Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 4 febbraio 2015, n. 552

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE QUARTA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6361 del 2014, proposto da:
Ex. S.p.A., rappresentato e difeso dagli avv. Gi.Ta., An.Cl., con domicilio eletto presso An.Cl. in Roma, Via (…);
contro
Gruppo Co. Spa, rappresentato e difeso dagli avv. Ce.Ma., An.Gu., con domicilio eletto presso An.Gu. in Roma, piazza (…);
nei confronti di
Ri. Spa, rappresentato e difeso dall’avv. St.Ga., con domicilio eletto presso St.Ga. in Roma, Via (…);
St. Srl , ed altri; Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello S, domiciliata in Roma, Via (…);
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LOMBARDIA – MILANO: SEZIONE IV n. 01716/2014, resa tra le parti, concernente aggiudicazione gara per la stipulazione di un contratto di partnership consistente in un accordo di utilizzazione del proprio marchio commerciale – a.t.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Gruppo Co. Spa e di Ri. Spa e di Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2014 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Ta. ed altri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO

1. Con l’appello in esame, Ex. s.p.a. impugna la sentenza 2 luglio 2014 n. 1716, con la quale il TAR per la Lombardia, sez. IV, in accoglimento del ricorso proposto da Gruppo Co. s.p.a. , ha annullato il provvedimento di aggiudicazione della gara per l’individuazione del Retail & Merchandising Partner di Ex..

La sentenza ha innanzi tutto rigettato l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo “in quanto la società Ex. s.p.a. ha natura di organismo di diritto pubblico e in base all’art. 5, co. 10, Dpcm 6 maggio 2013 è tenuta per la scelta dei suoi contraenti a seguire le procedure di evidenza pubblica”

Essa ha, quindi, rigettato il ricorso incidentale proposto da La Ri. s.p.a., ed ha accolto il ricorso proposto dalla società Co., affermando, in particolare:

– la commissione di gara, avendo affidato, una volta riunitasi in seduta riservata per l’esame delle offerte tecniche, “ad un consulente esterno la definizione del valore VIK da attribuire al piano di promozione e visibilità presentato dai concorrenti ai fini dell’apprezzamento dell’offerta economica”, pur facendo salvi i necessari approfondimenti da verificare in sede di apertura delle offerte economiche, “ha completato l’esame delle offerte tecniche dopo avere acquisito dal consulente esterno le valutazioni relative ai valori massimi assumibili da una parte consistente dell’offerta economica delle partecipanti alla procedura, in palese violazione del principio della necessaria precedenza della valutazione dell’offerta tecnica rispetto alla valutazione dell’offerta economica”;

– ed infatti, il principio di segretezza, che è “presidio dell’attuazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa”, comporta che “fino a quando non si sia conclusa la valutazione delle offerte tecniche, è inderogabilmente preclusa al seggio di gara la conoscenza, diretta o indiretta, del valore dell’offerta economica, per evitare ogni possibile influenza sulla valutazione dell’offerta tecnica”;

– il consulente esterno “non si è limitato a svolgere attività istruttoria, fornendo alla commissione un mero supporto tecnico, ma ha determinato il valore economico massimo dei piani di comunicazione e promozione . . . così effettuando valutazioni necessariamente rimesse alla commissione in quanto collegio perfetto”.

Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) ingiustizia ed illegittimità della sentenza per difetto di motivazione e travisamento dei fatti; violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato; ciò in quanto il contratto de quo è “un semplice accordo per l’utilizzazione di un marchio commerciale”, di modo che “la vicenda non concerne l’affidamento di un contratto di pubblici lavori, servizi e forniture, con tale locuzione inequivocabilmente intendendosi le ipotesi negoziali soggette all’applicazione del d. lgs. n. 163/2006”;

b) ingiustizia ed illegittimità della sentenza per difetto di motivazione e travisamento dei fatti; violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato; ciò in quanto, b1) essendosi la commissione attenuta alle indicazioni dell’art. 7 delle “Condizioni generali”, la ricorrente avrebbe dovuto impugnare detta norma, ed il TAR “non ha in assoluto preso in considerazione, nemmeno per respingerla” l’eccezione di inammissibilità; b2) la commissione di gara ha agito nel pieno rispetto della normativa speciale, quale prevista dalle “condizioni generali” e dall’avviso di gara (in part. art. 5); b3) la decisione è illegittima per difetto assoluto di motivazione e per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, posto che “il TAR avrebbe dovuto interrogarsi sulla natura e sulla funzione della stima economica, motivando le ragioni per cui dovrebbero ritenersi prive di fondamento le specifiche deduzioni al riguardo svolte da Ex. … cui l’impugnata decisione non dedica nemmeno una parola”; b4) nemmeno quanto previsto dalle condizioni generali, in tema di valutazione “della stima economica del valore dei beni/servizi proposti in VIK” è stata specificamente impugnata, di modo che anche per questo verso, la censura è inammissibile; b5) la stima economica, acquisita dalla commissione nella fase di valutazione delle offerte tecniche “è strumentale al controllo di congruità che la commissione deve svolgere successivamente nella fase di valutazione delle offerte economiche, costituendo il parametro di riferimento cui confrontare il valore dichiarato dai concorrenti”, con la conseguenza che “proprio in quanto funzionale al controllo di attendibilità del valore dell’investimento ipotizzato quale affermato dal concorrente in sede di offerta economica, la stima di mercato dell’investimento necessario ad attuare l’offerta economica deve precedere la fase di apertura delle buste economiche, affinchè la valutazione di tali offerte possa essere operata in modo obiettivo”;

