Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 24 maggio 2018, n. 3112.
La massima estrapolata:
L’illegittimita’, per disparita’ di trattamento, del diniego della autorizzazione paesaggistica e’ configurabile solo in casi macroscopici e presuppone un’assoluta identita’ delle situazioni di fatto prese in considerazione, tali da far ritenere del tutto incomprensibile ed arbitraria una successiva valutazione negativa.
Sentenza 24 maggio 2018, n. 3112
Data udienza 5 aprile 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3688 del 2011, proposto dalla società SI. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato An. Di Li., elettivamente domiciliata in Roma, via (…), presso lo studio della Dott.ssa Sa. Mu.;
contro
Comune di Salerno, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Ro. Ma. La., elettivamente domiciliato presso lo studio Si. Ri. Ga. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Campania – Salerno, Sezione II, n. 36 del 14 gennaio 2011, resa inter partes, concernente parere sfavorevole ai fini ambientali e reiezione della domanda di condono edilizio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Salerno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 aprile 2018 il Consigliere Giovanni Sabbato e uditi, per le parti rispettivamente rappresentate, gli avvocati An. Di Li. ed En. So., su delega di Ro. Ma. La.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La società SI. s.r.l. (in prosieguo la società), che, come premesso nel suo gravame, esercita “da decenni” attività commerciale sotto l’insegna “Magazzini TS”, ha impugnato, avanti il T.a.r. per la Campania – Salerno, sez. II, il provvedimento del Sindaco di Salerno n. 17 del 9 aprile 1997, col quale veniva espresso parere sfavorevole alla sua domanda di condono edilizio, avanzata ai sensi dell’art. 39 della legge n. 724 del 1994, relativa ad ampliamenti di manufatti già oggetto di domanda di sanatoria ai sensi dell’art. 31 della legge n. 47 del 1985.
2. La società ha lamentato l’illegittimità di tale provvedimento, evidenziando la contraddittorietà con il pregresso provvedimento sindacale n. 28432 del 30.3.1989, col quale erano stati condonati altri fabbricati abusivi, nonché il difetto di competenza dell’organo sottoscrittore, la omessa valutazione da parte del Consiglio comunale della cedibilità del terreno interessato da recinzione ed il difetto di contraddittorio.
4. Costituitasi l’amministrazione comunale, il Tribunale, con la impugnata sentenza (n. 36 del 14 gennaio 2011), ha rigettato il ricorso con compensazione delle spese di lite.
4.1. In particolare, il giudice di prime cure ha ritenuto che:
– “il giudizio di compatibilità rispetto al vincolo paesaggistico di inedificabilità deve avvenire caso per caso e tenuto conto della situazione di fatto attuale e concreta”;
– l'”onere motivatorio è pienamente riscontrabile nel divisato parere, laddove l’organo consultivo, nell’esercizio della sua discrezionalità tecnica, ha posto l’accento sull’assoluta inconciliabilità tra la permanenza dell’abuso e la naturale vocazione turistica dell’area”;
– “il principio di cui all’art. 21 octies della legge n. 241/1990, che esclude l’annullabilità del provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata di questo, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”
– “intanto la richiesta cessione avrebbe potuto perfezionarsi, in quanto l’opera abusiva insistente sul terreno avesse avuto i presupposti per essere mantenuta in piedi”.
5. Avverso tale pronuncia la società ha interposto appello articolando sei motivi di gravame (pagine 3 – 13), come di seguito sintetizzati:
I) i manufatti, oggetto della prima domanda di condono favorevolmente apprezzata dall’amministrazione, sono più vicini al mare (circa 200 metri) oltre che più visibili essendo quelli per cui è causa, in ampliamento delle opere condonate, posti in posizione retrostante a questi nonché edificati con materiali identici, in condizioni migliori e non costituenti un “massiccio ampliamento”, come opina l’amministrazione, avendo una superficie di circa 800 mq a fronte di diverse migliaia di metri quadri dell’area di proprietà;
II) la Commissione edilizia integrata ha esorbitato dal perimetro delle sue competenze per avere espresso, in relazione alle scelte politiche sottese al PRG, un indebito giudizio di meritevolezza dell’opera nonché una valutazione sulla destinazione commerciale degli immobili;
III) il Tribunale non si è espresso sul terzo motivo del ricorso di primo grado, col quale si è lamentato il difetto di motivazione dell’impugnato parere anche per la mancata indicazione degli interventi da eseguire per rendere i manufatti più idonei ai fini della riqualificazione ambientale avuta di mira dall’amministrazione;
IV) l’art. 21 octies, ritenuto dal Tribunale applicabile ai fini della infondatezza del vizio di incompetenza, non solo non può riguardare un atto emesso ben otto anni prima del suo intervento ma nemmeno può valere a superare l’ulteriore profilo di censura, afferente alla non identificabilità del soggetto sottoscrittore;
V) contrariamente a quanto opinato dal Tribunale, nella valorizzata applicazione dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985, “la manifestazione della disponibilità alla cessione da parte dell’Ente proprietario dell’area di sedime deve precedere gli altri pareri occorrenti”;
VI) non è stato assicurato il necessario contraddittorio attraverso la previa comunicazione dell’avvio del procedimento.
