comunale di risoluzione unilaterale della stessa, la quale si palesa come provvedimento a carattere autoritativo, fondato sulla valutazione dell’interesse pubblico, con conseguente posizione di interesse legittimo del concessionario e giurisdizione del giudice amministrativo;
b) ritenuto infondato il primo motivo di ricorso, relativo alla mancata comunicazione di avvio del procedimento, perché, indipendentemente dall’eccezione di inapplicabilità dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, sollevata dal Comune di (omissis), l’impugnata deliberazione della Giunta, in esecuzione dell’art. 11 della convenzione, specificava al punto 3) del dispositivo che la stessa avrebbe dovuto essere notificata alla Ol. Nu. s.r.l. “quale preavviso, dando atto che la convenzione si intende senz’altro risolta decorsi nove mesi dalla notifica stessa”; pertanto, la comunicazione di avvio del procedimento non era necessaria, in quanto la risoluzione sarebbe divenuta operativa al decorso del periodo di preavviso, nel quale la società ricorrente si sarebbe potuta attivare per presentare le proprie ragioni e chiedere un intervento in autotutela;
c) ritenuto fondato il secondo motivo in ordine alla deduzione di contraddittorietà, illogicità e perplessità della motivazione del provvedimento impugnato, condividendo le osservazioni critiche della società ricorrente e respingendo le difese del Comune.
3. Per la riforma di questa sentenza il Comune di (omissis) formula quattro motivi di appello.
La società Ol. Nu. s.r.l. resiste al gravame.
Le parti hanno depositato memorie difensive e repliche.
Alla pubblica udienza del 12 aprile 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.
4. Col primo motivo (Errata motivazione in ordine alla efficacia giuridica dell’art. 11 della convenzione stipulata in data 26.10.1993), l’appellante deduce che la convenzione sottoscritta tra il Comune di (omissis) e la società Ol. Nu. s.r.l. in data 26 ottobre 1993 contiene all’art. 11 una clausola, avente rilevanza sul piano “contrattualistico”, in forza della quale la società concessionaria avrebbe riconosciuto al Comune concedente la facoltà di “risoluzione” del contratto, che il Comune avrebbe potuto comunicare “in qualsiasi momento” ed “a suo insindacabile giudizio”, senza che possa essere sindacata la sussistenza dell’interesse pubblico all’attivazione da parte della p.a.
In sintesi, il Comune avrebbe agito, non nell’esercizio di un potere autoritativo, bensì in forza di una facoltà di risoluzione, che troverebbe giustificazione nell’accordo delle parti, nel principio di autonomia e libera determinazione contrattuale.
4.1. Il motivo è infondato.
In primo luogo è decisivo rilevare che la deliberazione della Giunta municipale impugnata dalla società concessionaria sia motivata con riferimento all’interesse pubblico sotteso all’atto di ritiro.
Pertanto il riferimento alla (asserita) facoltà contrattuale, che il Comune ha compiutamente svolto in sede giurisdizionale, a seguito dell’impugnazione della delibera di revoca, si pone in contrasto col principio generale per cui l’amministrazione non può integrare ex post la motivazione del provvedimento oggetto di giudizio.
4.2. D’altra parte, è pienamente condivisibile l’interpretazione dell’art. 11 della convenzione del 26 ottobre 1993 (“Il Comune, per ragioni di pubblico interesse, si riserva la facoltà di risoluzione del contratto, in qualsiasi momento, a suo insindacabile giudizio”) contenuta nella sentenza di primo grado, sia perché rispondente al tenore letterale della clausola pattizia, sia perché coerente con i criteri di interpretazione dei provvedimenti amministrativi e di esercizio del potere autoritativo di revoca, previa valutazione del pubblico interesse.
Sotto il primo profilo, non può che essere ribadito che la clausola de qua non si presenta come una clausola di risoluzione automatica della convenzione al verificarsi di un determinato evento o presupposto, ma, mediante il richiamo espresso alle “ragioni di pubblico interesse”, presuppone che l’esercizio di tale facoltà sia oggetto di apposita preliminare valutazione da parte dell’ente pubblico proprio per la sua natura unilaterale, ma pur sempre funzionale all’interesse pubblico.