c) ingiustizia ed illegittimità della sentenza per difetto di motivazione e travisamento dei fatti; violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato; ciò in quanto non vi è alcuna violazione della natura di collegio perfetto propria della commissione, poiché il consulente “ha sì fornito alla commissione una propria stima . . . ma tali stime sono state autonomamente valutate e discusse dalla commissione, che ha in tal modo elaborato un proprio giudizio di stima, poi utilizzato in sede di controllo di congruità”; in definitiva, “il consulente esterno non ha svolto alcuna attività valutativa” posto che “la stima economica non è attività valutativa, né dell’offerta tecnica . . . né dell’offerta economica”. Infine, la circostanza che l’attività di valutazione di congruità delle offerte economiche “è stata fatta dal consulente esterno e non dalla Commissione di gara”, è irrilevante “poiché il controllo di congruità non è attività di valutazione, ma attività di controllo che precede la valutazione vera e propria e condiziona quest’ultima nella sola misura in cui il valore stimato sia inferiore al valore dichiarato dall’offerente”.

2. Si è costituito in giudizio il Gruppo Co. s.p.a., il quale, per un verso, con memoria del 25 luglio 2014, ha concluso richiedendo il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza, ma riproponendo altresì i motivi dichiarati assorbiti e che “come quelli accolti avrebbero l’effetto di travolgere la procedura concorsuale” (v. pagg. 19 – 29 memoria); per altro verso, ha proposto appello incidentale, spiegando i seguenti motivi di impugnazione:

violazione del principio dispositivo, poiché la sentenza, nell’accogliere in parte qua il ricorso, “ha tuttavia ignorato l’ordine di priorità logica e giuridica che Gruppo Co. aveva istituito fra le diverse censure sollevate”, riconducibili a “tre categorie di vizi omogenei” (i motivi relativi alle prime due categorie vengono riproposti con appello incidentale, mentre i motivi di cui alla terza categoria, vengono riproposti con memoria, ai sensi dell’art. 101 Cpa: v. pag. 6 app. inc.):

aa) vizi di carattere immediatamente escludente (pagg. 6 – 16), con i quali è stata contestata l’ammissione della Ri. s.p.a. alla gara, ed il cui accoglimento avrebbe comportato l’immediata aggiudicazione della gara al Gruppo Co.. Tali vizi consistono in: aa1) mancata sottoscrizione dell’offerta tecnica; presenza di due offerte diverse; aa2) mancata indicazione del mittente sul plico; aa3) violazione art. 38 d. lgs. n. 163/2006, stante la mancata resa delle dichiarazioni prescritte; aa3) offerta tecnica generica ed indeterminata;

bb) vizi di illogicità ed irragionevolezza del giudizio tecnico formulato dalla Commissione in ordine alle offerte (pagg. 17 – 32), il cui accoglimento “avrebbe comportato l’attribuzione a gruppo Co. di un punteggio più elevato di quello della Ri. e dunque avrebbe determinato il conseguimento per il gruppo Co. della prima posizione in graduatoria e l’aggiudicazione della gara”;

cc) vizi relativi alla procedura di gara nel suo complesso, tra i quali rientrano quelli accolti dalla sentenza, ed “il loro accoglimento determina quindi l’onere per Ex. di bandire una nuova procedura di gara”.

3. Si è costituito in giudizio il Commissario unico delegato dal Governo per Ex., insieme alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed al Ministero dell’Economia e delle finanze.

Si è altresì costituita in giudizio La Ri. s.p.a., che ha concluso richiedendo l’accoglimento dell’appello di Ex. s.p.a., e, quanto all’appello incidentale di Co. s.p.a., ha affermato (v. pagg. 26 – 34 memoria 26 luglio 2014), che non vi è stata alcuna violazione del principio dispositivo, esponendo, in ogni caso, che i motivi riproposti sono infondati.

Con memoria 25 luglio 2014, l’appellante Ex. s.p.a. ha controdedotto rispetto all’appello incidentale Co..

Con ordinanza30 luglio 2014 n. 3335, questo Consiglio di Stato, sez. IV, ha rigettato la domanda di misura cautelare, affermando in particolare che “nei limiti di delibazione propri della presente fase cautelare, il ricorso in appello non appare assistito da sufficiente fumus boni iuris, sia in relazione alla giurisdizione del giudice amministrativo, sia in relazione agli aspetti di “interferenza” tra esame dell’offerta tecnica e di quella economica”.

4. Successivamente alla ordinanza n. 3335/2014 di questo Consiglio di Stato, la società Ex., con provvedimento 24 settembre 2014 n. 532/U/2014, ha proceduto alla revoca degli atti di gara.

Tale atto, a seguito di ricorso proposto dal Gruppo Co. s.p.a., è stato annullato con sentenza 28 novembre 2014 n. 2870, pronunciata dal TAR Lombardia, sez. IV.

Con memoria del 14 novembre 2014, il Gruppo Co. s.p.a. insiste nell’accoglimento del proprio appello incidentale, rappresentando che esso è un “appello incidentale autonomo”, le cui sorti non sono “in alcun modo connesse a quelle dell’appello principale”.

