Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 22 maggio 2017, n. 2367

Il GA non è vincolato al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea e, in particolare, non deve essere disposto quando la corretta applicazione del diritto europeo è tale da imporsi “con tale evidenza da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata”. Così è da respingere la richiesta di rinvio pregiudiziale per violazione dell’art. 8, CEDU e dell’art. 2 della direttiva n. 2011/92/UE, per la mancata previsione, ai fini della legittima emanazione del decreto di acquisizione sanante, nell’art. 42 bis DPR 2001/327, dell’acquisizione successiva della V.i.a., per l’opera pubblica eseguita, dal momento che la normativa dell’Unione non prevede una valutazione ambientale postuma rispetto all’opera realizzata

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 22 maggio 2017, n. 2367

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA NON DEFINITIVA

sul ricorso numero di registro generale 1287 del 2016, proposto da:

Al. St., ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati St. Ga., ed altri, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via (…);

contro

Regione Veneto, in persona del Presidente in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Vi. Do., Lu. Ma., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via (…);

nei confronti di

Società Ve. St. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. Ma., Vi. Do., con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. VENETO – VENEZIA, SEZIONE I, n. 1139/2015, resa tra le parti, concernente acquisizione sanante ex art. 42 bis, d.P.R. n. 327/2001 dell’area di proprietà – ris.danni.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Veneto e di Società Ve. St. Spa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 febbraio 2017 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati F.R. Sc., A. Ma. su delega di L. Ma.;

Visto l’art. 36, comma 2, cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Gli odierni appellanti proponevano ricorso dinanzi al TAR per il Veneto, al fine di ottenere:

– l’annullamento del decreto n. 207/62.01.03 dd. 12.09.2011, emanato ai sensi dell’art. 42-bis del D.P.R. n. 327/2001, con il quale il Dirigente della Direzione Infrastrutture di Trasporto della Regione Veneto aveva disposto l’acquisizione al patrimonio indisponibile della Regione dell’area di proprietà dei ricorrenti;

– la dichiarazione di nullità ai sensi dell’art. 31 del D.Lgs. 104/2010 e dell’art. 21-septies della legge 241/90 del medesimo decreto, n. 207/2011;

– l’ottemperanza della sentenza n. 400/2011 del TAR Veneto che aveva annullato il precedente decreto n. 162/45.500 dell’11.6.2007 ex art. 43 d.P.R. 327/2001 ed aveva condannato la regione Veneto e Ve. St. al risarcimento del danno subito;

– l’accertamento e la condanna alla restituzione dell’area illegittimamente acquisita;

– il risarcimento del danno subito a causa dell’illecita occupazione a partire dalla data del decreto di occupazione d’urgenza;

e/o nell’ipotesi in cui fosse esclusa la restituzione dell’area,

– l’accertamento e la quantificazione del danno subito a causa dell’illegittima occupazione dell’area a partire dal decreto di occupazione e sino all’acquisizione;

– l’accertamento e la quantificazione del danno e/o indennizzo subito a causa dell’acquisizione ex art. 42-bis d.P.R. 327/2001, nonché la condanna a corrispondere tutte le somme dovute.

2. Il primo giudice trattava unitamente i primi tre motivi di ricorso in ragione della loro connessione sotto il profilo logico-giuridico, valutandoli infondati.

Il TAR prendeva le mosse dalla pronuncia di questo Consiglio n. 1822/2014, che, dando atto dell’avvenuta emanazione del nuovo provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42-bis, oggetto di impugnazione nell’odierno giudizio, aveva dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo in primo grado, e caducato la correlata sentenza. Ciò, secondo il TAR, risultava sufficiente per affermare l’infondatezza di tutte le censure relative alla pretesa inottemperanza alla sentenza n. 400/2011 ed alla violazione di questa, oltre che di tutte le argomentazioni svolte dagli originari ricorrenti relativamente alla asserita vincolatività (per l’Amministrazione, in sede di riedizione del potere) dei capi della detta pronuncia che risultavano di loro maggiormente di gradimento.