Insomma tale “facoltà”, pur se convenzionalmente prevista ed impropriamente qualificata come “risoluzione”, si configura piuttosto come esercizio del potere autoritativo di revoca dell’accordo, riservato all’ente pubblico per “ragioni di pubblico interesse”, alla stregua della previsione generale dell’art. 21 quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241 (da tenere in considerazione, come si dirà, anche se la delibera della Giunta municipale è stata adottata prima della sua introduzione nella legge generale sul procedimento amministrativo).
Sotto il secondo profilo, è ius receptum nella giurisprudenza amministrativa che la stipula di una convenzione accessiva alla concessione amministrativa non precluda all’autorità comunale l’esercizio del potere autoritativo di revoca in presenza dei relativi presupposti e che detto esercizio del potere di ritiro dell’atto presupponga sempre la valutazione dell’interesse pubblico sopravvenuto ovvero, nei casi consentiti, una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.
Ne consegue che la delibera di Giunta impugnata, con la quale il Comune di (omissis) ha risolto la concessione del diritto di superficie alla Ol. Nu. s.r.l. di cui alla convenzione stipulata in data 26 ottobre 1993, è sindacabile dal giudice amministrativo, sia pure nei limiti in cui è consentito il controllo giurisdizionale di legittimità sugli atti discrezionali della pubblica amministrazione.
Il primo motivo di appello va respinto.
5. Col secondo motivo l’appellante deduce l’errore del giudice di primo grado “nel ritenere fondato il secondo motivo di ricorso in ordine a presunta contraddittorietà, illogicità e perplessità della motivazione”.
Per cogliere appieno le ragioni poste a fondamento dell’annullamento deciso in primo grado, è opportuno dare conto dei seguenti fatti di causa, precedenti l’adozione dell’atto impugnato, come riassunti nella sentenza di primo grado:
“Il Consiglio Comunale di (omissis), con deliberazione n. 25 del 24 luglio 1992, acquisiti l’anno precedente dei terreni al fine di costruire un centro natatorio polivalente, disponeva di concedere in diritto di superficie, per un periodo di novanta anni, i terreni ivi indicati, per complessivi, mq. 34.822, alla Ol. Nu. s.r.l. affiliata C.O.N.I., alle condizioni di cui ad una allegata bozza di convenzione, pure contestualmente approvata, per il fine evidenziato. In tale deliberazione era pure specificato che i vari progetti esecutivi erano da presentarsi a cura della Ol. Nu. s.r.l. e che sarebbero stati eseguiti solo dopo il rilascio di regolare concessione edilizia, salva la realizzazione di parcheggi sulle rimanenti aree in seguito all’approvazione di separati atti deliberativi.
Il medesimo Consiglio Comunale, con deliberazione n. 2 dell’8 marzo 1993, approvava il Piano Pluriennale di Attuazione in cui era previsto anche tale intervento e, con deliberazione n. 25 del 16 giugno 1993, disponeva alcune modifiche alla convenzione approvata l’anno precedente.
La definitiva convenzione tra il Comune e la Ol. Nu. s.r.l. era quindi sottoscritta il 26 ottobre 1993.
In data 28 luglio 1994 il legale rappresentante della Ol. Nu. s.r.l. presentava due domande di concessione edilizia per la costruzione del centro natatorio in questione, per due lotti separati in relazione alle modalità di finanziamento delle opere.
In data 26 settembre 1994, previo parere favorevole della Commissione Edilizia, erano rilasciate le due concessioni edilizie richieste, cui seguiva, da parte della società interessata, la comunicazione di avvio dei lavori e l’inizio delle opere preparatorie nonché l’avvio delle pratiche per il relativo finanziamento per il credito sportivo.
Con ordinanza n. 141 del 12 ottobre 1995, però, il Sindaco del Comune di (omissis) annullava le due concessioni edilizie rilasciate, motivando in ordine alla riscontrata “assenza di preventiva formazione di strumento urbanistico esecutivo, in violazione dell’art. 36 delle N.T.A. del P.R.G.I”, all’assenza di un concreto inizio dei lavori – limitati ad uno scavo e recinzione provvisoria – ed alla consapevolezza di un non intervenuto consolidamento della posizione del privato.
