Consiglio di Stato
sezione III
sentenza 24 febbraio 2016, n. 748
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10050 del 2015, proposto da:
Ga. An. Sc., rappresentato e difeso dagli avv. Ma. Pr., Gi. Co., Ma. Ma., con domicilio eletto presso Gi. Co. in Roma, Via (…);
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Interno, U.T.G. – Prefettura di Imperia, Ministero della Difesa, Ministero della Giustizia, Direz.Ne Naz.le Antimafia, Direz.Ne Investigativa Antimafia-Centro Operativo di Genova, Procuratore Distrettuale Antimafia di Genova, Questura di Imperia, Legione Carabinieri Liguria-Comando Provinciale di Imperia, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via (…); Procuratore Nazionale Antimafia, Comune di (omissis), Commissione Straordinaria per la gestione del Comune di (omissis), Gi. Br., An. Lu. Ga., Lu. Lu., Pa. Av.;
nei confronti di
Ca. de. Le. e de. Cu. – Onlus, Ma. Pr.;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE I n. 10314/2015, resa tra le parti, concernente scioglimento del consiglio comunale di (omissis) per la durata di mesi diciotto e nomina della commissione straordinaria;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei Ministri, Consiglio dei Ministri, di Ministero dell’Interno e di U.T.G. – Prefettura di Imperia, Ministero della Difesa, Ministero della Giustizia, Direzione Nazionale Antimafia, Direzione Investigativa Antimafia-Centro Operativo di Genova, di Procuratore Distrettuale Antimafia di Genova, Questura di Imperia e Legione Carabinieri Liguria-Comando Provinciale di Imperia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 febbraio 2016 il Cons. Carlo Deodato e uditi per le parti gli avvocati Ma. Pr., Lu. Ma. su delega di Gi. Co. e l’avvocato dello Stato Fa. Ur. Ne.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza impugnata il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio respingeva il ricorso proposto dal Sig. Ga. An. Sc., nella qualità di (ex) Sindaco del Comune di (omissis), avverso il d.P.R. in data 6 febbraio 2012, con il quale erano stati disposti lo scioglimento del predetto Comune per diciotto mesi, ai sensi dell’art. 143 d.lgs. n. 267 del 2000 (d’ora innanzi TUEL), e la nomina di una commissione straordinaria per la gestione dell’ente.
Avverso la predetta decisione proponeva appello il Sig. Sc., contestando la correttezza della statuizione gravata e domandandone la riforma, con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati in primo grado.
Resistevano la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’interno, difendendo la correttezza della decisione appellata e contestando la fondatezza dell’appello, del quale chiedevano la reiezione, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
Il ricorso veniva trattenuto in decisione alla pubblica udienza dell’11 febbraio 2016.
DIRITTO
1.- E’ controversa la legittimità degli atti con i quali è stato decretato, in esito alla procedura prevista dall’art. 143 del TUEL, lo scioglimento del consiglio comunale di (omissis) per infiltrazioni mafiose e nominata la commissione straordinaria per la gestione dell’ente.
Il Tribunale di prima istanza ha accertato la sussistenza di indizi ed elementi sufficienti a dimostrare il condizionamento mafioso dell’amministrazione comunale, e, quindi, a giustificare la determinazione gravata, e ha respinto il ricorso proposto contro di essa.
L’appellante Sig. Sc., che rivestiva la carica di Sindaco di (omissis) al momento dello scioglimento del consiglio comunale, critica la correttezza dell’impugnata statuizione reiettiva, ribadisce l’insussistenza di indici sufficienti ad attestare le infiltrazioni mafiose nell’amministrazione comunale e conclude per l’accoglimento del ricorso di primo grado, in riforma della sentenza appellata.
Le Amministrazioni appellate, di contro, rilevano l’infondatezza dell’appello, difendono la coerenza logica e giuridica del giudizio pronunciato in prima istanza e ne invocano la conferma.
2.- Ai fini di una compiuta intelligenza della questione controversa, appare necessaria una sintetica, ma esauriente, ricognizione dei principi che regolano lo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose e delle regole alle quali deve obbedire il giudizio di legittimità dei relativi provvedimenti.
2.1- La misura in esame, per come prevista e disciplinata dall’art. 143 TUEL, costituisce uno strumento straordinario di prevenzione e di contrasto alla criminalità organizzata, apprestato dall’ordinamento per rettificare situazioni patologiche di compromissione del naturale funzionamento del governo locale, a causa del suo condizionamento da parte di consorterie di stampo mafioso (Cons. St., sez. III, 28 maggio 2013, n. 2895).
Il decreto in questione risulta, quindi, privo di natura e di valenza sanzionatorie, in quanto sprovvisto di finalità repressive nei confronti dei singoli amministratori dell’ente locale, ma assolve alla diversa funzione di salvaguardare la corretta funzionalità dell’amministrazione pubblica, rivestendo perciò il carattere di atto di alta amministrazione, nella misura in cui resta dotato di forza tale da determinare la prevalenza delle esigenze connesse al contrasto alle mafie rispetto all’interesse (pure costituzionalmente protetto) alla conservazione degli esiti delle consultazioni elettorali.
