Palazzo-Spada

CONSIGLIO DI STATO

SEZIONE IV

ORDINANZA 7 novembre 2014, n. 5506

ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL’ADUNANZA PLENARIA

sul ricorso numero di registro generale 7594 del 2010, proposto da:

Giuseppe Severini, Luigi Maruotti, Carmine Volpe, Giampiero Paolo Cirillo, Luigi Carbone, Luciano Barra Caracciolo, Alessandro Botto, Rosanna De Nictolis, Marco Lipari, rappresentati e difesi dall’avv. Massimo Congedo, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. del LAZIO – Sede di ROMA – SEZIONE I n. 04104/2010, resa tra le parti, concernente diniego applicazione art. 4 co. 9 l. n. 425/84 – trattamento economico superiore – ris. danni

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei Ministri;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 ottobre 2014 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Quinto, per delega dell’Avv. Congedo, e l’Avvocato dello Stato Aiello;

FATTO

Con la sentenza in epigrafe appellata, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio – sede di Roma – ha respinto il ricorso di primo grado (corredato da motivi aggiunti) proposto dalla odierna parte appellante volto ad ottenere l’annullamento della nota della Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 3 febbraio 2003, che ha respinto, previo riesame, le istanze di esecuzione delle nove decisioni del Presidente della Repubblica del 27 settembre 1999 (nonché, ove occorra, di ogni altro di mancata esecuzione) e per la conseguente condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri a corrispondere le somme indicate negli schemi ad essa trasmessi dalla Segreteria Generale del Consiglio di Presidenza in allegato alla nota n. 2383 del 26 agosto 2002.

Nel detto ricorso di primo grado era stato inoltre richiesta la condanna al risarcimento dei danni cagionati agli originarii ricorrenti dall’inadempimento del dovere di dare tempestiva esecuzione alle medesime decisioni del Presidente della Repubblica ovvero l’elevazione di conflitto di attribuzioni nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri (art. 100, comma 3, della Costituzione).

La risalente vicenda che aveva originato il contenzioso può essere così sintetizzata.

La odierna parte appellante (Consiglieri di Stato vincitori di concorso) aveva chiesto il calcolo del trattamento economico ad essa spettante ai sensi dell’art. 4, comma 9, della legge 425/1984 (abrogato dall’art. 50 della legge 388/2000) ed aveva proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato avverso gli atti con i quali la Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva respinto le relative istanze.

Le decisioni assunte dal Capo dello Stato a fronte dell’esperimento del suddetto rimedio giustiziale avevano positivamente affermato l’obbligo per l’Amministrazione di determinare i trattamenti economici dei ricorrenti ai sensi del citato art. 4, comma 9, della legge 425/1984, tenendo conto del superiore trattamento spettante ai colleghi in posizione postergata rispetto a quella occupata dai ricorrenti stessi.

In data 9 luglio 2000, la Presidenza del Consiglio aveva però escluso l’attribuzione, in favore degli interessati, del trattamento economico come sopra determinato, fornendo parziale esecuzione a quattro delle nove decisioni assunte in esito ai ricorsi straordinari proposti.

Gli odierni appellanti avevano allora proposto ricorso per l’esecuzione del giudicato; esso era stato accolto dal Consiglio di Stato, ma era conclusivamente sfociato in una sentenza di annullamento della decisione da quest’ultimo adottata da parte della Suprema Corte di Cassazione per difetto di giurisdizione (Cass. civ. Sez. Unite, 18-12-2001, n. 15978).

A fronte di ulteriori istanze di esecuzione avanzate da parte degli stessi interessati, la Presidenza del Consiglio, con l’impugnata nota del 3 febbraio 2003 (resa in esito alla trasmissione, da parte della Segreteria Generale del Consiglio di Stato, degli schemi aggiornati dei rispettivi decreti individuali), aveva respinto le nuove richieste degli istanti, opponendo loro il disposto dell’art. 50, comma 4, della legge 388 del 2000.

Essi erano insorti articolando cinque macrocensure:

1) Violazione dell’art. 50, comma 4, della legge 388/2000, degli artt. 15 e 8 del d.lgs. n. 1199 del 1971, nonché dell’art. 2909 c.c., dell’art. 395 n. 5 c.p.c. e dell’art. 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo;

2) Violazione dell’art. 50, ultima parte, del comma 4, della legge 388/2000;

3) Questioni di costituzionalità;

4) Difetto di motivazione in relazione alla domanda di risarcimento dei danni; violazione dell’art. 1218 c.c.; domanda di liquidazione;

5) Istanza di proposizione di conflitto di attribuzione.

Il Tar adito, con la ordinanza n. 6971 del 14 luglio 2004 aveva ritenuto non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimità costituzionale dell’art. 50, comma 4, penultimo ed ultimo periodo, della legge 388/2000 per contrasto con gli artt. 3, 24, 100, 103 e 113 della Carta Fondamentale (nella parte in cui tale norma, esplicitando la portata retroattiva dell’abrogazione da essa contemplata, prevedeva che questa potesse travolgere anche posizioni individuali già riconosciute mediante sentenze o decisioni di ricorsi straordinari che erano ormai divenute definitive) rimettendo il relativo giudizio alla Corte Costituzionale.

Quest’ultima, con sentenza n. 282 del 15 luglio 2005, aveva affermato l’infondatezza della sollevata questione di costituzionalità.

Riassunto il giudizio innanzi al Tar, erano state proposte nuovamente censure di incostituzionalità (in parte già scrutinate dalla Corte, in parte nuove, con riferimento agli artt. 28 e 97, in connessione con gli artt. 54 e 98, 3, 10 e 11, 36, 113, 135, 100) avverso la disposizione di cui al comma 4 dell’art. 50 della legge 388/2000.

Valorizzando il principio di alternatività del ricorso straordinario rispetto agli ordinari rimedi giurisdizionali e, conseguentemente, assumendo la piena equiparazione del primo ai secondi si era sostenuto che la decisione del predetto rimedio, in quanto assimilabile ad una decisione sostanzialmente giurisdizionale, sarebbe stata insuscettibile di essere retroattivamente travolta da una disposizione di legge successivamente entrata in vigore.

A seguito dell’entrata in vigore dell’art. 69 della legge 69 del 2009, la odierna parte appellante aveva proposto ulteriori motivi aggiunti volti a sostenere la piena “giurisdizionalizzazione”, con effetto e portata certamente retroattiva del rimedio del ricorso straordinario (ponendosi quale “revisione” ai sensi della VI Disposizione transitoria della Costituzione, in un contesto da equiparare, asseritamente, “ad una interpretazione autentica”), sostenendo la necessità che i detti decreti decisori favorevoli a parte appellante medesima venissero eseguiti.

Il primo giudice ha respinto il mezzo ed i ricorsi per motivi aggiunti alla stregua delle seguenti, articolate, considerazioni.

Ha in primo luogo escluso che fronte dell’ordinanza di rimessione, alla Corte Costituzionale fossero ulteriormente configurabili questioni di legittimità costituzionale della previsione legislativa di cui all’art. 50, comma 4, della legge 388/2000 non manifestamente infondate.

Da ciò ha fatto discendere il convincimento per cui il tema rilevante verteva ormai esclusivamente sulla portata applicativa dell’art. 69 della legge 69/2009.

A tale proposito il primo giudice ha negato che, per effetto dell’entrata in vigore dello jus superveniens di cui all’art. 69 della legge 69/2009, il ricorso straordinario al Capo dello Stato fosse divenuto un mezzo di tutela giurisdizionale (e non più, quindi, “meramente” amministrativo) e che, in ogni caso, tale modificazione legislativa potesse avere portata retroattiva (in quanto equiparabile ad un intervento di “revisione” ai sensi della VI Disposizione transitoria della Costituzione), alla stregua di una previsione legislativa con carattere di “interpretazione autentica”.

Muovendo da tali premesse ha quindi negato che le decisioni dei (nove) ricorsi straordinari con i quali la pretesa economica degli originarii ricorrenti aveva trovato accoglimento, in quanto decisioni “giurisdizionali” (e, conseguentemente, assistite da forza di giudicato) avrebbero potuto essere“ora per allora” insensibili alla portata applicativa dell’art. 50 comma 4 della legge 388/2000 (il cui riferimento alle decisioni, evidentemente amministrative, non sarebbe – più; o, come sostenuto dagli odierni appellanti mai – riferibile alle statuizioni promananti dalla definizione dei ricorsi straordinari di che trattasi).

