Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 25 maggio 2015, n. 2594

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUARTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9707 del 2014, proposto da:

Comune di Latina, in persona del Sindaco p.t. rappresentato e difeso dall’avv. Fr.Di., con domicilio eletto presso Pa.Po. in Roma, piazza (…);

contro

Su. Srl, in p.l.r.p.t., rappresentato e difeso dagli avv. An.Pi., Ma.Pi. ed altri, con domicilio eletto presso An.Cl. in Roma, Via (…)

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – SEZ. STACCATA DI LATINA: SEZIONE I n. 00650/2014, resa tra le parti, concernente condanna al risarcimento danni a seguito di cessione gratuita di un’area in alternativa alla procedura di esproprio

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Su. Srl;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 marzo 2015 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati Fr.Ca. ed altri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La Su. s.r.l. stipulava il 17 gennaio 1990, con il comune di Latina, una convenzione avente ad oggetto la cessione all’amministrazione di un’area compresa nell’ambito del piano particolareggiato esecutivo “centro direzionale” (precisamente parte nel comparto C2/B e parte nel comparto C2/C del piano), in luogo dell’esproprio già avviato dall’amministrazione per la realizzazione di opere pubbliche, così da beneficiare, tra l’altro, dei meccanismi perequativi e compensativi previsti dalla normativa tecnica di attuazione del piano particolareggiato.

La convenzione infatti – conformemente allo schema generale allegato alla delibera C.C. n. 18 del 4 febbraio 1982 – riconosceva, quale corrispettivo della cessione dell’area, che alla Su. fosse attribuita una “volumetria convenzionale” di mc. 17.364,05 (corrispondente al prodotto della superficie ceduta, pari a mq. 7.205, e dell’indice di compensazione generalizzato di volumetria di 2,41), in applicazione di quanto stabilito dagli articoli 10 e 12 della normativa generale di attuazione del piano)

Dopo aver stipulato la convenzione, la Su., in data 16 gennaio 1997 e 21 febbraio 1998, chiedeva l’assegnazione di un’area; in data 23 febbraio 1999 la ricorrente inviava al comune una nuova richiesta (che il comune riceveva il 1° marzo 1999) con la quale, dopo aver affermato di aver titolo all’assegnazione di un’area o a un indennizzo in denaro chiedeva al comune di far conoscere “entro e non oltre giorni 15 le sue determinazioni”.

In data 11 marzo 1999 il comune replicava con una nota in cui affermava di non essere allo stato titolare di aree aventi destinazione residenziale ma solo di aree destinate a edilizia speciale e, in particolare, a servizi di quartiere a pubblico servizio di interesse cittadino.

Su., con citazione notificata il 9 marzo 1999, instaurava un giudizio innanzi al Tribunale di Latina con cui chiedeva la condanna del comune al pagamento di un indennizzo pari al valore della volumetria convenzionale che le sarebbe spettata in base alla convenzione rimasta inadempiuta.

Nelle more del giudizio civile il comune di Latina con delibere C.C. n. 19 del 5 maggio 2005 e n. 38 del 10 maggio 2006, adottava prima, e poi definitivamente approvava una variante al p.p.e. che (tra l’altro) individuava nella sub unità C2/B3 un suolo sul quale la Su. avrebbe potuto realizzare la volumetria spettantele (questo suolo è stato poi acquistato dal comune con una convenzione stipulata il 15 novembre 2007).

Nel presupposto di questa situazione di fatto, con nota del 24 gennaio 2008 il comune invitava Su. ad “attivare … le procedure finalizzate al rilascio del permesso di costruire nell’area indicata”; a questa nota il legale della Su. dava riscontro il successivo 18 febbraio 2008 contestando la satisfattività del comportamento del comune in quanto: a) l’invito non indicava le modalità con cui sarebbe avvenuta la cessione dell’area; b) l’area individuata non godeva della caratteristica della centralità ed era stata operata una illegittima riduzione della volumetria da mc. 17.364,050 (volumetria convenzionale) a mc. 15.099,173 (volumetria reale).

Alla nota della ricorrente il comune dava riscontro il successivo 5 marzo 2008, riassumendo la prassi seguita “da decenni” per la cessione (stipulazione di una convenzione di attuazione della compensazione previa presentazione di un progetto preliminare e/o esecutivo e verifica della conformità di quest’ultimo alla normativa vigente) e puntualizzando che la volumetria reale da realizzarsi era stata determinata in base agli indici previsti dal piano.

Il giudizio civile si concludeva con sentenza n. 467 del 31 marzo 2009 con la quale il Tribunale civile di Latina dichiarava il proprio difetto di giurisdizione sulla controversia a favore del giudice amministrativo.

