Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 25 maggio 2015, n. 2595

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUARTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 906 del 2015, proposto da:

St. Srl, in p.l.r.p.t., rappresentata e difesa dagli avv. Pa.Ma. ed altri, con domicilio eletto presso Fr.Pa. in Roma, Via (…);

contro

Ip. Spa, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via (…);

nei confronti di

Anac Autorità Nazionale Anticorruzione, A. Spa Az., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via (…);

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE III BIS n. 13157/2014, resa tra le parti, concernente esclusione dalla procedura per l’affidamento di contratti pubblici – risarcimento danni

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di I. Spa e di Anac Autorità Nazionale Anticorruzione e di A. Spa Az.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 aprile 2015 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati Sp. e l’avv. dello Stato Br.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

 

St. s.r.l partecipava ad una gara di forniture di stampati di varie tipologie, indetta da IP. s.p.a. (n. gara 5314668) ed articolata per lotti, aggiudicandosene provvisoriamente uno. Veniva tuttavia escluso dalla gara per aver reso dichiarazione omissiva in ordine a due precedenti penali a carico dell’amministratore.

St. impugnava l’esclusione dinanzi al TAR Lazio, deducendo essenzialmente che il modello di dichiarazione predisposto dalla stazione appaltante prevedeva la dichiarazione delle sole condanne ostative e non già di qualsivoglia ininflluente condanna (nella specie, le condanne erano: una risalente al 1993 per omesso versamento di ritenute operate come sostituto d’imposta, reato poi depenalizzato; ed una del 2005 per pubblicazione arbitraria degli atti di un procedimento penale, portante una condanna ad Euro 100 di ammenda).

L’IP. si costituiva in giudizio ed eccepiva la tardività del ricorso. Nel merito ne invocava il rigetto.

Il TAR, superava le questioni di rito, ritenendo non provata l’eccezione di tardività. Nel merito respingeva il ricorso. In particolare affermava che “avendo la dichiarazione, resa dall’allora amministratore della società interessata, la natura di dichiarazione sostitutiva di certificazione ex art. 46 del medesimo decreto presidenziale, essa ha rivestito la natura di falsa attestazione, poiché l’interessato ha dichiarato come “insussistenti” e cioè come non esistenti (la condanna penale e il decreto penale) condanne invece esistenti, ancorché una riferita ad un reato depenalizzato e poi reinserito nell’ordinamento secondo altri parametri, con le conseguenze per essa recate dall’art. 76 del d.P.R. n. 445 del 2000”

Avverso la sentenza ha proposto appello St. s.r.l., con contestuale proposizione di motivi aggiunti avverso l’aggiudicazione definitiva sopravvenuta nelle more del deposito della sentenza di prime cure.

A supporto del gravame deduce:

1. insufficienza delle motivazioni a supporto del rigetto dell’eccezione di tardività. La tardività sarebbe, prima ancora che non provata, esclusa dall’operare della sospensione feriale dei termini, pacificamente applicabile anche al rito appalti;

2. sarebbe erroneo affermare che St. srl si è resa colpevole di falsa attestazione perché ha dichiarato come insussistenti condanne invece esistenti ancorchè una riferita ad “un reato depenalizzato e poi reinserito nell’ordinamento secondo altri parametri”. La depenalizzazione sarebbe invece definitivamente ed assolutamente avvenuta nel 2000, e nessuna significatività di carattere penale potrebbe avere la circostanza che nel 2005 sia stata introdotta fattispecie simile. Inoltre ciò che St. srl avrebbe certificato è che “non sussistono le cause di esclusione …di cui all’art. 38 comma 1 lett. c)….”, circostanza vera che non significherebbe, neanche per implicito, autocertificare l’insussistenza di qualsivoglia condanna, anche irrilevante. Del resto, St. sarebbe stato vincolato alla compilazione del modello di cui all’allegato B del disciplinare, e tale modello imponeva di dichiarare esclusivamente i reati ostativi.

Nel giudizio si è costituito l’IP.: Il TAR avrebbe erroneamente disatteso l’eccezione di tardività, attesa l’evidenza della prova. Nel merito le statuizioni del giudice di prime cure resisterebbero invece ad ogni censura. Inammissibili sarebbero poi i motivi aggiunti avverso l’aggiudicazione definitiva, direttamente proposti in appello.

La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 21 aprile 2015.

 

DIRITTO

 

L’appello è fondato.