Nell’ultima parte della gravata decisione, poi, il Tar si è fatto carico di esaminare le ulteriori argomentazioni, dedotte con i motivi aggiunti, con le quali si era sostenuta l’accoglibilità del gravame sul rilievo della inassoggettabilità delle decisioni dei ricorsi straordinari al regime di cui all’art. 50, comma 4, della legge 388/2000.

Richiamate le conclusioni esposte dalla Corte Costituzionale con la decisione n. 282/2005 già in precedenza citata, il Tar ha sostenuto che la perdita di efficacia contemplata dall’art. 50 dovesse interessare anche gli atti con i quali il Capo dello Stato aveva deciso i ricorsi straordinari il cui esito si era risolto in favore degli odierni appellanti, restando da tale conseguenza immuni unicamente le “ sentenze passate in giudicato”, in quanto, come affermato dal Giudice delle Leggi, “la norma censurata contempla infatti la perdita di efficacia delle «decisioni di autorità giurisdizionali», quindi delle decisioni impugnate o impugnabili, non già delle decisioni irrevocabili o passate in giudicato”.

La Corte Costituzionale quindi, pervenendo alla conclusione che la norma ex art. 50 comma 4 avesse esteso la disposta perdita di efficacia dei provvedimenti anche agli atti decisori del rimedio giustiziale de quo (“tali dovendosi considerare i decreti del Presidente della Repubblica con cui vengono decisi i ricorsi straordinari”) “comunque adottati difformemente dalla interpretazione che vuole abrogato il nono comma dell’art. 4 della legge n. 425 del 1984 sin dalla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 333 del 1992” aveva affermato principi atti a far dichiarare infondate anche le ulteriori censure prospettate da parte appellante.

In ultimo, il Tar ha esternato il convincimento per cui solo una petizione di principio poteva assumere che la rimodulazione legislativamente introdotta del trattamento economico potesse trasmodare in una vulnerazione del postulato di indipendenza promanante dalla Carta costituzionale e che priva di ogni condivisibile fondamento era l’affermazione per cui l’esclusa applicabilità della disciplina sul “galleggiamento stipendiale” potesse aver determinato un vulnus al principio di cui al comma 3 dell’art. 100 della Costituzione.

Conclusivamente, il mezzo è stato integralmente disatteso.

Avverso la detta decisione la originaria parte ricorrente ha proposto una serrata critica.

Parte appellante ha in primo luogo ripercorso le principali tappe del risalente contenzioso ed ha riepilogato le innovazioni –anche normative- medio tempore succedutesi.

Con il primo motivo di censura si è sostenuto che la sentenza gravata era viziata ex art. 112 cpc in quanto, allorchè il Tar aveva sostenuto che il giudizio fosse stato “depurato” da nuove e vecchie questioni di costituzionalità non si era avveduto che nell’originario mezzo di primo grado erano stati evocati i parametri di costituzionalità di cui agli artt. 28 e 97 della Carta Fondamentale e che su questi ultimi la Corte non aveva delibato (come del resto sui profili di violazione ex artt. 3 e 100 della Costituzione).

Parimenti non si era avveduto che nessuna statuizione v’era stata con riguardo ai parametri di cui agli artt. 10,11 e 117 della Costituzione e di cui agli artt. 6 e 13 Cedu.

Il Tar aveva parimenti errato nell’affermare che l’art. 69 della legge n. 69 del 2009 non avesse “giurisdizionalizzato” l’istituto e che, comunque – ove anche ciò fosse avvenuto- detta modifica non sarebbe stata retroattiva.

Il Tar quanto a tale profilo aveva errato nel non pronunciarsi sulla censura di parte appellante, laddove si era sostenuto che l’art. 69 della legge del 2009 aveva operato una “revisione in senso tecnico.”

Con la seconda e la terza censura parte appellante ha criticato il capo della gravata decisione che aveva negato la natura di rimedio giurisdizionale del ricorso straordinario

Con i motivi da 3.1. a 3.4 ci si è soffermati in ordine alla natura interpretativa (e perciò retroattiva) delle disposizioni di cui al surrichiamato art. 69 della legge del 2009.

Con il quarto motivo di gravame ha fatto presente che, ove anche fosse stata negata la natura giurisdizionale del decreto decisorio del ricorso straordinario, l’art. 4 dell’art. 50 della legge n. 388 del 2000 – ove interpretato non senso di ritenerlo riferibile alle decisioni rese in sede di ricorso straordinario- avrebbe dovuto essere ritenuto in contrasto con la Cedu.

Il predetto art. 4 dell’art. 50 della legge n. 388 del 2000 non corrispondeva al dictum dell’art. 4 comma 9 della legge n. 425/1984.

Con il quinto motivo sono stati riproposti i parametri di asserito conflitto della disposizione normativa suddetta non esaminati dalla Corte Costituzionale, per la denegata ipotesi che si fosse continuata a sostenere la natura amministrativa del rimedio del ricorso straordinario.

Con il sesto motivo è stato riproposto il petitum risarcitorio facendo presente che il Tar aveva del tutto omesso di soffermarsi su detto profilo, da qualificarsi qual domanda autonoma, avanzata anche per la ipotesi della reiezione del petitum principale e persino ove si fosse ritenuto il più volte citato art. 50 comma 4 non collidente con l’art. 28 della Costituzione e con i precetti Cedu. mentre con ulteriori due doglianze si è avanzata richiesta risarcitoria anche ex art. 2059 CC.

Parte appellante in data 26 giugno 2014 ha depositato una articolata memoria reiterando e puntualizzando le proprie domande ed insistendo anche nelle subordinate richieste risarcitorie che ha illustrato partitamente.

Ha altresì chiesto che il ricorso in appello indicato in epigrafe venisse esaminato congiuntamente a quello di ottemperanza del pari chiamato in decisione alla odierna camera di consiglio.

L’appellata amministrazione ha depositato una memoria chiedendo la reiezione dell’appello perché infondato.

Ha in proposito rammentato che la Corte Costituzionale si era a più riprese pronunciata sulle norme rilevanti nell’ambito dell’odierno procedimento, ed ha sostenuto che l’unica censura avanzata da parte appellante principale sulla quale la Consulta (sent, n. 282/2005) non aveva, in effetti, espresso (anche implicitamente) il proprio giudizio, era quella inerente al carattere di “norma provvedimento” ingiustificatamente punitiva nei confronti dei (soli) odierni appellanti che l’art. 50 della legge n. 388 del 2000 avrebbe potuto rivestire.

Senonchè, gli odierni appellanti ben sapevano, già dal 1992, ed a partire quantomeno dalla decisione della Corte Costituzionale n. 6/1994, che la loro pretesa non era suffragata da elementi giuridici apprezzabili, e pertanto nessun serio affidamento sulla stessa potevano riporre: non poteva quindi ipotizzarsi che l’art. 50 della legge n. 388 del 2000 integrasse norma “punitiva”contra personam.

Anche le ulteriori ipotesi di incompatibilità dell’art. 50 della legge n. 388 del 2000 con precetti contenuti nella Carta costituzionale e con precetti CEDU erano destituite di fondamento (richiamando all’uopo nelle memorie di primo grado depositate dalla difesa erariale in vista delle udienze del 24 maggio 2006 e del 7 ottobre 2010).

Parte appellante ha depositato una ulteriore memoria di replica, datata 26 agosto 2014, nell’ambito della quale ha confutato le argomentazioni esposte dalla difesa erariale nella propria memoria ed ha ribadito le richieste contenute nel ricorso in appello.

Con nota depositata in vista della odierna camera di consiglio la odierna parte appellante ha dichiarato di rinunciare subordinatamente al petitum risarcitorio: più in particolare, essa ha fatto presente che, per senso dello Stato, ove il petitumprincipale contenuto nel mezzo fosse stato accolto, ovvero fosse stata accolto il petitum principale proposto nella parallela causa di ottemperanza n. 5044/2013 del pari chiamata in decisione alla odierna adunanza camerale del 7 ottobre 2014, essa avrebbe rinunciato alle domande risarcitorie proposte.

Alla odierna pubblica udienza del 7 ottobre 2014 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.

