Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 18 settembre 2017, n. 4352

Il potere di pianificazione urbanistica non è funzionale solo all’interesse pubblico all’ordinato sviluppo edilizio del territorio in considerazione delle diverse tipologie di edificazione distinte per finalità (civile abitazione, uffici pubblici, opifici industriali e artigianali, etc.), ma è anche rivolto alla realizzazione coordinata di una pluralità di interessi pubblici (anche di quelli ambientali fino al punto di prevedere il c.d. consumo zero di suolo), che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti. Alla luce di quanto sopra discende che l’onere di motivazione che deve sorreggere tutte le scelte urbanistiche dell’amministrazione in sede di adozione di uno strumento urbanistico, salvo i casi in cui esse incidano su zone territorialmente circoscritte ledendo legittime aspettative, è di carattere generale e risulta soddisfatto con l’indicazione dei profili generali e dei criteri che sorreggono le scelte effettuate, senza necessità di una motivazione puntuale e “mirata”. La motivazione delle scelte urbanistiche, sufficientemente espressa in via generale, è desumibile sia dai documenti di accompagnamento all’atto di pianificazione urbanistica, sia dalla coerenza complessiva delle scelte effettuate dall’amministrazione.

 

 

Sentenza 18 settembre 2017, n. 4352

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2354 del 2015, proposto dal Comune di Orvieto, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Al. Pe., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);

contro

Sa. Servizi Ambientali Orvieto s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Va. Me. e Pa. Cr., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, piazza (…);

nei confronti di

Associazione Am. della Te. – Sez. di Orvieto, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Mo. e Gi. Ra., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per l’Umbria, n. 25 del 16 gennaio 2015, resa tra le parti, concernente variante al piano regolatore generale.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Sa. Servizi Ambientali Orvieto s.p.a. e della Associazione Am. della Te. – Sez. di Orvieto;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 aprile 2017 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Pe., Cr. e Co. su delega di Ra.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con l’appello in esame, il Comune di Orvieto impugna la sentenza 16 gennaio 2015 n. 25, con la quale il TAR per l’Umbria, in accoglimento del ricorso e dei motivi aggiunti proposti dalla società Sa. – Sevizi ambientali Orvieto s.p.a., ha annullato le delibere consiliari 7 gennaio 2011 n. 113 e 21 maggio 2012 n. 33.

1.1. Tali delibere hanno ad oggetto “PRG S (Piano regolatore generale parte strutturale), PEG O (piano regolatore generale parte operativa) “variante parziale ai sensi dell’art. 67, co. 4, l. reg. 11/05″, per la modifica di alcune zone urbanistiche; modifiche necessarie per rendere queste zone coerenti alla nuova perimetrazione delle aree boscate, contestualmente approvate – controdeduzioni alle osservazioni presentate”.

La variante parziale al PRG era tale da imprimere all’area di proprietà della ricorrente in I grado una destinazione a zona agricola “E”, anziché “F”, in recepimento di osservazioni finalizzate ad accertare la presenza di un’area boscata, ai sensi dell’art. 5 l. reg. n. 28 del 2001″.

1.2. La sentenza impugnata in sintesi:

– ha respinto le plurime eccezioni di inammissibilità del ricorso di primo grado sollevate dalla parte resistente;

– ha respinto il primo motivo posto a sostegno del ricorso di primo grado (tale capo non è stato impugnato);

– ha respinto il secondo e terzo motivo del ricorso principale;

– ha accolto il quarto motivo del ricorso di primo grado nonché il terzo e quarto motivo aggiunto annullando le delibere di adozione e approvazione della menzionata variante.