La Su. non riassumeva il giudizio; in data 4 aprile 2011 proponeva nuovo ricorso dinanzi al TAR Lazio – sez. di Latina – in cui, dopo aver ripercorso i tratti della vicenda (e le sopravvenienze rispetto alla proposizione della domanda del marzo 1999) – chiedeva la condanna del Comune al risarcimento dei danni derivanti dall’inadempimento della convenzione del 17 gennaio 1990, quantificati in euro 2.944.000, oltre interessi legali a decorrere da quest’ultima data; in via subordinata chiedeva che il comune fosse condannato a cederle l’area che esso aveva tardivamente individuato con delibera C.C. n. 19 del 5 maggio 2005, oltre risarcimento dei danni per il ritardo (cioè per il periodo compreso tra il 17 gennaio 1990 e la data di cessione).

Il comune di Latina si costituiva in giudizio; eccepiva in rito l’inammissibilità del ricorso per acquiescenza in ragione della mancata impugnazione degli atti di individuazione ed offerta del suolo; nel merito sosteneva l’infondatezza del ricorso e comunque la prescrizione dei diritti fatti valere.

Il TAR respingeva l’eccezione di acquiescenza. Esaminando la controversia, ricostruiva dapprima il quadro normativo e convenzionale applicabile, per poi sintetizzare così le proposte esegetiche delle parti: “la tesi della ricorrente è che la cessione stipulata nel 1990 le attribuisse il diritto a ottenere la cessione di un suolo su cui potesse realizzare la volumetria convenzionale riconosciutale ovvero una somma di denaro di corrispondente valore. La tesi del comune, invece, è che la convenzione attribuisse puramente e semplicemente un “titolo virtuale edificatorio in termini di volumetria convenzionale”, senza ulteriore vincolo a carico del comune di Latina”;

Nel merito, riteneva che la tesi sostenuta dal comune fosse eccessivamente limitativa degli obblighi dell’amministrazione e, in definitiva, finisse per sancirne una totale deresponsabilizzazione nella fase di attuazione del meccanismo perequativo delle posizioni dei proprietari;

Scendendo nel dettaglio delle reciproche obbligazioni e delle modalità degli adempimenti in base alla convenzione del 17 gennaio 1990, statuiva che: ….. Deve ritenersi che sul comune gravasse un’obbligazione alternativa, cioè soddisfabile sia mediante cessione di un lotto che mediante corresponsione di una somma. Dalle regole generali in materia di obbligazioni alternative discende che “se non è attribuita al creditore o a un terzo, la scelta spetta al debitore; il debitore però decade dal diritto di scelta se non la compie nel termine stabilito o in quello fissato dal creditore. Poiché il comune non ha compiuto la scelta, il diritto di compierla è passato in capo alla ricorrente che tale scelta ha compiuto chiedendo la corresponsione dell’indennizzo in denaro”

Concludeva – il giudice di prime cure – che “il ricorrente ha il diritto all’adempimento dell’obbligazione assunta dal comune così come risultante dall’esercizio della facoltà di scelta ……In altri termini la ricorrente ha diritto a ottenere il controvalore della volumetria convenzionale spettantele in base alla convezione avendo riguardo al suo valore alla data del 17 marzo 1999 (data della notificazione della citazione in giudizio dinanzi al Tribunale civile di Latina). A tale data infatti si è verificata la “concentrazione” dell’originaria obbligazione alternativa del comune”.

Tuttavia – continua il TAR – “non può però ritenersi che l’inadempimento del comune già si sia concretizzato a tale data; …….. l’obbligazione non poteva farsi rientrare tra quelle immediatamente esigibili essendo necessaria la fissazione giudiziale di un termine; non avendolo la ricorrente richiesto, il comune può essere considerato inadempiente solo a partire da un momento successivo (al 17 marzo 1999) in cui possa ritenersi superato il limite di normale tolleranza che, in relazione alla natura della prestazione, il creditore avrebbe dovuto concedere”

In conclusione – secondo le statuizioni del TAR – “la ricorrente ha quindi il diritto di ottenere dal comune di Latina il controvalore in denaro della volumetria spettantele (cioè la volumetria reale di mc. 15.099, 173 da realizzarsi nell’area interessata del centro direzionale) in base alla convenzione del 17 gennaio 1990, avendo riguardo al valore di mercato della medesima alla data del 17 marzo 1999; su tale somma sono dovuti gli interessi legali a decorrere dalla data del 17 marzo 2000. Ai sensi dell’articolo 34, comma 4, c.p.a., pertanto, il comune di Latina proporrà alla ricorrente nel termine di giorni sessanta dalla comunicazione o notificazione della presente decisione il pagamento di una somma di denaro determinata in base ai criteri sopra indicati”.