In ogni caso il TAR evidenziava come la sentenza n. 400/2011 non avesse stabilito unicamente e univocamente la restituzione del bene ai privati, statuendo, invece, che le parti avrebbero potuto concludere un accordo con effetti traslativi in favore dell’Amministrazione della proprietà delle aree definitivamente occupate, con corresponsione alla parte ricorrente della somma specificamente individuata nell’accordo stesso, somma determinata in base al valore venale dei terreni, nel rispetto del principio del ristoro integrale del danno subito e comprensiva, altresì, del danno per il periodo della loro mancata utilizzazione e, solo in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, l’Amministrazione avrebbe dovuto emettere formale provvedimento di restituzione delle aree a suo tempo occupate, opportunamente ripristinate, precisandosi, altresì, che, in mancanza di accordo e di formale atto di restituzione delle aree in questione, le parti ricorrenti avrebbero potuto chiedere l’esecuzione della sentenza per l’adozione delle misure consequenziali, con possibilità di nomina di un Commissario ad acta. Pertanto, anche le censure relative all’inapplicabilità dell’istituto disciplinato dal citato art. 42-bis, venivano respinte.

2.1. Passando alla verifica di legittimità del decreto impugnato in relazione ai parametri indicati dallo stesso art. 42-bis del T.U. 327/2011, il TAR, chiarito con il conforto della sentenza di questo Consiglio n. 1822/2014 che la C.T.U. espletata nell’ambito del giudizio sub R.G. 1957/2007, veniva acquisita solo a tali fini, passava ad esaminare il quarto ed il quinto motivo di ricorso, con i quali i ricorrenti denunciavano l’insufficienza e la falsità della motivazione del provvedimento acquisitivo impugnato (quarto motivo) e, in buona sostanza, l’insufficienza della determinazione del risarcimento del danno nella misura contenuta nel decreto impugnato (quinto motivo).

La conclusione alla quale giungeva il Collegio di prime cure era che il decreto n. 207/62.01.03, quanto all’onere motivazionale, rispettava i parametri normativi del citato art. 42-bis, risultando adeguatamente motivato. In ordine, invece, alla misura dell’indennizzo riconosciuto ai ricorrenti nel provvedimento censurato, concludeva che la stessa fosse rispettosa dei parametri contenuti nel citato art. 42-bis, costituendo un errore di impostazione quello della parte ricorrente che intendeva raffrontare le voci di danno quantificate nel decreto di acquisizione impugnato con quelle indicate nella CTU assunta nel precedente giudizio, rubricato sub R.G. 1957/2007, concluso con la pronuncia n. 400/2011.

2.2. In ordine al quino motivo inerente alla denunciata incostituzionalità del citato art. 42-bis, il primo giudice lo respingeva, richiamando la sentenza della Corte costituzionale n. 71/2015.

2.3. Quanto, infine, al settimo e all’ottavo motivo di ricorso, con i quali si denunciava che l’opera pubblica in questione sarebbe stata realizzata in violazione delle norme urbanistiche previste per le zone agricole ed in assenza di titolo edilizio (settimo motivo) e che il progetto relativo alla realizzazione della strada “(omissis)” non sarebbe stato sottoposto alla verifica di assoggettabilità alla procedura VIA, ritenendosi facile presumere che l’omesso screening avrebbe condotto all’assoggettabilità dell’opera alla procedura di VIA, gli stessi venivano respinti, consistendo l’atto impugnato in un provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis T.U. 327/2001, adottato a seguito dell’annullamento della procedura espropriativa, con la conseguenza che gli asseriti vizi relativi all’opera pubblica realizzata non potevano ritenersi attenere al detto provvedimento.