L’impugnata sentenza ha affermato, in particolare:

– l’amministrazione comunale, in ordine all’accertamento dell’insistenza di un’area boscata nel terreno di proprietà della società ricorrente, lungi dal rimettersi meramente al parere della Comunità Montana, ha compiuto una autonoma istruttoria, come è avvalorato dall’accoglimento solo parziale delle osservazioni proposte dall’associazione ambientalista Amici della terra; né può esservi incompetenza della Comunità Montana, sia in quanto tale vizio non si pone in relazione ad atti endoprocedimentali, peraltro non impugnati, sia in quanto l’art. 3 l. reg. n. 28/2001, nel testo vigente all’epoca di adozione dell’atto, “riconosceva la competenza delle Comunità montane in materia forestale, ed in particolare per accertamenti di tipo tecnico in ordine alla sussistenza delle caratteristiche di un’area boscata”;

– non è richiesta una particolare motivazione per gli atti a contenuto generale, quale è un piano regolatore o una sua variante;

– non può esservi vizio di eccesso di potere per contraddittorietà con un parere reso per implicito (in specie, dalla Comunità Montana in sede di VIA), poiché tale vizio “è configurabile in presenza di un provvedimento che presenti contraddizioni ed incongruenze rispetto a precedenti valutazioni della stessa Autorità, o di manifestazioni di volontà che si pongono in contrasto tra di loro; in altre parole, la contraddittorietà deve intercorrere tra specifici atti dell’amministrazione… ed attiene al quid proprium del processo decisorio, involgente valutazioni discrezionali, e non si estende dunque a situazioni caratterizzate anche dall’accertamento della situazione di fatto, quale è quella implicata dalla definizione di bosco”;

– a seguito di verificazione, deve affermarsi che “l’area compresa nella part. 16/p del fgl. 65 del Comune di Orvieto non è riconducibile tra le aree boscate di cui all’art. 5 della l. r. n. 28 del 2001, nella considerazione che le specie annoverabili tra quelle arboree, nonché la conformazione vegetazionale nel suo insieme tendono maggiormente verso una vegetazione definibile di tipo spondale/riparia piuttosto che boschiva, sia per diametro ed altezza delle piante che per rappresentatività delle stesse a ridosso dell’impluvio”.

1.3. Avverso tale decisione vengono proposti dal comune di Orvieto i seguenti motivi di appello:

a) error in iudicando et in procedendo sotto plurimi profili; difetto ed erroneità di motivazione; travisamento sotto plurimi profili; violazione di legge; violazione e/o falsa applicazione art. 142, co. 1, lett. g) d.lgs. n. 42/2004; art. 5 l. reg. Umbria n. 28/2001; art. 13 Direttiva 08/98/CE; art. 177 d.lgs. n. 102/2006, nonché dell’All. 1, par. 2.1 d.lgs. n. 36/2003; ciò in quanto. per un verso, la verificazione non è avvenuta in contraddittorio tra le parti, che “non furono neppure avvisate in ordine all’effettuazione del sopralluogo”; per altro verso, vi è difetto di motivazione in ordine alla valutata inesistenza di area boscata; per altro verso ancora, l’area della società appellata deve essere assunta tra le aree boscate, in virtù delle definizioni di bosco offerte dall’art. 2, co. 6, d.lgs. n. 227/2001 e dall’art. 5 l. reg. Umbria n. 28/2001, e dunque è da ritenersi vincolata ai sensi dell’art. 142 d.lgs. n. 42/2004;

b) error in iudicando et in procedendo sotto ulteriore profilo quanto al ritenuto assorbimento del motivo afferente l’omesso espletamento della procedura di valutazione ambientale strategica; infatti, con motivi aggiunti è stata dedotta l’illegittimità della delibera n. 33/2012 per omissione di un passaggio procedimentale obbligatorio, consistente nell’espletamento della procedura di VAS, laddove, al contrario, la variante, limitata nella superficie (12 ettari) non è in grado di produrre effetti significativi sull’ambiente, anzi ha introdotto miglioramenti, né le modifiche introdotte rientrano tra quelle da sottoporre a VAS (v. in particolare, pagg. 26 ss. app.).

1.4.. Si è costituita in giudizio la società appellata, che ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del secondo motivo di appello, per violazione del principio dispositivo e per carenza di interesse, ed ha comunque concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.