Avverso la sentenza ha proposto appello il Comune di Latina e deduce:

1) violazione ed errata applicazione della convenzione urbanistica del 17/01/1990, dell’art. 12 delle NTA del PPE e dell’art. 11 della l. 241/90. Contraddittorietà e travisamento di fatti. Contrasto tra quanto richiesto e quanto pronunciato.

Il petitum della ricorrente sarebbe stato unicamente volto ad ottenere un suolo da edificare, e non già l’adempimento di obbligazioni alternative aventi ad oggetto somme di denaro. Sussisterebbe dunque un vizio di ultra petizione.

Dall’analisi delle clausole della convenzione non discenderebbe – a differenza di quanto affermato dal Giudice di prime cure – alcuna obbligazione dell’Ente locale in ordine alla localizzazione della volumetria su altro terreno di proprietà comunale, né tantomeno un obbligo di cedere alla società ricorrente un terreno ove realizzare le riconosciuta volumetria convenzionale. Una diversa interpretazione porrebbe –secondo l’appellante – l’ente locale nell’assurda condizione di acquisire un’area oggetto di procedura espropriativa con la perequazione volumetrica e contestualmente procedere ad esproprio per reperire l’area da cedere in cambio. In ogni caso, il Comune, anche non essendovi obbligato, avrebbe comunque compiuto un’attività amministrativa complessa al fine di individuare un’area, giungendo, nel 2008 ad offrire il terreno ove realizzare la cubatura.

2.Violazione ed errata applicazione dell’art. 1183 c.c. in relazione alla convenzione urbanistica del ’90. Nella convenzione non sarebbe rinvenibile alcuna obbligazione di cedere aree “di atterraggio”; a fortiori nessun termine per eseguirla. Del resto ove si accedesse alla tesi del TAR, l’obbligazione avrebbe ad oggetto una prestazione impossibile, non avendo il comune aree ad uso residenziale.

3. Erronea quantificazione del valore dell’area ceduta. Erronea ed omessa valutazione degli effetti prodotti dalla messa a disposizione di aree da parte del comune. Ove si accedesse alla tesi sostenuta nella gravata sentenza circa l’esistenza di un’obbligazione alternativa, il ricorrente non potrebbe comunque ottenere il controvalore dei diritti edificatori concessi in funzione premiale, ma solo il valore venale dell’area di proprietà.

Nel giudizio si è costituita Su.. Essa difende le statuizioni di primo grado in punto di obbligazioni alternative e spettanza del controvalore in danaro a seguito dell’inadempimento dell’ente.

Propone altresì appello incidentale per i capi nei quali è disposta: a) la condanna del comune di Latina al pagamento del controvalore della cubatura, quantificata in mc 15.099,173 anziché in mq 17.354,05; b) è individuata nel 17/03/1999 la data di valutazione del controvalore, nonché fissato al 17/03/2000 il dies a quo degli interessi. Quanto al primo aspetto, la data avrebbe dovuto essere individuata in quella della stipula della convenzione o, a tutto concedere, in quella della diffida ad adempiere del 10/01/1997; c) nella parte in cui il giudice di prime cure non si è pronunciato sulla rivalutazione.

La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 10 marzo 2015.

DIRITTO

Il primo motivo d’appello impone di rispondere al dirimente quesito circa le obbligazioni discendenti dalla Convenzione del ’90.

Al riguardo – come correttamente evidenziato dal giudice di prime cure – l’articolo 6 della convenzione si limita a stabilire che “il presente atto costituisce per la parte cedente titolo …. per rientrare tra i beneficiari dell’indice di compensazione generalizzato di volumetria … per una volumetria convenzionale pari a mc. 17364,05 … e ciò in conformità al disposto degli articoli 10 e 12 della normativa generale per l’attuazione del piano”.

A sua volta l’articolo 12 richiamato dispone che “ciascun comparto (o singolo proprietario), in base alla differenza tra la cubatura convenzionale media che gli competerebbe e la cubatura convenzionale effettivamente realizzabile nell’area in base alle prescrizioni di p.p. dovrà corrispondere o ricevere un indennizzo. Tale indennizzo dovrà essere corrisposto al comune … all’atto della convenzione; l’indennizzo sarà dal comune …. distribuito agli aventi diritto con scadenze periodiche. La corresponsione dell’indennizzo potrà avvenire in denaro e/o con cessione al comune … di equivalente superficie di terreno nell’ambito della stessa sottozona”.

