Il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova puo’ essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia

Corte di Cassazione, sezione sesta lavoro, Ordinanza 24 maggio 2018, n. 12994.

Le massime estrapolate:

Il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova puo’ essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilita’, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento.
In tema di spese processuali, la facolta’ di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non e’ tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facolta’, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualita’ di una compensazione, non puo’ essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione.

Ordinanza 24 maggio 2018, n. 12994

Data udienza 22 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere

Dott. GHINOY Paola – Consigliere

Dott. DI PAOLA Luigi – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso n. 10202/2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 496/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 21/02/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 22/02/2018 dal Consigliere Dott. LUIGI DI PAOLA.
FATTO E DIRITTO
Rilevato che:
la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza del primo giudice con cui e’ stata rigettata la domanda di impugnativa del licenziamento disciplinare intimato al lavoratore, conducente di linea, perche’ trovato positivo agli accertamenti tossicologici periodici prescritti dalla legge per le mansioni c.d. “a rischio”;
per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso (OMISSIS), affidato a sette motivi;
la societa’ ha resistito con controricorso;
e’ stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
entrambe le parti hanno depositato memoria ex articolo 380 bis c.p.c., comma 2;
Considerato che:
il Collegio ha deliberato di adottare la motivazione semplificata;
(OMISSIS) – denunciando violazione della L. n. 300 del 1970, articolo 7, comma 1, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – si duole che la Corte di Appello abbia ritenuto violato il “minimum etico” nella condotta del lavoratore, integrata dal consumo di sostanze stupefacenti leggere (i.e.: cannabis), con conseguente non necessita’ di affissione del codice disciplinare; inoltre – denunciando violazione della L. n. 300 del 1970, articolo 7, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto disciplinarmente rilevante l’inidoneita’ fisica del lavoratore, semmai integrante un giustificato motivo oggettivo, nonche’ il consumo di droghe, non sanzionato da alcuna norma di legge, ne’ dal Regio Decreto n. 148 del 1931, contemplante, quale causa di destituzione (non applicabile analogicamente), solo l’ubriachezza durante l’orario di lavoro;
ancora – denunciando violazione della L. n. 300 del 1970, articolo 7, Regio Decreto n. 148 del 1931, articoli 41 e 45, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – si duole che la predetta Corte abbia ritenuto proporzionata la sanzione del licenziamento, dovendo, invece, venire al piu’ in considerazione la sanzione della multa per inosservanza di norme di prevenzione contro gli infortuni;
inoltre – denunciando violazione della L. n. 300 del 1970, articolo 7, del protocollo di accompagnamento dei lavoratori positivi ai test antidroga del 30.10.2007 e del 18.9.2008, nonche’ dell’articolo 2078 c.c., e articolo 1374 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – lamenta che il giudice di appello non abbia considerato obbligatorio e necessario il predetto protocollo, il quale prevede il licenziamento non in caso di positivita’ al test antidroga, ma all’esito dei controlli e infruttuosita’ di tutti i percorsi e monitoraggi previsti dal protocollo stesso;
ulteriormente – denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, articolo 7, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – si duole che il giudice di appello abbia qualificato il licenziamento come disciplinare e non per giustificato motivo oggettivo da impossibilita’ sopravvenuta della prestazione per inidoneita’ fisica del lavoratore;
ancora – denunciando violazione dell’articolo 183 c.p.c., comma 7, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – lamenta che il giudice di appello non abbia dato seguito alla richiesta istruttoria volta a dimostrare che il lavoratore, nei giorni precedenti al controllo, era stato esposto a forti quantita’ di fumo passivo;
infine – denunciando violazione dell’articolo 92 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – si duole che il giudice di appello, attesa la novita’ della questione, non abbia compensato le spese dei gradi di giudizio.
Ritenuto che:
il primo motivo e’ infondato, poiche’ viola certamente il “minimo etico” il consumo di sostanze stupefacenti ad opera di un lavoratore adibito a mansioni di conducente di autobus, definite “a rischio”, a prescindere dal mancato riferimento, nell’ambito del r.d. n. 148/1931, alla descritta condotta; del resto, il mancato riferimento in questione non e’ significativo, avuto riguardo all’epoca di emanazione del testo normativo, contemplante l’unico modo, allora in uso, di alterazione della psiche, integrato dallo stato di ubriachezza;
il secondo, terzo e quinto motivo, da trattare congiuntamente perche’ connessi, sono infondati, giacche’ il consumo di droghe e’ stato contestato quale addebito disciplinare in se’ (e tale e’ stato correttamente considerato dal giudice di merito), sull’evidente presupposto della sua idoneita’, avuto riguardo alle specifiche mansioni espletate dal lavoratore, a compromettere irrimediabilmente l’elemento fiduciario; va in proposito richiamato il principio secondo cui “in tema di licenziamento per giusta causa, l’onere di allegazione dell’incidenza, irrimediabilmente lesiva del vincolo fiduciario, del comportamento extralavorativo del dipendente sul rapporto di lavoro (nella specie, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti), e’ assolto dal datore di lavoro con la specifica deduzione del fatto in se’, quando lo stesso abbia un riflesso, anche solo potenziale ma oggettivo, sulla funzionalita’ del rapporto, compromettendo le aspettative di un futuro puntuale adempimento, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attivita’, perche’ di gravita’ tale, per contrarieta’ alle norme dell’etica e del vivere comuni, da connotare la figura morale del lavoratore, tanto piu’ se inserito in un ufficio di rilevanza pubblica a contatto con gli utenti”; quanto al profilo della proporzionalita’ della sanzione, il relativo giudizio e’ sorretto, nel caso, da motivazione sufficiente e non contraddittoria, avuto riguardo alla delicatezza delle mansioni esercitate dal lavoratore nonche’ al connesso potenziale pregiudizio insito nel consumo di sostanze stupefacenti, pur leggere (per un caso analogo v. Cass. n. 6498/2012, che ha cassato – in ragione della motivazione inadeguata rispetto alla clausola generale di cui all’articolo 2119 c.c. – la sentenza della Corte territoriale che, nel dichiarare illegittimo per difetto di proporzionalita’ il licenziamento di un impiegato di banca trovato in possesso di sostanze stupefacenti, aveva evidenziato trattarsi di droghe “leggere”, detenute per uso personale, e non a fini di spaccio, in circostanze di tempo e luogo compatibili con l’ipotesi del consumo non abituale);
e’ infondato il quarto motivo, poiche’ non e’ stata censurata la ratio decidendi secondo cui il percorso completo di monitoraggio non avrebbe potuto confermare l’assenza di assunzione di sostanze, quale requisito richiesto per essere riammessi nelle funzioni;
e’ infondato il sesto motivo, in difetto di certezza circa l’idoneita’ dell’espletamento del mezzo istruttorio richiesto ad invalidare le conclusioni cui e’ pervenuto il giudice di merito (cfr., sul punto, Cass. n. 5654/2017: “Il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova puo’ essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilita’, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento”);
e’ inammissibile il settimo motivo, poiche’ “in tema di spese processuali, la facolta’ di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non e’ tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facolta’, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualita’ di una compensazione, non puo’ essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione” (cosi’ Cass., SU, n. 14989/2005);
le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;
ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali ed 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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