Ha altresì proposto appello incidentale “condizionato”, articolando i seguenti motivi:

a1) error in iudicando et in procedendo; difetto di istruttoria e di motivazione; travisamento dei fatti; violazione e falsa applicazione della l. reg. n. 28/2001; ciò in quanto il Comune di Orvieto ha richiesto un parere alla Comunità Montana che ha “pedissequamente ripreso e fatto proprio, senza alcuna ulteriore autonoma valutazione e/o altra attività istruttoria”; in sostanza “il Comune ha rimesso alla Comunità Montana la determinazione in ordine all’accoglimento delle osservazioni formulate dalle associazioni, spogliandosi di una propria funzione a favore di un soggetto chiaramente privo di competenza”;

b1) error in iudicando et in procedendo; eccesso di potere; contraddittorietà e perplessità; difetto di istruttoria; travisamento dei fatti e di motivazione; poiché, in primo luogo, nell’ambito di un precedente procedimento integrato di VIA -AIA, la disamina del terreno è stata sospesa e non esclusa, per consentire alla Regione Umbria di valutare la necessità di ulteriori ampliamenti della discarica, e quindi la SAO in ordine a tale area “ha maturato una legittima aspettativa meritevole di tutela”; in secondo luogo, in tale ambito il Comune di Orvieto ha manifestato l’assenza di un’area boscata;

c1) error in iudicando et in procedendo, omessa pronuncia con riferimento ai motivi dichiarati assorbiti; e precisamente: c1.1) per il mancato espletamento della procedura di VAS (v. pagg. 31-39 memoria 29 aprile 2015); c1.2) sulla procedura di variante: violazione e falsa applicazione art. 18, co. 3 e 67, co. 4 l. reg. n. 11/2005; eccesso di potere per difetto di istruttoria e per illegittimità derivata (v. pagg. 39 – 41 memoria cit.).

1.5. Si è altresì costituita in giudizio l’associazione “Amici della terra – club Orvieto”, che ha concluso perché venga accolto l’appello del Comune di Orvieto.

1.6. Con ordinanza 3 novembre 2015 n. 5018, questa Sezione ha disposto una verificazione “tendente ad accertare l’eventuale insistenza di un bosco, secondo la definizione contenuta nell’art. 5 l. reg. Umbria 19 novembre 2001 n. 28”.

In data 15 gennaio 2016 è stata depositata la relazione inerente la disposta verificazione, effettuata però da ingegnere della Regione Umbria ma non appartenente al Servizio urbanistica di detta Regione, così come invece disposto dall’ordinanza n. 5018/2015.

A fronte di ciò, con ordinanza 20 luglio 2016 n. 2354, questa Sezione:

– “rilevato che, contrariamente a quanto disposto, la verificazione è stata effettuata da ingegnere del Servizio energia di detta Regione… e che inoltre l’attività del verificatore è stata supportata da altri soggetti, non contemplati dalla predetta ordinanza”;

– considerato che “la modificazione in ordine alla individuazione degli ausiliari del giudice, ex art. 19 Cpa, può avvenire esclusivamente con provvedimento del medesimo giudice”, mentre, nel caso di specie “si è incorsi in una individuazione del verificatore secondo modalità diverse da quelle indicate in ordinanza”;

ha disposto una nuova verificazione, affidandola alla Università degli studi della Tuscia, Facoltà di scienze forestali e ambientali, “nel cui ambito, e tra i professori ordinari o associati ad essa afferenti, il Rettore dell’Università individuerà la specifica figura del verificatore”.

1.7. In data 21 settembre 2016 è stata depositata la verificazione effettuata dal prof. Gianluca Piovesan, ordinario di selvicoltura e assestamento forestale presso l’Università della Tuscia, nelle conclusioni della quale si legge che “all’interno dell’unità immobiliare distinta in catasto al foglio 65, part. 16/p del Comune di Orvieto, di proprietà di Sa. s.p.a., è presente un bosco secondo la definizione contenuta nell’art. 5 l. reg. Umbria 19 novembre 2001 n. 28”.

Con memorie del 27 marzo e del 6 aprile 2017, la società appellata ha proposto doglianze in ordine alle modalità di espletamento della verificazione, deducendo la inammissibilità e/o inutilizzabilità della medesima nel presente giudizio.