Secondo l’appellante incidentale “l’accoglimento delle censure aventi carattere escludente avrebbe dunque comportato automaticamente l’aggiudicazione a favore del Gruppo Co. e non la necessità di rinnovare la procedura di gara”. Da ciò deriverebbe “l’interesse del Gruppo Co. a che l’appello incidentale venga deciso prioritariamente rispetto al ricorso proposto avverso la revoca”, che non determina l’improcedibilità dell’appello incidentale.

Dopo il deposito di ulteriori memorie, all’udienza di trattazione la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

5. Alla luce della sopravvenienza di ulteriori provvedimenti, quale in particolare la revoca degli atti di gara (che ha dato luogo ad un diverso giudizio, definito in I grado), ed alla luce delle questioni poste sia dall’appello principale Ex., sia dall’appello incidentale Coiu, sono sottoposte all’esame del Collegio una pluralità di questioni, sia in rito sia di merito, che possono essere come di seguito riassuntivamente rappresentate, secondo l’ordine logico-giuridico del loro esame:

– in primo luogo, il Collegio deve procedere alla verifica della giurisdizione del giudice amministrativo, in ordine al thema decidendum del presente giudizio, a ciò chiamato dal primo motivo dell’appello principale (sub a) dell’esposizione in fatto);

– in secondo luogo, ove ritenuta la giurisdizione amministrativa, occorre verificare la persistenza dell’interesse ad agire in sede di impugnazione, alla luce della disposta revoca degli atti di gara (oggetto dell’impugnazione instauratrice del presente giudizio) e ciò con riferimento ad ambedue gli appelli proposti (sulla persistenza dell’interesse alla pronuncia, si è, in particolare, soffermato l’appellante incidentale);

– in terzo luogo, occorre procedere alla verifica della natura dell’appello incidentale, poiché – se questo deve essere ritenuto quale “appello incidentale autonomo”, come sostenuto dalla parte proponente – ne consegue il prioritario esame dei motivi con lo stesso proposti. Ed infatti, il Gruppo Co. lamenta che il primo giudice, nell’accogliere in parte qua il ricorso, “ha tuttavia ignorato l’ordine di priorità logica e giuridica che Gruppo Co. aveva istituito fra le diverse censure sollevate”, così violando “il principio dispositivo, vigente anche nel processo amministrativo” e, in particolare “l’ordine di gradazione indicato dalla ricorrente”. Al contrario, nella prospettazione dell’appellante incidentale (che, come si è detto, ha tenuto a precisare la natura di “appello incidentale autonomo” del proprio ricorso), l’accoglimento in I grado dei motivi di ricorso indicati come principali avrebbe consentito (consentirebbe) l’aggiudicazione al Gruppo Co., in ciò connotandosi la maggiore “ampiezza” (nel senso di funzionale soddisfazione della posizione sostanziale) dell’interesse ad agire, tale da sorreggere un esame prioritario dei suddetti motivi;

– in quarto luogo, sono da esaminare gli ulteriori motivi dell’appello principale (sub lett. b) e c) dell’esposizione in fatto) ed, eventualmente, gli ulteriori motivi riproposti dall’appellante incidentale con la memoria del 25 luglio 2014 (e quelli proposti con l’appello incidentale, ove non ritenuto autonomo, bensì quale “incidentale proprio”), ovviamente – in ambedue le ipotesi – per il caso di accoglimento dell’appello principale.

6. Il Collegio ritiene che, in ordine al thema decidendum della presente controversia, come definito dai motivi di ricorso proposti in I grado,. sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo, il che comporta, di conseguenza, il rigetto del primo motivo dell’appello proposto da Ex..

La sentenza impugnata, sul punto ha affermato che la giurisdizione amministrativa sussiste “in quanto la società Ex. s.p.a. ha natura di organismo di diritto pubblico e in base all’art. 5, co. 10, Dpcm 6 maggio 2013 è tenuta per la scelta dei suoi contraenti a seguire le procedure di evidenza pubblica”, affermando altresì che “le peculiarità che connotano l’oggetto del contratto da aggiudicare non valgono a porlo al di fuori del campo di applicazione della disciplina appena richiamata”.

L’appellante, non contestando la natura di organismo di diritto pubblico, ritiene tuttavia:

– per un verso, che il contratto de quo è “un semplice accordo per l’utilizzazione di un marchio commerciale”, di modo che “la vicenda non concerne l’affidamento di un contratto di pubblici lavori, servizi e forniture, con tale locuzione inequivocabilmente intendendosi le ipotesi negoziali soggette all’applicazione del d. lgs. n. 163/2006”;

– per altro verso, che non è sufficiente a radicare la giurisdizione amministrativa (né esclusiva, né di legittimità), “il vincolo cui l’amministrazione decida di assoggettarsi” volontariamente (come nel caso di specie, avendo deciso di “ricorrere all’evidenza pubblica”). Né è sufficiente, in contrario avviso, il richiamo al Dpcm 6 maggio 2013, posto che si tratta “di norma che, in quanto contenuta in un atto amministrativo, non può disporre in contrasto con – né derogare a – disposizioni di legge primaria”.

Il Collegio ritiene, innanzi tutto, che non possano sussistere dubbi in ordine alla natura di “organismo di diritto pubblico”, da riconoscere, ai sensi dell’art. 3, co. 26 d. lgs. n. 163/2006, alla società Ex. s.p.a..

Ed infatti, con riferimento a tale persona giuridica, sussistono sia la funzionalizzazione della sua attività a “soddisfare specificamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale”, sia il finanziamento dell’attività “in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico”, con designazione dei componenti del Consiglio di amministrazione da parte dell’Assemblea dei soci, formata in maggioranza dai soggetti innanzi citati.

