L’obbligo di provvedere, gravante sul Comune in caso di decadenza di vincolo preordinato all’esproprio, va assolto mediante l’adozione di una variante specifica o di una variante generale, gli unici strumenti che consentono alle Amministrazioni comunali di verificare la persistente compatibilità delle destinazioni già impresse ad aree situate nelle zone più diverse del territorio comunale, rispetto ai principi informatori della vigente disciplina di piano regolatore e alle nuove esigenze di pubblico interesse.
Sentenza 26 marzo 2018, n. 1881
Data udienza 15 marzo 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4007 del 2016, proposto da:
Ma. Gu., rappresentato e difeso dagli avvocati Lo. Pr. Ma. e Lo. Za., con domicilio eletto presso il primo difensore in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Ro. Ma., con domicilio eletto presso lo studio Ro. Ma. in Roma, via (…);
Provincia di Forlì – Cesena, Regione Emilia – Romagna, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., non costituite in giudizio;
nei confronti
Or. Bi., non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per l’Emilia – Romagna, sezione II, 28 ottobre 2015, n. 938.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 15 marzo 2018 il consigliere Giuseppe Castiglia;
Uditi per le parti gli avvocati Ma. e Pr. Ma.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso principale e plurimi atti di motivi aggiunti, il signor Ma. Gu. ha impugnato una serie di atti del Comune di (omissis) che, nella sua prospettazione, sarebbero intesi a realizzare un parcheggio e un deposito su un terreno di sua proprietà, utilizzando un’area di pendio.
Con sentenza 28 ottobre 2015, n. 938, il T.A.R. per l’Emilia-Romagna, sez. II – dopo avere svolto istruttoria, acquisendo una relazione del Comune sulla situazione contestata anche in fatto – ha dichiarato ricorso e motivi aggiunti in parte improcedibili, in parte inammissibili, condannando il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
Sulla scorta della relazione comunale, la quale ha affermato che l’Amministrazione avrebbe da tempo abbandonato il proposito di realizzare un parcheggio con sottostante deposito, da collocarsi in parte anche sul suolo del ricorrente attualmente destinato a verde privato, il Tribunale regionale ha ritenuto che, almeno dall’adozione della delibera del Consiglio comunale n. 8 del 27 aprile 2009, recante approvazione di una variante al P.R.G., sarebbe venuto meno (successivamente od originariamente) l’interesse della parte a coltivare il ricorso.
Quanto alla realizzazione di un parcheggio a raso lungo la via (omissis), realizzato su terreno di proprietà di terzi e acquistato dal Comune, la censura – in disparte il profilo della legittimazione a dedurla – atterrebbe a questioni di diritto soggettivo e apparterebbe dunque alla giurisdizione del G.O.
Il signor Gu. ha interposto appello avverso la sentenza n. 938/2015, chiedendone anche la sospensione dell’efficacia esecutiva.
Riassunti i termini di una complessa e annosa controversia (avviatasi nel 2003 con ricorso dichiarato inammissibile e in parte improcedibile dal medesimo T.A.R. con la sentenza 17 luglio 2007, n. 396, del pari impugnata di fronte a questo Consiglio di Stato con ricorso n. r.g. 2016/4007, chiamato all’odierna udienza), l’appellante critica la decisione di primo grado anche perché, in violazione di legge, sarebbe fondata su una relazione di parte e non sul vaglio degli atti di causa e chiede, in via principale, che sia sollevata questione di legittimità costituzionale degli artt. 21 e 42 della legge regionale n. 20/2000 e dell’art. 2 della legge regionale n. 34/2000 per contrasto gli artt. 3, 5, 24, 42, 97, 117, 118 e 128 Cost.
Nel merito della questione, egli sostiene che:
1) secondo gli strumenti urbanistici comunali tuttora vigenti (P.R.G., R.U.E. e P.T.C.P./P.S.C.), permarrebbe la previsione urbanistica di un parcheggio/deposito sulla sua proprietà, tuttora destinata all’esproprio in virtù di un vincolo illegittimamente reiterato dal 1999;
2) con la delibera consiliare n. 6 del 9 aprile 2008, l’Amministrazione avrebbe artificiosamente frazionato il progetto originario in due lotti, dei quali uno già realizzato a raso su via (omissis) e l’altro previsto sul suo sottostante terreno, quale grande parcheggio a più piani, e con successivi provvedimenti avrebbe reiterato il vincolo espropriativo per “costringerlo” a cedere il proprio terreno al fine di realizzare il parcheggio;
3) la delibera consiliare n. 8/2009, valorizzata dal T.A.R., non sarebbe una variante al P.R.G., bensì un piano particolareggiato di iniziativa pubblica in variante al P.R.G.