1.8. Dopo il deposito di ulteriori memorie e repliche, all’udienza pubblica di trattazione del 27 aprile 2017 la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

2. L’appello principale è fondato, in accoglimento del I motivo proposto.

Come si illustrerà meglio in prosieguo, tanto rende irrilevante l’esame del secondo motivo di appello principale e della relativa eccezione di inammissibilità avanzata dalla società appellata (che, peraltro, ha risollevato la questione oggetto di tale secondo motivo con il proprio ricorso incidentale).

3. Il Collegio deve innanzi tutto ribadire, nella presente sede, principi già espressi dalla giurisprudenza di questa Sezione in relazione all’esercizio del potere di pianificazione urbanistica ed alla natura della motivazione delle scelte in tal modo effettuate

3.1. Questa Sezione, con sentenza 10 maggio 2012 n. 2710 (successivamente più volte riconfermata nelle sue motivazioni, cfr. da ultimo Sez. IV, n. 3237 del 2017 cui si rinvia a mente dell’art. 88, co.2, lett. d), Cpa), ha già avuto modo di osservare che il potere di pianificazione urbanistica del territorio – la cui attribuzione e conformazione normativa è costituzionalmente conferita alla potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni, ex art. 117, comma terzo, Cost. ed il cui esercizio è normalmente attribuito, pur nel contesto di ulteriori livelli ed ambiti di pianificazione, al Comune – non è limitato alla individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale, ed in particolare alla possibilità e limiti edificatori delle stesse.

Al contrario, tale potere di pianificazione deve essere rettamente inteso in relazione ad un concetto di urbanistica che non è limitato solo alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli (e, al massimo, ai tipi di edilizia, distinti per finalità, in tal modo definiti), ma che, per mezzo della disciplina dell’utilizzo delle aree, realizzi anche finalità economico – sociali della comunità locale (non in contrasto ma anzi in armonico rapporto con analoghi interessi di altre comunità territoriali, regionali e dello Stato), nel quadro di rispetto e positiva attuazione di valori costituzionalmente tutelati.

In definitiva, l’urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo.

Il potere di pianificazione urbanistica, dunque, non è funzionale solo all’interesse pubblico all’ordinato sviluppo edilizio del territorio in considerazione delle diverse tipologie di edificazione distinte per finalità (civile abitazione, uffici pubblici, opifici industriali e artigianali, etc.), ma è anche rivolto alla realizzazione contemperata di una pluralità di interessi pubblici (e segnatamente di quelli ambientali fino al punto di prevedere il c.d. consumo zero di suolo), che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti.

3.2. Tanto precisato sul piano generale, quanto alla motivazione che deve sorreggere le scelte urbanistiche, occorre ricordare che l’onere di motivazione gravante sull’amministrazione in sede di adozione di uno strumento urbanistico, salvo i casi in cui esse incidano su zone territorialmente circoscritte ledendo legittime aspettative, è di carattere generale e risulta soddisfatto con l’indicazione dei profili generali e dei criteri che sorreggono le scelte effettuate, senza necessità di una motivazione puntuale e “mirata”.

La motivazione delle scelte urbanistiche, sufficientemente espressa in via generale, è desumibile sia dai documenti di accompagnamento all’atto di pianificazione urbanistica, sia dalla coerenza complessiva delle scelte effettuate dall’amministrazione.

Infine, nell’ambito del procedimento volto all’adozione dello strumento urbanistico (per il quale non è prevista comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di atto di pianificazione, come tale escluso dall’art. 13 l. n. 241/1990), non occorre controdedurre singolarmente e puntualmente a ciascuna osservazione e opposizione.

4.Scendendo all’esame del merito del gravamesi rileva, come si è già detto, che vi è stata adozione di una variante parziale al PRG, tale da imprimere all’area di proprietà della attuale appellata, una destinazione a zona agricola “E”, anziché “F”, in recepimento di osservazioni finalizzate ad accertare la presenza di un’area boscata, ai sensi dell’art. 5 l. reg. n. 28 del 2001″.