Trova, dunque, riscontro nel caso di specie quanto richiesto dalla giurisprudenza (Cons. Stato, Ad. Plen. 1 agosto 2011 n. 16) secondo la quale

“la procedura di affidamento ha in sé natura neutra, e si connota solo in virtù della natura del soggetto che la pone in essere, essendo indispensabile, sia per la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, sia per l’applicazione del diritto pubblico degli appalti, che il soggetto procedente sia obbligato al rispetto delle procedure di evidenza pubblica, in base al diritto comunitario o interno”.

Inoltre, il Collegio ritiene che l’esame dell’oggetto del contratto – come definito, in particolare, dall’art. 1 dell’atto di “ricezione di offerte per l’individuazione del retail & merchandising partner di Ex. s.p.a.” – non consenta di ricondurre lo stesso ad un mero “accordo per l’utilizzazione di un marchio commerciale”.

L’articolo prevede che la gara individui un operatore economico, con qualifica di “partner”, ai fini dello svolgimento di attività quali:

– “ideare, produrre e sviluppare gamme di prodotti merchandising e svolgere la relativa e corretta commercializzazione al pubblico degli stessi”;

– “dare visibilità e promozione ai prodotti di Ex. Milano 2015 e ad Ex. Milano 2015”;

– “acquisire la disponibilità di uno spazio fisico da adibire allo svolgimento di attività commerciale all’interno del sito espositivo . . . per ivi svolgere la vendita di prodotti a marchio “Ex. Milano 2015” o “Ex.”.

Come è dato osservare, l’oggetto della gara, pur composito e tale da costituire presupposto per la stipula di un contratto a contenuto misto, si configura come svolgimento di attività di servizi (nei primi due casi citati), anche riconducibili (almeno in parte) a quelli di cui al n. 13 dell’Allegato IIa) del d. lgs. n. 163/2006 con, in aggiunta, la concessione – strumentale allo svolgimento dei servizi affidati – di un bene pubblico ad uso esclusivo in via temporanea, ove svolgere, in concreto, la vendita dei prodotti.

Da quanto esposto consegue che sussistono sia i presupposti soggettivi (la natura del soggetto appaltante), sia oggettivi (la natura dell’attività oggetto della gara), perché debba trovare piena applicazione la disciplina di evidenza pubblica di cui al d. lgs. n. 163/2006, e ciò indipendentemente da quanto prescritto dal Dpcm 6 maggio 2013.

La presente controversia, dunque, rientra pienamente nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133, co. 1, lett. e) n. 1).

D’altra parte, ove anche il contratto, come sostenuto dall’appellante, si configurasse come “semplice accordo per l’utilizzazione di un marchio commerciale” (definizione esclusa da quanto previsto dagli artt. 1 e 3 dell’atto di “ricezione di offerte”), le relative controversie rientrerebbero comunque – stante la natura di “organismo di diritto pubblico” di Ex. – nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Ed infatti, nel caso di specie, appare difficile negare che il “marchio” di una manifestazione di rilevo internazionale organizzata dall’Italia non possa essere definito “bene pubblico”, di modo che la concessione dell’attività di “sfruttamento commerciale del marchio” costituisce concessione di bene pubblico (immateriale), a pieno titolo rientrante, ai sensi dell’art. 133, co. 1, lett. b), nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

In sostanza, l’utilizzo del “marchio” o del “logo”, appartenente a soggetti pubblici o ad essi assimilati, per scopi ulteriori rispetto all’esercizio della funzione pubblica o del pubblico servizio da parte di operatori privati, ben può costituire concessione di bene pubblico, cui afferisce – una volta individuato il beneficiario – il contratto ausiliario del provvedimento di concessione.

7. Il Collegio ritiene che persista l’interesse ad agire in capo ad ambedue i soggetti appellanti, ancorchè sia intervenuto, come innanzi ricordato, il provvedimento con il quale Ex. ha proceduto alla revoca degli atti di gara.

Infatti, tale provvedimento è stato annullato dal TAR per la Lombardia, sez. IV, con sentenza 28 novembre 2014 n. 2870.

Quanto all’appello principale, occorre rilevare come la non ancora intervenuta definizione del giudizio relativo all’impugnazione dell’atto di revoca, sorregge l’interesse dell’appellante Ex. ad ottenere, in ogni caso, un giudizio definitivo in ordine alla legittimità degli atti di gara, onde conseguire la definitività dei provvedimenti amministrativi adottati.

Quanto all’appello incidentale, appare del tutto evidente l’interesse del Gruppo Co.. E ciò sia nell’ipotesi in cui l’appello incidentale debba essere considerato (così come il medesimo appellante incidentale richiede) quale appello incidentale autonomo, sia nel caso in cui debba essere considerato quale appello incidentale proprio, poiché seguirebbe la sorte dell’appello Ex., in ordine al quale si è già dichiarata la persistenza dell’interesse ad agire.

8. Il Collegio ritiene che l’appello incidentale proposto dal Gruppo Co. non possa qualificarsi come “appello incidentale autonomo”, ancorchè tanto sostenga il Gruppo Co., che ha tenuto a distinguerlo anche “fisicamente”, mediante proposizione di ricorso “autonomo”, così distinguendolo dalla memoria di costituzione con riproposizione di taluni motivi assorbiti dal I giudice.