La natura e la finalità della misura in esame, per come appena descritte, implicano due corollari: a) l’ampiezza della latitudine della potestà discrezionale di apprezzamento nella valutazione degli elementi significativi di collegamenti diretti o indiretti, che, nondimeno, devono rivelare, anche solo secondo un giudizio di plausibilità (purché logico e attendibile), il condizionamento degli amministratori locali da parte delle consorterie mafiose (Cons. St., sez. III, 23 aprile 2014, n. 2038); b) il livello estrinseco e limitato del sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dei provvedimenti in questione, che non può spingersi oltre il riscontro della coerenza logica della valutazione ad essi sottesa e della corretta considerazione dei fatti individuati come significativi del condizionamento mafioso e che, in ogni caso, non può penetrare fino alla disamina del merito della scelta del commissariamento (Cons. St., sez. III, 6 marzo 2012, n. 1266).
2.2- In merito ai presupposti prescritti per la valida adozione della misura in esame, occorre, peraltro, ricordare che la situazione legittimante resta integrata anche da fatti o indizi non traducibili in episodici addebiti personali, ma che, nondimeno, risultino idonei a rendere, nel loro insieme, plausibile, nella concreta realtà contingente ed in base ai dati della comune esperienza, l’ipotesi di una obiettiva soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata; e ciò anche quando il valore indiziario degli elementi raccolti non sia, di per sé, sufficiente a determinare l’esercizio dell’azione penale o l’adozione di misure individuali di prevenzione (Cons. St., sez. III, 24 aprile 2015, n. 2054), alle quali, infatti, l’art. 143 TUEL non subordina il provvedimento di scioglimento del consiglio comunale inquinato da condizionamenti mafiosi.
Se è vero, in altri, termini che, ai fini della legittima adozione della misura in esame, non è necessaria la dimostrazione di responsabilità penali degli amministratori locali, è anche vero, tuttavia, che gli indici dell’infiltrazione mafiosa nel Comune devono essere precisi e stringenti, nella loro portata univocamente significativa di un reale e concreto condizionamento della libera determinazione degli organi elettivi comunali da parte delle locali consorterie mafiose (Corte Cost., 19 marzo 1993, n. 103).
2.3- Perché la decisione in questione possa reputarsi conforme al parametro legislativo che la autorizza, risulta, in definitiva, indispensabile la prova, seppur nella ridotta modalità della raccolta di indizi gravi e concordanti, che la libertà decisoria degli organi elettivi del Comune, che risultano, infatti, colpiti, dalla misura del commissariamento, sia concretamente conculcata e limitata, se non annullata, dall’opera di condizionamento della criminalità organizzativa di stampo mafioso.
3.- Così ricostruiti i principi che regolano la materia controversa, occorre procedere all’esame dei motivi di appello, che si prestano ad essere valutati congiuntamente, in quanto finalizzati a dimostrare l’incoerenza della determinazione in questione con il ricordato paradigma legale di riferimento.
3.1- Occorre, da subito, rilevare che, contrariamente a quanto rilevato dai giudici di prima istanza, gli elementi assunti a sostegno della controversa determinazione di scioglimento del consiglio comunale di (omissis) risultano assolutamente inidonei ad attestare, nel rispetto dei canoni sopra ricordati, il condizionamento mafioso dell’ente commissariato e, quindi, a legittimare la relativa misura.
Difetta, in particolare, il requisito, viceversa indefettibile, della prova, anche indiziaria, del condizionamento della libertà di determinazione degli organi elettivi, che, a sua volta, postula logicamente la consapevolezza degli amministratori di indirizzare le loro decisioni al soddisfacimento degli interessi delle consorterie malavitose (senza la quale non è neanche ipotizzabile l’infiltrazione mafiosa nel Comune).
3.2- Orbene, nella fattispecie in esame, manca proprio l’allegazione di indici significativi dell’ascrivibilità delle decisioni contestate all’amministrazione comunale a un’opera di condizionamento e di pressione esercitata dalle famiglie mafiose insediatesi a (omissis) sugli amministratori di quel Comune e, segnatamente, sul Sindaco, risultando, anzi, la dimostrazione del contrario, e, cioè, dell’ignoranza di quest’ultimo circa l’effettivo controllo malavitoso degli operatori economici che hanno ricevuto affidamenti dal Comune.
A ben vedere, infatti, non solo non emergono, dall’istruttoria e dalla motivazione del provvedimento gravato, indici univocamente significativi di un collegamento tra il Sindaco di (omissis) (o tra consiglieri comunali e assessori) ed esponenti delle famiglie mafiose che operano in quel territorio (consistenti, ad esempio, in frequentazioni, incontri, telefonate), ma, al contrario, risulta dalle due conformi sentenze penali (di primo e di secondo grado) di assoluzione di Sc., che egli ignorava che la cooperativa Ma. (destinataria di alcuni affidamenti da parte della società comunale Ci.) fosse, di fatto, posseduta e gestita da soggetti appartenenti all’associazione di stampo ‘ndranghetistico insediata a (omissis) (e che, quindi, non fosse in alcun modo consapevole di favorirne i relativi interessi criminali).
