Corte di Cassazione, sezione sesta penale, sentenza 23 marzo 2018, n.13849. Nel concetto di mezzi di sussistenza, rientrano non solo i mezzi per la sopravvivenza vitale (quali il vitto e l’alloggio)

Nel concetto di mezzi di sussistenza, rientrano non solo i mezzi per la sopravvivenza vitale (quali il vitto e l’alloggio), ma anche gli strumenti che consentano, in rapporto alle reali capacità economiche e al regime di vita personale del soggetto obbligato, un sia pur contenuto soddisfacimento di altre complementari esigenze della vita quotidiana.

SENTENZA 23 marzo 2018, n.13849
CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE

Pres. Petruzzellis – est. Tronci

Ritenuto in fatto

1. Pa. DI TA., con atto a propria firma, ricorre tempestivamente per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe, con cui la Corte d’appello di Salerno ha confermato la condanna dell’imputato a pena di giustizia, oltre statuizioni civili, quale inflittagli dal giudice monocratico del Tribunale dello stesso capoluogo in relazione all’accertata violazione dell’art. 570 cpv. n. 2 cod. pen., per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza alla figlia minore e limitatamente ad essa.

2. A detta dell’imputato ricorrente, la sentenza impugnata sarebbe inficiata:

a) da ‘violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 570, co. 2, c.p.’, la Corte territoriale non avendo considerato che la parziale corresponsione dell’assegno di mantenimento, in uno con la percezione dell’assegno familiare da parte della madre della minore, ed il carico delle ‘spese mediche e sportive’, come pure di quelle relative ‘all’acquisto di alimenti e vestiario’ – le une e le altre sopportate dal ricorrente medesimo – avrebbero dovuto correttamente condurre alla conclusione dell’avvenuto soddisfacimento delle esigenze primarie della figlia, non senza considerare ‘i problemi di lavoro a causa della crisi del settore degli autotrasportatori’ avuti nel periodo in contestazione;

b) da ‘vizio di motivazione in relazione all’elemento soggettivo’ del reato anzidetto, ‘pur a fronte del parziale adempimento dell’obbligo di mantenimento della figlia’, in tal senso essendo altresì sintomatica l’avvenuta attivazione per l’accensione di un mutuo per far fronte al debito, da parte del ricorrente, circostanza ‘paradossalmente’ apprezzata dal giudice d’appello a proprio danno.

Considerato in diritto

1. Entrambi gli illustrati motivi di doglianza non sfuggono ad una preliminare e doverosa valutazione d’inammissibilità.

2. Si premette che, notoriamente, in caso di cd. ‘doppia conforme’ le pronunce di merito s’integrano fra loro, costituendo un unico ed unitario corpo motivazionale e che, in tal caso, il vizio di motivazione, sotto forma di travisamento della prova – qui, per vero, neppure formalmente eccepito -ricorre solo allorché ‘il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice’, ovvero ‘quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti’ (cfr. Sez. 4, sent. n. 44765 del 22.10.2013, Rv. 256837).

3. Ciò posto, rileva il Collegio come la Corte salernitana abbia debitamente evidenziato che, fatta eccezione dei primi due mesi dall’insorgenza dell’obbligo a suo carico, a seguito dei limitati versamenti eseguiti dall’imputato, nell’ordine di somme comprese fra 50 e 100 Euro a fronte di un dovuto di 300, ‘si era creata una situazione di necessità per la parte offesa, la quale, se pure guadagnava qualcosa con il lavoro di domestica, aveva dovuto ricorrere all’aiuto dei familiari per poter continuare a provvedere alle esigenze fondamentali della vita della minore’. Essendo appena il caso di rilevare, a tale ultimo riguardo, che nel concetto di mezzi di sussistenza, cui ha riguardo la norma incriminatrice, ‘rientrano non solo i mezzi per la sopravvivenza vitale (quali il vitto e l’alloggio), ma anche gli strumenti che consentano, in rapporto alle reali capacità economiche e al regime di vita personale del soggetto obbligato, un sia pur contenuto soddisfacimento di altre complementari esigenze della vita quotidiana’ (cfr., da ultimo, Sez. 6, sent. n. 12400 del 12.01.2017, Rv. 269728); mentre, per altro verso, il generico riferimento alla ricordata ‘crisi del settore degli autotrasportatori’ non può avere alcun effetto scriminante, tanto più alla luce della circostanza – pure risultante dalla sentenza impugnata – del carattere consensuale dell’obbligo economico assunto dal DI TA. e del pressoché immediato inadempimento da parte dello stesso, oltre che del consolidato principio giurisprudenziale – che del pari la Corte salernitana opportunamente richiama – circa l’assolutezza dell’incapacità economica dell’obbligato, perché la sua condotta sia penalmente irrilevante.

Quanto, poi, alla ravvisata sussistenza dell’elemento soggettivo, anche di essa la Corte distrettuale ha dato congrua contezza, con la puntualizzazione finale che la valorizzazione in chiave accusatoria del tentativo di contrarre un mutuo da parte del DI TA., allo scopo di poter far fronte al debito accumulato negli anni 2012 e 2013, si sottrae a qualsivoglia censura di ordine logico, essendo stato debitamente evidenziato come tale condotta dell’odierno ricorrente sia stata successiva al giudizio civile avviato dalla madre della minore per ottenere forzatamente l’adempimento del debito contratto dal DI TA..

4. In definitiva, si è in presenza di una sentenza che ha fatto corretta applicazione dei principi elaborati in materia dalla giurisprudenza di legittimità e la cui motivazione non è tacciabile in alcun modo di illogicità, tanto meno manifesta.

All’anticipata declaratoria seguono la condanna al pagamento delle spese del grado, di quelle ulteriori previste dall’art. 616 cod. proc. pen. e di quelle sostenute nel grado dalla costituita parte civile, il tutto nella misura di giustizia di seguito indicata.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa della parte civile D’AL. Ro. in questa fase, che si liquidano in Euro 3.500,00 complessivi, oltre spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A

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