Consiglio di Stato
sezione IV
ordinanza 4 giugno 2015, n. 2756
REPUBBLICA ITALIANA
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE QUARTA
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1046 del 2014, proposto da:
Ca. in proprio quale iscritto alla Cnpadc, An.Wa., quale iscritto alla Cnpadc, rappresentati e difesi dall’avv. Ar.Po., con domicilio eletto presso Ar.Po. in Roma, via (…);
contro
Ministero dell’Economia e delle Finanze, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura gen. dello Stato, domiciliata in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE III n. 06103/2013, resa tra le parti, concernente bilancio di previsione per l’esercizio 2013 – riduzione della spesa consumi intermedi e per acquisto di mobili ed arredi.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell’Economia e delle Finanze e di Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 gennaio 2015 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Ar.Po. ed altri;
1. Con l’appello in esame, la Ca. e gli altri soggetti indicati in epigrafe impugnano la sentenza 18 giugno 2013 n. 6103, con la quale il TAR per il Lazio, sez. III, ha rigettato il ricorso proposto avverso i provvedimenti applicativi dell’art. 8 del d.l. 6 luglio 2012 n. 95, conv. in l. 7 agosto 2012 n.135.
Nell’ambito della razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica, il decreto legge ora citato ha esteso “agli enti e agli organismi anche costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanziaria, che non ricevono trasferimenti dal bilancio dello Stato” gli obiettivi di contenimento della finanza pubblica con una serie di prescrizioni che indicano le finalità da raggiungere e i risparmi di spesa. Tra queste, l’art. 8, comma 3, dispone che detti enti provvedano ad una riduzione della spesa in misura pari al 5 per cento nell’anno 2012 e al 10 per cento a decorrere dall’anno 2013 della spesa sostenuta per consumi intermedi nell’anno 2010.
Più in particolare, l’art. 8, co. 3 (dei cui atti applicativi si duole la Cassa ricorrente), stabilisce che “Ferme restando le misure di contenimento della spesa già previste dalle vigenti disposizioni, al fine di assicurare la riduzione delle spese per consumi intermedi, i trasferimenti dal bilancio dello Stato agli enti e agli organismi anche costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanziaria, inseriti nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuati dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché alle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) con esclusione delle regioni, delle province autonome di Trento e di Bolzano, degli enti locali, degli enti del servizio sanitario nazionale, e delle università e degli enti di ricerca di cui all’allegato n. 3, sono ridotti in misura pari al 5 per cento nell’anno 2012 e al 10 per cento a decorrere dall’anno 2013 della spesa sostenuta per consumi intermedi nell’anno 2010. Nel caso in cui per effetto delle operazioni di gestione la predetta riduzione non fosse possibile, per gli enti interessati si applica la disposizione di cui ai periodi successivi. Gli enti e gli organismi anche costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanziaria, che non ricevono trasferimenti dal bilancio dello Stato adottano interventi di razionalizzazione per la riduzione della spesa per consumi intermedi in modo da assicurare risparmi corrispondenti alle misure indicate nel periodo precedente; le somme derivanti da tale riduzione sono versate annualmente ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno. Per l’anno 2012 il versamento avviene entro il 30 settembre. Il presente comma non si applica agli enti e organismi vigilati dalle regioni, dalle province autonome di Trento e di Bolzano e dagli enti locali”.
La sentenza impugnata afferma la natura di “amministrazioni pubbliche” delle Casse di previdenza, richiamando, a tal fine, la sentenza 8 novembre 2012 n. 6014 della VI Sezione del Consiglio di Stato, secondo la quale “la trasformazione operata dal d. lgs. 509/1994 ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza e assistenza svolto dagli Enti in esame (previdenziali), che conservano una funzione strettamente correlata all’interesse pubblico, costituendo la privatizzazione una innovazione di carattere essenzialmente organizzativo”.