3. Avverso la pronuncia citata in epigrafe propongono un articolato appello gli originari ricorrenti, prospettando le seguenti questioni e censure:

a) richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia per violazione da parte dell’art. 42-bis, d.P.R. n. 327/2001, dell’art. 1 del Protocollo n. 1 e dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, avendo la norma in questione reintrodotto di fatto l’istituto dell’occupazione senza titolo, secondo un meccanismo analogo a quello dell’art. 43, d.P.R. n. 327/2001, già censurato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

L’art. 42-bis secondo la prospettazione degli appellanti, infatti:

– violerebbe il principio di legalità;

– non assicurerebbe un risarcimento integrale del danno;

– permetterebbe di incidere sui processi in corso;

– non assicurerebbe neppure il giusto indennizzo che spetta agli espropriati legittimi, atteso che il danno non patrimoniale sarebbe calcolato in modo forfettario:

– si caratterizzerebbe per la previsione di un indennizzo, che imporrebbe la compresenza della giurisdizione del g.a. sulla legittimità del decreto e sul risarcimento del danno da occupazione sine titulo e di quella del g.o. sulla commisurazione dell’indennizzo con lesione del principio di ragionevole durata del processo, del giudice naturale precostituito per legge e di concentrazione delle tutele;

– comporterebbe un onere della prova del danno diverso gravante sul proprietario, tale da essere eccessivamente oneroso;

– violerebbe, inoltre, anche l’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, nonché l’art. 2 della direttiva n. 2011/92/UE e l’art. 192 TFUE, nella misura in cui tutelano il diritto all’ambiente, avendo il legislatore nazionale sottratto una serie di opere alla procedura di valutazione di impatto ambientale, non prevedendo l’art. 42-bis, che in caso di mancanza di v.i.a. per il progetto originario la stessa sia acquisita successivamente, quale condizione del decreto di acquisizione sanante. Nella fattispecie l’annullamento della procedura di esproprio sarebbe stato disposto anche perché il progetto originario non sarebbe stato sottoposto a valutazione di impatto ambientale;

b) declaratoria del difetto di giurisdizione da parte del g.a. in ordine alla richiesta di determinazione dell’indennizzo, non ostando alla detta richiesta la circostanza che il ricorso sarebbe stato proposto dinanzi al g.a. dagli odierni appellanti, stante l’incertezza giurisprudenziale sul punto;

c) declaratoria di nullità del provvedimento ex art. 42-bis in forza dell’inesistenza della dichiarazione di pubblica utilità, che a maggior ragione avrebbe dovuto radicare la giurisdizione del g.o. Infatti, il TAR per il Veneto con sentenza n, 2664/2004, avrebbe annullato l’intera procedura espropriativa in quanto carente dei termini previsti dall’art. 13, l. 2359/1865. Da ciò deriverebbe anche un ulteriore argomento a sostegno della giurisdizione del g.o., la cui proposizione per la prima volta in sede di appello sarebbe ammissibile in ragione di quanto statuito dalla sentenza del Tribunale di Padova n. 1965/2015, che giungerebbe ad analoga conclusione;

d) la sentenza impugnata non si sarebbe soltanto limitata a pronunciarsi sulla legittimità del decreto di esproprio, ma si sarebbe spinta anche a dichiarare la congruità dell’indennizzo e del resto i ricorrenti avrebbero espressamente avanzato domanda di risarcimento del danno e di determinazione dell’indennizzo. Ma il primo giudice avrebbe operato un mero controllo sulle categorie di danno ed indennizzo, sottraendo al contraddittorio delle parti alla quantificazione, e violando così il principio di rispondenza tra chiesto e pronunciato;

e) il TAR non avrebbe potuto ritenere che la sentenza n. 400/2011 di prime cure sarebbe stata posta completamente nel nulla da parte della sentenza del Consiglio di Stato 1822/2014, sia perché alcuni capi della detta pronuncia sarebbero passati in giudicato, sia perché avrebbe dovuto valutare la differenza esistente tra l’abrogato art. 43, ed il nuovo art. 42-bis, d.P.R. n. 327/2001;