In generale quindi, il meccanismo perequativo disegnato dalle NTA prevedeva, quale funzionamento di base, da un lato il riconoscimento diffuso di un indice medio di cubatura (criterio perequativo), dall’altro l’inderogabilità delle prescrizioni di zona (criterio pianificatorio), con previsione di una stanza di compensazione gestita dal comune in cui avrebbero dovuto confluire (in entrata) gli indennizzi per gli incrementi volumetrici eventualmente consentiti dalla zona rispetto all’indice medio, ed in uscita gli indennizzi per i decrementi volumetrici invece imposti in altre zone di atterraggio non capienti. Gli indennizzi “in entrata” si sarebbero potuti corrispondere, oltre che in denaro, “con cessione al comune … di equivalente superficie di terreno nell’ambito della stessa sottozona”.

La fattispecie oggetto dell’odierno esame, tuttavia, non concerne solo il funzionamento di base del descritto meccanismo perequativo. E’ pur vero che, secondo il meccanismo di base, ed in forza delle previsioni vincolistiche preordinate all’esproprio operanti sul fondo di proprietà, Su. non poteva affatto utilizzare la volumetria convenzionale media, con conseguente diritto ad un indennizzo corrispondente all’azzeramento della stessa. Tuttavia a mezzo della convenzione, Su. si è altresì gravata della cessione del suolo per consentire la realizzazione dell’opera pubblica, “versandolo” nella stanza di compensazione, sia pur al fine di evitare la soggezione alle procedure d’esproprio già attivate. Tale sacrificio (ulteriore rispetto alle compensazioni volumetriche in generale previste dalle NTA) avrebbe dovuto, in una logica che voglia definirsi realmente perequativa, essere compensato con il riconoscimento di un terreno di “atterraggio” ove poter realizzare la volumetria convenzionale.

Tale obbligazione, gravante sul comune quale gestore della “camera di compensazione”, deve ritenersi, anche in assenza di una chiara ed espressa previsione pattizia, discendente dalla convenzione del ’90 in forza di una integrazione dettata dal principio di buona fede oggettiva, ex. art. 1175, 1375 c.c. ed art. 2 Cost., a mente del quale è dovere di ciascun contraente di cooperare secondo i canoni di lealtà e salvaguardia, eventualmente modificando il proprio comportamento se necessario a salvaguardare l’utilità della controparte, sempreché ciò non determini un sacrificio apprezzabile (ex multis Cass., sez. III, 18 settembre 2009, n. 20106).

Non v’è dubbio che Su., alla luce del disposto delle NTA e della prassi sino a quel momento seguita, poneva ragionevole affidamento nell’ottenimento di un suolo di “atterraggio”, così com’è verosimile, dall’esame del comportamento, anche successivo dell’amministrazione, che essa, pur nell’incertezza del quadro normativo, ritenesse ragionevole una prassi per la quale in caso di acquisizione di suoli dotati di capacità volumetrica convenzionale si dovesse riconoscere in compensazione un suolo di atterraggio (già in data 11 marzo 1999, ossia prima dell’instaurazione del giudizio civile, il comune replicava alle richiesta di Su. con una nota in cui affermava di non essere allo stato titolare di aree aventi destinazione residenziale, con ciò mostrando di non contestarne la spettanza, per poi concretamente giungere a reperirle con delibera C.C. n. 19 del 5 maggio 2005)

In conclusione, la convenzione letta alla luce del criterio oggettivo di buona fede avrebbe richiesto l’individuazione e cessione, da parte del Comune, di un’area di atterraggio in cambio di quella acquisita.

Tale adempimento può dirsi avvenuto solo il 24 gennaio 2008, data in cui il comune ha formalmente comunicato la disponibilità dell’area individuata con deliberazione del consiglio comunale nel 2005 e poi acquistata con rogito del 15 novembre 2007.

La situazione da vagliare ai fini della decisione è quindi quella di un adempimento, intervenuto con molto ritardo ma comunque intervenuto.

Ciò chiarito, può darsi riscontro ai singoli motivi d’appello, nonché all’appello incidentale di Su..

Del tutto infondato è il primo motivo nella parte in cui l’appellante lamenta un vizio di ultrapetizione. La domanda principale di Su. era chiaramente diretta ad ottenere un indennizzo in ragione del mancato utilizzo della volumetria. Solo in via subordinata essa ha insistito per la cessione del suolo ed il risarcimento per il ritardo.

Il motivo è altresì infondato, anche se per ragioni parzialmente diverse da quelle individuate dal giudice di prime cure, nella parte in cui l’appellante sostiene l’insussistenza di un obbligo di individuazione e cessione di un’area di atterraggio.