6. In data 13 giugno 2011 si è costituito il Comune di Salerno al fine di chiedere la reiezione del gravame evidenziando, tra l’altro, le ragioni poste a fondamento del diniego.
7. In prossimità dell’udienza di trattazione dell’appello, le parti hanno presentato difese scritte insistendo per le rispettive conclusioni.
8. Il ricorso, discusso alla pubblica udienza dell’8 febbraio 2018, non merita accoglimento.
8.1. Infondato è il primo motivo di appello, col quale si evidenzia la circostanza relativa all’accoglimento della precedente istanza di condono, rispetto alla quale quella di cui al provvedimento impugnato col ricorso di primo grado si porrebbe in linea di continuità per avere ad oggetto immobili in ampliamento nonché in posizione defilata rispetto alla linea del mare così da risultare meno visibili.
La disamina del rilievo non può andare disgiunta dalla considerazione della natura delle valutazioni operate dall’autorità preposta alla tutela del paesaggio, che, come è noto, impingono in una sfera di discrezionalità sottoposta al sindacato del giudice amministrativo nei limiti evidenziati dalla giurisprudenza di questo Consiglio, secondo cui “Il vincolo disciplinato dalla legge n. 1497 del 1939 e poi dal vigente codice n. 42 del 2004, in ordine all’ambito delle aree da sottoporre a tutela, è imposto sulla base di valutazioni tecnico-discrezionali, sia sull’an sia sul quantum. Ne consegue che si tratta di valutazioni ‘opinabilà, sia pure sindacabili in sede di giurisdizione di legittimità, unicamente per manifesta illogicità o travisamento dei fatti o per inadeguatezza dell’istruttoria o della motivazione” (cfr. Consiglio di Stato sez. VI 02 gennaio 2018 n. 14). Nemmeno va trascurato il paradigma procedimentale che connota il rilascio del provvedimento di condono e l’importanza in tale contesto rivestita dal contributo consultivo proveniente dall’autorità preposta alla tutela del vincolo. Difatti, come precisato da questo Consiglio, “Il rilascio del titolo abitativo edilizio in sanatoria, per le opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo paesaggistico, è subordinato al parere favorevole delle Amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso, ex art. 32 l. 28 febbraio 1985 n. 47, con un rinvio mobile alla disciplina del procedimento di gestione del vincolo paesaggistico, costituente una fase indispensabile per la positiva conclusione del procedimento di condono, inteso quale strumento riservato allo Stato, ad estrema difesa del paesaggio, valore costituzionale primario da tutelare” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 7 dicembre 2016, n. 5162).
Fatta questa necessaria premessa, occorre rilevare che un giudizio di tal natura non è suscettibile di essere censurato per la semplice ragione che lo stesso abbia assunto segno opposto rispetto a quello espresso in relazione ad altro abuso, ancorché insistente sul medesimo lotto, essendo calibrato sulla precisa consistenza fisico-materiale delle opere oggetto di ciascuna rispettiva domanda di sanatoria. Si ritiene infatti che “l’illegittimità, per disparità di trattamento, del diniego della autorizzazione paesaggistica è configurabile solo in casi macroscopici e presuppone un’assoluta identità delle situazioni di fatto prese in considerazione, tali da far ritenere del tutto incomprensibile ed arbitraria una successiva valutazione negativa” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 11 dicembre 2017, n. 5798). Non è dato quindi rinvenire, come invece si assume in ricorso, i vizi sintomatici dell’eccesso di potere dovendosi escludere in radice ogni possibile identità degli abusi già solo per il fatto che il secondo abuso, costituendo ampliamento del primo, non può non assumere caratteristiche sue proprie, destinate ad incidere sulla elaborazione del giudizio di compatibilità paesaggistica.