f) la pronuncia impugnata sarebbe erronea nella parte in cui non rileverebbe l’insufficienza della motivazione posta a base del decreto impugnato, dal momento che quest’ultima sarebbe illogica nel non aver preso in considerazione i criteri utilizzati dalla CTU espletata nel corso del giudizio sfociato nella sentenza n. 400/2011 del TAR per il Veneto in parte passata in giudicato. Né corrisponderebbe al vero che il decreto in questione sarebbe conforme ai criteri indicati dalla citata pronuncia. Inoltre, il minor valore residuo dei beni sarebbe stato considerato solo per gli immobili di proprietà di St. Alessando e St. Francesco, e per il primo dei due, sarebbe erroneo diversamente da come opinato dal TAR.

3.1. Gli appellanti, infine, ripropongono i motivi di primo grado.

4. Costituitesi in giudizio, la Regione Veneto, come la Società Ve. S.p.a. invocano il rigetto dell’odierno gravame.

5. In particolare, entrambe sostengono: a) l’infondatezza delle questioni pregiudiziali sulla scorta delle conclusioni alle quali è pervenuta la Corte costituzionale con la pronuncia n. 71/2015, come dell’assenza di una previsione comunitaria che contempli un obbligo di valutazione ambientale postuma; b) l’infondatezza della questione di giurisdizione, dal momento che tutte le domande proposte in prime cure rientrerebbero nella giurisdizione esclusiva del g.a.; c) l’assenza del vizio di ultrapetizione, poiché il primo giudice avrebbe limitato anche in relazione alla valutazione della congruità dell’indennizzo solo in ragione della pretesa illegittimità del decreto per inadeguatezza dell’indennizzo; d) l’infondatezza della censura con la quale vorrebbe ottenere in giudizio l’ottemperanza alla CTU svolta nel giudizio conclusosi con la sentenza n. 400/2011; e) l’inammissibilità della proposizione per la prima volta in sede di appello ovvero l’infondatezza della censura inerente alla illegittimità del decreto di acquisizione per carenza dei presupposti come della conseguente necessaria affermazione della giurisdizione del g.a. in ragione di ciò.

6. Nelle successive difese gli appellanti insistono nel ritenere non risolti i dubbi di compatibilità dell’istituto di cui al citato art. 42-bis, con la CEDU e con la Costituzione anche all’indomani della richiamata sentenza n. 71/2015 della Consulta. Ancora sostengono la possibilità di sollevare la questione del difetto di giurisdizione per la prima volta in appello anche in ragione della peculiare situazione determinatasi sul punto nelle more della decisione di prime cure, come dimostrato dalla circostanza che in sede di discussione del merito dinanzi al TAR la stessa veniva espressamente sollevata, subito dopo la pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 71/2015. Infine, insistono sul rilievo da attribuire alla CTU svoltasi nel giudizio concluso con la sentenza n. 400/2001 del TAR per il Veneto.

7. In sede di repliche Ve. St. s.p.a. e la Regione Veneto insistono nelle proprie conclusioni.

8. Prima di procedere all’esame delle questioni proposte nel presente giudizio, occorre procedere all’individuazione del thema decidendum, come cristallizzato dal petitum avanzato dai ricorrenti in prime cure, che si compone sia di domande spiegate in sede di ottemperanza alla sentenza n. 400/2011 del TAR per il Vento che in sede di cognizione.

Dall’esame del ricorso di primo grado, in particolare, si evince che le richieste ivi formulate sono le seguenti: a) in via pregiudiziale sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 42 bis, d.p.r. n. 327/2001; b) dichiarare la nullità del decreto di acquisizione; c) annullare il decreto di acquisizione; d) conseguentemente ordinarsi la restituzione dell’area illegittimamente acquisita ex art. 42 bis, d.p.r. n. 327/2001, in aggiunta determinarsi l’ammontare del danno subito per il periodo antecedente all’acquisizione dell’area; e) in via subordinata determinare l’ammontare dei danni subiti per il periodo antecedente all’acquisizione dell’area, nonché di quelli subiti in ragione dell’adozione del decreto ex art. 42 bis, d.p.r. n. 327/2001, comprensivi dell’indennizzo e degli interessi moratori compensativi del ritardo con cui sarebbe avvenuta la liquidazione delle somme spettanti per il trasferimento di proprietà e l’imposizione della servitù.