DIRITTO

Va preliminarmente premesso che non ritiene il Collegio di aderire alla richiesta di trattazione congiunta del presente ricorso con il ricorso in ottemperanza n. 5044/2013 del pari chiamato in decisione alla odierna pubblica udienza del 7 ottobre 2014: la connessione oggettiva e soggettiva sussiste certamente, ma la specificità delle domande proposte con il ricorso in ottemperanza sconsiglia una abbinata trattazione.

1.1. Il Collegio – come meglio si chiarirà di seguito- ritiene sia necessario ed opportuno investire l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato delle problematiche sollevate (principalmente, ma non solo) nel secondo e nel terzo motivo dell’appello oggetto di delibazione

1.1.1. E’ opinione del Collegio, infatti, quella per cui vadano separatamente esaminate le due principali questioni sollevate dalla articolata critica di parte appellante: e ciò, sebbene le stesse presentino punti di contatto e convergenza che, a tratti, renderebbero necessaria una disamina comune.

1.2. In sostanza la critica di parte appellante si fonda su due pilastri: da un canto essa reitera il convincimento relativo alla supposta incostituzionalità dell’art. 50 della legge 388/2000 ed al supposto contrasto dello stesso con le disposizioni contenute nella Cedu.

Per altro verso, richiama le disposizioni sopravvenute di cui all’art. 69 della legge n. 69 del 2009 pretendendo di trarne un effetto favorevole “retroattivo” che, in ogni caso, vanificherebbe ogni contraria e diversa interpretazione in ordine alla natura dei decreti decisori dei ricorsi straordinari della cui esecuzione si controverte.

Ove accolta, tale prospettazione in ultimo menzionata impedirebbe in radice l’applicazione alla vicenda processuale del disposto di cui all’art. 50 della legge 388/2000, anche laddove lo si dovesse ritenere costituzionalmente compatibile.

Ciò in quanto, essendo pacifico che la detta disposizione non potesse “travolgere” le decisioni giurisdizionali regiudicate, ove si ricomprendessero in tale categoria anche i decreti decisori dei ricorsi straordinarii resi in un momento antecedente alla entrata in vigore della suindicata norma di cui all’art. 50 della legge 388/2000 l’effetto preclusivo ivi contenuto non avrebbe potuto spiegare effetti sui medesimi, con conseguente doveroso accoglimento delle domande proposte dalla odierna parte appellante e conformazione dell’Amministrazione al decisum ivi contenuto.

1.3. L’ordine cui si atterrà il Collegio nell’esame della fattispecie risente della impostazione del ricorso in appello ma, anche e soprattutto, individua come pregiudiziale la problematica relativa alla supposta inapplicabilità dell’art. 50 della legge 388/2000 (oltre che alle sentenze regiudicate anche) ai decreti decisori dei ricorsi straordinarii resi antecedentemente alla entrata in vigore della norma medesima.

Tale tematica assume invero un evidente rilievo prioritario, sotto il profilo logico, rispetto a quella relativa alla supposta incostituzionalità del predetto art. 50 della legge 388/2000 (sollevato da parte appellante sotto altri profili rispetto a quelli delibati dalla Consulta con la sentenza n. 282 del 15 luglio 2005).

Detto pregiudiziale argomento critico oggetto di delibazione postula una breve analisi di alcune importanti questioni (attuale natura del decreto decisorio del ricorso straordinario; natura e cogenza delle decisioni rese ante novella del 2009; eventuale incidenza della modifica legislativa sulle decisioni pregresse rese ante novella del 2009).

3.1. Parte appellante sostiene che la ammissibilità del ricorso in ottemperanza al fine di ottenere la coattiva esecuzione dei decreti decisori dei ricorsi straordinarii debba intendersi estesa anche ai decreti pronunciati in epoca antecedente alla entrata in vigore della legge n. 69/2009; ciò in quanto le modifiche introdotte da quest’ultima, integrerebbero una “revisione” dell’istituto, spiegante portata retroattiva, come dimostrato dalla circostanza che la giurisprudenza ha ammesso l’azione di ottemperanza anche di decreti decisori resi in epoca di gran lunga antecedente a quelli oggetto dell’odierno ricorso.

Che a cagione di ciò, la riscontrata natura giurisdizionale dei decreti decisori dei ricorsi straordinari conduca ad una rilevante conseguenza.

Che si debba cioè ritenere, che l’art. 50 comma 4 penultimo ed ultimo periodo, L. 23 dicembre 2000 n. 388, nella parte in cui disciplina, con una norma di interpretazione autentica, la portata e la decorrenza dell’abrogazione del nono comma dell’art. 4, L. 6 agosto 1984 n. 425 (ed inteso dalla Corte Costituzionale nel senso che la perdita di efficacia delle «decisioni di autorità giurisdizionali», in essa contemplata, si riferisce alle decisioni impugnate o impugnabili, non già alle decisioni irrevocabili o passate in giudicato) non potesse spiegare effetti sulle decisioni dei ricorsi straordinari in quanto costituenti, tecnicamente, “giudicato”.

Di qui la richiesta “principale”: posto che la detta norma non può spiegare effetto preclusivo sui decreti decisori resi nei confronti di parte appellante, devono essere soddisfatte le pretese economiche di quest’ultima riconosciute fondate nelle dette decisioni dei ricorsi straordinarii da essa proposti nel 1999.

3.1.1. La tesi di parte appellante si fonda sulla evoluzione legislativa più recente che ha interessato l’istituto del ricorso straordinario al Capo dello Stato.

3.2. Senza alcuna pretesa di esaustività, va in questa sede rammentato che il rimedio del ricorso straordinario disciplinato dal d.P.R. n. 1199/1971 si inquadrava in un sistema nell’ambito del quale – seppur con qualche incertezza e distinguo in dottrina- si sottolineava la natura di atto amministrativo del decreto decisorio reso su ricorso straordinario (per la giurisprudenza costituzionale cfr. ex multis Corte Cost. n. 298 del 1986; Corte Cost. n. 282/2005 per e quella delle S.U. ex multis Cass., sez. un., 17 gennaio 2005, n. 734; Cass., sez. un., 18 dicembre 2001, n. 15978: tali decisioni avevano ritenuto che il decreto emesso a seguito di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica integrasse un atto di natura amministrativa e non giurisdizionale).

Già con la sentenza n. 3141 del 1953 le Sezioni Unite, cassando per difetto di giurisdizione la decisione del Consiglio di Stato che aveva affermato l’ammissibilità del giudizio di ottemperanza in relazione a decreti di accoglimento di ricorsi straordinari, rimasti inadempiuti, avevano ritenuto, a conferma dell”insegnamento tradizionale’, ostativa alla esperibilità di quel giudizio la natura amministrativa del provvedimento decisorio suddetto.

La questione si era nuovamente proposta a seguito della sentenza della Corte di Giustizia 16 ottobre 1997, in cause riunite C-69/96 e 79/96, che aveva dato ingresso alle questioni di interpretazione di norme comunitarie, sollevate dal Consiglio di Stato in sede di parere su ricorso straordinario al Capo dello Stato, riconoscendo natura di giudice nazionale a detto organo anche in tale sede; ma le Sezioni unite, con sentenza n. 15978 del 2001, avevano ribadito il precedente orientamento escludendo che i decreti con i quali sono decisi i ricorsi straordinari abbiano natura giurisdizionale e possano essere assimilati alle sentenze passate in giudicato, le uniche passibili di esecuzione mediante il giudizio di ottemperanza (in particolare, tra l’altro, tale conclusione era stata motivata con la considerazione per cui il procedimento promosso con il ricorso straordinario ha per protagonista un’autorità amministrativa, che non è neppure vincolata in modo assoluto dal parere espresso dal Consiglio di Stato, potendo anche risolvere la controversia secondo criteri diversi da quelli risultanti dalla pura e semplice applicazione delle norme di diritto, così venendo a mancare i requisiti indefettibili dei procedimenti giurisdizionali, cioè il loro celebrarsi dinanzi ad un giudice terzo e imparziale, oltre che soggetto esclusivamente al diritto vigente -art. 111 Cost., comma 2, e art. 101 Cost., comma 2).

La Corte costituzionale, dal canto suo, aveva confermato la fondatezza di tale approdo.