Né vi sono margini per ritenere che l’autorizzazione precedentemente rilasciata abbia effetti espansivi, in grado di comprendere anche le opere aventi finalità di ampliamento dell’abuso iniziale.
Si deve infatti ritenere che il provvedimento clemenziale può assumere un effetto autorizzativo rispetto ad interventi ulteriori soltanto quando questi abbiano una mera finalità di completamento del fabbricato abusivo per “renderne possibile la sua ordinaria utilizzazione, conformemente alla sua destinazione d’uso, ovvero possano contribuire a mitigare l’impatto paesaggistico del manufatto, rendendolo maggiormente coerente con il contesto ambientale” (Cons. Stato, sez. VI, 28 giugno 2016, n. 2860). Questo Consiglio, proprio in un caso di stratificazione di opere in situ, ha peraltro osservato che “Ogni trasformazione del territorio implica, a cura dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, un giudizio di compatibilità del nuovo assetto con i valori che esso intende proteggere e mantenere. Non basta asserire che, in fondo, una ulteriore trasformazione sarebbe migliorativa o poco impattante, poiché spetta alla P.A. preposta verificarne se, come e in qual misura le ulteriori opere vadano ad incidere sugli interessi pubblici coinvolti, dovendosi evitare ogni deturpazione ulteriore. L’obiettivo è allora, nell’esercizio della funzione di tutela, di difendere, mercé un giudizio di comparazione, il contesto vincolato nel quale si collochi l’opera, tenendo sì presenti le effettive e reali condizioni dell’area d’intervento, ma pure se l’eventuale sovraccarico di plurimi interventi in situ non abbia raggiunto un livello di saturazione incompatibile col vincolo. Il parere reso sulla compatibilità del manufatto al paesaggio è espressione non di discrezionalità amministrativa, bensì di discrezionalità tecnica, che non implica alcuna forma di comparazione e di valutazione di interessi eterogenei” (Consiglio di Stato sez. VI 18 settembre 2017 n. 4369).
Non possono altresì essere trascurate le ragioni stesse poste a base del contestato diniego essendo collegate alla situazione di degrado dell’area oggetto di un progetto di risanamento ambientale per assecondarne la vocazione turistica cosicché il contestato giudizio si palesa pertinente alle esigenze di salvaguardia del paesaggio nonché adeguato sul piano logico-argomentativo. Peraltro i due giudizi di compatibilità paesaggistica si collocano in contesti temporali differenti, essendo decorso circa un decennio tra l’uno e l’altro, con la conseguenza che, stante la inevitabile modifica dello stato dei luoghi intervenuta nel frattempo, gli stessi risultano in radice non comparabili.
8.2. Da tali ultime considerazioni discende l’infondatezza anche del secondo motivo d’appello, relativo al preteso sforamento dalle competenze proprie della commissione edilizia integrata avendo questa formulato valutazioni che afferiscono proprio all’impatto paesaggistico delle opere abusive e quindi alla loro compatibilità rispetto al vincolo presente sull’area, essendo il pregio paesistico-ambientale dell’area senz’altro correlato alla sua fruibilità turistica.
8.3. Col terzo motivo d’appello, l’appellante, denunciato il vizio di infrapetizione, ripropone il terzo motivo del ricorso di primo grado in ordine al preteso difetto di motivazione del parere della Commissione edilizia integrata, non avendo indicato “gli interventi da eseguire per rendere i manufatti più idonei […] ai fini della riqualificazione ambientale dell’area” (cfr. pagina 10 dell’appello).
In ordine al rilievo afferente alla sottrazione da parte del Tribunale al dovere di pronunciarsi, occorre rilevare che secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, “l’omessa pronuncia su una o più censure proposte col ricorso giurisdizionale non configura un error in procedendo tale da comportare l’annullamento della decisione, con contestuale rinvio della controversia al giudice di primo grado, ma solo un vizio dell’impugnata sentenza che il giudice di appello è legittimato ad eliminare integrando la motivazione carente o, comunque, decidendo del merito della causa” (Cons. Stato, sez. IV, n. 846 del 2016; sez. V, n. 279 del 2016; sez. IV, n. 376 del 2015; sez. IV, n. 3346 del 2014; sez. IV, 19 giugno 2007, n. 3289).