Avverso tale provvedimento la Ol. Nu. s.r.l. proponeva ricorso […] e lo stesso era successivamente accolto con sentenza […] n. 1055 del 21 maggio 2002, ritenendo prevalente il motivo di ricorso formale in ordine alla omessa comunicazione dell’avvio del procedimento. Tale sentenza era poi riformata dal Consiglio di Stato, con decisione della Sezione Quinta, n. 3060/05 del 10 giugno 2005, su appello della stessa Ol. Nu. s.r.l., riscontrando che la posizione sostanziale fatta valere con il ricorso di primo grado non era integralmente soddisfatta dal semplice annullamento del provvedimento impugnato e che, su specifico appello del ricorrente in primo grado, era necessario pronunciarsi anche sulle altre censure per ottenere un giudicato completamente satisfattivo degli interessi ritenuti lesi. Di conseguenza, il Consiglio di Stato accoglieva il ricorso in appello, rilevando, nella sostanza, che la motivazione addotta nel provvedimento di annullamento delle due concessioni edilizie era non condivisibile, in quanto nel caso di specie, pur in difetto dello specifico strumento urbanistico esecutivo richiesto dalle N.T.A., il complesso degli atti posti in essere dall’Amministrazione comunale e le opere di urbanizzazione già realizzate, in correlazione con gli impegni ulteriori assunti dalle parti, erano sufficientemente idonei a fare ritenere realizzata la fattispecie prevista dal combinato disposto degli artt. 32, comma 3, l.r. Piemonte n. 56/77 e 27, commi 6 e 7, l.n. 856/71. “.
Nelle more del processo concluso con tale ultima decisione, il Comune di (omissis) adottava la deliberazione n. 154/1999 del 15 maggio 1999, oggetto del presente giudizio.
5.1. Tale deliberazione è così motivata:
“Ritenuto che, fin dall’origine, la convenzione non consentiva il perseguimento del concreto interesse pubblico, dato che gli onere apparentemente di pubblico interesse assunti dalla società concessionaria (artt. 5 e 6 della Convenzione) costituiscono ordinaria e abituale gestione di qualsiasi impianto sportivo privato aperto al pubblico, mentre l’irrisorio canone e la libertà tariffaria consentivano una totale gestione privata dell’impianto stesso;
Ritenuto, comunque, che, allo stato, sussiste interesse del Comune ad una utilizzazione effettiva del bene pubblico, non risultando ulteriormente tollerabile l’attuale totale abbandono e l’irrisoria redditività assicurata dalla Convenzione;
Ritenuto che, seppure sia trascorso oltre un quinquennio, la posizione della società concessionaria non si è consolidata con l’esecuzione di opere ed esercizio delle stesse e, pertanto, risulta decisamente prevalente l’interesse pubblico a rimuovere l’attuale stato di abbandono del bene pubblico; […]”.
5.2. L’appellante critica le argomentazioni poste a fondamento della sentenza, sostenendo che, contrariamente a quanto affermato nella motivazione, l’amministrazione comunale, secondo i principi della diligenza amministrativa, sarebbe stata obbligata a rivalutare, così come ha fatto, l’interesse della collettività al momento in cui ha adottato la deliberazione di “risoluzione” (meglio di revoca) della concessione. Infatti:
– ha rivalutato l’interesse originario, escludendo che la concessione fin dall’origine fosse idonea al concreto perseguimento di un interesse pubblico;
– ha verificato l’insussistenza attuale dell’interesse del Comune all’utilizzazione effettiva del bene pubblico, con la tipologia e le caratteristiche funzionali che erano state previste;
– ha ritenuto prevalente rimuovere l’attuale totale stato di abbandono delle aree e l’irrisoria redditività assicurata dalla convenzione;
– ha effettuato una valutazione comparativa del prevalente interesse del Comune di (omissis) con la posizione della società concessionaria, con riferimento alla situazione oggettiva dello stato dei luoghi (riscontrati in totale stato di abbandono).
L’appellante contesta poi le affermazioni della sentenza circa la non imputabilità al concessionario del ritardo nell’avvio dei lavori (a causa dell’annullamento delle concessioni edilizie, poi ritenuto illegittimo in sede giurisdizionale), osservando che comunque detta non imputabilità non potrebbe interferire nella valutazione dell’interesse pubblico da cui scaturisce la necessità o l’opportunità della revoca.