In particolare, con la sentenza n. 254 del 2004, aveva dichiarato inammissibile una questione di legittimità costituzionale di una legge sollevata dal Consiglio di Stato in sede di parere su ricorso straordinario al Capo dello Stato: ciò sul presupposto che la questione era stata sollevata da un organo non giurisdizionale, la cui natura amministrativa era evidenziata dal fatto che il D.P.R. n. 1199 del 1971, art. 14, comma 1, prevedeva che, ove il ministro competente intenda proporre una decisione difforme dal parere del Consiglio di Stato, deve sottoporre la questione alla deliberazione del Consiglio dei Ministri (provvedimento, quest’ultimo, evidentemente non giurisdizionale, per la natura dell’organo da cui promana), mentre non rileva il riconoscimento di tale natura (giurisdizionale) da parte della Corte di Giustizia, perchè operato ad altri fini e sulla base di norme diverse da quelle che venivano in rilievo nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale.

Trattandosi di rimedio amministrativo, peraltro, e non venendo in rilievo problematiche di riparto di giurisdizione, la giurisprudenza amministrativa si era attestata (secondo un orientamento consolidato fin da Cons. Stato, ad. gen., 29 aprile 1971, n. 45) sull’ affermazione per cui era consentito il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica anche contro gli atti emessi dall’amministrazione nell’ambito di un rapporto di lavoro di tipo privatistico, assoggettati alla disciplina del diritto comune e attribuiti alla cognizione del giudice ordinario e più in generale che esso fosse ammissibile anche a tutela di diritti soggettivi in materie estranee alla giurisdizione amministrativa e ricadenti nella giurisdizione del giudice ordinario (per una compiuta ricostruzione, sul punto, si veda Corte cost. Ord., 30-11-2007, n. 406).

3.2.1. Successivamente ai detti arresti giurisdizionali in ultimo citati, il sistema normativo ha subito penetranti modifiche.

Si rammenta in proposito che la L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 3, recante disposizioni in materia di giustizia amministrativa, che ha riformato il processo cautelare innanzi al giudice amministrativo aveva previsto in particolare, al comma 4, che nell’ambito del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica poteva essere concessa, a richiesta del ricorrente, ove siano allegati danni gravi e irreparabili derivanti dall’esecuzione dell’atto, la sospensione dell’atto medesimo.

Il d.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 245, comma 2, -con riguardo ai decreti di accoglimento di ricorsi straordinari aventi ad oggetto atti delle procedure di affidamento di contratti pubblici ed atti dell’Autorità di vigilanza sugli stessi – aveva previsto l’applicazione degli strumenti di esecuzione di cui alla L. n. 1034 del 1971, artt. 33 e 37.

Un più organico e rilevante intervento è però certamente ascrivibile alla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 69 (recante disposizioni per lo sviluppo economico, la competitività nonchè in materia di processo civile). Il comma 1 introduce, sotto forma di periodo aggiunto al testo del D.P.R. n. 1199 del 1971, art. 13, comma 1, alinea, una norma che espressamente prevede che la sezione del Consiglio di Stato, chiamata ad esprimere il parere sul ricorso straordinario, ne sospende l’espressione ed attiva l’incidente di costituzionalità ‘ai sensi e per gli effetti di cui agli art. 23 e seguenti della L. 11 marzo 1953, n. 87’ se ritiene che il ricorso non possa essere deciso indipendentemente dalla risoluzione di una questione di legittimità costituzionale che non risulti manifestamente infondata.

Il comma 2 dispone l’aggiunta al primo periodo dell’art. 14, comma 1 del citato D.P.R. delle parole ‘conforme al parere del Consiglio di Stato’ e la soppressione del secondo periodo del comma 1, secondo periodo, dello stesso articolo, nonchè l’abrogazione del comma 2, così eliminando la possibilità – originariamente prevista – che il Ministero, nel formulare la proposta di decreto presidenziale, si discosti dal parere espresso dal Consiglio di Stato, previa sottoposizione della sua proposta al Consiglio dei Ministri.

Il codice del processo amministrativo (D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104) ha ulteriormente accentuato il carattere giurisdizionale del ricorso straordinario in varie disposizioni. Delle quali la più significativa appare essere l’art. 7 recante la definizione e l’ambito generale della giurisdizione amministrativa. E’ in questo ambito, chiaramente attinente alla giurisdizione e non già all’amministrazione, che si colloca anche la prescrizione specifica (al comma 8) secondo cui il ricorso straordinario è ammissibile unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa e quindi nelle materie in cui il giudice amministrativo ha giurisdizione. Sicchè la ‘giurisdizione’ diventa generale presupposto di ammissibilità del ricorso straordinario non diversamente che per il ricorso ordinario al giudice amministrativo.

E quando il successivo art. 126 contempla uno speciale ambito della giurisdizione del giudice amministrativo in materia di contenzioso elettorale, che, in forza della generale prescrizione dell’art. 7 cit., avrebbe trascinato ex se anche un simmetrico allargamento dell’ambito di ammissibilità del ricorso straordinario, è necessaria una disposizione derogatoria ad hoc (l’art. 128) per escludere, come eccezione alla regola, tale allargamento.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 73/2014 ha escluso la rilevanza di dubbi di costituzionalità sulla norma in ultimo citata.

3.3. Successivamente alla entrata in vigore dell’ art. 69 della legge n. 69/2009 la giurisprudenza amministrativa e quella civile di legittimità si sono interrogate in ordine al “significato” di detta modifica sulla natura dell’istituto del ricorso straordinario, e sulle conseguenze che ne dovevano discendere.

3.3.1. E’ stata in proposito raggiunta una sostanziale convergenza di opinioni (Cass. civ. Sez. Unite, 06-09-2013, n. 20569, 28 gennaio 2011, n. 2065, 23464/2012 Ad Plen. 05 giugno 2012 n. 18 Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 14-05-2014, n. 10414 ) nel ritenere che il decreto decisorio abbia acquistato natura giurisdizionale e sia “equiparabile” ad un giudicato e che pertanto sia ammessa la eseguibilità del medesimo mercè il rito dell’ottemperanza (Cass. civ. Sez. Unite, 28 gennaio 2011, n. 2065) ed il detto decreto sia ricorribile per Cassazione ex art. 111 della Costituzione (Cass. civ. Sez. Unite, 06-09-2013, n. 20569, 28 gennaio 2011, n. 2065, 23464/2012).

3.3. La latitudine applicativa del detto principio rappresenta però il vero aspetto rilevante del problema posto dal pregevole appello oggetto di scrutinio.

Ivi infatti,come detto, si sostiene che tale opera di revisione proietti effetti anche sui decreti decisorii (quali, pacificamente, sono quelli per cui è causa) resi allorchè il parere del Consiglio di Stato non era vincolante (e che ciò comporti la inapplicabilità agli stessi del regime preclusivo di cui all’art. 50 della legge 388/2000).

Sotto tale profilo, come si cercherà di dimostrare di seguito, non pare al Collegio che si riscontri una uniformità di vedute, né in dottrina né in giurisprudenza.

Parimenti, e per mera aspirazione alla completezza espositiva, va posto in luce che qualificata giurisprudenza di legittimità ha manifestato (anche) discordanze di opinioni in ordine a quale sia il momento “qualificante” della evoluzione legislativa che ha condotto al revirement cui si è fatto riferimento (in particolare, se le norme di cui alla legge n. 69/2009, ovvero le disposizioni del cpa): il Collegio però non si soffermerà sulla problematica in ultimo immediatamente evidenziata, in quanto del tutto neutra ai fini della risoluzione dei quesiti posti dall’odierno procedimento.

3.4. Tornando quindi alla disamina della problematica che assume rilievo centrale nell’odierno giudizio, quanto alla latitudine applicativa del principio relativo alla natura “giurisdizionale” del decreto decisorio, il Collegio deve immediatamente segnalare che una autorevole ricostruzione contraria alla tesi appellatoria è stata di recente resa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la decisione 06-09-2013, n. 20569, (ma si veda anche Cass. civ. Sez. III, 02-09-2013, n. 20054).

In dette decisioni è stata affermata una tesi restrittiva.

Nella citata decisione del Giudice regolatore della giurisdizione, infatti, è stato sì ribadito il principio per cui “pur non avendo la decisione sul ricorso straordinario originariamente una ‘funzione giurisdizionale’, una volta che il legislatore ordinario ne ha operato la revisione con le riforme del 2009-2010, depurando il procedimento da ciò che non era compatibile con la ‘funzione giurisdizionale’, tale decisione, nella parte in cui prende come contenuto il parere del Consiglio di Stato, rientra a pieno titolo nella garanzia costituzionale dell’art. 103 Cost., comma 1, che fa salvi, come giudici speciali, il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa.”.