Tanto ha infine disposto il Comune di Orvieto con le deliberazioni del Consiglio comunale nn. 113/2011 e 33/2012.

Orbene, alla luce delle considerazioni innanzi esposte, appare evidente come l’ente territoriale ben possa, per la migliore tutela della pluralità di interessi pubblici ad esso attribuita, imprimere ad un suolo una particolare destinazione (nel caso di specie, zona “E”, in luogo della precedente “F”), dovendosi riaffermare come il sindacato giurisdizionale di legittimità in ordine alle scelte urbanistiche possa valutare le stesse, oltre che in verifica dell’eventuale sussistenza del vizio di incompetenza, anche per il vizio di eccesso di potere per illogicità, dovendosi assolutamente evitare di debordare nel non ammesso sindacato sul merito delle scelte amministrative.

4.1. Nel caso di specie:

– per un verso, si è contestato che il Comune potesse procedere in variante ledendo specifiche aspettative dell’appellata (motivo riproposto app. inc. sub b1, in parte);

– per altro verso, si è contestato che l’area oggetto di zonizzazione “E”, fosse “area boscata” (tesi accolta in sentenza, ed ora contestata con il motivo di appello sub a) dell’esposizione in fatto);

– per altro verso ancora, si è contestato un difetto di istruttoria e di motivazione, avendo il Comune di Orvieto, in sede di esame delle osservazioni, recepito acriticamente il parere della Comunità Montana (morivo app. inc. sub a1).

4.2. Il Collegio ritiene necessario, prima di passare all’esame del thema decidendum, come definito dai motivi degli appelli principale ed incidentale – ed in considerazione del rilevo che assume nel presente giudizio – esaminare le doglianze rivolte dalla società appellata avverso la disposta verificazione, poste a fondamento di una richiesta di inammissibilità e/o inutilizzabilità della relazione depositata, ai fini del presente giudizio.

In tal senso, è stata evidenziata una violazione del principio del contraddittorio (e, dunque, del diritto di difesa), per essere stato negato alle parti “il diritto di presentare in forma scritta ed in contraddittorio con il verificatore le proprie valutazioni critiche alle osservazioni di quest’ultimo” (v. pagg. 5 – 7 memoria del 27 marzo 2017 e pagg. 1 – 2 memoria del 6 aprile 2017).

Le doglianze proposte non sono fondate, non rilevandosi, in sede di espletamento della verificazione, le dedotte violazioni del principio del contraddittorio.

L’art. 63, co. 4, Cpa prevede che “qualora reputi necessario l’accertamento di fatti o l’acquisizione di valutazioni che richiedono particolari competenze tecniche, il giudice può ordinare l’esecuzione di una verificazione ovvero, se indispensabile, può disporre una consulenza tecnica”.

Il Codice, tuttavia, mentre definisce aspetti del contenuto dell’ordinanza con la quale si dispone la consulenza tecnica di ufficio (art. 67, co. 3), anche in ordine alle modalità di svolgimento della medesima (in particolare, quanto ai rapporti tra CTU e consulenti di parte: v. co. 3, lett. c), d) ed e), quanto alla verificazione, più semplicemente stabilisce (art. 66, co. 1) che l’ordinanza con la quale si dispone la verificazione, “… individua l’organismo che deve provvedere, formula i quesiti e fissa un termine per il suo compimento e per il deposito della relazione conclusiva”.

La verificazione, dunque, si distingue dalla CTU per una sua particolare snellezza, anche di forma e di modalità di accertamento dei fatti – il che giustifica la preferenza espressamente accordatale dal Codice rispetto alla CTU – e rimettendosi al prudente apprezzamento del giudice, con riferimento al caso concreto, scegliere tra i due mezzi posti a sua disposizione.

Ovviamente, l’esclusione delle specifiche modalità previste per lo svolgimento della CTU non esclude anche che la verificazione debba essere effettuata nel rispetto del principio del contraddittorio, garantito dagli artt. 24 e 111 Cost..