Aggiunge ancora che: la valutazione di tale interesse pubblico, chiaramente enunciato nell’atto amministrativo impugnato, non sarebbe sindacabile nel merito dal giudice amministrativo; contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, il Comune non avrebbe dovuto indicare nel provvedimento di revoca a quali altri e diversi usi avrebbe destinato le aree in questione, ben potendosi riservare una diversa programmazione del territorio; inoltre l’amministrazione non era tenuta a considerare contestualmente l’eventuale diritto all’indennizzo del concessionario, il quale, in caso di ritenuto pregiudizio a situazioni consolidate, ben avrebbe potuto agire in separata sede.
5.3. Il motivo è fondato.
5.3.1. In diritto occorre premettere che l’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990, sia nella versione introdotta dalla legge n. 15 del 2005, che, a maggior ragione, in quella attualmente vigente, a seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 164 del 2014, non era ancora in vigore alla data di adozione del provvedimento di revoca in esame.
Tuttavia, essendo stata la norma introdotta a seguito di elaborazione dottrinale e giurisprudenziale in punto di presupposti legittimanti il potere di revoca della pubblica amministrazione, essa fornisce valido riscontro normativo dell’impostazione da preferire nel valutare la legittimità dell’atto di autotutela incidente sul rapporto.
Oltre alla rilevanza da attribuire ai sopravvenuti motivi di pubblico interesse, cioè agli interessi nuovi che sopravvengano all’adozione del provvedimento, è in effetti consentita, a determinate condizioni, una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario e parimenti rilevante è il mutamento della situazione di fatto, con l’unico limite -introdotto dalle ultime modifiche- della imprevedibilità al momento dell’adozione del provvedimento.
5.3.2. Fermo quindi l’obbligo della p.a. di esporre adeguatamente le ragioni della propria determinazione di procedere al ritiro dell’atto, nel rispetto anche dei principi di buona fede e correttezza e della tutela dell’affidamento ingenerato nel privato, il controllo giurisdizionale non può riguardare il merito delle valutazioni di opportunità compiute dalla parte pubblica, ma soltanto la sussistenza dei presupposti per l’esercizio del potere.
Nel caso di specie, la constatata situazione di fatto dei luoghi, venutasi a determinare a seguito di avvio dei lavori soltanto parziale (opere di scavo, posa di recinzione e tracciamento di accesso) da parte del concessionario e successivo completo abbandono, bene è stata considerata dalla p.a. quale fatto oggettivo sopravvenuto idoneo a consentire la rivalutazione dell’interesse pubblico originario, nonché la valutazione degli ulteriori e diversi interessi pubblici venuti in rilievo tra la stipula della convenzione accessiva alla concessione ed il provvedimento di revoca.
Ad avviso della Sezione, l’imputabilità della sopravvenuta situazione di fatto al concessionario ovvero alla stessa amministrazione concedente non rileva, in sé, come limite all’esercizio da parte di quest’ultima del proprio potere di revoca. Piuttosto, è evidente che qualora sia stato proprio un fatto della pubblica amministrazione a determinare la situazione rilevante per l’adozione del provvedimento di revoca (come sostiene la società appellata in tutti i suoi scritti difensivi, ribadendo che lo stato di abbandono sarebbe dovuto al factum principis, peraltro illegittimo), la revoca stessa, adottata in presenza dei presupposti di legge, è comunque legittima, ma la p.a. può essere chiamata a rispondere di eventuali pregiudizi causati al privato a titolo risarcitorio, ove si riscontri l’elemento soggettivo del dolo o della colpa (cfr., da ultimo, Cons. Stato, V, 6 novembre 2017, n. 5091) ovvero a titolo indennitario, come esplicitamente previsto dall’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990, nel testo attualmente vigente.
5.3.3. Ne consegue che, nella presente sede, in cui non vi è da delibare alcuna pretesa, risarcitoria o indennitaria, avanzata dalla società concessionaria, non vi è spazio a dibattere dell’imputabilità al Comune di (omissis) dello stato di abbandono dei luoghi, perché connesso all’annullamento delle concessioni edilizie rilasciate in favore della società concessionaria o comunque alla mancata approvazione dello S.U.E., come sostiene la società appellata.