Una volta riconosciuta la detta natura di amministrazione pubblica, la sentenza afferma:
– “non si rileva illogicità nella scelta legislativa diretta a imporre alle Casse di previdenza il versamento annuale delle somme derivanti da tale riduzione ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato”;
– “il finanziamento connesso con gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri sociali, insieme alla obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione, garantiti agli Enti previdenziali privatizzati dall’art. 1 comma 3 dal d.Lgs. 509/94, valgono a configurare un sistema di finanziamento pubblico, sia pure indiretto e mediato attraverso risorse comunque distolte dal cumulo di quelle destinate a fini generali, che giustifica la previsione del versamento obbligatorio dei risparmi nelle casse erariali e che esclude la lamentata violazione degli artt. 38 e 97 Cost. Infatti, è da escludere che i fondi presenti presso le Casse di Previdenza e alimentati dai versamenti obbligatori abbiano natura privatistica, per le ragioni sopra esposte. Né può conseguentemente ritenersi violato l’art. 97 Cost. per distrazione di somme destinate a finalità pubblicistiche, in quanto il versamento obbligatorio al bilancio dello Stato disposto dal cit. art. 8 co. 3 è funzionalizzato esso stesso al perseguimento di fini di natura pubblicistica”;
– “con riguardo agli elenchi ISTAT richiamati nel ricorso, è da dire che il legislatore ha legificato i predetti elenchi e, pertanto, in assenza di specifiche censure di illegittimità costituzionale avverso le normative che a detti elenchi fanno rinvio, non si può che limitarsi a prendere atto di tale scelta legislativa”.
Per una pluralità di ragioni espressamente indicate (v. pagg. 10- 11 sent.), la sentenza ha dunque escluso qualunque dubbio (pur prospettato dalla ricorrente) di legittimità costituzionale delle norme indicate.
Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:
a) error in iudicando conseguente alla palese illogicità, irragionevolezza e contraddittorietà della motivazione della sentenza, nella parte in cui si afferma l’esistenza di un sistema di finanziamento pubblico indiretto e mediato a favore della Cassa; error in iudicando derivante dalla falsa applicazione dell’art. 8, co. 3, secondo periodo, d.l. n. 95/2012; error in iudicando per effetto della palese illogicità, irragionevolezza e contraddittorietà della motivazione della sentenza nella parte in cui si esclude la natura privata dei fondi della Cassa; error in iudicando derivante dalla falsa applicazione dell’art. 1, co. 142, l. n. 238/2012; ciò in quanto: a1) “è innegabile come i contributi versati dagli iscritti alle Casse di previdenza privatizzate siano da considerarsi quale forma di accantonamento obbligatorio di una quota del reddito professionale, ossia abbiano natura retributiva e, quindi, si debbano ritenere privati (e non pubblici), chiara essendo – nella giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di Giustizia – la natura di “retribuzione differita” della pensione; a2) “la Cassa è un ente previdenziale finanziato a ripartizione”, cioè ha “un meccanismo di finanziamento in virtù del quale i contributi incassati sono destinati al finanziamento delle prestazioni in essere”;
b) error in procedendo in conseguenza dell’omessa pronuncia sul motivo di ricorso diretto a censurare la violazione e falsa applicazione da parte dei provvedimenti impugnati degli artt. 3, 23 e 53 Cost., per effetto dell’imposizione degli iscritti alle casse privatizzate di un nuovo tributo ed all’attribuzione agli organi amministrativi della Cassa della funzione di concreta determinazione dell’entità del tributo da versare allo Stato; ciò in quanto: b1) “il trasferimento delle somme al di fuori del rapporto sinallagmatico contributivo con la Cnpadc per finalità di stabilizzazione finanziaria delle casse dello Stato concretizza un depauperamento della massa gestita”; b2) “la misura del prelievo non è predeterminata in misura fissa dalla legge, ma dipende sostanzialmente dall’attività degli organi degli enti privatizzati, per di più individuata ex post: quanto più la spesa per consumi intermedi nell’anno 2010 è risultata elevata, tanto più il prelievo è stato consistente”, con ciò violando l’art. 23 Cost..