Le Sezioni Unite, hanno però ivi precisato (si riporta un breve stralcio della motivazione, nella parte di immediato interesse) che “tale idoneità alla formazione del giudicato da parte del decreto del Presidente della Repubblica, emesso all’esito del procedimento sul ricorso giurisdizionale, va riconosciuta solo dal momento in cui tale procedimento ha assunto natura giurisdizionale.

Infatti la suddetta sentenza di queste S.U. n. 23464 del 19/12/2012 ha avuto cura da una parte di rilevare che tale funzione giurisdizionale non si apparteneva ab origine al procedimento de quo, ma è stata determinata dal mutamento delle quadro normativo intervenuto negli anni 2009-2010 (con la conseguenza che la sentenza non costituisce un overruling interpretativo rispetto al precedente orientamento sia di questa Corte che della Corte Costituzionale) e dall’altra che tale ‘mutazione’ è fondata sulle nuove norme ordinarie.”.

Le Sezioni Unite quindi, in armonia con tale premessa, hanno sottolineato che “ne consegue nella fattispecie che, poichè il decreto del Presidente della Repubblica è stato emesso il 10.10.2002, allorchè non erano intervenute le suddette ‘norme di modifica del procedimento per il ricorso straordinario al Capo dello Stato’, a quella data, in conformità della legislazione e della giurisprudenza di queste S.U. e della Corte Costituzionale dell’epoca, il procedimento in questione aveva natura amministrativa e quindi il decreto in questione aveva (e nello specifico conserva tuttora) la stessa natura e non è idoneo al passaggio in giudicato.”.

Sin qui la citata decisione delle Sezioni Unite 06-09-2013, n. 20569.

Come è agevole riscontrare, la suindicata decisione (la cui immediata traslabilità, in punto di fatto, alla fattispecie per cui è causa non appare revocabile in dubbio) “lega” l’ammissibilità del rimedio dell’ottemperanza (e la qualifica di “giudicato” e, a monte, la natura giurisdizionale del decreto decisorio) alla sopravvenuta modifica legislativa che ha mutato la natura del ricorso straordinario.

Le Sezioni Unite ne perimetrano l’ambito applicativo ai soli decreti emessi (post riforma ex lege n. 69/2009 e quindi) su parere obbligatorio e vincolante del Consiglio di Stato a seguito della abrogazione della precedente disciplina (D.P.R. n. 1199 del 1971, art. 14, comma 1, secondo periodo e comma 2, nella parte in cui consentiva la decisione del ricorso straordinario in termini ‘difformi’ rispetto al parere, previa Deliberazione del Consiglio dei Ministri).

3.4.1. Osserva il Collegio che la ratio sottesa a tale decisione appare logicamente difficile da scalfire: se alle modifiche legislative di cui alla legge n. 69/2009 ed al cpa si connette l’avvenuta giurisdizionalizzazione del rimedio del ricorso straordinario, e se solo tale “trasformazione” consente il rimedio dell’ottemperanza, in quanto assimila pienamente il decreto decisorio al “giudicato” ne dovrebbe conseguire che quest’ultimo rimedio (e, a monte,l’assimilazione al “giudicato”) non sia praticabile per i decreti resi su parere obbligatorio ma non vincolante del Consiglio di Stato (quali indiscutibilmente, sono quelli per cui è causa).

E che, sostanzialmente, non possa affermarsi che questi ultimi, al momento in cui furono resi, fossero assimilabili ad un “giudicato” giurisdizionale , né che lo possano essere divenuti successivamente per effetto delle novelle legislative di cui s’è detto.

Da ciò, trasponendo il principio alla fattispecie di causa, dovrebbe inferirsi, la applicabilità piena dell’art. 50 della legge 388/2000 ai detti decreti decisori per cui è causa, siccome affermato dal Tar (seppur con argomentazioni solo in parte coincidenti con quelle esposte, tenuto conto della circostanza che la gravata decisione è intervenuta in un torno di tempo in cui la evoluzione giurisprudenziale di cui s’è detto era stata appena avviata).

Il sostrato teorico di partenza di tale tesi, per il vero, era già stato affermato dalle Sezioni Unite con la decisione “pilota” n. 2065/2011 (sulla quale, pure, di qui a breve ci si soffermerà) laddove si era ivi sottolineato (punto 2.15) che “l’evoluzione del sistema, che porta dunque a configurare la decisione su ricorso straordinario come provvedimento che, pur non essendo formalmente giurisdizionale, è tuttavia suscettibile di tutela mediante il giudizio d’ottemperanza, deve trovare applicazione, in guisa di corollario, per la analoga decisione resa dal Presidente della Regione Siciliana ai sensi della sopra richiamata normativa regionale, modellata – come s’è visto – sulla disciplina dettata per il ricorso straordinario al Capo dello Stato (dovendosi dunque riconoscere carattere vincolante anche al parere espresso dal Consiglio di Giustizia Amministrativa e dovendosi ammettere il potere di tale organismo di sollevare questioni di legittimità costituzionale rilevanti ai fini dell’espressione del parere; al riguardo, la dottrina parla di abrogazione tacita indiretta delle disposizioni del D.Lgs. n. 373 del 2003 che contrastino con le previsioni introdotte della L. n. 69 del 2009, art. 69).”

Né potrebbe sostenersi che con suddetta perimetrazione restrittiva di cui alla decisione 06-09-2013, n. 20569, possano trovarsi in conflitto le affermazioni contenute al punto 2.14 della sentenza n. 2065/2011 in ultimo richiamata, laddove è dato leggere che “i profili di novità tratti dalla legislazione, che sono stati anche oggetto di discussione all’odierna udienza pubblica, sono di immediata operatività a prescindere dall’epoca di proposizione del ricorso straordinario, ovvero di instaurazione del giudizio di ottemperanza.”

Tale affermazione, a ben guardare, costituisce corollario della natura processuale delle disposizioni di cui alla legge n. 69/2009 e, pertanto della loro immediata applicazione ai processi in corso, e sta soltanto a significare che, da un canto il ricorso straordinario, ancorchè proposto in data risalente, debba essere deciso secondo le sopravvenute disposizioni (id est: il parere del Consiglio di Stato spiega portata vincolante); secondariamente che (soltanto) ove sia stato deciso secondo le suddette disposizioni, sarebbe esperibile il rimedio dell’ottemperanza ancorchè la proposizione dello stesso avesse preceduto temporalmente il d.Lgs. n. 104/2010 e l’art. 112 lett. b ivi contenuto.

Da ciò non potrebbe trarsi la conseguenza che decreti decisori resi nella costanza dell’antevigente quadro normativo (e pertanto su parere non vincolante del Consiglio di Stato) possano essere assistiti dal rimedio dell’ottemperanza, perché i detti decreti conservano l’efficacia loro propria: quella di decisioni amministrative.

3.5. Per completezza rileva poi il Collegio che, anche volendo prescindere dall’autorevole arresto delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 20569/2013 dianzi richiamato, vi sarebbero ulteriori indici logici che – pur rimanendo sullo sfondo le prescrizioni normative di cui all’art. 69 della legge n. 69/2009- deporrebbero nel senso che, prima della detta riforma il decreto decisorio del ricorso straordinario avesse natura amministrativa e, soprattutto, che la natura giurisdizionale sopravvenuta ascrivibile alla modifica di cui alla legge n. 69/2009 ed alle disposizioni del cpa non possa essere predicata, in via retroattiva, ai decreti resi secondo le antevigenti disposizioni.

Si rammenta in proposito che l’art. 7, comma 8, del codice del processo amministrativo di cui al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 ha, stabilito che il ricorso straordinario è ammissibile unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa.

L’art. 48 cod. proc. amm. ha poi specificato, in termini di maggior rigore e di accentuato parallelismo, la regola dell’alternatività tra ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e ricorso ordinario al giudice amministrativo, riconoscendo la facoltà di opposizione di cui all’art. 10 del D.P.R. n. 1199/1971 in favore di tutte le parti nei cui confronti sia stato proposto il ricorso straordinario.