Al fine di sostenere tale (denegata) natura di appello incidentale autonomo, il Gruppo Co. sostiene non solo che “vi è tra le diverse censure un ordine naturale ed intrinseco di priorità logica”, ma anche di avere “espressamente individuato” tale ordine, procedendo ad indicare “motivi di ricorso da qualificare come principali” ed altri motivi che “avevano viceversa carattere subordinato”.

Tali vizi qualificati come principali sono quelli di carattere immediatamente escludente dell’aggiudicataria società La Ri. (sub aa) dell’esposizione in fatto) e vizi di illogicità ed irragionevolezza del giudizio tecnico formulato dalla Commissione in ordine alle offerte (il cui accoglimento, comportando l’attribuzione di un miglior punteggio al Gruppo Co., ne determinerebbe il conseguimento dell’aggiudicazione: sub bb) dell’esposizione in fatto).

Mentre ambedue le tipologie di motivi, nel comportare l’annullamento della disposta aggiudicazione, determinano tuttavia la successiva aggiudicazione al Gruppo Co., in tal modo recando piena soddisfazione alla sua posizione sostanziale, al contrario l’accoglimento del terzo ordine di motivi (così come avvenuto con la sentenza di I grado), in quanto relativi alla procedura di gara nel suo complesso, determinano l’integrale travolgimento di quest’ultima, arrecando soddisfazione alla posizione sostanziale del Gruppo Co. solo in via strumentale, posto che quest’ultimo potrebbe in tal modo conseguire solo il risultato della mera ripetizione della gara.

Il Collegio ritiene che deve trovare applicazione nel caso di specie quanto già affermato da quella giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, secondo la quale rientra nel potere del giudice amministrativo, derivante dal particolare oggetto del giudizio impugnatorio legato all’esercizio della funzione pubblica, decidere l’ordine di trattazione delle censure sulla base della loro consistenza oggettiva e del rapporto fra le stesse esistente sul piano logico-giuridico, non alterabile dalla semplice richiesta dell’interessato (ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, 5 settembre 2006, n. 5108; sez. VI, 5 settembre 2002, n. 4487).

Ne consegue che la tecnica dell’assorbimento dei motivi non è quindi illegittima ogni qualvolta non sia frutto di arbitrio o casualità giudiziaria ma espressione consapevole del potere di controllo esercitato dal giudice amministrativo sull’esercizio della funzione pubblica (così, Consiglio di Stato, sez. V, 06 aprile 2009 n. 2143).

Questo Collegio non ignora la presenza di diversi orientamenti giurisprudenziali, i quali sostengono:

– in primo luogo, che non sussiste il potere del giudice di decidere l’ordine di trattazione delle questioni una volta che il ricorrente abbia espressamente subordinato il loro esame. Secondo tale orientamento, il principio dispositivo che caratterizza ogni tipo di processo ad impulso di parte, compreso il giudizio amministrativo, comporta che il ricorrente abbia non solo il potere di vincolare il giudice all’ordine di domande così come proposte, ma anche la possibilità di indicare l’ordine con il quale vuole che i motivi, all’interno della stessa domanda, debbano essere esaminati (in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, 25 gennaio 2008 n. 213; 24 novembre 2009 n. 7387; sez. III, 22 agosto 2012, n. 4592);

– in secondo luogo (e per così dire in via “intermedia”), che, se sussiste il potere del giudice di decidere l’ordine di trattazione delle censure sulla base della loro consistenza oggettiva e del rapporto fra le stesse esistente sul piano logico giuridico, indipendentemente dalla richiesta dell’interessato, tuttavia tale potere deve essere negato nei casi in cui non vi sia un assorbimento di motivi diversi collocati all’interno della stessa azione (normalmente, di annullamento), ma venga operata una scelta tra due domande affatto diverse (Cons. Stato, sez. IV, 11 settembre 2012 n. 4827). Secondo tale orientamento, tali sarebbero i casi in cui vi siano “due diverse azioni: da un lato, ed in via principale, quella tesa a conseguire l’aggiudicazione del contratto; dall’altra, ed in via residuale, quella mirante all’annullamento dell’intera procedura di gara, al fine di conseguire l’interesse strumentale alla sua riedizione”.

Il Collegio non ritiene di aderire a tali orientamenti da ultimo indicati, uniformandosi dunque al diverso orientamento come sopra succintamente ricordato.

Ed infatti, non appare sostenibile la tesi “più radicale”, secondo la quale il ricorrente può condizionare l’esame da parte del giudice dei motivi di ricorso.

E ciò in quanto, innanzi tutto, non appare ipotizzabile (e tale da ricevere tutela dall’ordinamento) che il soggetto privato possa ritrarre dall’accoglimento della domanda (per il tramite di un uso sapiente e “graduato” dei motivi di ricorso), utilità che non avrebbe potuto conseguire da un esercizio legittimo del potere amministrativo.

Ciò è quanto invece avverrebbe nel caso di specie, laddove, consentendosi la graduazione e dunque vincolandosi il giudice al prioritario esame di quei motivi di ricorso che – una volta annullato l’atto – producono l’effetto conformativo rappresentato dall’aggiudicazione in favore del ricorrente, questi conseguirebbe una utilità pur in presenza di illegittimità “più ampie” dell’atto medesimo, e tali da determinare, con l’annullamento, la necessità di un integrale riesercizio del potere amministrativo.