Ravvisata la competenza di questo Giudice d’appello circa la disamina di tale deduzione, se ne deve ravvisare la infondatezza in quanto non vi è alcun obbligo dell’autorità preposta alla tutela del vincolo di richiedere misure atte alla mitigazione del vulnus arrecato al paesaggio derivante dalla realizzazione delle opere oggetto di domanda di sanatoria. Questo Consiglio ha infatti avuto modo di rilevare che “nel sistema non è ravvisabile a carico della p.a. l’obbligo di indicare, in una logica comparativa degli interessi in conflitto, se si possa rendere l’intervento compatibile con gli interessi paesaggistici, la cui protezione risponde ad una esigenza rilevante anche ex art. 9 Cost.” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 5 marzo 2018, n. 1387).
8.4. Infondato è anche il quarto motivo d’appello, col quale si contesta la non individuabilità del redattore del parere sfavorevole, in quanto, a prescindere dall’applicabilità o meno dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990, vale il principio secondo cui “la mancanza di una sottoscrizione leggibile di un atto non è idonea a metterne in discussione la validità e gli effetti quante volte detta omissione non metta in dubbio la riferibilità dell’atto stesso all’organo competente” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 7 dicembre 2017, n. 5766; sez. V, 28 maggio 2012, n. 3119).
8.5. Col quinto motivo l’appellante muove critiche nei riguardi dell’impugnata pronuncia lamentando che l’amministrazione avrebbe omesso di dare idonea applicazione all’art. 32 della legge n. 47 del 1985 verificando la propria disponibilità alla cessione dell’area di proprietà comunale interessata dalla realizzazione di parte delle opere (consistenti in una recinzione) oggetto della domanda di condono.
Il rilievo non può essere condiviso, in quanto:
– esiste una precisa connessione logica tra disponibilità dell’area di sedime (prius) e rilascio del condono (posterius) non potendosi concepire una autorizzazione ad edificare, ancorché in sanatoria, se non sulla base della disponibilità giuridica e materiale dell’area sulla quale insistono le opere realizzate;
– non può essere trascurato il tratto testuale della norma invocata dalla parte, che, al comma 5, la recita testualmente: “La disponibilità all’uso del suolo, anche se gravato di usi civici, viene espressa dagli enti pubblici territoriali proprietari entro il termine di centottanta giorni dalla richiesta. La richiesta di disponibilità all’uso del suolo deve essere limitata alla superficie occupata dalle costruzioni oggetto della sanatoria e alle pertinenze strettamente necessarie, con un massimo di tre volte rispetto all’area coperta dal fabbricato”;
– va posto infatti in debito rilievo che la disposizione in commento prevede la necessità che l’interessato al rilascio del titolo in sanatoria presenti una formale “richiestadi disponibilità all’uso del suolo” all’ente proprietario dell’area;
– assume così rilievo dirimente la circostanza, evidenziata dall’amministrazione comunale e non smentita da controparte, relativa alla mancata presentazione di formale richiesta in tal senso da parte dell’interessato al provvedimento di condono, non potendosi certo ritenere, secondo il tenore della norma, che la verifica ritenuta indebitamente pretermessa possa prescindere dell’iniziativa del soggetto interessato al rilascio del provvedimento clemenziale.
8.6. Infondato è anche l’ultimo motivo di appello, col quale si lamenta il difetto di partecipazione procedimentale nelle forme dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, in quanto, come correttamente rilevato dal Tribunale, tale norma non è suscettibile di applicazione rispetto ad un procedimento, come nel caso di specie, innescato da domanda di parte. Comunque la censura risulta neutralizzata anche per effetto del principio di dequotazione dei vizi formali di cui all’art. 21 octies della medesima legge n. 241 del 1990, in quanto, come sopra evidenziato, la società appellante non avrebbe potuto offrire all’attenzione dell’amministrazione circostanze di fatto e di diritto tali da indurre a determinazioni diverse da quella adottata.
9. In conclusione, l’appello è infondato e pertanto va respinto.
10. Le spese del presente grado di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (R.G. n. 3688/2011), lo respinge.
Condanna l’appellante alla rifusione, in favore del Comune di Salerno, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre agli accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e rimborso spese generali al 15%).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 aprile 2018 con l’intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere
Oberdan Forlenza – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere, Estensore
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