La Cassa di previdenza ha quindi riproposto i motivi già articolati in I grado (pagg. 24 – 39 app.).
Ha inoltre sia chiesto che questo Giudice voglia rimettere alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, co. 3, d.l. n. 95/2012, per violazione degli artt. 2, 3, 23, 53 e 97 Cost., sia chiesto, in subordine, il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia delle Comunità Europee per contrasto con l’art. 48 del TFUE, con il Regolamento n. 883/2004 e con la Direttiva n. 2004/18/UE.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Economia e delle finanze e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che hanno preliminarmente ritenuto insussistenti i presupposti per la rimessione alla Corte Costituzionale e per il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, ed hanno concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.
All’udienza di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.
2. Questo Consiglio di Stato ritiene rilevante, ai fini della definizione del giudizio in corso, e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, d.l. .6 luglio 2012 n. 95, conv. in l. 7 agosto 2012 n.135, nella parte in cui, anche con riferimento alle Casse di previdenza, ed in particolare alla Ca., prevede che (terzo e quarto periodo): “Gli enti e gli organismi anche costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanziaria, che non ricevono trasferimenti dal bilancio dello Stato adottano interventi di razionalizzazione per la riduzione della spesa per consumi intermedi in modo da assicurare risparmi corrispondenti alle misure indicate nel periodo precedente; le somme derivanti da tale riduzione sono versate annualmente ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno. Per l’anno 2012 il versamento avviene entro il 30 settembre.” E ciò in relazione al primo periodo del medesimo art. 8, co. 3, laddove la misura del versamento è fissata “in misura pari al 5 per cento nell’anno 2012 e al 10 per cento a decorrere dall’anno 2013 della spesa sostenuta per consumi intermedi nell’anno 2010.”.
La rilevanza ai fini della decisione sulla presente controversia appare evidente. Ed infatti, gli atti impugnati, sia con il ricorso instaurativo del giudizio di I grado, sia con il ricorso per motivi aggiunti, costituiscono atti applicativi del più volte citato art. 8, co. 3, d.l. n. 95/2012, per la parte in cui assoggettano anche la Cassa di previdenza appellante al regime di versamento previsto dalla predetta norma.
In sostanza, gli atti impugnati, nella misura in cui determinano l’imposizione del versamento anche da parte della Cassa appellante, trovano il loro diretto e completo presupposto nella previsione normativa della cui costituzionalità si dubita, e, dunque, il problema della loro legittimità (in parte qua) non discende dalla presenza di eventuali vizi di legittimità, bensì dalla legittimità costituzionale del loro fondamento normativo.
Né la questione appare ex se risolvibile affermando o negando la natura pubblicistica delle Casse di previdenza, posto che – come afferma la sentenza impugnata (e per le ragioni che si esporranno in seguito) – “con riguardo agli elenchi ISTAT richiamati nel ricorso, è da dire che il legislatore ha legificato i predetti elenchi e, pertanto, in assenza di specifiche censure di illegittimità costituzionale avverso le normative che a detti elenchi fanno rinvio, non si può che limitarsi a prendere atto di tale scelta legislativa”.
3. Attesa la rilevanza, questo Consiglio di Stato ritiene inoltre non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del citato art. 8, co. 3, d. l. n. 95/2012 (nei limiti normativi innanzi precisati), per le ragioni di seguito esposte.
Occorre, innanzi tutto, osservare che, questo Giudice non ritiene dirimente, ai fini dei profili di non manifesta infondatezza di seguito prospettati, la questione della natura della personalità giuridica (di diritto pubblico o privato) delle Casse di previdenza, e segnatamente della Cassa di previdenza appellante (ovvero della sua “assimilazione”, normativamente disposta, alle amministrazioni pubbliche).