Parimenti non vi è luogo a dibattere della responsabilità della società concessionaria per inadempimenti agli obblighi imposti al concessionario dalla convenzione, contestuali o successivi all’inizio dei lavori, o per l’inerzia eventualmente legata all’avvio dei lavori (su cui si intrattengono sia la sentenza di primo grado sia la società appellata, che ribadisce, anche in appello, di aver posto in essere attività preparatorie e di cantiere idonee a dare luogo all’inizio dei lavori e che non si sarebbero potuti pretendere nei suoi confronti ulteriori investimenti, a fronte dell’inerzia del Comune nell’approvazione del S.U.E., peraltro nemmeno necessario). Infatti, non è in discussione un provvedimento del Comune di decadenza per mancato avvio dei lavori né è in discussione la risoluzione della convenzione per inadempimento della società concessionaria.
5.3.4. Piuttosto, trattandosi di revoca adottata nell’esercizio del potere autoritativo dell’ente pubblico concedente, occorre verificare se ed a quali condizioni fosse rivalutabile l’interesse originario e se l’amministrazione abbia enunciato nel provvedimento di revoca altri sopravvenuti motivi di interesse pubblico sufficienti alla sua adozione, contestualmente alla rivalutazione dell’interesse pubblico originario.
Quanto al primo profilo, è vero che -come affermato nella sentenza di primo grado- il provvedimento di revoca non ha espressamente rivalutato e confutato la motivazione della deliberazione del consiglio comunale n. 25 del 24 luglio 1992, con la quale si era prevista la concessione del diritto di superficie dell’area al fine di “…disporre di un centro natatorio di una certa dimensione …”, essendo la relativa necessità “[…] avvertita non soltanto dalla popolazione locale ma anche da quelle dei Comuni limitrofi per cui il Comune di (omissis) è centro di bacino […]”. Tuttavia, essendo decorsi quasi sette anni dall’adozione della delibera consiliare e trovandosi i lavori di realizzazione del centro ancora allo stato embrionale, quando è stata adottata la revoca, la p.a., pur non espressamente smentendo il precedente deliberato, non è incorsa in eccesso di potere nel valutare che fosse preminente l’interesse all’utilizzazione “effettiva” del bene pubblico anche con modalità alternative al rapporto concessorio in atto, considerato che la finalità oggetto della delibera del consiglio comunale non era stata comunque conseguita (non rileva, come detto, se per fatto imputabile alla società concessionaria ovvero allo stesso ente concedente).
D’altronde, pur non applicandosi in via diretta l’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990, va sottolineato che l’esclusione della revoca basata su una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario è limitata ai provvedimento di autorizzazione e di attribuzione di vantaggi economici, quindi non ai provvedimenti concessori in generale.
Quanto poi alla rivalutazione dell’originario assetto di interessi mediante il riferimento contenuto nell’atto impugnato all’irrisoria redditività assicurata dalla convenzione, la motivazione non appare illogica né contraddittoria, così come ritenuta dal primo giudice. In disparte il sopravvenuto stato di abbandono dei luoghi e la sua imputabilità allo stesso Comune, valorizzata dal T.a.r. e della cui irrilevanza invece si è già detto, la circostanza che il Comune, con la convenzione, riconoscesse, come elemento determinante, gli obiettivi di carattere sportivo ed aggregativo dello statuto della concessionaria, facendoli propri (art. 2), non è decisiva per escludere dall’ambito di considerazione dei pubblici interessi rilevanti per l’ente pubblico anche quello collegato alla redditività del bene ed alla rimuneratività della concessione, come all’opposto sostenuto dal primo giudice.
Parimenti non è decisiva la mancata indicazione, da parte del Comune degli “altri e diversi usi” ai quali “il Comune avrebbe potuto destinare le aree in questione se permaneva […] l’interesse pubblico di bacino alla realizzazione di un impianto natatorio”.