Quanto all’art. 7, comma 8 citato,è utile rammentare che l’ Ad gen., del Consiglio di Stato, con il parere 22 febbraio 2011, n. 4520 si è pronunciata nel senso dell’inapplicabilità di detto jus superveniens ai ricorsi proposti in un torno di tempo anteriore all’entrata in vigore del codice.

Costituiva infatti jus receptum il principio per cui (proprio a cagione della natura amministrativa del decreto decisorio) il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica poteva essere proposto, in via concorrente e non già alternativa al ricorso giurisdizionale, anche in materie che rientravano nella giurisdizione del giudice ordinario, (facendosene conseguire la concorrente esperibilità dei due suddetti rimedi giustiziali avverso ‘atti’ gestionali datoriali del rapporto d’ impiego pubblico privatizzato, ad eccezione di quelli configuranti una condotta antisindacale, devoluti in via esclusiva all’a.g.o) ferma restando la possibilità per il GO di disapplicare l’eventuale decisione del ricorso amministrativo.” (tanto era stato riconosciuto anche da Cons. Stato Ad. Gen. 10-06-1999, n. 9).

Volendo ampliare detto excursus, va ricordato che il parere dell’Adunanza generale n. 72 del 29 maggio 1997 (si trattava nel caso di specie dell’ esame di una controversia in tema di invalidità civile) aveva affermato che la competenza del giudice ordinario, mentre è necessariamente discriminativa rispetto alla giurisdizione amministrativa, non intacca la operatività di mezzi di tutela che attengono, come il ricorso straordinario al Capo dello Stato, ad altre sfere della elaborazione di volontà della pubblica amministrazione e che, in ragione della loro precipua inerenza alla fase interna della stessa pubblica amministrazione, si pongono come indifferenti rispetto ad ogni statuizione derogatoria della sede giurisdizionale amministrativa.

La intangibilità della sede straordinaria, costruita in chiave di generalità di sistema, costituisce perciò momento istituzionale autonomo e si pone come ‘concorrente’ di ogni altra forma di tutela, con un differenziato livello di operatività e senza essere incisa da fattori di mero ordine processuale.

L’Adunanza ha in conclusione sottolineato come, ove non sussista una norma espressa che escluda formalmente la ricorribilità al ricorso straordinario, non possa ricavarsi in via meramente interpretativa alcuna volontà di cancellare la suddetta sede di legittimità; ha altresì precisato che, nel caso di adizione congiunta, da parte dello stesso soggetto, del ricorso straordinario e della via giurisdizionale ordinaria, non opera comunque alcun criterio di alternatività, in quanto l’istituto è legislativamente previsto nel solo rapporto con il ricorso giurisdizionale amministrativo e non può trovare applicazione fuori di tale ambito.

Con l’ulteriore parere n. 9 del 10 giugno 1999 l’Adunanza generale ha esaminato diversi profili attinenti al problema di cui si tratta rilevando, in particolare, che l’esperibilità del rimedio straordinario resta comunque esclusa nei casi in cui la competenza del giudice ordinario abbia carattere funzionale ed inderogabile, come ad esempio per le controversie in materia di comportamenti antisindacali della pubblica amministrazione, avuto riguardo ai poteri che l’art. 28 dello Statuto dei lavoratori demanda al giudice ed alla peculiare procedura ivi disegnata (v. anche Sez. I, 3 novembre 1999, n. 983/98); nonché per le controversie relative ad opposizioni a sanzioni amministrative pecuniarie per violazione del Codice della strada, avuto riguardo alla competenza speciale che gli artt. 22 e 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689, attribuiscono al giudice ordinario ed alla procedura ivi disegnata (Sez. I, 24 novembre 1999, n. 929/99; 19 aprile 2001, n. 384/01; 16 maggio 2001, n. 398/01).

In linea con gli anzidetti principi la Sez. I, con parere 12 giugno 2002, n. 1647/02, ha poi affermato che risulta inammissibile il ricorso straordinario nei confronti di atti amministrativi riconducibili ad ipotesi in cui la giurisdizione e la competenza del giudice ordinario (ovvero di altre Autorità giurisdizionali) sia qualificabile come esclusiva e funzionale, anche per la specificità e peculiarità del rito, come avviene nel caso del surrichiamato art. 28 della legge 20 marzo 1970, n. 300, riguardante la repressione delle attività antisindacali.

La stessa Sez. I, con parere 29 ottobre 2003, n. 3218/03, ha ulteriormente ribadito che il ricorso straordinario, quale rimedio esperibile a tutela sia di interessi legittimi che di diritti soggettivi, può essere proposto anche nelle materie che rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, con la precisazione che la pretesa sostanziale deve essere inerente ad un rapporto avente rilievo pubblicistico.

In sintesi: la amplissima praticabilità del rimedio suddetto (ormai venuta meno, come si è prima riferito) si giustificava in quanto non v’era alcuno scardinamento del riparto di giurisdizione.

E ciò perché il rimedio “si affiancava”: e quindi non v’era esercizio di “giurisdizione”.

Come si vedrà di qui a poco, parte della giurisprudenza amministrativa tiene conto degli argomenti in ultimo segnalati per pervenire ad una soluzione comunque parzialmente divergente rispetto a quella tracciata dalle Sezioni Unite nella anzidetta decisione n. 20569/2013

3.6. Traendo le fila da quanto sinora rilevato, allontanandosi per un attimo dalla tematica afferente al corollario “ammissibilità o meno del rimedio dell’ottemperanza” e concentrandosi sulla questione a monte “qualificabilità o meno qual giudicato” pare al Collegio che – ove si volesse sposare la tesi contenute nella citata decisione delle Sezioni Unite 06-09-2013, n. 20569- si dovrebbe affermare quanto segue.

3.6.1. In disparte il “nomen” e la qualificazione della sopravvenienza legislativa del 2009 modificativa dell’istituto (“revisione” etc) e delle sopravvenute disposizioni del cpa, queste norme (indubitabilmente di natura processuale e come tali immediatamente applicabili ai giudizi in corso) “investono” i decreti decisori resi su parere obbligatorio e vincolante del Consiglio di Stato (o del CGA per la Regione Siciliana): ciò quale che fosse l’epoca di proposizione del ricorso, purchè esso sia stato deciso nella vigenza delle sopravvenute modifiche che hanno reso non più soltanto obbligatorio ma anche non disattendibile e quindi vincolante il parere del Consiglio di Stato.

Tali decreti in ultimo citati costituiscono “giudicato” (e sono pertanto coattivamente eseguibili mercè ottemperanza).

3.6.2. I decreti pronunciati (ante “novella” del 2009) su parere obbligatorio ma non vincolante del Consiglio di Stato non lo sono (e ciò sia se al detto parere l’Organo decisorio si sia conformato, sia ed a fortiori se se ne sia discostato).

E non potrebbero esserlo, perché, illo tempore, essendo disattendibile e quindi non vincolante il parere del Consiglio di Stato, il procedimento non aveva natura giurisdizionale ma amministrativa, e natura non giurisdizionale ma amministrativa, conseguentemente, era attribuibile al decreto decisorio.

Detta natura giurisdizionale non potrebbe essere riconosciuta ex post.

Essi quindi non sarebbero coattivamente eseguibili con l’ottemperanza e ciò proprio in quanto non costituirebbero tecnicamente “giudicato”.

3.6.2. Quel che rileva immediatamente agli odierni fini processuali, poi, è che così ricostruita la disciplina normativa, il decisumdella Corte Costituzionale n. 282/2005 relativo alla non ricomprensione dei decreti decisori nella clausola escludente e perimetrante contenuta nell’ultima parte del comma 4 dell’art. 50 manifesterebbe piena attualità e non sarebbe stato affatto “ribaltato” dal Legislatore(come si sostiene a pag. 5 dell’appello): il caso esaminato dalla Corte riguarda decreti pronunciati su parere obbligatorio ma non vincolante del Consiglio di Stato: essi non integrano “giudicato” (continuano a non costituire giudicato, verrebbe fatto di dire); il comma 4 dell’art. 50 non li fa salvi.

3.6.3. Da ciò discenderebbe che non potrebbe affermarsi che l’art. 50 comma 4 citato non spiegasse effetti nei confronti di detti decreti, perché, per affermare ciò, si dovrebbe affermare che gli stessi integravano “giudicato” irrevocabile, e ciò per le chiarite ragioni, non è.