In risposta alle dette richieste il primo giudice escludeva che si potesse parlare di inottemperanza alla decisione n. 400/2011 dello stesso TAR e conseguentemente respingeva il primo motivo di ricorso, con cui si denunciava la nullità del decreto impugnato in quanto assunto in violazione della citata decisione n. 400/2011 sotto il profilo dell’elusione dei criteri risarcitori sanciti nella pronuncia nonché della mancata restituzione delle aree residue, estranee al nuovo atto ablativo; il secondo motivo, con cui si contestava l’applicabilità dell’art. 42 bis al caso in discussione; il terzo motivo, con cui si sosteneva che, in considerazione della asserita mancata ottemperanza alla sentenza n. 400/2011 ed in mancanza di un formale atto di restituzione della aree, la proprietà dei fondi in questione sarebbe rimasta in proprietà della Regione Veneto, con conseguente illogicità dell’azione amministrativa.

Pertanto, il TAR chiariva che il perimetro del proprio giudizio era rappresentato dalla verifica di legittimità del decreto impugnato in relazione e rispettivamente ai parametri indicati dallo stesso art. 42 bis del T.U. 327/2011, restando ogni altra questione estranea all’oggetto della controversia.

8.1. Tanto premesso va dichiarato inammissibile per violazione del divieto dei nova in appello il motivo con il quale si sostiene l’illegittimità del decreto ex art. 42-bis, per carenza dei presupposti, in quanto la procedura espropriativa è stata annullata con sentenza n. 2664/2004 del TAR per il Veneto per carenza dei termini di cui all’art. 13, l. 2359/1865 e, conseguentemente, si argomenta il difetto di giurisdizione del g.a.

Al riguardo, deve infatti, rilevarsi che non può essere invocata quale ragione che consente la proposizione tardiva del detto motivo la pubblicazione della sentenza del Tribunale di Padova n. 1965/2015, poiché quest’ultima rappresenta al più un argomento a sostegno del detto motivo, ma il fatto che ne giustificherebbe la proposizione era già noto ai ricorrenti proprio a far data dal momento in cui la pronuncia del TAR per il Veneto accertava l’illegittimità della procedura espropriativa per violazione dell’art. 13, l. 2359/1865.

8.2. A questo punto deve passarsi ad esaminare la censura con la quale l’appellante sostiene il difetto di giurisdizione del g.a. in ordine alla richiesta di determinazione dell’indennizzo. Al riguardo, va precisato che nel ricorso introduttivo l’odierno appellante con il quinto motivo, si doleva dell’illegittima quantificazione dell’indennizzo e che il primo giudice adottava la propria decisione specificando che la stessa mirava alla verifica della legittimità del decreto impugnato, rappresentando il parametro di cui al citato art. 42-bis, l’unico utile anche in relazione all’indennizzo previsto a favore degli appellanti.

Tanto premesso, il presente motivo va dichiarato inammissibile, risultando condivisibile l’orientamento già manifestato in seno a questo Consiglio (cfr. Sez. IV, 7 novembre 2015, n. 5484; Sez. VI, 29 febbraio 2016, n. 856; Sez. V, 7 giugno 2012, n. 656) ed ora fatto pienamente proprio anche dalla Corte di Cassazione, da ultimo, con la sentenza n. 21260/2016, secondo il quale: “L’attore che abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato a interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto”. Né rileva in alcun modo il dubbio sollevato dallo stesso ricorrente in ordine alla sussistenza della giurisdizione del g.a. in sede di udienza di discussione del merito dinanzi al TAR, dal momento che il ricorrente, avrebbe potuto, ma non lo ha fatto, utilizzare il rimedio processuale del regolamento preventivo di giurisdizione, investendo della questione le Sezioni Unite della Cassazione ai sensi dell’art. 10 c.p.a..