E’ corretta la critica che l’appellante rivolge alla sentenza impugnata di primo grado laddove afferma che “L’interesse pubblico a rimuovere l’attuale stato di abbandono del bene pubblico […]”, indicato nella deliberazione impugnata, è da intendersi come motivo di pubblico interesse sopravvenuto in ragione della situazione dei luoghi constatata dal Comune. Detto interesse pubblico, considerato unitamente all’interesse dell’ente territoriale a conseguire una redditività del bene maggiore di quella assicurata dalla convenzione (da intendersi come rivalutazione dell’interesse pubblico originario, alla luce della situazione sopravvenuta) forniscono alla motivazione del provvedimento di revoca un adeguato supporto, tale da giustificare logicamente e razionalmente la scelta amministrativa, senza che fosse necessaria l’ulteriore specificazione circa la futura destinazione dell’area.
Come evidenziato nell’atto di appello, l’ente territoriale, proprio a seguito della risoluzione del rapporto con la Ol. Nu. s.r.l., avrebbe potuto diversamente pianificare l’uso del territorio, valutando le eventuali diverse opportunità.
5.3.5. A ciò si aggiunga che la deliberazione n. 154/1999 contiene la valutazione comparativa dei contrapposti interessi, con la constatazione, da parte del Comune, dell’esistenza di una situazione di fatto tale da non compromettere significativamente alcun legittimo affidamento in capo alla società, in ragione della mancata esecuzione e del mancato esercizio delle opere.
Pertanto, fatto salvo quanto già detto a proposito dell’eventuale sussistenza dei presupposti per la tutela risarcitoria o indennitaria della concessionaria, la valutazione di preminenza dell’interesse pubblico alla rimozione dello stato di abbandono e ad una diversa modalità di utilizzazione immediata del bene non è sindacabile in ambito giurisdizionale.
5.3.6. Giova ancora aggiungere – tenuto conto delle difese svolte dalla società appellata – che le vicende del parallelo giudizio seguito all’impugnativa dell’annullamento delle concessioni edilizie (ed in particolare l’ordinanza istruttoria del 6 marzo 1996 richiamata dalla difesa della Ol. Nu. s.r.l.) non risultano determinanti, in quanto l’amministrazione non ha assunto a fondamento della propria determinazione un (asserito) obbligo di provvedere a seguito di dette vicende, ma ha preso le mosse dalla constatazione della mancata realizzazione del centro natatorio e del permanente stato di abbandono dei luoghi.
L’assunto dell’appellata secondo cui quest’ultimo sarebbe stato posto in essere “artatamente” dal Comune di (omissis) è privo di riscontro.
Quanto, poi, alla prevedibilità dell’evoluzione della situazione a causa dell’annullamento delle concessioni edilizie, sostenuta sempre dalla società appellata, va detto che, la prevedibilità delle sopravvenienze idonea a limitare il potere di revoca della p.a. va riferita al momento di adozione del provvedimento revocato. Nel caso di specie, al momento della stipula della convenzione accessiva alla concessione, si ritenne che le concessioni edilizie ben avrebbero potuto essere rilasciate alla società concessionaria, tanto è vero che seguì effettivamente il loro rilascio (con i numeri 3328 e 3329 in data 9 novembre 1994); solo in un secondo momento, in data 12 ottobre 1995, il Sindaco si determinò all’annullamento, che diede luogo alla vicenda processuale di cui si è detto, non prevedibile, in sé e nei suoi successivi sviluppi, quando venne stipulata la convenzione del 26 ottobre 1993.
6. In conclusione, in accoglimento del secondo motivo di appello ed in riforma della sentenza di primo grado, va respinto il ricorso proposto dalla società Ol. Nu. s.r.l. contro la delibera della Giunta municipale del Comune di (omissis) n. 154 del 15 maggio 1999.
Restano assorbiti il terzo ed il quarto motivo di appello, rispettivamente concernenti un asserito inadempimento della società concessionaria agli obblighi posti a suo carico dalla convenzione e la condanna del Comune al pagamento delle spese del primo grado, fermo restando quanto in tema di spese al paragrafo seguente.
9.1. Sussistono giusti motivi per compensare le spese di entrambi i gradi, ai sensi dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ., nel testo vigente prima delle modifiche apportate dalla legge n. 69 del 2009 e succ. mod. (applicabile ratione temporis, considerata la data di instaurazione del presente giudizio).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, respinge l’originario ricorso della Ol. Nu. s.r.l.
Compensa le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 aprile 2018 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli – Presidente
Roberto Giovagnoli – Consigliere
Angela Rotondano – Consigliere
Stefano Fantini – Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca – Consigliere, Estensore

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