E ciò in quanto, quale che sia la tipologia della personalità giuridica, ciò che appare centrale, ai fini della presente controversia (e della connessa questione di legittimità costituzionale) è, per un verso, la provenienza da soggetti privati della contribuzione volta a costituire le risorse per il futuro trattamento pensionistico da erogarsi ai medesimi; per altro verso, l’incidenza della previsione normativa non già sulla misura di trasferimenti a carico della finanza pubblica, bensì sulla definizione di un prelievo percentualmente determinato sulla misura di consumi intermedi che – proprio in quanto non traenti la propria fonte da trasferimenti statali, bensì dalla destinazione a ciò di parte delle somme percepite dai propri iscritti – rientrava nella piena ed autonoma determinazione della Cassa di previdenza.
Che la costituzione delle risorse delle Casse di previdenza derivi dai contributi degli iscritti non appare dubbio, così come affermato:
– sia dalla sentenza impugnata (v. pag. 10), benché la stessa ritenga che la obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione “valgono a configurare un sistema di finanziamento pubblico, sia pure indiretto e mediato attraverso risorse comunque distolte dal cumulo di quelle destinate a fini generali”, laddove sembra più corretto affermare che ci si trovi di fronte a contribuzioni (prelievi) normativamente imposti a soggetti privati (e quindi a somme coattivamente prelevate a privati) per finalità di pubblico interesse (costituzione del trattamento pensionistico), il che non sembra assimilabile ad un “sistema di finanziamento pubblico”. Né, d’altra parte, risulta condivisibile l’affermazione che si tratti di somme “comunque distolte dal cumulo di quelle destinate a fini generali”, posto che non è dato comprendere quale sarebbe la destinazione “generale”, e da quale norma imposta, che in ogni caso determinerebbe (per altri fini diversi da quello di costituzione del trattamento pensionistico), un prelievo coattivo di pari misura;
– sia dalle stesse Amministrazioni costituite (v. pagg. 8 – 11 memoria del 24 dicembre 2014), benché le stesse ritengano (citando una sentenza di questo Consiglio di Stato, n. 184/2006), che i contributi obbligatori versati da parte dei dottori commercialisti alla Cassa “possono essere a tutti gli effetti definiti come dei tributi”, di modo che “se si è di fronte ad un tributo, le relative risorse non possono che avere carattere pubblico”. E ciò laddove la sentenza citata afferma, più precisamente, che la contribuzione obbligatoria “pur non assurgendo di per sé ad una obbligazione formalmente tributaria, in realtà ne partecipa di tutti gli aspetti, di talché, concretandosi in un’erogazione di denaro necessitata ex lege, realizza lo schema di finanziamento pubblico della Cassa ancorché non nell’esclusivo interesse di questa, ma pure per soddisfare esigenze solidaristiche”, il che è diverso dal definire il contributo previdenziale direttamente un “tributo” (esatto non già dallo Stato ma, per così dire per “delegazione amministrativa”, dalla Cassa previdenziale, e dunque nella piena disponibilità dello Stato medesimo).