Essa dovrà, dunque, svolgersi secondo le prescrizioni di volta in volta impartite dal giudice con ordinanza, salvaguardando (sia pure senza il rispetto delle modalità di cui all’artt. 87 Cpa) la parità processuale delle parti ed il diritto di difesa.

Ciò comporta, anche laddove ciò non sia specificamente indicato nell’ordinanza, che le parti (difensori e consulenti) devono essere avvertite dell’espletamento di accessi, ricognizioni, accertamenti, dovendosi consentire la partecipazione alle operazioni comunque volte all'”accertamento del fatto” (non potendo a ciò procedere il verificatore “in solitudine”); così come deve essere comunque garantita una interlocuzione in ordine alle conclusioni della verificazione da porre all’attenzione del giudice, prima che questi decida la causa (dovendosi, quindi, da parte del giudice comunque garantire un termine alle parti per eventuali osservazioni e controdeduzioni in ordine alla verificazione).

Tali principi hanno trovato applicazione nel caso di specie, poiché le parti sono state messe in condizione di partecipare alle operazioni di verificazione e di produrre in giudizio le proprie controdeduzioni.

Appare, dunque, assicurato il rispetto del principio del contraddittorio, non potendosi, al contrario, quest’ultimo ritenere violato (in assenza di indicazioni normative o nell’ordinanza con la quale si è disposta la verificazione), per il solo fatto che il verificatore non ha ritenuto di concedere un termine ai consulenti di parte per controdeduzioni prima del deposito della propria relazione.

Da ultimo, è appena il caso di notare chealla verificazione – contrariamente a quanto sostenuto dall’appellata – non è applicabile l’art. 10 l. n. 241/1990, né le norme relative alla partecipazione procedimentale, poiché la stessa non è oggetto di un procedimento amministrativo.

4.3. Anche le doglianze relative ad una “errata identificazione dell’oggetto di indagine rispetto a quello indicato dall’ordinanza n. 3298/2016” (v. pagg. 8 -10 memoria del 27 marzo 2017 e pagg. 2 – 5 memoria del 6 aprile 2017) sono infondate.

Ed infatti, l’ordinanza che ha disposto la verificazione (e precisamente l’ordinanza n. 3298/2016, che ha a sua volta richiamato la precedente ordinanza n. 5018/2015) non ha affatto richiesto al verificatore “se la particella 16/p fosse da considerarsi quale area boscata nella sua interezza” (come sostenuto dall’appellata), ma ha richiesto di accertare “l’eventuale insistenza di un bosco, secondo la definizione contenuta nell’art. 5 della l. reg. Umbria 19 novembre 2001 n. 28, sull’area di proprietà della SAO s.p.a. e, in particolare, sull’unità immobiliare distinta in catasto al foglio 65, part. 16/p del comune di Orvieto”.

Come appare evidente, ciò che si è rimesso al verificatore è l’accertamento di un “bosco”, secondo le caratteristiche materiali prescritte per l’individuazione dalla l. reg. n. 28/2001, nell’ambito dell’area considerata, e non già che la totalità di tale area dovesse essere coperta da bosco (non essendo peraltro ciò richiesto, ai fini della definizione, dalla citata legge regionale né essendo ciò rilevante ai fini del legittimo esercizio della potestà pianificatoria).

Quanto alle ulteriori doglianze, con le quali si lamenta, entrando nel “merito” della verificazione, la violazione di una pluralità di disposizioni normative, è sufficiente osservare che la verificazione accerta fatti o compie valutazioni tecniche, essendo sempre rimessa alla valutazione del giudice sia il giudizio sulle valutazioni espresse, sia le deduzioni da esse ricavabili, sia, in particolare, la sussumibilità dei fatti nella tipologia astrattamente delineata dalla norma.

5. Fermi, anche ai fini della presente decisione, i principi generali in tema di pianificazione urbanistica innanzi riportati, occorre rilevare, alla luce degli esiti della verificazione disposta nel presente grado di appello, che l’area oggetto di zonizzazione costituisce un “bosco”.