1. Quanto alla portata delle motivazioni di rigetto in ordine all’eccezione di tardività, l’interesse ad ottenerne una riforma è sorretto: a) dall’essere inserite in un decisum che ha visto la soccombenza del ricorrente; b) dall’essere la motivazione incentrata sulla non leggibilità della ricevuta del fax di notifica (circostanza fattuale), pur a fronte di una propedeutica e dirimente questione di diritto (l’applicabilità della sospensione feriale).

Ed in effetti, essendo la notifica intervenuta durante il periodo feriale individuato secondo la normativa ratione temporis applicabile, il computo dei termini avrebbe dovuto considerarsi sospeso sino al 15 di settembre.

La sentenza merita innanzitutto riforma in questo capo. Le considerazioni svolte dall’avvocatura in ordine alla sufficienza della prova possono conseguentemente ritenersi ininfluenti, a tacere della dubbia ammissibilità del mezzo attraverso il quale sono state veicolate (semplice memoria non notificata).

2. Venendo al merito della questione, è pacifico che la dichiarazione in contestazione sia stata resa mediante l’utilizzo del mod. di cui all’all. B del disciplinare, e secondo le istruzioni in esso contenute le quali imponevano la dichiarazione delle eventuali condanne riportate solo e soltanto se ostative ai sensi dell’art. 38, comma 1, lett. c), e tra quelle ostative, solo delle condanne per le quali non fosse intervenuta depenalizzazione.

St. srl ha seguito pedissequamente le istruzioni, salvo poi dichiarare, in fase di verifica, le condanne esistenti, affinchè l’amministrazione potesse valutarle. Nessun falso è stato commesso. Del resto questa è la conclusione alla quale il Consiglio di Stato è giunto, anche di recente, su fattispecie similari, in proposito affermando che “l’omessa dichiarazione di alcune condanne penali può essere sanzionata con l’esclusione dalla gara solo in presenza di un obbligo stringente imposto dal bando, mentre, in caso contrario, il concorrente può ritenersi esonerato dal dichiarare l’esistenza di condanne per infrazioni penalmente rilevanti, ma di lieve entità…..allorchè la dichiarazione sia resa sulla scorta di modelli predisposti dalla stazione appaltante ed il concorrente incorre in errore indotto dalla formulazione ambigua o equivoca del modello, non può determinarsi l’esclusione dalla gara per l’incompletezza della dichiarazione resa (C.d.S., sez. V, 26.1.2011, n.550, Consiglio di Stato, sez. VI, 01/02/2013, n. 634, (Cons. Stato, sez. VI, 27 marzo 2012, n. 1799; Sez. III n. 507/2014)

2.1. Quanto poi alla depenalizzazione, il fatto che a distanza di cinque anni dall’intervento della stessa, il legislatore abbia introdotto una fattispecie di reato similare, non può certo togliere valenza alla prima, né dal punto di vista storico, né da quello effettuale.

3. L’appello è pertanto accolto, e per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, l’esclusione di St. srl è annullata.

4. Sono invece inammissibili i motivi aggiunti avverso l’aggiudicazione proposti direttamente in appello. L’appellante intercetta un punctum dolens dell’attuale assetto processuale, tra l’altro proprio in materia d’appalti in cui le esigenze di celerità e concentrazione sono più sentite, e tuttavia, dinanzi al tenore letterale dell’art. 104 comma 3 c.p.a. che limita i motivi aggiunti a nuovi vizi (la cui denuncia consegua alla sopravvenuta conoscenza di nuovi documenti) dei medesimi provvedimenti già impugnati, l’esigenza non può certo essere colmata in via interpretativa.

5. Le questioni appena esaminate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

6. Le spese del doppio grado seguono in parte la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Possono per il resto compensarsi in ragione della novità delle questioni.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie. Per l’effetto, in riforma della sentenza di prime cure, annulla l’impugnata esclusione.

Dichiara inammissibili i motivi aggiunti proposti in appello avverso l’aggiudicazione definitiva, pronunciata nelle more del deposito della sentenza gravata.

Condanna IP. al pagamento di parte delle spese sostenute dall’appellante per il doppio grado di giudizio, nella misura di Euro 4.000,00. Le compensa per il resto.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2015 con l’intervento dei magistrati:

Paolo Numerico – Presidente

Nicola Russo – Consigliere

Sandro Aureli – Consigliere

Raffaele Greco – Consigliere

Giulio Veltri – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 25 maggio 2015.

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