3.6.4. In sostanza, attenendosi al dictum della decisione delle SS.UU. n. 20569/2013, allo stato, nel sistema giuridico si riscontrerebbe la compresenza di due tipologie di decreto decisorio su ricorso straordinario.

Una, relativa ai decreti decisori resi antecedentemente alla introduzione nel sistema dell’art. 69 della legge n. 69/2009 e delle disposizioni del cpa e, quindi, su parere obbligatorio, ma non vincolante, della Sezione del Consiglio di Stato deputata all’ esame del ricorso straordinario (quali sono, pacificamente, quelli rilevanti nella odierna controversia).

Essi erano, sono – e resterebbero – atti materialmente amministrativi, non coattivamente eseguibili mercè il ricorso al rito dell’ottemperanza e neppure ricorribili per Cassazione ex art. 111 della Costituzione ma disapplicabili, eventualmente dal Giudice ordinario.

Non integrerebbero “giudicato” e resterebbero regolamentati dalle disposizioni del dPR n. 1199/1971.

Tutti i decreti decisori resi prima dell’entrata in vigore della detta novella del 2009 n. 69 e delle disposizioni del cpa quindi, sarebbero indefettibilmente portatori di una natura meramente amministrativa, non suscettibili di esecuzione coattiva mercè ottemperanza, non ricorribili per Cassazione e disapplicabili, in quanto tutti resi su parere obbligatorio ma non vincolante della Sezione consultiva del Consiglio di Stato: l’inciso contenuto nelle decisioni delle Sezioni Unite “a prescindere dall’epoca di proposizione» del ricorso straordinario, vuole unicamente valorizzare la circostanza che ciò che rileva non è il momento in cui il ricorso venne proposto, ma l’epoca in cui lo stesso venne deciso e più ancora l’epoca in cui venne reso il decreto Presidenziale di recepimento: se esso venne reso allorchè il Consiglio dei Ministri non avrebbe più potuto discostarsi dal parere della Sezione consultiva del Consiglio di Stato, di esso deve essere affermata natura giurisdizionale; altrimenti conserva natura (meramente) amministrativa.

L’altra tipologia, sarebbe rappresentata dai decreti decisori resi ( a prescindere dall’epoca di proposizione del ricorso) nella vigenza della disciplina di cui all’art. 69 della legge n. 69/2009 citata ed in relazione ai quali (soli) opererebbero gli approdi prima indicati: essi sarebbero atti “nella sostanza giurisdizionali”; gravabili per Cassazione ex art. 111 della Costituzione, coercibili mercè l’ottemperanza, non disapplicabili né dal giudice ordinario né da quello amministrativo. Essi (soli) integrerebbero “giudicato”.

3.7. Ove si seguisse tale impostazione non apparrebbe in contrario senso persuasiva una tesi “eccentrica” a tratti adombrata nella memoria di parte appellante in ultimo depositata, secondo cui – a seguito della “revisione” di cui all’art. 69 della legge n. 69/2009- la preclusione a considerare “giudicato” (e, quindi, ad eventualmente esperire il ricorso in ottemperanza, etc) resterebbe limitata ai decreti pronunciati su parere non vincolante del Consiglio di Stato ove questo fosse stato in concreto disatteso con delibera del Consiglio dei Ministri, mentre da essa resterebbero esclusi i decreti, pur pronunciati su parere non vincolante del Consiglio di Stato ove a quest’ultimo si fosse conformata l’Autorità emanante (e, in questa ultima fattispecie rientrerebbero quelli per cui è causa).

3.7.1 Invero la natura giurisdizionale –o meno- di un atto o di un procedimento dipende dalle disposizioni adottate dal Legislatore per disciplinarlo, dai rimedi esperibili, dalle garanzie procedimentali, etc: e queste vanno valutate siccome in astratto normate legislativamente e non certo siccome in concreto praticate.

All’epoca in qui vennero resi i decreti per cui è causa, la Sezione deputata ad esprimere il parere non era legittimata a sollevare questioni di legittimità costituzionale, ed il decreto decisorio non era gravabile ex art. 111 della Costituzione; il Governo poteva discostarsi dal parere; il procedimento celebratosi, per queste ragioni, non aveva natura giurisdizionale né ex postpotrebbe riconoscersi tale natura, a cagione della circostanza che, in concreto, alcuna parte aveva prospettato dubbi di costituzionalità, aveva promosso impugnazione ex art. 111 della Costituzione, ovvero perché il Consiglio dei Ministri non si discostò dal parere.

3.7.2. Conclusivamente, pare al Collegio potersi affermare che, ove si ritenesse di aderire all’approccio ermeneutico di cui alla decisione delle Sezioni Unite 06-09-2013, n. 20569 il secondo ed il terzo motivo dell’appello dovrebbero essere disattesi.

3.7.3. A questo punto della esposizione, però, si deve dare conto di una circostanza -ben evidenziata da parte appellante nelle proprie memorie – che induce il Collegio ad investire della controversia l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.

Invero numerose decisioni del Consiglio di Stato e della Corte di Cassazione, pur non affermando direttamente principi contrastanti con quelli enunciati nella sentenza n. 06-09-2013, n. 20569, nei fatti sono pervenute a statuizioni che dalla perimetrazione ivi contenuta si discostavano.

Infatti è stato ritenuto in piu’ occasioni possibile l’esperimento del rimedio dell’ottemperanza, anche in relazione a decreti decisorii di ricorsi straordinarii resi in epoca antecedente alla riforma del 2009 e, quindi, certamente adottati su parere non vincolante del Consiglio di Stato.

Se il sillogismo è quello per cui l’ottemperanza è ammessa solo allorchè v’è una decisione “giurisdizionale” integrante giudicato ( o, se si vuole, comunque alla stessa “parificata” od assimilabile) allora, l’avere ammesso il rimedio dell’ottemperanza in tali ipotesi, integra approdo coincidente con quello patrocinato da parte appellante (id est. anche i pregressi decreti decisorii, tra cui quelli rilevanti nella odierna controversia integravano “ giudicato”, con la conseguenza che non sarebbero stati intaccabili dal comma 4 dell’art. 50 a più riprese citato).

3.7.4. Tale “effetto” – contrariamente a quanto sostenuto da parte appellante- non può certo ascriversi alla importante decisione delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione 19/12/2012 n. 23464 (laddove si controverteva in ordine ad un decreto decisorio reso su parere del Consiglio di Stato, in sede consultiva, licenziato nell’adunanza del 26 ottobre 2011, e quindi, sulla base della sopravvenuta normativa per cui esso spiegava effetto vincolante).

Ma altre, numerose, decisioni, sono in effetti pervenute a conclusioni in linea con la tesi sostenuta da parte appellante.

3.7.5 La decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 18/2012 ad esempio, (pur non direttamente soffermandosi su tale specifica questione) ha ammesso l’esperibilità dell’ottemperanza in relazione ad un decreto del Presidente della Repubblica (n. 4810 dell’8 marzo 2006) reso antecedentemente alla entrata in vigore della legge n. 69/2009 a più riprese citata ( e, quindi, allorchè il parere del Consiglio di Stato non era vincolante).

Dalla lettura della motivazione (punto 4, in particolare) della successiva decisione dell’Adunanza Plenaria n. 9/2013 (che neppure in detta occasione si è soffermata sulla specifica questione, irrilevante, in quanto il decreto presidenziale della cui ottemperanza si controverteva era stato emesso in data 18.5.2010, in conformità al parere del Consiglio di Stato, sez. III, n. 663 del 22.2.2010) non pare potersi evincere decisivamente che l’approdo di cui all’ Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 18/2012 sia stato smentito e che di converso sia stata condivisa la perimetrazione resa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella decisione 06-09-2013, n. 20569 in ultimo citata e che (soltanto) “al decreto presidenziale emesso, su conforme parere del Consiglio di Stato” vada attribuita la natura sostanziale di decisione di giustizia e, quindi, il carattere sostanzialmente giurisdizionale.