Il fatto che le sentenze assolutorie siano state pronunciate dopo la formalizzazione del decreto di commissariamento del Comune, peraltro, non sminuisce in alcun modo la rilevanza, ai fini dello scrutinio della ricorrenza dei presupposti che ne legittimavano l’adozione, i pertinenti accertamenti, nella misura in cui rilevano e confermano l’assenza, ab origine, di qualsivoglia indizio attestante ipotesi di collegamento tra il Sindaco Sc. ed esponenti delle famiglie mafiose operanti nel territorio di (omissis).
3.3- Così verificata l’insussistenza di indizi che attestino, con il dovuto rigore, il collegamento tra gli organi elettivi di (omissis) e le cosche dell’’ndrangheta ivi operanti o, comunque, un potere, effettivo e concreto, di condizionamento, da parte di queste ultime, delle libere determinazioni amministrative comunali, si deve rilevare che tali indefettibili condizioni non possono certo dedursi, in via meramente logica, dal mero rilievo dell’illegittimità di alcuni provvedimenti amministrativi (che, di per sé, in assenza di una prova positiva del’infiltrazione mafiosa nel Comune, non valgono ad integrare gli estremi dei presupposti del commissariamento ai sensi dell’art. 143 TUEL).
Ma, in ogni caso, anche le violazioni amministrative assunte a sostegno del decreto di scioglimento del consiglio comunale di (omissis) si rivelano inesistenti, dubbie, o, ancora, del tutto irrilevanti, ai fini che qui interessano.
Si deve, al riguardo, osservare, in estrema sintesi, che: a) l’affidamento alla cooperativa Ma. (che ha, peraltro, sempre offerto prezzi molto competitivi) dei lavori di manutenzione esterna del mercato coperto appare legittimo, in quanto le relative opere risultano classificabili come lavori in economia e, quindi, ascrivibili entro l’ambito applicativo dell’art. 125 d.lgs. n. 163 del 2006; b) l’affidamento diretto alla società Do. La. del servizio di igiene urbana (peraltro prorogato due volte dalla commissione straordinaria) appare validamente disposto, in conformità al disposto dell’art. 57, comma 2, d.lgs. n. 163 del 2006, in esito ad una procedura negoziata per la quale non è stata presentata nessuna offerta; c) l’affidamento, per un importo del tutto trascurabile, del servizio di distribuzione automatica di bevande alla società Co. Ti. Sa. s.r.l., oltre ad essere stato disposto in esito ad una procedura pubblica, risulta tempestivamente revocato, non appena la società è risultata colpita da un’interdittiva antimafia; d) l’omessa richiesta dell’informativa antimafia alla società concessionaria della realizzazione del porto turistico di (omissis) sembra giustificata dalla circostanza che la concessione non implicava alcun impiego di denaro pubblico.
Si tratta, in conclusione, di un’attività provvedimentale che, per un verso, appare rispondente ai canoni di legalità che la presidiano (o, comunque, non palesemente violativa di essi) e che, per un altro, risulta, in ogni caso, del tutto inidonea, di per sé, a significare un suo sviamento (in difetto di ulteriori, validi riscontri) verso gli interessi economici della ‘ndrangheta presente a (omissis).
3.4- Il decreto di scioglimento del consiglio comunale di (omissis) si rivela, in definita, illegittimo, così come gli atti presupposti e conseguenti (ivi compresi i decreti, pure impugnati, di scioglimento del consiglio comunale e di proroga di sei mesi del commissariamento), siccome adottato in difetto della situazione che, ai sensi dell’art. 143 TUEL, ne autorizzava la valida assunzione.
4.- Alla stregua delle considerazioni che precedono, devono essere, quindi, accolto l’appello e, in riforma della decisione impugnata e in accoglimento del ricorso di primo grado, annullati gli atti con lo stesso impugnati.
L’efficacia temporale dell’annullamento può, peraltro, essere limitata alla sua operatività ex nunc (e, cioè, dalla pubblicazione della presente decisione), in conformità alla richiesta formulata oralmente in udienza pubblica dal difensore dello Sc. e in coerenza con il contestuale ed equilibrato soddisfacimento in via integrale dell’interesse morale del ricorrente e di quelli pubblici implicati dal commissariamento (per il periodo in cui ha prodotto i suoi effetti).
5.- La peculiare natura della controversia e la complessità della fattispecie esaminata giustificano la compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla gli atti impugnati in primo grado, con la decorrenza temporale precisata in motivazione, e compensa le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 febbraio 2016 con l’intervento dei magistrati:
Lanfranco Balucani – Presidente
Carlo Deodato – Consigliere, Estensore
Lydia Ada Orsola Spiezia – Consigliere
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Pierfrancesco Ungari – Consigliere
Depositata in Segreteria il 24 febbraio 2016.
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