La tutela giurisdizionale delle posizioni giuridiche – affermata dall’art. 24 della Costituzione – non può porsi in contrasto con i principi che devono, ai sensi dell’art. 97 Cost., governare l’attività della Pubblica Amministrazione.

Né una ricostruzione in termini sostanzialistici dell’interesse legittimo può essere spinta al punto di riconoscere a tale posizione giuridica possibilità di conseguimento dell’utilitas superiori a quelle stesse che deriverebbero dall’esercizio legittimo del potere amministrativo.

D’altra parte, l’art. 113 Cost. assicura tutela ai diritti soggettivi ed agli interessi legittimi “contro” gli atti della Pubblica Amministrazione in quanto illegittimi (o illeciti) e lesivi celle predette posizioni giuridiche, non già al fine di ottenere da quei medesimi atti, pur illegittimi, utilità che l’ordinamento non riconosce come giuridicamente possibili.

Quanto sin qui affermato non contraddice la natura soggettiva della giurisdizione amministrativa, posto che questa, teleologicamente orientata alla soddisfazione della posizione sostanziale, non può attribuire a chi ha esercitato il proprio diritto alla tutela giurisdizionale più di quanto il corretto (legittimo) esercizio del potere amministrativo avrebbe potuto riconoscergli.

Tali considerazioni non trovano smentita nella circostanza che il giudice non conoscerebbe di illegittimità “più ampie” dell’atto, tali da comportare, una volta annullatolo, il riesercizio del potere, tutte le volte in cui il ricorrente non proponesse (nemmeno in via gradata) i relativi motivi.

Ed infatti, per un verso, non può non sottolinearsi come questo sia un effetto (inevitabile, ma non per questo da generalizzarsi) della traduzione sul piano processuale del potere di conformazione della domanda, riconosciuto al ricorrente nella giurisdizione di tipo soggettivo; per altro verso, non a caso l’ordinamento giuridico ha riconosciuto alla Pubblica Amministrazione la possibilità di esercizio del potere di autotutela anche in costanza di giudizio amministrativo.

Anzi, proprio la persistenza di tale potere, pur una volta esercitato il diritto alla tutela giurisdizionale, aiuta ad affermare che l’interesse pubblico alla legittimità degli atti amministrativi risulta prevalente sulla (maggiore o minore) tutela della posizione sostanziale. Di modo che non appare incongruo che il giudice possa far conseguire alla parte un risultato “minore” (in termini di utilità concreta ed immediata), rispetto a quelle richiesto, laddove quest’ultimo si ponga in contrato con l’interesse pubblico.

A quanto sin qui esposto, occorre ancora aggiungere che – aderendo alla tesi della vincolatività per il giudice dell’ordine di proposizione dei motivi di ricorso – si finisce per produrre un paradossale effetto di moltiplicazione delle azioni.

Ed infatti, a fronte di una graduazione dei motivi di ricorso (come quella evidenziata dall’appello incidentale nella presente sede), occorrerebbe ipotizzare che anche l’aggiudicatario – in presenza del possibile accoglimento di motivi che comportano, quale effetto conformativo per l’amministrazione derivante dalla pronuncia di annullamento, una nuova aggiudicazione al secondo classificato – potrebbe esso stesso proporre ricorso incidentale “proprio”, volto ad ottenere l’interesse strumentale al “più integrale” annullamento dell’atto, con conseguente riesercizio del potere amministrativo.

9. Quanto al secondo aspetto sopra riportato, si è detto che parte della giurisprudenza, sostiene che il potere del giudice andrebbe negato tutte le volte in cui non vi sia un assorbimento di motivi diversi collocati all’interno della stessa azione (normalmente, di annullamento), ma venga operata una scelta tra due domande affatto diverse. E ciò ricorre nei casi in cui vi siano due diverse azioni: da un lato, ed in via principale, quella tesa a conseguire l’aggiudicazione del contratto; dall’altra, ed in via residuale, quella mirante all’annullamento dell’intera procedura di gara, al fine di conseguire l’interesse strumentale alla sua riedizione.

Orbene, il Collegio ritiene che in tal modo viene operata una non consentita “frantumazione” dell’azione di annullamento, che l’art. 29 Cpa considera, invece, in modo unitario.

Né appare convincente assumere, quale criterio di caratterizzazione della domanda come “autonoma”, il differente effetto conformativo derivante dalla medesima (almeno formalmente) pronuncia di annullamento.

La domanda di annullamento, infatti, comporta un unico effetto “tipizzante”, che è rappresentato, appunto, dall’annullamento dell’atto, dalla eliminazione di questo dal mondo giuridico.

Ciò che tale annullamento produce sull’esercizio ulteriore del potere amministrativo, più che un “effetto giuridico” della pronuncia di accoglimento, può essere definito in termini di conseguenze (ulteriori) incidenti sulla conformazione del potere amministrativo., successiva e non automaticamente derivante (come più propriamente avviene con gli “effetti giuridici”) dalla pronuncia di annullamento.

A fronte dell’ (unico) effetto giuridico consistente nell’annullamento dell’atto, si pone – a seconda della valorizzazione dell’uno o dell’altro dei motivi proposti – una pluralità di conseguenze conformative del successivo esercizio del potere.

D’altra parte, se ciò non fosse, il giudizio di ottemperanza, anche in questo caso, finirebbe per defluire verso una configurazione quale mero giudizio di esecuzione, laddove invece è tipica di quel giudizio la verifica dell’esatta delimitazione dell’ulteriore esercizio del potere amministrativo, entro il perimetro della legittimità, e per come (parzialmente) parametrato dal giudicato di annullamento.