Per altro verso, come accennato in precedenza,la sentenza della Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 28-01-2011, n. 2065 (nel respingere il ricorso avverso la decisione n. 63/2009 del CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA per la Regione Siciliana – PALERMO, depositata il 02/03/2009 che aveva ammesso il rimedio dell’ottemperanza nei confronti di un precedente decreto decisorio di un ricorso straordinario al Presidente della Regione Siciliana reso ante “novella” del 2009), parimenti sembrerebbe in tal modo confortare la pretesa di parte odierna appellante. Ed analoghe considerazioni possono farsi con riguardo alle numerose sentenze “gemelle” rispetto all’ ultima citata, rese dal Giudice di legittimità su impugnazioni di sentenze del Cga.

3.7.6. Pare al Collegio emerga in modo palese che le decisioni suindicate contrastano – nei fatti e nella loro statuizione dispositiva – con la perimetrazione riduttiva resa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella decisione 06-09-2013, n. 20569.

E che ciò sia ascrivibile al tentativo – certamente encomiabile – di ricondurre ad unità il sistema, evitando che, seppur dopo l’avvenuta giurisdizionalizzazione dell’ istituto talune decisioni rese su ricorsi straordinari restino soggette ad un deficit di tutela rispetto ad altre.

3.8. Ma non sono –questi- gli unici autorevoli orientamenti emersi che si discostano dal recente dictum del Giudice regolatore della giurisdizione contenuto nella sentenza 06-09-2013, n. 20569cui si è fatto riferimento.

3.8.1.Una recente decisione della Quinta Sezione del Consiglio di Stato (recante n. 02713/2014 pubblicata il 27 maggio 2014) ha fornito una “lettura” della suindicata decisione n. 20569/2013 delle Sezioni Unite tesa a limitare la portata della “perimetrazione “ ivi contenuta, sostenendo che essa trovi applicazione unicamente per i decreti decisorii resi “prater legem‘prima’ della revisione su una controversia rimessa alla giurisdizione del giudice civile (ormai precluse dall’art. 7, comma 8, del codice del processo amministrativo: cfr. Corte Cost., sent. n. 73 del 2014).Questi – in quanto disapplicabili dal medesimo giudice e non decisorie della controversia – avrebbero conservato natura amministrativa (Sez. Un., n. 20569 del 2013, Sez. III, nn. 19531 e n. 20054 del 2013), non potendo la legge sopravvenuta determinare una soccombenza non prevista dalla normativa previgente.”.

In sostanza, quindi, per detta opzione ermeneutica, gli argomenti rassegnati al punto 3.5. della presente decisione, sarebbero traslabili unicamente ai decreti decisorii resi “prater legem” ante novella del 2009 e non escluderebbero, quindi che le decisioni sul ricorso straordinario rese ante 2009 (purchè nel regime dell’alternatività )possano integrare “giudicato” .

Secondo tale sentenza della Quinta Sezione, infatti , per le decisioni su ricorso straordinario rese nel regime della alternatività ‘prima’ della revisione (tra le quali pacificamente andrebbero annoverate quelle per cui è causa) “le citate riforme hanno preso atto della loro già indiscussa cogenza ed immodificabilità ed hanno aggiunto il rimedio del giudizio d’ottemperanza, «a prescindere dall’epoca di proposizione» del ricorso straordinario (per tutte, Sez. Un., 28 gennaio 2011, n. 2065, § 2.14; Sez. Un., 7 febbraio 2011, nn. 2818, 2819, 2829, 2830 fino a 2939; Sez. Un., 10 marzo 2011, n. 5684; Sez. Un. 28 aprile 2011, n. 9447; Sez. Un., 19 luglio 2011, n. 15765).”.

Senza immorare sul punto, né potendo soffermarsi specificamente su singoli precedenti giurisprudenziali, si rammenta, conclusivamente, che ancora assai di recente, la Quinta e la Sesta Sezione del Consiglio di Stato (Cons. Stato Sez. V, 31-07-2014, n. 4039, Cons. Stato Sez. VI, 21-05-2013, n. 2718) hanno reso decisioni pienamente in linea con la tesi patrocinata da parte appellante.

3.8.2. Che l’elaborazione giurisprudenziale sia in continua evoluzione è dimostrato, poi, dalla circostanza che assai di recente un parere reso dalla Prima Sezione di questo Consiglio di Stato (Adunanza di Sezione del 2 luglio 2014 e del 16 luglio 2014, numero affare 01033/2014) ha con dovizia di argomentazioni (si vedano in particolare le pagg. 13 -19 del parere) sostenuto una tesi volta a negare l’avvenuta giurisdizionalizzazione del rimedio.

In questa chiave prospettica, si è ivi affermato che le modifiche normative cui si è a più riprese fatto riferimento (l’art. 69, l. 18 giugno 2009, n. 69 che, con il primo comma, ha attribuito al Consiglio di Stato in sede di procedimento per ricorso straordinario la potestà di sollevare questione di costituzionalità e, al secondo comma, ha eliminato il potere governativo di non uniformarsi al parere del Consiglio di Stato in sede di procedimento per ricorso straordinario, per cui il parere del Consiglio di Stato è divenuto vincolante per il Ministro istruttore e proponente, nonché la norma di cui all’art. 7, comma 8, c.p.a. che limita il ricorso straordinario alle controversie devolute alla giurisdizione amministrativa) avrebbero “accresciuto la forza della tutela offerta ai soggetti dell’ordinamento dal rimedio del ricorso straordinario, ma non ne abbiano mutato la essenziale natura di rimedio amministrativo”.

La superiore esposizione pare al Collegio sia sufficiente a dimostrare che trattasi di questione rilevante e della massima importanza, che ha già dato luogo a contrasti giurisprudenziali.

In ordine alla rilevanza – e pregiudizialità -nella causa pendente, essa pare essere stata dimostrata sufficientemente: in funzione di sintesi, si ribadisce che, ove si accedesse alla tesi che anche i decreti decisorii di ricorsi straordinarii resi nel regime dell’alternatività allorchè il parere obbligatorio del Consiglio di Stato in sede consultiva non era vincolante (ed ancorchè in concreto esso non sia stato disatteso dall’Autorità governativa) integrino “giudicato”, il precipitato logico sarebbe quello della inapplicabilità agli stessi della disposizione “preclusiva” di cui all’art. 50 comma 4 del della legge 388/2000 siccome interpretata dalla Corte Costituzionale.

4.1. La tesi contraria espressa nella recente decisione delle Sezioni Unite n. 20569/2013 pare poi al Collegio si ponga in contrasto con quanto affermato dall’ Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella decisione n. 18/2012 che –lo si ripete -pur non soffermandosi su tale specifica questione ha ammesso l’esperibilità dell’ottemperanza in relazione ad un decreto del Presidente della Repubblica ( n. 4810 dell’8 marzo 2006) reso e pronunciato antecedentemente alla entrata in vigore della legge n. 69/2009 a più riprese citata (e, ovviamente, del d. Lgs, n. 104/2010).

Che si tratti anche di questione di massima di rilevante importanza risulta evidente dalla refluenza sulla problematica in esame del disposto di cui all’art. 102 secondo comma della Costituzione (si richiamano nuovamente, in proposito, le lucide argomentazioni di cui al parere reso dalla Prima Sezione del Consiglio di Stato numero affare 01033/2014 suindicato).

Ai sensi dell’art. 99 commi 1 e 3 del cpa, si ritiene pertanto di deferire la questione al giudizio dell’Adunanza Plenaria, chiedendo che la stessa si pronunci sulla seguente questione, riposante nel quesito se anche i decreti decisorii di ricorsi straordinarii resi allorchè il parere obbligatorio del Consiglio di Stato in sede consultiva non era ex lege vincolante (ed ancorchè in concreto esso non sia stato disatteso dall’Autorità decidente) siano eseguibili con il rimedio dell’ottemperanza ed integrino “giudicato” sin dal momento della loro emissione ovvero se tale qualità sia da riconoscere esclusivamente ai decreti decisorii di ricorsi straordinarii che ( a prescindere dall’epoca di proposizione dei ricorsi medesimi) siano stati resi allorchè il parere obbligatorio del Consiglio di Stato in sede consultiva era stato licenziato in epoca successiva alla entrata in vigore della legge n. 69/2009, (e quindi rivestiva portata vincolante).

In conclusione, pronunciando sull’ appello in epigrafe, la Quarta Sezione:

rimette all’esame della Adunanza Plenaria le questioni controverse, siccome sopra individuate, anche per la eventuale definizione del giudizio per il merito e sulle spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, ne dispone il deferimento all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato anche per la eventuale definizione del giudizio per il merito e sulle spese.

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