Da ciò deriva che il motivo di appello in esame deve essere dichiarato inammissibile, non potendosi ritenere che l’appellante sia soccombente rispetto ad una statuizione di merito che abbia, implicitamente o espressamente, valutato come corretta la sua scelta di adire il giudice amministrativo.

8.3. Chiarito che non è possibile rimettere in discussione la sussistenza della giurisdizione dell’odierno giudicante, deve passarsi all’esame della questione, meglio descritta supra, inerente la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia per violazione da parte dell’art. 42-bis, d.P.R. n. 327/2001, dell’art. 1 del Protocollo n. 1 e dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, nonché per violazione dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, nonché dell’art. 2 della direttiva n. 2011/92/UE e dell’art. 192 TFUE.

La prima delle questioni proposte è inammissibile, la seconda è in parte inammissibile ed in parte manifestamente infondata, sicché si ritiene di non farsi luogo al richiesto rinvio pregiudiziale.

Quanto alla prima deve rilevarsi che è in radice inammissibile la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia per la denunciata violazione da parte dell’art. 42-bis, d.P.R. n. 327/2001, dell’art. 1 del Protocollo n. 1 e dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, dal momento che ai sensi dell’art. 267 TFUE la Corte di Giustizia è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale: a) sull’interpretazione dei trattati; b) sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione. Ma, l’Unione Europea non risulta avere ancora portato a compimento il processo di adesione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo ai sensi dell’art. 6 TUE, sicché il parametro normativo invocato dall’appellante al fine della richiesta rimessione non rientra tra quelli che la Corte di Giustizia può scrutinare in sede di rinvio pregiudiziale ai sensi del citato art. 267 TFUE. Del resto se così fosse il giudicante in caso di contrasto tra la norma nazionale e la norma CEDU, se quest’ultima fosse equiparata a quella dell’Unione europea, sarebbe tenuto prima di disporre il rinvio pregiudiziale a valutare l’eventuale disapplicazione della norma nazionale.

Sulla seconda questione la stessa è in parte inammissibile in ragione di quanto già detto in relazione al paventato contrasto con l’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. In relazione, invece, alla presunta violazione dell’art. 42-bis, con l’art. 2 della direttiva n. 2011/92/UE e dell’art. 192 TFUE, occorre rammentare che il rinvio pregiudiziale non è ad obbligatorietà assoluta (cfr. Corte Giust., 6 ottobre 1982, Soc. Cilfit., C-283/81) e non deve essere disposto quando, come nella fattispecie, la corretta applicazione del diritto europeo è tale da imporsi “con tale evidenza da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata”. Nella fattispecie l’applicazione delle norme del diritto dell’Unione non risulta decisiva nella controversia in esame, dal momento che la normativa dell’Unione non prevede una valutazione ambientale postuma rispetto all’opera realizzata.

Né può convertirsi la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia in richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte europea dei diritto dell’uomo, atteso che il Protocollo n. 16 della CEDU non è ancora entrato in vigore.

8.4. Quanto alla doglianza con la quale l’appellante lamenta una mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, la stessa non può essere accolta, dal momento che lo stesso ricorso di primo grado è impostato sulla dimostrazione dell’illegittimità del decreto ex art. 42-bis, anche per l’erronea determinazione dell’indennizzo, sicché in questo senso la pronuncia di prime cure appare perfettamente rispondente a quanto domandato dall’odierno appellante.