L’art. 5 della l. reg. Umbria 19 novembre 2001 n. 28 (Testo unico regionale per le foreste), al quale occorre fare riferimento per espresso disposto dell’art. 2, co. 6, d.lgs. 18 maggio 2001 n. 227, prevede, per quel che interessa nella presente sede (co. 1) che “costituisce bosco o foresta ogni appezzamento di terreno di superficie maggiore di duemila metri quadrati e di larghezza complessiva, misurata al piede delle piante di confine, non inferiore a venti metri, in cui sia presente una copertura arborea forestale superiore al venti per cento.

La verificazione ha accertato:

– che la zona considerata ha una superficie di 3249 mq.;

– che “il poligono delimitato dai rilievi eseguiti ha larghezza nettamente superiore ai 20 m.”;

– che vi è uno strato arboreo nettamente superiore alla prescritta soglia del 20% con un “ecosistema tipicamente forestale, spontaneo, in grado di autoriprodursi indefinitamente”; il bosco in esame “appare come una formazione forestale chiusa anche per il senso comune”.

Pertanto, anche alla luce della concreta verifica disposta, la destinazione impressa dal Comune all’area, nell’esercizio del proprio potere di pianificazione (in ordine al quale si sono già enunciati sia il contenuto di detto potere, sia i limiti del sindacato giurisdizionale di legittimità sul medesimo), risulta coerente con lo stato di fatto dell’area medesima, di modo che: appare fondato il primo motivo di appello (sub lett. a) dell’esposizione in fatto), nella parte in cui con il medesimo si rileva la coerenza della scelta urbanistica e, dunque, l’errore in cui è incorsa la sentenza impugnata, laddove nega l’esistenza di un’area boscata.

Correlativamente, devono essere rigettati i primi due motivi dell’appello incidentale (sub lett. a1) e b1) dell’esposizione in fatto) posto che:

– quanto al primo motivo, oltre ad essere dirimente quanto accertato mediante la verificazione disposta, appare del tutto legittimo e ragionevole (ben potendo, nell’ambito del procedimento amministrativo, farsi ricorso a pareri facoltativi) che, nell’ambito del procedimento di adozione di uno strumento urbanistico, il Comune richieda (come avvenuto nel caso di specie) il parere della Comunità Montana, in ordine alla natura boschiva (o meno) delle aree considerate. Ciò non costituisce né una dismissione delle proprie competenze (che il Comune di Orvieto ha esercitato, anche in sede di valutazione delle osservazioni presentate), né – stante la natura di quanto richiesto e le competenze dell’ente interpellato – un illegittimo aggravamento procedimentale;

– quanto al secondo motivo, non appare sussistente “una legittima aspettativa meritevole di tutela”, derivante dal fatto che la società appellata, in ordine all’area di sua proprietà ed oggetto di nuova e diversa zonizzazione “aveva presentato un progetto di revamping esaminato in sede di VIA/AIA”. Ed infatti, per un verso, non essendo stato ultimato il relativo procedimento, la mera presentazione di una istanza non può costituire ex se “legittima aspettativa”, impeditiva di qualsivoglia nuova determinazione urbanistica; per altro verso, la scelta di diversa zonizzazione risulta comunque sufficientemente motivata, come emerge dal dato obiettivo (tale accertato dalla verificazione) della presenza di un’area boscata, come tale oggetto di particolare considerazione e tutela.

6. Infine, anche il terzo motivo dell’appello incidentale è infondato e deve essere, pertanto, respinto.

Con tale motivo si lamenta sia il mancato espletamento della procedura di VAS; sia la violazione degli artt. 18, co. 3 e 67, co. 4, l. reg. Umbria n. 11/2005 ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e per illegittimità derivata.