10. A ulteriore riscontro di quanto sin qui esposto, ed al fine di sottolineare la sussistenza di un ampio potere del giudice nell’esame dei motivi di ricorso, occorre ricordare come, nella giurisprudenza della Corte di Cassazione trovi ormai corrente enunciazione il cd. principio della ragione più liquida, che impone un nuovo approccio interpretativo con la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello tradizionale della coerenza logico-sistematica, con una soluzione pienamente rispondente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, ora affermata anche dall’art. 111 Cost. (Cass. civ. Sez. Un., 12 ottobre 2011 n. 20932; 9 ottobre 2008 n. 24883; 18 dicembre 2008 n. 29523; sez. VI lavoro,, 28 maggio 2014 n. 12002; 11 novembre 2011 n. 23621).

Per tutte le ragioni sin qui esposte, proprio perché il Collegio ritiene che il Giudice abbia il potere di esaminare i motivi di ricorso proposti dal ricorrente nell’ambito della domanda di annullamento, secondo un ordine logico-giuridico volto a privilegiare quello che, pur accordando tutela alla posizione sostanziale, faccia conseguire l’annullamento dell’atto per i motivi che ne denotano una più ampia e tranciante illegittimità, l’appello incidentale proposto dal Gruppo Co. s.p.a. non può essere considerato quale appello principale autonomo, bensì quale appello incidentale cd. proprio (ex art. 334 Cpc, art. 96, co. 4 Cpa).

L’interesse all’esame del medesimo sussiste, quindi, nel caso in cui il giudice concluda per l’accoglimento dell’appello principale.

11. L’appello proposto da Ex. s.p.a. è infondato e deve essere, pertanto, respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

La sentenza impugnata ha fondato la propria pronuncia di annullamento in sostanza su due ordini di considerazioni:

– in primo luogo, la commissione di gara, avendo affidato, una volta riunitasi in seduta riservata per l’esame delle offerte tecniche, “ad un consulente esterno la definizione del valore VIK da attribuire al piano di promozione e visibilità presentato dai concorrenti ai fini dell’apprezzamento dell’offerta economica”, pur facendo salvi i necessari approfondimenti da verificare in sede di apertura delle offerte economiche, “ha completato l’esame delle offerte tecniche dopo avere acquisito dal consulente esterno le valutazioni relative ai valori massimi assumibili da una parte consistente dell’offerta economica delle partecipanti alla procedura, in palese violazione del principio della necessaria precedenza della valutazione dell’offerta tecnica rispetto alla valutazione dell’offerta economica”. In tal modo, la Commissione ha violato il principio di segretezza, che è “presidio dell’attuazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa”, e che comporta che “fino a quando non si sia conclusa la valutazione delle offerte tecniche, è inderogabilmente preclusa al seggio di gara la conoscenza, diretta o indiretta, del valore dell’offerta economica, per evitare ogni possibile influenza sulla valutazione dell’offerta tecnica”;

– in secondo luogo, il consulente esterno “non si è limitato a svolgere attività istruttoria, fornendo alla commissione un mero supporto tecnico, ma ha determinato il valore economico massimo dei piani di comunicazione e promozione . . . così effettuando valutazioni necessariamente rimesse alla commissione in quanto collegio perfetto”.

In sostanza, la sentenza ha, per un verso, censurato la circostanza rappresentata dall’intervento stesso del consulente, al fine di attribuire la definizione del valore VIK da attribuire al piano di promozione e visibilità, poiché costituente violazione delle prerogative della Commissione medesima; per altro verso, ha censurato il modus procedendi della commissione che “ha completato l’esame delle offerte tecniche dopo avere acquisito dal consulente esterno le valutazioni relative ai valori massimi assumibili da una parte consistente dell’offerta economica delle partecipanti alla procedura, in palese violazione del principio della necessaria precedenza della valutazione dell’offerta tecnica rispetto alla valutazione dell’offerta economica”.

Orbene, quanto all’intervento del consulente ed alle attività da questi effettuate, il Collegio condivide quanto rilevato dalla sentenza impugnata, innanzi tutto ricordando che la Commissione giudicatrice della gara deve essere composta, per principio generale, da soggetti “esperti nello specifico settore cui si riferisce l’oggetto del contratto” (art. 84, co. 4, d. lgs. n. 163/2006).

La Commissione, dunque, nel decidere di avvalersi di un consulente non già quale mero supporto tecnico, ma affidando allo stesso una attività di stima del valore complessivo delle offerte in VIK (v. appello Ex. pagg. 29 – 30), ha in pratica proceduto ad una non consentita “integrazione” del Collegio, affiancando ai commissari un ulteriore “soggetto valutante”, con ciò contravvenendo, più che alla regola della commissione quale collegio perfetto, al principio di esclusività della Commissione quale soggetto giudicante. Commissione che occorre ritenere avesse – in coerenza con i principi vigenti in materia di gare di appalto – piena competenza tecnico-valutativa dell’oggetto della gara e, dunque, non abbisognasse di attività di consulenza.

Per un verso, dunque, la Commissione ha proceduto ad un illegittimo “affiancamento” di un soggetto estraneo nello svolgimento della propria attività; per altro verso non ha limitato l’attività di tale soggetto a meri aspetti istruttori, ma ha ricevuto una stima del valore complessivo delle offerte in VIK, a nulla rilevando che tale stima possa essere stata successivamente vagliata e/o fatta propria dalla Commissione medesima.