Si è sopra chiarito che il combinato disposto dell’art. 12 delle NTA e dell’art. 6 della convenzione, letto alla luce del criterio di buona fede, imponeva invece un tale adempimento, del resto poi intervenuto, sia pur tardivamente.

E’ invece fondato nella parte in cui, evidenziando l’avvenuta individuazione ed offerta di un terreno avvenute rispettivamente con deliberazione C.C. n. 19 del 5 maggio 2005 e successiva nota del 24 gennaio 2008 – secondo la linea difensiva adottata, a prescindere dalla sussistenza di un vincolo obbligatorio – stigmatizza la richiesta di un indennizzo pari al controvalore del volumetria riconosciuta.

In proposito deve rilevarsi che, se è pur vero che l’offerta è giunta molto tempo dopo la stipula della convenzione, essa non può essere considerata vana o inutile o abusiva, atteso che: a) la relativa obbligazione non era chiaramente evincibile dal tenore testuale delle norme regolamentari e pattizie; b) in assenza di chiare previsioni normative e pattizie in ordine all’esistenza stessa dell’obbligazione, a fortiori nessun termine poteva ritenersi fissato né, del resto, il creditore si è mai attivato per ottenerne la fissazione giudiziale; c) v’era oggettiva difficoltà da parte del Comune nel reperire aree d’atterraggio suscettibili di edilizia privata.

L’offerta del 2008 deve dunque considerarsi valido adempimento della convenzione stipulata nel 1990, salvo quanto appresso si dirà in ordine all’effettiva cessione del suolo individuato, ed alla compensazione degli oggettivi pregiudizi patrimoniali discendente dal lungo lasso temporale.

I profili da ultimo cennati rappresentano i contenuti essenziali della domanda proposta in via subordinata da Su., ai quali il Collegio può ora accedere in virtù della parziale condivisione degli assunti dell’appellante.

La Su., in via subordinata, aveva già chiesto in primo grado – e la richiesta è stata ribadita sempre in via subordinata anche nelle difese in appello – che in ogni caso fosse riconosciuto il suo diritto non solo all’effettivo trasferimento in suo favore del suolo, ma anche al risarcimento dei danni conseguenti al ritardo nell’adempimento, da liquidarsi, quanto meno nella misura degli interessi legali sulla somma di Euro 2.944.000,00, così come calcolata dal CTU nell’iniziale causa civile.

Tale richiesta è sicuramente fondata nell’an, poiché non v’è dubbio che il Comune debba provvedere, a seguito dell’individuazione, anche al trasferimento ed alla consegna dell’area. In ordine al quantum è parimenti ragionevole la pretesa di una compensazione patrimoniale, quanto meno pari agli interessi legali, per il periodo che va dalla stipula della convenzione sino al 24 gennaio 2008, momento in cui l’amministrazione ha invitato concretamente Su. alla stipula dell’atto di cessione.

La somma sulla quale calcolare gli interessi legali non può tuttavia essere quella indicata da Su., ma piuttosto quella (e solo quella) relativa al titolo volumetrico spettante, il cui concreto sfruttamento è stato per lungo tempo inibito. Valore dal CTU fissato, con riferimento al 1990, in Euro 1.585.413,165.

In conclusione l’appello principale dev’essere accolto nei limitati ambiti sopra chiariti, con conseguente condanna dell’amministrazione : a) al trasferimento del suolo già individuato, entro il termine di giorni 90 dalla notificazione o comunicazione della presente sentenza; b) al pagamento di una somma pari agli interessi legali sulla somma di Euro 1.585.413,165 dal 17/01/1990 sino al 24 gennaio 2008.

L’appello incidentale proposto da Su. è invece improcedibile, riguardando statuizioni di prime cure non più valide ed efficaci in quanto oggetto di riforma nei termini sopra chiariti.

Avuto riguardo all’esito ed alla complessità delle questioni le spese del doppio grado possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in premessa, e per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, condanna il Comune di Latina:

a) a trasferire a Su. la proprietà del suolo già individuato, entro il termine di giorni 90 dalla notificazione o comunicazione della presente sentenza;

b) al pagamento di una somma, in favore di Su., pari agli interessi legali sulla somma di Euro 1.585.413,16, dal 17/01/1990 al 24 gennaio 2008.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 marzo 2015 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi – Presidente

Sandro Aureli – Consigliere

Diego Sabatino – Consigliere

Giulio Veltri – Consigliere, Estensore

Giuseppe Castiglia – Consigliere

Depositata in Segreteria il 25 maggio 2015.

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