Tanto precisato, le ragioni di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale rilevate da questo Giudice sono le seguenti:
a) innanzi tutto, violazione dell’art. 23 Cost, poiché appare evidente come – se, nel caso di specie, non si tratta di trasferimenti dello Stato destinati a far fronte ai consumi intermedi delle amministrazioni, bensì di contributi (pur obbligatori) dei privati iscritti volti a finalità previdenziali (cui quei consumi intermedi sono strumentalmente connessi) – l’imposizione di un versamento obbligatorio di parte delle somme così versate finisce con il distrarre dette somme in dotazione alla Cassa dalla loro causa tipica e dalla ragione, normativamente prevista, legittimante l’imposizione. E ciò in chiara violazione dell’art. 23 Cost., poiché la previsione normativa primaria che giustifica il prelievo ai sensi di detta norma costituzionale, e che, in tal modo, funzionalizza e, per così dire, “vincola” dette somme al perseguimento delle finalità che ne giustificano (normativamente) l’imposizione coattiva del versamento/prelievo, viene aggirata, mediante altra e successiva previsione normativa (appunto, l’art. 8, co. 3 cit.), che distrae dette somme dalla loro finalità tipica a esigenze generali di finanza pubblica;
b) in secondo luogo, violazione degli artt. 35, 36, 38, comma secondo, Cost., poiché, distraendo le somme destinate a finalità previdenziali (come desumibile dalla natura coattiva del contributo imposto), per esigenze diverse e generali di finanza pubblica, il legislatore incide sulla misura del trattamento pensionistico, inteso (e garantito) come “retribuzione differita” (tra le altre, Corte Cost., 13 gennaio 2004 n. 30; 3 giugno 2013 n. 116); sulla esigenza di assicurare “mezzi adeguati” per le esigenze connesse alla vecchiaia del lavoratore; più in generale incide sulla finalità di tutela del lavoro “in tutte le sue forme ed applicazioni”, costituzionalmente garantita;
c) in terzo luogo, violazione degli artt. 2, 3, 97 Cost., poiché, incidendo la misura del prelievo normativamente imposto dall’art. 8, co. 3, in percentuale sul totale delle somme destinate, in annualità precedente, a far fronte ai cd. consumi intermedi, tale misura incide, in modo non ragionevole, sulla autonomia dell’ente e sulla sua disponibilità e destinazione delle somme derivanti da contribuzioni dei propri iscritti a esigenze strumentali alla realizzazione della finalità previdenziali. E ciò in quanto, mentre per i soggetti amministrazioni pubbliche che ricevono finanziamenti volti a coprire (anche) i propri consumi intermedi, la misura determina una riduzione dei finanziamenti a tali soggetti destinati, e dunque in un risparmio per le casse dello Stato, nel caso di specie, costituendo dette somme parte dei contributi versati dagli iscritti per finalità previdenziali (ed essendo i consumi intermedi strumentalmente legati al raggiungimento di detta finalità), la loro riduzione (per il tramite del versamento imposto alla Cassa), determina non già un risparmio per lo Stato, bensì una “entrata” supplementare per lo stesso, con corrispondente riduzione delle somme destinate a finalità previdenziali, Il prelievo disposto incide altresì sul principio di buon andamento delle amministrazioni pubbliche, posto che esso non realizza meditatamente alcuna economicità dell’azione amministrativa, e determina altresì una distrazione di somme dalla loro finalità tipica;
d) in quarto luogo, violazione degli artt. 3 e 53 Cost., poiché (anche nella misura in cui vi può essere assimilazione dei contributi versati dagli iscritti alle Casse a “tributi”), il prelievo determinato dal versamento imposto alla Cassa in misura percentualmente fissa su una cifra determinata da quanto complessivamente speso per consumi intermedi nell’annualità 2010, non tiene in alcun conto né la capacità contributiva del soggetto, né qualsivoglia criterio di progressività, in ciò determinando altresì sia una disparità di trattamento tra soggetti destinatari di una medesima percentuale di esazione, indipendentemente dalla loro soggettiva capacità contributiva, sia una palese irragionevolezza della previsione normativa.
4. Per tutte le ragioni esposte, questo Consiglio di Stato ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’ articolo 8, comma 3, d.l. .6 luglio 2012 n. 95, conv. in l. 7 agosto 2012 n.135, con riferimento alle norme della predetta disposizione, come sopra specificate, per violazione degli artt. 2, 3, 23, 35, 36, 38, 53, 97 Cost.
La rimessione degli atti alla Corte Costituzionale comporta la sospensione del processo in corso.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
pronunciando sul ricorso in epigrafe,
visti l’ art. 134 della Costituzione, l’art. 1 l. cost. 9 febbraio 1948, n. 1, e l’art. 23 l. 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’ articolo 8, co. 3, d.l. 6 luglio 2012 n. 95, conv. in l. 7 agosto 2012 n.135.
Dispone la sospensione del presente giudizio e ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Ordina che, a cura della Segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Numerico – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere
Antonio Bianchi – Consigliere
Oberdan Forlenza – Consigliere, Estensore
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Depositata in Segreteria il 4 giugno 2015.
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