Per le ragioni esposte, il terzo motivo dell’appello Ex. (sub c) dell’esposizione in fatto) deve essere respinto.

12. Anche il secondo motivo dell’appello Ex. (sub b) dell’esposizione in fatto) deve essere respinto.

Come si è detto, la Commissione ha affidato ad un consulente esterno la definizione del valore VIK da attribuire al piano di promozione e visibilità presentato dai concorrenti ai fini dell’apprezzamento dell’offerta economica.

Come rilevato dall’appellato Gruppo Co. (v. pag. 13 memoria 25 luglio 2014), la Commissione giudicatrice, prima dell’attribuzione del punteggio tecnico ha acquisito i valori in VIK dei piani di comunicazione e promozione.

A tali piani “con valore economico più elevato”, l’art. 5 dell’avviso prevede l’attribuzione di 15 punti dei 30 attribuibili all’offerta economica.

Acquisendo i valori in VIK dei piani di comunicazione e promozione prima dell’attribuzione dei punteggi all’offerta tecnica, la Commissione – per il tramite del consulente del quale ha recepito l’attività – ha effettuato una valutazione del valore economico del piano stesso, con ciò violando – come condivisibilmente osserva la sentenza impugnata – il principio di segretezza, che è “presidio dell’attuazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa”, e che comporta che “fino a quando non si sia conclusa la valutazione delle offerte tecniche, è inderogabilmente preclusa al seggio di gara la conoscenza, diretta o indiretta, del valore dell’offerta economica, per evitare ogni possibile influenza sulla valutazione dell’offerta tecnica”;

A fronte di tale considerazione, non possono trovare accoglimento le doglianze introdotte con il secondo motivo di appello.

Ed infatti, ai sensi dell’art. 7 delle Condizioni generali (richiamato dall’appellante) “la Commissione preposta alla valutazione procederà – sulla base dei criteri definiti nella specifica RFP – ad una valutazione della proposta tecnica, dei contenuti della stessa e della stima economica del valore dei beni/servizi proposti in VIK”.

Appare, dunque, evidente che la Commissione avrebbe dovuto prima procedere al perfezionamento della fase valutativa delle offerte tecniche e solo successivamente (ancorchè prima dell’apertura delle offerte economiche) procedere alla valutazione della “stima economica dei beni/servizi proposti in VIK”.

Da quanto esposto consegue che – indipendentemente dalla intervenuta impugnazione della citata disposizione delle condizioni generali (pur rivendicata dall’appellato Gruppo Co.: v. pag. 16 memoria 25 luglio 2014) – la corretta applicazione di quanto previsto dall’art. 7 avrebbe postulato una conclusione della fase di valutazione delle “proposte tecniche” prima di ogni altra valutazione incidente su aspetti economici dell’offerta.

Né rileva che l’art. 7 prevede che la valutazione della stima economica dei beni/servizi avvenga nella stessa seduta riservata in cui è previsto l’esame dell’offerta tecnica, poiché ciò che importa, ai fini del corretto andamento della gara e della salvaguardia del principio di segretezza, è la valutazione di aspetti economici solo dopo il completamento dell’esame e valutazione dell’offerta tecnica.

E’ senza dubbio condivisibile quanto affermato dall’appellante, secondo il quale “proprio in quanto funzionale al controllo di attendibilità del valore dell’investimento ipotizzato quale affermato dal concorrente in sede di offerta economica, la stima di mercato dell’investimento necessario ad attuare l’offerta economica deve precedere la fase di apertura delle buste economiche, affinchè la valutazione di tali offerte possa essere operata in modo obiettivo” (pag. 25 appello).

Tuttavia, ciò che la sentenza impugnata rileva quale elemento di illegittimità della procedura non è la precedenza accordata alla valutazione della stima prima dell’apertura delle offerte economiche (rendendosi, dunque, irrilevante valutare il rapporto tra stima e controllo di congruità), bensì il fatto che la valutazione della stima sia stata conosciuta dalla Commissione prima della definizione ed attribuzione dei punteggi all’offerta tecnica.

Alla luce delle considerazioni esposte, anche il secondo motivo dell’appello principale deve essere respinto, con conseguente reiezione dello stesso e conferma della sentenza impugnata.

Il rigetto dell’appello proposto da Ex. s.p.a. rende improcedibile per difetto di interesse l’appello incidentale proposto da Gruppo Co. s.p.a., come innanzi qualificato, nonché i motivi riproposti con memoria del 25 luglio 2014 (pagg. 19 ss.).

La complessità delle questioni trattate sorregge la compensazione tra le parti delle spese, diritti ed onorari del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Ex. s.p.a. (n. 6361/2014 r.g.):

a) rigetta l’appello;

b) dichiara improcedibile l’appello incidentale ed i motivi riproposti con memoria da Gruppo Co. s.p.a., come qualificati e indicati in motivazione;

c) compensa tra le parti spese, diritti ed onorari del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2014 con l’intervento dei magistrati:

Goffredo Zaccardi – Presidente

Sandro Aureli – Consigliere

Diego Sabatino – Consigliere

Oberdan Forlenza – Consigliere, Estensore

Giuseppe Castiglia – Consigliere

Depositata in Segreteria il 4 febbraio 2015

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