Sussisterebbe dunque l’interesse a ricorrere e anche la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla realizzazione del parcheggio a raso, che sarebbe stato realizzato senza rispettare le prescrizioni del Servizio provinciale difesa del suolo e senza conformità urbanistico-edilizia, avrebbe carattere abusivo e incomberebbe pericolosamente sul suolo di sua proprietà.
In conclusione, l’appellante chiede la riforma della sentenza con l’annullamento degli atti impugnati e il risarcimento del danno, anche non materiale, conseguente all’attuazione di questi.
Con successiva memoria, l’appellante ha depositato la relazione di un tecnico e insistito sulla domanda cautelare, motivando sul pericolo di danno.
Con ordinanza 29 luglio 2016, n. 3099, la Sezione ha respinto la domanda cautelare.
Il Comune si è costituito in giudizio per resistere all’appello.
In vista della discussione della causa, il signor Gu. ha depositato una memoria e ulteriore documentazione.
Alla camera di consiglio del 15 marzo 2018, nel ruolo della quale il ricorso era iscritto, il Presidente – non sussistendo il presupposto di cui all’art. 105, comma 2, c.p.a. – ne ha disposto il trasferimento in udienza pubblica, ove è stato chiamato e trattenuto in decisione.
In via preliminare il Collegio dichiara inammissibili – ai sensi dell’art. 104, comma 2, c.p.a. – la relazione e la perizia tecnica depositate dall’appellante con le memorie del 22 luglio 2016 e del 15 febbraio 2018, in quanto documenti nuovi in appello.
Nella sua parte essenziale, l’appello non ha fondamento e va pertanto respinto, con integrale conferma della sentenza gravata.
Come evidenziato nelle premesse, i molteplici ricorsi proposti dal signor Gu. avanti al giudice amministrativo sono nella sostanza volti a contestare il progetto del Comune di realizzare, su un fondo di proprietà del ricorrente, un parcheggio pubblico a raso, con sottostante immobile inizialmente destinato a palestra e in seguito a deposito.
Con la sentenza in epigrafe indicata il Tribunale di Bologna ha dichiarato in parte inammissibile e in parte improcedibile il ricorso n. r.g 338/2008 e i motivi aggiunti ad esso collegati, rilevando che il progetto di cui si discute era stato abbandonato dal Comune di (omissis) il quale, con la variante approvata con delibera consiliare n. 8/2009, non ha rinnovato il vincolo pre-espropriativo in precedenza apposto sul terreno Gu..
Con il primo motivo di gravame l’appellante contesta tale statuizione, osservando che i vigenti strumenti urbanistici del Comune di (omissis) continuerebbero a prevedere la realizzazione del parcheggio/deposito sulla sua proprietà.
Con il secondo motivo l’appellante sostiene che l’originario progetto di parcheggio-deposito non sarebbe mai stato abbandonato, ma solo fittiziamente frazionato in parcheggio a raso di via (omissis) da un lato, in centro polifunzionale e parcheggio in via (omissis), dall’altro.
Con il terzo motivo l’appellante deduce che in realtà quello approvato dal Consiglio comunale con la deliberazione n. 8/2009 (alla quale il T.A.R. ha fatto riferimento) sarebbe un piano particolareggiato ad iniziativa pubblica, tuttora volto alla realizzazione – sia pure in forme diverse rispetto al progetto originario – di un parcheggio a servizio dell’adiacente zona di espansione residenziale.
I mezzi, che vanno unitariamente scrutinati, non hanno fondamento.
Per quanto riguarda la deliberazione comunale n. 8/2009 sembra infatti evidente che la stessa – sia per il contenuto oggettivo che per l’espresso richiamo all’art. 15 della legge regionale n. 47/2008 – concerne l’approvazione di una variante all’allora vigente P.R.G. comunale.
Per effetto di tale variante il fondo in controversia – all’epoca di proprietà del padre dell’appellante – è stato destinato a “verde privato”, come risulta da tutti gli atti, in particolare dal certificato di destinazione.
Per conseguenza il vincolo preordinato all’esproprio – che in precedenza gravava sul fondo – non è stato reiterato ed è dunque venuto definitivamente meno.
L’abbandono del vincolo, del resto, si collega al fatto che, come risulta dagli atti, appena un anno prima (con la delibera consiliare n. 19/2008) il Comune aveva proceduto all’acquisto da un terzo del vicino terreno sul quale (cfr. delibera di Giunta municipale n. 15/2009) fu infine realizzato il parcheggio a raso.