8.5. Deve a questo punto passarsi ad esaminare la doglianza con la quale si contestano le valutazioni offerte dal primo giudice in ordine alla denunciata patologia che affliggerebbe il provvedimento impugnato per violazione della sentenza n. 400/2011 del TAR per il Veneto. Deve, al riguardo, rilevarsi che il primo giudice ha valutato correttamente gli effetti che la sentenza di questo Consiglio, n. 1822/2014 ha avuto sulla citata sentenza del TAR per il Veneto n. 400/2011, nel senso di travolgerne gli effetti. Infatti, nella pronuncia n. 1822/2014, questa Sezione così aveva ad esprimersi, nello statuire l’improcedibilità del ricorso di primo grado, allora proposto dagli attuali appellanti: “L’evoluzione della vicenda in sede amministrativa, ha fatto venire meno l’interesse ad una decisione del ricorso: la Regione Veneto, intervenuto il DL n. 98/2011, convertito in legge n. 111/2011, che ha introdotto l’art. 42 bis nel TU espropri, ha infatti emanato un nuovo provvedimento di acquisizione sanante (decreto n. 207/02.01.03 del 12/09/2011), liquidando l’indennizzo secondo i criteri ivi indicati, com’è noto comprensivi anche della liquidazione del danno morale. Tale provvedimento è stato impugnato dai sigg.ri St. dinanzi al TAR Veneto (RG 2016/2011).

In quella sede potranno essere fatti valere, unitamente agli eventuali profili di invalidità del provvedimento, anche quelli relativi al quantum, di guisa che, l’odierno giudizio, interessando un atto ormai non più esistente ed una materia ormai modificata dal nuovo e diverso potere disciplinato dall’art. 42 bis, è oggettivamente privo di utilità.La constatata improcedibilità investe ovviamente il ricorso introduttivo del primo giudizio (e non solo l’atto di appello), con conseguente travolgimento della sentenza gravata: la prosecuzione del rapporto processuale in appello espone infatti la fattispecie giudicanda, e con essa anche le statuizioni di primo grado, alle sopravvenienze che incidono sull’interesse a ricorrere ex art. 100 cpc., nella specie, legate alla riedizione del potere.

A tale conclusione non può opporsi la circostanza che nel primo giudizio sia stata acquisita CTU su questioni che in gran parte sono destinate a riproporsi nel nuovo giudizio, atteso che, ove necessario o utile, esse potranno essere acquisite, rivalutate ed eventualmente integrate o emendate alla luce delle considerazioni che gli appellanti avevano ritenuto di proporre in sede di appello, non ostandovi, in ragione di quanto sopra detto, le prime statuizioni”. È la diversità stessa del potere esercitato che non consente di ritenere stringenti le valutazioni dei fatti contenute nella CTU più volte citata dagli odierni appellanti. Né può convenirsi con gli appellanti nel senso di ritenere che alcune parti della pronuncia n. 400/2011 siano passate in giudicato, dal momento che la sentenza di questa Sezione n. 1822/2014, ha come effetto il travolgimento dell’intera sentenza di primo grado, che viene annullata in toto a causa delle sopravvenienze che incidono sull’interesse a ricorrere ex art. 100 cpc., nella specie, legate alla riedizione del potere.

8.6 Allo stesso modo destituita di fondamento è la doglianza con la quale si sostiene l’illegittimità del provvedimento impugnato, poiché il citato art. 42-bis, non potrebbe essere utilizzato nel caso di previo annullamento giurisdizionale di un provvedimento adottato ex art. 43, d.p.r. n. 327/2001. L’appellante, infatti, erra nel ritenere che quest’ultimo provvedimento sia stato annullato in sede giurisdizionale, dal momento che la sentenza di questa Sezione n. 1822/2014 ha travolto gli effetti della sentenza n. 400/2011 del TAR per il Veneto che aveva disposto l’annullamento del provvedimento adottato ex art. 43, d.p.r. n. 327/2001, rilevando che a seguito della pronuncia di incostituzionalità sul citato art. 43, il provvedimento adottato in forza di questa norma era stato sostituito da un provvedimento di acquisizione sanante ai sensi del citato art. 42-bis.