Quanto al primo dei profili evidenziati, nel caso di specie non ricorrono i presupposti per la previa sottoposizione della variante al PRG a VAS; e ciò sia per entità della superficie interessata sia per tipologia di zonizzazione imposta (zona E)

Difatti, non ricorrono i presupposti previsti dall’art. 3, co. 2, l. reg. Umbria 16 febbraio 2010 n. 12, ed anzi trovando applicazione l’esclusione disposta dal successivo co. 4 per i “piani e programmi, compresi gli strumenti della pianificazione urbanistica comunale, qualora non ricorra nessuna delle due condizioni di cui al comma 2 lettere a) e b)” (nel caso di specie, in particolare, la pianificazione non è inerente alla realizzazione di progetti di cui agli allegati II, III e IV della Parte II d.lgs. n. 152/2006).

Quanto alla contestata utilizzazione della procedura semplificata per l’approvazione delle varianti, di cui agli artt. 18, co. 3 e 67, co. 4 l. reg. Umbria n. 11/2005, occorre innanzi tutto osservare che la dimidiazione dei termini ivi prevista non ha inciso sulla possibilità per la società appellata (nonché appellante incidentale) di attuare idonea tutela procedimentale e, successivamente, processuale.

Quanto al merito della doglianza, occorre osservare che, a fronte dell’art. 67, co. 4 cit. – il quale consente il ricorso al procedimento semplificato di approvazione delle varianti per quei “PRG, parte strutturale, approvati ai sensi della L.R. n. 31/1997, contenenti previsioni corrispondenti ai contenuti del PRG, parte operativa, di cui alla presente legge”-, l’appellante incidentale, pur assumendo (v. pagg. 40 – 41 memoria del 29 aprile 2015) l’inesistenza dei presupposti per far ricorso alla procedura semplificata, non dimostra per quali ragioni “i contenuti sui quali il Comune interviene con la variante (individuazione delle aree boscate)” non rientrerebbero “in ogni caso tra quelli di pertinenza della Parte operativa del PRG”.

D’altra parte, il presupposto indicato dalla norma richiede la “corrispondenza” e quindi la “non contrarietà” di previsioni tra parte strutturale e parte operativa del PRG, di modo che il contenuto di una variante, ove non previsto dalla parte operativa, non esclude ex se il ricorso alla predetta procedura semplificata, secondo le norme indicate.

7. Alla luce di tutte le considerazioni sin qui esposte, l’appello principale deve essere accolto, mentre deve essere rigettato l’appello incidentale.

Da ciò consegue che, in riforma della sentenza impugnata, devono essere rigettati il ricorso instaurativo del giudizio di I grado ed il ricorso per motivi aggiunti ivi proposto.

Stante la natura, novità e complessità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese ed onorari del doppio grado di giudizio, ad eccezione delle seguenti somme che vengono poste a carico della parte appellata soccombente: a) spese per le verificazioni liquidate nel I grado di giudizio; b) spese e compenso relativi allaverificazione disposta in grado di appello (alla liquidazione dei quali si provvede con separato decreto collegiale); c) contributo unificato versato per il giudizio di appello dal Comune di Orvieto.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

Sezione Quarta,

definitivamente pronunciandosull’appello proposto dal Comune di Orvieto (n. 2354/2015 r.g.):

a) accoglie l’appello principale;

b) rigetta l’appello incidentale;

c) per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta in toto il ricorso instaurativo del giudizio di I grado ed i motivi aggiunti ivi proposti;

d) compensa tra le parti spese ed onorari del doppio grado di giudizio, ad eccezione delle seguenti somme che pone a carico della parte appellata soccombente: d1) spese per la verificazione liquidate nel I grado di giudizio; d2) compenso e rimborso delle spese sostenute, spettanti per la verificazione disposta in grado di appello, in ordine ai quali si provvede con separato decreto collegiale; d3) contributo unificato versato per il giudizio di appello dal Comune di Orvieto;

e) provvede con separato decreto collegiale alla determinazione di quanto dovuto al verificatore per onorario e rimborso delle spese sostenute, il cui pagamento è posto a carico della società appellata.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 aprile 2017 con l’intervento dei magistrati:

Vito Poli – Presidente

Oberdan Forlenza – Consigliere, Estensore

Leonardo Spagnoletti – Consigliere

Luca Lamberti – Consigliere

Nicola D’Angelo – Consigliere

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