In siffatto contesto non può seguirsi l’appellante quando deduce lo sviamento in cui sarebbe incorsa l’Amministrazione comunale.
Infatti, come insegna consolidata giurisprudenza, l’obbligo di provvedere, gravante sul Comune in caso di decadenza di vincolo preordinato all’esproprio, va assolto mediante l’adozione di una variante specifica o di una variante generale, gli unici strumenti che consentono alle Amministrazioni comunali di verificare la persistente compatibilità delle destinazioni già impresse ad aree situate nelle zone più diverse del territorio comunale, rispetto ai principi informatori della vigente disciplina di piano regolatore e alle nuove esigenze di pubblico interesse.
Traendo le fila, deve dunque rilevarsi che nel caso all’esame l’Amministrazione – non rinnovando il vincolo e imprimendo al fondo del signor Gu. una destinazione incompatibile con qualunque iniziativa espropriativa – ha obiettivamente e formalmente rinunciato a realizzare l’opera pubblica contestata.
I mezzi in rassegna vanno perciò respinti, dovendosi confermare quanto statuito dal T.A.R. in ordine alla inammissibilità o alla improcedibilità per difetto di interesse delle impugnative proposte in prime cure.
Analogamente vanno disattese tutte le osservazioni mediante le quali l’appellante insiste nel rappresentare l’esistenza di un intento prevaricatore in capo all’Amministrazione comunale, trattandosi di mere e generiche suggestioni che non trovano alcun riscontro nel materiale probatorio acquisito al fascicolo di causa.
Con gli ulteriori motivi l’appellante torna a dedurre l’illegittimità costituzionale degli artt. 21 e 42 della legge regionale n. 20/2000 nonché dell’art. 2 della legge regionale n. 34/2000 (all’epoca vigenti).
Le questioni non sono rilevanti: infatti, una volta acclarata l’inammissibilità o l’improcedibilità dei ricorsi, le normative regionali cui l’appellante si riferisce non vanno applicate nella presente controversia.
In ogni caso trattasi di questioni manifestamente infondate.
Per quanto riguarda la disciplina transitoria disegnata dagli artt. 42 della legge regionale n. 20/2000 e 2 della legge regionale n. 34/2000, essa non viola i criteri di ragionevolezza nella misura in cui consente la definizione secondo la pregressa disciplina dei procedimenti pianificatori già formalmente avviati all’epoca di entrata in vigore delle nuove norme emiliane sul governo del territorio.
L’art. 21 della legge n. 20/2000 consente che il P.T.C.P. (quale strumento sovraordinato) possa assumere, su richiesta dei comuni interessati, valore ed effetti dei rispettivi P.S.C.
Secondo l’appellante tale previsione conculca l’autonomia comunale, in quanto il P.S.C. è appunto lo strumento che – a livello del singolo comune – dovrebbe esprimere le scelte fondamentali di governo del territorio.
Come si è anticipato, la questione è manifestamente infondata in quanto lo strumento urbanistico sovraordinato può assumere valore equiparabile a quello dei rispettivi strumenti comunali solo se tutti i Comuni interessati lo richiedano.
Di conseguenza la sostituzione viene a configurarsi non già come l’effetto di una prevaricante scelta regionale o provinciale quanto piuttosto come il risultato di una autonoma scelta degli enti locali interessati.
Da ultimo l’appellante contesta la statuizione di difetto di giurisdizione resa dal T.A.R. in ordine alle censure mediante le quali era stata denunciata la pericolosità del parcheggio a raso realizzato dall’Amministrazione.
Tale motivo di appello è inammissibile ai sensi dell’art. 101, comma 1, c.p.a., perché apodittico e non assistito da specifiche censure.
Dalle considerazioni che precedono discende che – come anticipato – l’appello è in parte inammissibile, in parte infondato.
Ne segue la conferma della sentenza impugnata.
Le spese del presente grado di appello seguono la regola della soccombenza, secondo la legge, e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile e in parte lo respinge; per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna la parte appellante al pagamento in favore del Comune di (omissis) delle spese del presente grado di giudizio, che liquida nell’importo di euro 10.000,00 (diecimila/00), oltre agli accessori di legge (15% a titolo di rimborso delle spese generali, I.V.A. e C.P.A.).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 marzo 2018 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Giuseppe Castiglia – Consigliere, Estensore
Alessandro Verrico – Consigliere
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