8.7. Non può essere nemmeno accolta la doglianza con la quale si lamenta l’insufficienza motivazionale del provvedimento impugnato. Quest’ultimo, infatti si presenta come congruamente motivato rispetto a quanto richiesto dal comma 4, dell’art. 42-bis, risultando espressamente valutati gli interessi privati in conflitto e descritte puntualmente le ragioni di pubblico interesse al mantenimento dell’opera, che giustificano l’utilizzo dello strumento eccezionale in questione.

9. Quanto ai motivi riproposti, invece, deve rilevarsi che quello inerente alla violazione delle norme tecniche di attuazione del P.R.G. del Comune di (omissis) e del Comune di (omissis) ed alla violazione della legge regionale n. 24/1985 e della regionale n. 11/2004 reitera motivi espressamente decisi dal primo giudice, che ha affermato che: “Invero, a prescindere da ogni altra considerazione, si osserva che l’atto impugnato consiste in un provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis T.U. 327/2001, adottato a seguito dell’annullamento della procedura espropriativa, con la conseguenza che gli asseriti vizi relativi all’opera pubblica realizzata non attengono al (e non inficiano il) detto provvedimento, che riguarda unicamente, come già ampiamente chiarito, l’esercizio di un potere che è stato riconosciuto dal legislatore per consentire “una legale via d’uscita per i casi in cui una pubblica amministrazione avesse occupato senza titolo un’area di proprietà privata, in assenza di un valido ed efficace decreto di esproprio” (Consiglio di Stato, sez. IV, 15 settembre 2014, n. 4696)”. Ciò avrebbe imposto l’espresso gravame del detto capo della sentenza, sicché in sua mancanza, il motivo in questione deve essere dichiarato inammissibile.

10. Resta a questo punto da valutare il solo sesto motivo di appello ed i correlati motivi riproposti con i quali si contesta la legittimità del provvedimento impugnato sotto il profilo della determinazione dell’indennizzo e del risarcimento del danno a favore degli appellanti.

11. Al riguardo, il Collegio ritiene di dover disporre verificazione al fine di accertare:

a) la descrizione della proprietà prima dell’utilizzazione senza titolo;

b) la descrizione e quantificazione delle superfici da acquisire;

c) la descrizione e quantificazione della proprietà residua;

d) la stima del valore del bene da acquisire;

e) la stima del minor valore delle porzioni residue;

f) la stima del pregiudizio patrimoniale: valore del bene da acquisire più minor valore delle porzioni residue;

g) la stima dell’indennizzo per occupazione senza titolo;

h) la stima dei danni non patrimoniali.

12. La verificazione si svolgerà con le seguenti modalità:

– avrà luogo entro il termine del 31 dicembre 2017;

– il verificatore dovrà comunicare alle parti costituite, con un preavviso di almeno cinque giorni, l’eventuale svolgimento di specifiche attività finalizzate al compimento della verifica;

– la relazione conclusiva sarà depositata entro il termine del 15 gennaio 2018;

Si fissa un anticipo sul compenso e sul rimborso spese spettante al verificatore, nella misura di € 2.000,00 (duemila/00), a carico degli appellanti.

La verificazione sarà svolta dal Direttore del Dipartimento di Agronomia della Università degli studi di Padova o da un docente dello stesso Dipartimento da lui delegato.

Si rinvia per l’ulteriore trattazione della causa in pubblica udienza ad un’udienza del primo trimestre del 2018 che sarà fissata dal Presidente della IV Sezione del Consiglio di Stato. Spese al definitivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), non definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto;

– in parte dichiara inammissibili ed in parte rigetta le censure esaminate;

– dispone gli incombenti istruttori nei sensi di cui in motivazione;

– rinvia ad un’udienza del primo trimestre del 2018 che sarà fissata dal Presidente della IV Sezione del Consiglio di Stato.

Spese al definitivo.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 febbraio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Antonino Anastasi – Presidente

Fabio Taormina – Consigliere

Oberdan Forlenza – Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere, Estensore

Giuseppe Castiglia – Consigliere

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